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Amedeide. Poema eroico (Edizione del 1836)
Amedeide. Poema eroico (Edizione del 1836)
Amedeide. Poema eroico (Edizione del 1836)
E-book559 pagine5 ore

Amedeide. Poema eroico (Edizione del 1836)

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Amedeide maior, è un poema epico in 23 canti in ottave (1620). Il poema era stato iniziato nel 1590 ed aveva avuto almeno tre diverse stesure, tutte rifiutate dal principe che aveva richiesto al poeta l'aggiunta di episodi romanzeschi.

Gabriello Chiabrera (Savona, 8 giugno 1552 – Savona, 14 ottobre 1638) è stato un poeta e drammaturgo italiano del Seicento.

Di famiglia aristocratica, visse a stretto contatto con la nobiltà del suo tempo e scrisse numerose opere in versi entrate a far parte del patrimonio letterario classico italiano. Cantore della grecità (sebbene non conoscesse il greco) e di quello che verrà poi definito classicismo barocco, fu spesso contrapposto al poeta coevo Giambattista Marino; questa contrapposizione, tuttavia, è puramente scolastica, visto che il Chiabrera nacque molto prima e morì molto dopo del Marino, ed iniziò prima di questi il suo tirocinio poetico - anche se poi gran parte dell'attività di entrambi si svolgerà nel XVII secolo.
LinguaItaliano
Data di uscita7 nov 2019
ISBN9788831647106
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    Anteprima del libro

    Amedeide. Poema eroico (Edizione del 1836) - Gabriello Chiabrera

    INDICE

    AMEDEIDE

    Gabriello Chiabrera

    Biografia

    Il corpus letterario

    I rapporti con la nobiltà

    Bibliografia

    AI LETTORI GENTILI

    VITA

    DI Gabriello Chiabrera

    AMEDEIDE

    CANTO I.

    CANTO II.

    CANTO III.

    CANTO IV.

    CANTO V.

    CANTO VI.

    CANTO VII.

    CANTO VIII.

    CANTO IX.

    CANTO X.

    CANTO XI.

    CANTO XII

    CANTO XIII.

    CANTO XIV.

    CANTO XV.

    CANTO XVI.

    CANTO XVII.

    CANTO XVIII.

    CANTO XIX.

    CANTO XX.

    CANTO XXI.

    CANTO XXII.

    CANTO XXIII.

    ANNOTAZIONI

    PARALLELO DELL'AMEDEIDA MINORE COLLA MAGGIORE.

    GLI ARGOMENTI

    Note

    AMEDEIDE

    POEMA EROICO

    DI

    Gabriello Chiabrera.

    NUOVA EDIZIONE
    Dedicata
    A S. S. R. M.

    IL RE

    Carlo ALBERTO

    ***
    1836.

    Il presente ebook è composto di testi di pubblico dominio.

    L’ebook in sé, però, in quanto oggetto digitale specifico,

    dotato di una propria impaginazione, formattazione, copertina

    ed eventuali contenuti aggiuntivi peculiari (come note e testi introduttivi), 

    è soggetto a copyright. 

    Edizione di riferimento: "Amedeide: poema eroico: nuova edizione

    dedicata a S. S. R. M. il re Carlo Alberto"

    di Gabriello Chiabrera,

    Tip. Fratelli Pagano;

    Genova, 1836 

    Presso l’Editore VINCENZO CANEPA

    Sotto i Portici dell’Accademia Ligustica.

    Immagine di copertina: The Garden of Earthly Delights (1480-1505) - Hieronymus Bosch (circa 1450 –1516). 

    This is a faithful photographic reproduction of a two-dimensional, public domain work of art. The work of art itself is in the public domain for the following reason: This work is in the public domain in its country of origin and other countries and areas where the copyright term is the author's life plus 100 years or fewer.

    This work is in the public domain in the United States because it was published (or registered with the U.S. Copyright Office) before January 1, 1924.

    https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Garden_delights_centre_panel_lossless_crop.jpg

    Elaborazione grafica: GDM, 2019.

    Gabriello Chiabrera

    Gabriello Chiabrera (Savona, 8 giugno 1552 – Savona, 14 ottobre 1638) è stato un poeta e drammaturgo italiano del Seicento.

