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Piccole Donne
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E-book361 pagine5 ore

Piccole Donne

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Info su questo ebook

"La tristezza e la malinconia dei suoi occhi la colpirono profondamente. Jo era stata educata alla semplicità, e possedeva l’innata capacità di stabilire legami schietti e sinceri. Incapace di mettere filtri all’innocenza del suo mondo, e benché avesse già quindici anni, non vedeva alcun ostacolo, né la necessità di difendersi dall’idea di scegliere quel ragazzo come amico".

Il capolavoro di Louisa May Alcott nella sua edizione integrale. La nuova traduzione, pur manenendo intatta la freschezza e la semplicità di questo classico della letteratura per l'infanzia, ne rende la lettura adatta anche a un pubblico più maturo. Illustrazioni originali di F. T. Merril. Traduzione e introduzione critica di Luisa Vardiero. Redazione di Nicoletta Degli Innocenti, Andrea Marinucci Foa e Beatrice Cartura. 
A cura del Centro Studi Tethis, specializzato in nuove edizioni critiche, traduzioni e collezioni letterarie.
LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2019
ISBN9788835341888
Autore

Louisa May Alcott

Louisa May Alcott (1832-1888) was an American novelist, poet, and short story writer. Born in Philadelphia to a family of transcendentalists—her parents were friends with Ralph Waldo Emerson, Nathaniel Hawthorne, and Henry David Thoreau—Alcott was raised in Massachusetts. She worked from a young age as a teacher, seamstress, and domestic worker in order to alleviate her family’s difficult financial situation. These experiences helped to guide her as a professional writer, just as her family’s background in education reform, social work, and abolition—their home was a safe house for escaped slaves on the Underground Railroad—aided her development as an early feminist and staunch abolitionist. Her career began as a writer for the Atlantic Monthly in 1860, took a brief pause while she served as a nurse in a Georgetown Hospital for wounded Union soldiers during the Civil War, and truly flourished with the 1868 and 1869 publications of parts one and two of Little Women. The first installment of her acclaimed and immensely popular “March Family Saga” has since become a classic of American literature and has been adapted countless times for the theater, film, and television. Alcott was a prolific writer throughout her lifetime, with dozens of novels, short stories, and novelettes published under her name, as the pseudonym A.M. Barnard, and anonymously.

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    Anteprima del libro

    Piccole Donne - Louisa May Alcott

    Louisa May Alcott

    Piccole Donne

    Louisa May Alcott

    Piccole Donne

    Tit. or. Little Women, or Meg, jo, Beth and Amy, 1868, 1880

    Traduzione e adattamento: Luisa Vardiero ©, 2017

    Redazione: Nicoletta Degli Innocenti e Andrea Marinucci Foa

    Tutti i diritti riservati

    Illustrazioni: F. T. Merrill

    Immagine di copertina: Peter Ilsted, Bambina al pianoforte

    Tethis – Studio editoriale

    Via Oropa 61/G – 10153 Torino

    UUID: 2386008c-3ad0-11ea-83ea-1166c27e52f1

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Ringraziamenti

    a Laura Cartura, per avermi fatto amare questo libro e per l'aiuto prezioso

    Indice dei contenuti

    Ringraziamenti

    INTRODUZIONE

    PICCOLE DONNE

    1. Giocando al pellegrino

    2. Un felice Natale

    3. Il giovane Laurence

    4. Fardelli

    5. Tra vicini

    6. Beth trova il Palazzo della gioia

    7. La Valle dell’Umiliazione

    8. Jo incontra Apollion

    9. Meg alla Fiera della Vanità

    10. Il Circolo Pickwick e l'ufficio postale

    11. Esperimenti

    12. Il campo Laurence

    13. Castelli in aria

    14. Segreti

    15. Un telegramma

    16. Scambio di lettere

    17. Abnegazione

    18. Giorni bui

    19. Il testamento di Amy

    20. Confidenze

    21. Laurie combina guai e Jo mette pace

    22. Prati fioriti

    23. La zia March risolve la questione

    INTRODUZIONE

    di Luisa Vardiero

    Louisa e Jo, due vite a confronto.

    Figlia di Abigail e del filosofo esistenzialista Amos Bronson Alcott, Louisa May Alcott nasce a Germantown, in Pennsylvania, il 29 novembre 1832. È la seconda di quattro sorelle: Anna, la maggiore, attrice di teatro amatoriale; Elizabeth Sewall, la terzogenita, che morirà giovanissima di scarlattina, e Abigail May, illustratrice e pittrice.

    Bronson Alcott ha un ruolo centrale nella vita e nella formazione della scrittrice: pedagogista, filosofo trascendentalista, sperimentatore di pratiche educative d’avanguardia, si occupa personalmente dell’istruzione delle figlie. Louisa ha inoltre l’opportunità di studiare privatamente con figure eminenti della cerchia intellettuale riformista frequentata dal padre, come il naturalista Henry David Thoreau, lo scrittore Nathaniel Hawthorne, la giornalista e patriota Margaret Fuller e Ralph Waldo Emerson, poeta e filosofo trascendentalista.

    Nel 1844, dopo una breve permanenza in Utopian Fruitland, una comunità agricola ispirata a principi naturalistici fondata dal padre, gli Alcott si trasferiscono definitivamente a Orchard House, la casa di Concord, nel Massachusetts, nel cui retro Bronson aprirà una scuola basata sui principi del trascendentalismo e del naturalismo.

    Le difficili condizioni economiche in cui versa la famiglia e le alterne vicissitudini professionali del padre, molto avversato anche per l’accoglienza che la sua scuola offre agli allievi di colore, costringono le sorelle Alcott a lavorare sin da giovanissime. Anche Louisa, prima di raggiungere la notorietà come scrittrice, dovrà ricoprire vari impieghi, spesso molto gravosi, come governante, sarta, colf e insegnante privata. Continua comunque ad approfondire la sua formazione attraverso lo studio delle opere di Goethe e delle sorelle Brontë, alle quali sono ispirati i suoi primi scritti.

    Il suo impegno civile, che è fortemente influenzato dagli ideali progressisti dei genitori, trova un importante punto di svolta nel 1848, in seguito alla lettura de