    Di famiglia aristocratica, visse a stretto contatto con la nobiltà del suo tempo e scrisse numerose opere in versi entrate a far parte del patrimonio letterario classico italiano. Cantore della grecità (sebbene non conoscesse il greco) e di quello che verrà poi definito classicismo barocco, fu spesso contrapposto al poeta coevo Giambattista Marino; questa contrapposizione, tuttavia, è puramente scolastica, visto che il Chiabrera nacque molto prima e morì molto dopo del Marino, ed iniziò prima di questi il suo tirocinio poetico - anche se poi gran parte dell’attività di entrambi si svolgerà nel XVII secolo. Trascorse la vecchiaia prevalentemente nella villa del borgo rurale savonese di Légino, il Musarum opibus. Il suo sepolcro si trova all’interno della chiesa di San Giacomo a Savona. A Chiabrera sono intitolati oggi un liceo di Savona, il teatro Gabriello Chiabrera, e una scuola primaria inaugurata nel 1873 nella località di Fassolo a Genova (località che egli aveva cantato nel poemetto Galatea o le grotte di Fassolo, del 1622, quando vi era stato ospite dei Giustiniani).

    Biografia

    Nato da genitori benestanti, ricevette lo stesso nome del padre, Gabriello, morto pochi giorni prima della sua nascita. Dalla madre, Geronima Murasana, andata a seconde nozze, venne ben presto affidato alla tutela degli zii paterni. Per volere di questi, dal 1561 studiò al Collegio Romano; poi presso la casa di Manuzio conobbe Sperone Speroni (maestro a Padova di Ansaldo Cebà e ora intento alla correzione della Gerusalemme liberata) e il grecista francese Marc-Antoine Muret; sempre a Roma incontrò, in giovane età, il vecchio Torquato Tasso, ricordato nel dialogo Il Vecchietti. Fu dapprima al servizio della corte torinese di Carlo Emanuele I di Savoia, e poi, per tutto il resto della vita, fu al servizio dei Medici di Firenze, degli Este Gonzaga di Mantova, dell’aristocrazia genovese, e dal 1628 anche di papa Urbano VIII e del suo entourage romano. Come ricorda lui stesso nella Vita, molte delle pensioni ricevute da questi principi non gli imponevano l’obbligo di residenza, e questo permetteva al poeta assoluta mobilità e libertà dai vari oneri di corte. Fu poeta notissimo e fecondissimo della sua età cimentandosi in diversi generi letterari:

    quello lirico e celebrativo, interamente riformato dietro il modello greco e di Pindaro, spesso pensato per il canto, componimenti che gli valsero la fama presso i posteri e presso l’Accademia dell’Arcadia (si ricordi almeno la celebre Belle rose porporine messa in musica da Giulio Caccini);

    quello teatrale, sia tragico, sia pastorale, sia soprattutto il melodramma, genere da lui fondato a Firenze nell’anno 1600 assieme a Iacopo Peri e a Giulio Caccini per le nozze di Maria de Medici (cui il Marino dedicherà l’Adone nel 1623) con il re di Francia Enrico IV di Borbone;

    sia quello epico, di vario respiro (dai poemetti eziologici al poema epico);

    sia ancora quello della satira di stile classico.

    Come testimoniato dall’epistolario fu in stretti rapporti anche con il pittore genovese Bernardo Castello, uno dei principali interlocutori epistolari di Giovan Battista Marino. Dopo aver curato la quarta edizione delle Rime (1627-1628, edizione dalla quale partiranno le ristampe romane e veneziane settecentesche dell’opera omnia) e quella delle Odi Pindariche per Urbano VIII, pur restando molto attivo, si ritiro’ sostanzialmente nella sua villa di Legino, in Liguria, per limare la produzione epica, per dedicarsi alla prosa e alla satira dei Sermoni. Gran parte di questa produzione vedrà la luce tutta postuma o solo nel XIX secolo.

    Dalla descrizione che egli stesso diede di sé nella Vita apprendiamo che era di media statura, di pelo castagno, affetto da lieve miopia (vedea poco da lunge, ma altri non se n’avvedeva), frugale nell’alimentazione e poco propenso a perdere ore di sonno (ritratto n perfetto stile oraziano…). Sempre nella Vita dichiara di avere avuto come maestri Omero Virgilio Dante Alighieri e Lodovico Ariosto, ed ammette di trovare la poesia italiana povera e di aver avuto come massimo obiettivo di arricchirla, come un Galileo Galilei o un Cristoforo Colombo, di nuove strutture ritmiche e musicali. Tali strutture a loro volta non sono nuove in senso assoluto, ma imitano i metri antichi soprattutto greci, cosicché la novità non sia altro che un ritorno al classicismo antico dopo quello moderno del petrarchismo rinascimentale. In sostanza: per rinnovare l’ormai stanco classicismo rinascimentale, il poeta, invece che dissacrarlo (come spesso accade nella poesia mariniana), lo sostituisce semplicemente con un altro classicismo: quello antico. Da qui la famosa definizione del Chiabrera come poeta classicista barocco, sperimentatore che riattinge all’antico.

    Il corpus letterario

    L’esordio letterario di Chiabrera avvenne quando questi aveva trent’anni, nel 1582, col poema Delle guerre de’ Goti (più noto come Gotiade) dedicato a Carlo Emanuele I di Savoia. Da allora e fino alla morte, il poeta sarà quasi interamente stipendiato dalle varie corti che lo accolsero (Savoia, Este, Medici, Barberini e la repubblica genovese). Il corpus poetico è vasto e comprende generi differenti:

    1) LIRICA E POEMETTI

    circa seicento poesie, tra liriche varie ed odi, dei metri più vari (si ricordino le famosissime Belle rose porporine, Vaghi rai, Viva perla dei fiumi, A Cristoforo Colombo), per lo più orientate ad imitare schemi della poesie greca spesso come testi per musica, schemi destinati a venire ripresi per intero dall’Accademia dell’Arcadia nel XVIII secolo; essa comprende anche molti Poemetti di carattere biblico o erudito e naturalistico o anche allegorico, di gusto callimacheo (tra i quali il famoso Erminia, del 1605, ispirato alla Gerusalemme liberata, Il conquisto di Rabicano e Alcina prigioniera tratti dall’Orlando Furioso, o ancora la Galatea del 1622);

    2) TEATRO

    Melodrammi, una quindicina (si ricordino almeno: Il Rapimento di Cefalo per le nozze Medici a Firenze del 1600, e gli intermezzi per l’Idropica di Giovan Battista Guarini a Mantova);

    Tragedie (l’inedita Ippodamia, Angelica in Ebuda del 1615 tratta dall’Orlando Furioso e dedicata al nobile genovese Francesco Marini; Erminia del 1622, tratta dalla Gerusalemme liberata e dedicata al giovane Anton Giulio Brignole Sale);

    Drammi pastorali (Gelopea, Alcippo, Meganira);

    3) POEMI EPICI:

    Delle guerre de Goti (più noto come Gotiade) 15 canti in ottave (1582, per Carlo Emanuele I di Savoia);

    Firenze, 9 canti in ottave (1615, per Ferdinando II de’ Medici, il poema era stato iniziato nel 1610);

    Amedeide maior, 23 canti in ottave (1620, ancora per il Savoia; il poema era stato iniziato nel 1590 ed aveva avuto almeno tre diverse stesure, tutte rifiutate dal principe che aveva richiesto al poeta l’aggiunta di episodi romanzeschi);

    Firenze, seconda edizione in 15 canti in selve (1628, sempre per il Medici; il testo è preceduto da una prefazione in cui il poeta discorre sul verso sciolto);

    Firenze, terza edizione in 10 canti ancora in selve;

    Il Foresto (in 3 canti in endecasillabi sciolti);

    Il Ruggiero (in 10 canti in endecasillabi sciolti), stampato col Foresto nel volume unico Poemi Eroici Postumi (Genova, 1653); entrambi sono entrambi dedicati a Francesco I d’Este, duca di Modena, lo stesso immortalato in un celebre ritratto di Diego Velázquez;

    Amedeide Minor, sempre in ottave (secondo la prima stesura del poema, con pochi episodi), stampata postuma;

    4) SERMONI

    Dieci Sermoni di gusto oraziano (in endecasillabi sciolti, idea originale rispetto alla tipica terzina di Lodovico Ariosto o di Francesco Berni), composti quasi tutti in età avanzata e pubblicati quasi tutti postumi;

    5) PROSE (tutte stese più o meno tra 1626-1630 e quasi tutte edite postume)

    La Vita

    Dialoghi sull’arte poetica (Il Vecchietti, L’Orzalesi, Il Geri, Il Bamberini, Il Forzano) in cui il poeta giustifica: per l’epica la sua preferenza per l’endecasillabo sciolto rispetto all’ottava e alla terzina, prendendo a modello il poema Lo Stato Rustico del genovese Giovanni Vincenzo Imperiali (già apparso nel 1623 nelle vesti del pastore Clizio ne L’Adone del Marino); per la lirica: l’uso di rime tronche e sdrucciole e nuove forme strofiche attraverso una intelligente decostruzione/ricostruzione dei canoni rinascimentali;

    Vari Discorsi morali da recitare all’Accademia degli Addormentati di Genova (Sulla Fortezza etc…)

    L’Orazione funebre in morte di Andrea Spinola del 1629;

    Un ricco Epistolario con personaggi importanti del tempo quali Virgilio Malvezzi, Angelo Grillo, Bernardo Castello, Pier Giuseppe Giustiniani, Alessandro Striggio etc….

    I rapporti con la nobiltà

    Chiabrera fu al centro dell’asse politico-culturale Torino-Genova-Firenze-Roma tra il 1580 e il 1635.

    1) Sebbene il primo mecenate del poeta fu Carlo Emanuele I di Savoia, il rapporto si affievoli’ dopo 40 anni in occasione della guerra della Valtellina, e dopo la stampa del travagliato poema a lui dedicato L’Amedeide (1620, l’unico poema ricordato nella Vita). Al Savoia è dedicata una delle poesie più famose del Chiabrera: Viva perla de’ fiumi.

    Poco più tardivi ma più saldi furono i rapporti con:

    2) i Medici di Firenze per i quali lavoro’ assieme a Giulio Caccini e a Iacopo Peri e alla Camerata de’ Bardi per il melodramma, e ai quali dedicò il poema Firenze e i poemetti sacri;

    3) gli Este-Gonzaga di Mantova (dove compose gli intermezzi per l’Idropica del Battista Guarini per le nozze del 1608 di Francesco Gonzaga) e di Modena (nella persona di Francesco d’Este, dedicatario del Foresto e del Ruggiero);

    4) l’aristocrazia genovese, sia quella raccolta intorno alla Accademia degli Addormentati, prima sotto il magistero di Ansaldo Cebà e poi di Anton Giulio Brignole Sale, sia i grandi poeti genovesi del tempo quali Angelo Grillo, Pier Giuseppe Giustiniani, nonché il pittore Bernardo Castello e il poeta Giovanni Vincenzo Imperiale (l’autore del celebre poema Lo Stato Rustico) che furono anche tra i principali interlocutori di Giovan Battista Marino. AI nobili genovesi sono dedicate le tragedie e numerosi poemetti allegorici;

    5) dopo gli anni della giovinezza (nelle mani di Sperone Speroni e di Marc-Antoine Muret), dal 1623 il poeta poté rinsaldare i contatti anche con Roma, grazie in particolare al suo rapporto di amicizia con Papa Urbano VIII, lungamente ricordato nella Vita, e con tutto l’ambiente della Roma barberiniana (Virginio Cesarini, Galileo Galilei, Fulvio Testi, Famiano Strada, Agostino Mascardi, il Collegio Romano etc… ): a Roma sono dedicati numerosi poemetti e molte liriche fra le quali le Odi a Urbano VII.

    Bibliografia

    Sull’autore in generale, almeno:

    AA: VV.: La scelta della misura: Gabriello Chiabrera, l’altro fuoco del barocco italiano, Atti del Convegno di Savona, Genova, Costa e Nolan, 2013.

    AA: VV: La letteratura ligure: repubblica aristocratica (1528-1797), Genova, Costa e Nolan, 1992 (con un capitolo dedicato al Chiabrera).

    P. Cerisola, L’arte dello stile. Poesia e letterarietà in Gabriello Chiabrera, Franco Angeli, 1990.

    P. Fabbri, Il secolo cantante. Per una storia del libretto d’opera in Italia nel Seicento, Roma, Bulzoni, 2003.

    N. Merola, Chiabrera, Gabriello, in Dizionario biografico degli italiani, vol. xxiv, 1984.

    G. Getto, Il Barocco in prosa e in poesia, Milano, Mondadori, 1969 (con un capitolo dedicato al Chiabrera).

    Sui testi poetici, almeno:

    Opera poetica, a cura di A. Donnini, Milano, Res, 2006, in cinque volumi (che contiene tutta la produzione poetica).

    Chiabrera e lirici del classicismo barocco, a cura di Marcello Turchi, Torino, Utet, 1984 (dove si rileggono i Dialoghi e la Vita).

    Maniere, scherzi e canzonette morali (sulla prima edizione 1599), Guanda, 1995 (ed. ben commentata).

    Poemetti sacri (1627-1628), a cura di L. Beltrami, Venezia, Marsilio (ed. ben commentata).

    Lettere (1585-1638), a cura di S. Morando, Leo S. Olschki, Firenze, 2003 (con oltre cinquecento lettere raccolte su autografi, manoscritti e stampe sette-ottocentesche, comprese quelle indirizzate al pittore Bernardo Castello e al nobile Pier Giuseppe Giustiniani; ed. ben commentata e corredata di indici dettagliati).

    I principali melodrammi e la tragedia Angelica in Ebuda, si rileggono nella storica edizione del volume Gli albori del melodramma, a cura di Angelo Solerti, Milano, Sandron, 1903.

    Tutto il resto della produzione si rilegge in stampe dell’epoca, o nelle ristampe sette-ottocentesche romane e veneziane.

    Nicola Merola, CHIABRERA, Gabriello, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 24, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1980. URL consultato il 2 settembre 2015.

    Gabriello Chiabrera, [Opere]. 1, In Venezia, presso Angiolo Geremia in Merceria all’insegna della Minerva, 1757.

    Gabriello Chiabrera, [Opere]. 2, In Venezia, presso Angiolo Geremia in Merceria all’insegna della Minerva, 1757.

    Gabriello Chiabrera, [Opere]. 3, In Venezia, presso Angiolo Geremia in Merceria all’insegna della Minerva, 1757.

    Gabriello Chiabrera, [Opere]. 4, In Venezia, presso Angiolo Geremia in Merceria all’insegna della Minerva, 1757.

    Gabriello Chiabrera, [Opere]. 5, In Venezia, presso Angiolo Geremia in Merceria all’insegna della Minerva, 1757.

    SACRA REALE MAESTÀ

    L’Augusta Casa de’ Sovrani Sabaudi, S.R. Maestà, diede sempre colla grandezza di azioni magnanime nobilissimo argomento all’ingegno de’ Cantori d’Italia.

    Gabriele Chiabrera, sommo ornamento delle lettere ne’ Vostri Reali Dominj, confortato dal favore del Duca Carlo Emanuele, prese a celebrare con eroico poema quell’Amedeo che liberò col senno e colle armi l’Isola di Rodi. Questo poema era ben degno di ricomparire, dopo due secoli, sotto gli auspicj della Reale Maestà Vostra, che tutti consacra i suoi pensieri alla felicità de’ sudditi ed alla gloria del regno; e che si è degnata di permettere, che fregiato dell’Augusto nome di Lei, venga nella luce del pubblico. Io lo depongo appiè del Trono Reale insieme agli umilissimi sensi del mio sommo rispetto

    Di V. S. R. M.

    Ubbidientissimo Servitore

    e fedelissimo Suddito

    VINCENZO CANEPA Editore.

    AI LETTORI GENTILI

    VINCENZO CANEPA

    Essendomi proposto di mettere nuovamente in luce l’Amedeide di Gabriello Chiabrera, pregai il Cav. Don Gio. Batta Spotorno, che tante altre premure si era dato per onorare la memoria di quel sommo Poeta, scrivendone copiosamente la vita e pubblicandone molte prose inedite, a volermi favorire per sua cortesia di preparare, dirigere, ed illustrare questa edizione. Ed egli compiacendomi, vuole ch’io dichiari, qui sul principio, che ad assumere tal fatica non tanto il muove la grandezza del Poeta; ma sì e principalmente, il desiderio ossequioso, trattandosi d’un libro onorato del nome dell’Augusto Monarca il Re Carlo Alberto, di potere in qualche guisa, quanto ad uomo oscuro è conceduto, dimostrare la somma sua devozione all’ottimo Principe che si degnò confortare con segno onorevolissimo del suo Real Patrocinio i piccioli studj di esso P. Spotorno.

    Gli argomenti all’Amedeide, che leggerete in questa edizione, sono fatica del sig. avvocato G.B. Belloro, savonese, che me gli offerì gentilmente; nè io volli ricusare il dono della sua cortesia; troppo essendo convenevole che in qualche modo concorra ad una edizione del Chiabrera uno almeno degli arcadi savonesi.

    VITA

    DI Gabriello Chiabrera

    SCRITTA

    DAL CAV. P. GIO. BATTA SPOTORNO.

    Se la nostra Liguria occidentale non avesse di che pregiarsi se non se di Gabriello Chiabrera, ragion vorrebbe ch’ella se ne tenesse onorata e superba. Perciocchè fu questi il primo che mostrò agl’italiani esservi pure un’altra scuola, fuori della provenzale, in cui mirando studiosamente si potea venire in fama di poeta meraviglioso; e il mostrò con esempj felicissimi sì nel genere grande, sì nel gentile; spirando, se così m’è lecito parlare, ne’ petti degl’italiani un nobile ardimento; e la nostra favella, di timida e rispettosa ch’ella era in mezzo alla copia delle voci e de’ modi, facendo animosa ed altera senza macchiarne l’urbanità e la grazia che le viene dal puro e sonante dialetto dell’Arno. Ma questo Poeta non ebbe mai scrittore della sua vita; ed egli di se medesimo parlò brevemente, più tosto per dire gli onori avuti da Principi grandi e da Sommi Pontefici, che per altra cagione. E però non a torto faceva querele il Tiraboschi di tanta negligenza. Ond’è che nella Storia Letteraria della Liguria io m’ingegnai di stendere minutamente la vita di questo sommo poeta; ed ora ne do quasi un compendio, ma corredato di molte notizie, che per quegli anni non erano conosciute; cosicchè Egli più non abbia a dirsi inonorato in Italia.

    Gabriello Chiabrera nacque in Savona il 18 giugno del 1552; e nacque quindici giorni ed alcune ore dopo la morte di Gabriello suo padre. La famiglia de’ Chiabrera, che veramente chiamavasi de’ Zabrera, e latinamente de Zabreriis, sembra d’origine spagnuola; e il primo a piantarla tra noi fu probabilmente uno di que’ militi spagnuoli che vennero in Italia nel 1271 con Guglielmo marchese di Monferrato, il quale aveva tolto in isposa Beatrice figliuola di Alfonso Re di Castiglia. E oggidì sono tuttavia parecchi altri cognomi nel Monferrato e nel Piemonte che si palesano d’origine spagnuola. Ma qual che fosse l’antica stirpe de’ Zabrera, questo è certo che un Gabriele, de Zabreriis fece un sepolcro a se ed a’ suoi l’anno 1493 nella chiesa di S. Giacomo vicin di Savona, e ne ornò la cappella con una tavola di pittore in quell’età molto prezzato. Da questo Gabriele I. venne un Corrado, che di Mariola Fea gentildonna savonese generò Gabriele II.; e questi ebbe da Geronima Murasana, pur savonese, e figlia del dotto giureconsulto Pier Agostino, Massimo, uomo di buone lettere ed amico in Roma di Paolo Manuzio; Gabriele III., ossia il nostro poeta, e Laura, data in moglie ad Aurelio Bosco Savonese.

    La madre del Poeta, rimasa vedova in fresca età, passò ad altre nozze con Paolo Gavotti nobile savonese, e di Gabriello si tolse la cura Margherita sorella del padre di lui, la quale di Ottavio Pavese suo marito non aveva prole veruna; ma la tutela del pupillo tenevala Giovanni pure fratello del padre, ed esso ancora senza figliuoli. Giunto Gabriello all’età d’anni nove, fu condotto in Roma, ove Giovanni suo zio faceva dimora¹ , ed ivi fu nodrito con maestro in casa da cui apparò la lingua latina. In quegli anni lo prese una febbre, e dopo due anni lo percosse un’altra, che sette mesi lo tenne senza sanità e l’inviava a morire etico; onde Giovanni suo zio, per farlo giocondo con la compagnia d’altri giovinetti lo mandava alle scuole de’ PP. Gesuiti; ed ivi prese vigore e fecesi robusto, ed udì le lezioni di filosofia, anzi più per trattenimento che per apprendere; e così visse fino all’età di venti anni. Ma nel 1572, essendo mancato di vita in Roma lo zio Giovanni, esso Gabriello andò a Savona a vedere e farsi rivedere da’ suoi; e fra pochi mesi tornossene a Roma.

    Quivi avuta occasione di vendere un giardino, che sembra eredità dello zio, al Cardinale Luigi Cornaro Camerlengo di S. Chiesa, colse l’opportunità di entrare in corte di quel Porporato, e vi stette tre anni. In questo, avvenne, che senza sua colpa fu oltraggiato da un gentiluomo romano, ed egli vendicossi; nè potendo meno, gli convenne di abbandonar Roma, e ridursi alla patria. Del qual avvenimento non abbiamo altra notizia, salvo se quella lasciataci dal Poeta, e che si è riferita colle sue parole medesime.

    In Savona stette molti anni, dividendo il suo tempo tra lo studio delle buone lettere, la compagnia di giovani suoi pari, ed eziandio, nel vagheggiare una beltà savonese, ch’egli chiama poeticamente la Galatea de’ savonesi mari. Sopra questo innamoramento abbiamo l’incomparabile canzone Per duri monti alpestri. E ne parla slmilmente nel canto VII. dell’Italia liberata, dicendo:

    Appena nato, a’ duri miei tormenti

    Sorte volle adoprar la sua fierezza;

    Mi negò le lusinghe dei parenti,

    Mi pose in risse, m’involò ricchezza:

    Amore alfin con le sue fiamme ardenti

    Servo mi fe’ d’una crudel bellezza.

    Sono pur da leggere queste parole della canzone XXIX. tra le morali scritta ad Jacopo Doria:

    Forza d’alta beltà, ch’empie gli amanti

    Di caro duol, tiranneggiò mia cetra:

    Oggi che imbianco……..

    …….. altrove ergo i pensieri.

    E tuttavia nel Chiabrera l’amore vestiva un abito gentile, alla platonica; e in tutte le sue poesie non è parola che ricordi, non dirò le sozzure di certi poeti de’ tempi a noi vicini, ma nè anco la licenza dell’Aminta e della Gerusalemme.

    L’anno del 1584 rallegrò la solitudine del Chiabrera con l’arrivo in Savona della famosa Isabella Andreini, venutavi colla sua compagnia comica a farsi udire sulle scene. Il poeta onorò con parecchie composizioni il valore dell’attrice, ed essa, che non era donna volgare, rispose con rime pregevolissime che abbiamo alle stampe. Ma v’ebbero sdegni e combattimenti tra’ gentiluomini di Savona. Stavano per una parte Ottaviano e Luigi Multedo; per l’altra Benedetto Corsi, Giulio e Cesare Pavesi, Ambrogio Salinero e il nostro Poeta; che brevemente, al solito, così accenna quella tenzone: «in patria incontrò, senza sua colpa, brighe, e rimase leggermente ferito su la mano: fece sue vendette, e molti mesi ebbe a stare in bando: quietassi poi ogni nimistà, ed egli si godette lungo riposo.» Si compose la discordia con un atto di pace rogato in Mulazzano addì 16 aprile 1585, ed accettato in Savona dai Multedo il dì 24: il che ne fa conoscere che la fazione del Chiabrera ebbe a ricoverarsi negli antichi dominj della R. Casa di Savoja.

    Tornato alla quiete della patria, cominciò col fratello Massimo a pensare alla propagazione della stirpe; e non avendo quegli voluto sottomettersi al legame del matrimonio, fu deliberato che Gabriello s’eleggesse una sposa. Qui porrò un fatto che parrà novella, e non è; vo’ dire che il Poeta si teneva per affatturato da qualche maliarda o stregone, cosicchè stimavasi non atto al debito coniugale; e ne scrisse lunga e mesta lettera a Bernardo Castello pittore, suo grande amico, scongiurandolo a veder pure di trovare in Genova cerretano o donnicciuola, che valesse a rompere la malìa. Qual fosse la risposta del Castello, nol sappiamo. Nè di cotal immaginazione del Poeta è da far commedia; chè fin nel secolo XVIII. molti libri si scrissero da gravi uomini, e non idioti, a mostrare la potenza e le arti meravigliose delle streghe² . Finalmente piacque al Chiabrera d’unirsi con una giovinetta d’anni 16, nominata Lelia, figliuola di Giulio Pavese gentiluomo di Savona, e della signora Marzia di Niccolò Spinola patrizio genovese. Ed ottenuta la dispensa dall’impedimento di consanguinità, si celebrò il matrimonio nella chiesa de’ PP. Cappuccini fuor di Savona il dì 29 luglio del 1602. Gabriello non n’ebbe. prole, ma gliene vennero disturbi ed impicci nojosi. Perciocchè Lelia, essendo mancato di vita Giangiacomo Pavese fratello di lei, lasciando pupillo un figlio di nome Giulio, ne assunse col marito la tutela: di qui molestie di conti; pensieri d’educazione; possesso di eredità e nella Liguria, e per procuratore in Napoli, dove i Pavesi possedevano beni assai; di qui tutte quelle altre noje che sono compagne degli affari economici. Ma Lelia, veggendosi senza prole, aveva posto in Giulio un affetto sviscerato; e se Gabriello non era sollecito a tutto, che potesse giovare al nipote, gridava ch’egli era un assassinare il pupillo. Questa tutela tornò poscia in danno de’ Chiabrera; stantechè avendo Gabriello donato ogni suo avere alla moglie, Giulio venne ad unire in se l’eredità de’ Chiabrera e de’ Pavesi. Abbiamo una lettera del Poeta, scritta nel 1634, ringraziando il Cavaliere Cassiano dal Pozzo «per le cortesie compartite a Giulio Pavese mio nipote.»

    Il piacere delle nozze fu turbato per una sentenza de’ tribunali di Roma, che Gabriello accenna oscuramente; e che noi possiamo con maggior chiarezza descrivere. Il Poeta aveva un fratello naturale di nome Augusto, che stavasi in Roma, e maneggiava la dote di Lelia, con procura in forma legale: ora costui per avere scritto delle pasquinate, o come allora dicevano, de’ pasquini, fu condannato, non sappiamo a qual pena, e i beni dati al fisco; compresavi la dote di Lelia. Per che Gabriello corse a Roma, e con mostrare le sue ragioni, e col favore del Cardinale Cinzio Aldobrandini, protettore de’ letterati, ricoverò con fatiche e spese la dote della moglie. Augusto aveva potuto scampare la tempesta fuggendo nell’Abruzzo; e di colà scrisse a Gabriello nel 1607 chiedendo danari; ed è questa l’unica notizia che ho trovato di costui; e poco monta il saperne più oltre; ch’egli non recò a’ suoi utilità nè decoro.

    Dopo lo sconcio qui rammentato non ebbevi fatto alcuno nella vita del Chiabrera, come uomo privato, che meriti d’avere speciale ricordo: visse in patria con riposo, sano in modo che non mai stette in letto, salvo due volte per due febbri terzanelle, nè ciascuna di loro passò sette parosismi. In questo egli fu assai avventuroso: ma non già nell’avere (sono parole di lui), perchè nato ricco, anzi che no, disperdendosi la roba per molte disavventure, egli visse, non già bisognoso, ma nè tampoco abbondantissimo. Certo è che s’egli non fu ricco signore, ebbe quanto s’addice a vivere onorevolmente da gentiluomo di provincia. In città s’era comperata, metà dai Ferrero, e metà dai Carretto, una casa (1603-1605), ornata di marmi; ed è quella che si vede nel vicolo di S. Andrea, ed ha sopra la porta in un cartello di marmo queste parole d’Orazio: nichil est ab omni parte beatum; forse per accennare all’umile contrada in cui era fabbricata. Di un suo giardino parla più volte nelle lettere a Bernardo Castello. E rifabbricandosi nel 1616 la piccola chiesa di S. Lucia, e rimanendovi un poco di scoglio scoperto, il Chiabrera, ottenutolo, lo ricinse di muraglie, e fecevi un piccolo giardino, e una loggetta, nella quale fra il giorno si riduceva a far versi, e a cianciare con cittadini ed uomini di villa, che di colà per loro faccende passano continuo; godendovi pure l’aspetto di Genova, che vi si mostra manifestissimo. E perciocchè era vicina alla chiesa di S. Lucia, martire siracusana, della quale si professava devotissimo per la debolezza della sua vista, cosicchè non poteva scrivere al lume, chiamavala piccola Siracusa; come puossi vedere nella data di molte lettere al Giustiniani. Negli ultimi anni (1632) edificò una casa di campagna in Legine, dove possedeva una vigna assai vasta; e nella iscrizione, che tuttora vi si legge sulla porta, dichiara averla fabbricata musarum opibus; cioè con denari ritratti dalle sue poesie³ . Perciocchè il Chiabrera che aveva cominciato a poetare per ozio, e poscia per onore, volle alfine che i suoi versi gli fruttassero meglio che sterili applausi; non che domandasse contanti; ma piacevagli per un sonetto, o un altro componimento, vedersi ricambiato con qualche gentilezza; e tale che all’uopo egli potesse permutarla in moneta; come più volte scriveva al pittore Castello. E fu talora, che volendo intraprendere un viaggio, e stando male a quattrini, nè volendo far debiti in Savona, per certa alterezza, volgevasi in Genova alle persone da lui celebrate: siccome al P. Abate D. Angelo Grillo, e al patrizio Gianvincenzo Imperiale; e quando i creditori ridomandavano la somma cortesemente prestata, il Poeta che non sempre aveva alla mano la moneta, forte si doleva, e ricordava l’amicizia, e i versi scritti in encomio del creditore. Ma l’Imperiale, uomo vano anzichè gentile, non volle appagarsi di lodi; e convenne al Chiabrera pagarlo con una tavola del Tiziano. Il pittore Bernardo Castello, che non dipingeva senz’averne l’indirizzo dall’amico Poeta per la composizione, o storia, doveva sempre ricambiarne i consigli con qualche disegno di pittore insigne, o con un suo lavoro suggerito dal Chiabrera. Le quali cose si volevano accennare, acciocchè si conosca che Gabriello aveva di che vivere in aurea mediocrità; e infatti, senza le pensioni che gli pagavano il Granduca di Toscana e il Duca di Mantova, egli stava nel catasto delle taglie per dieci mila scudi; somma rilevante a quel tempo in un gentiluomo

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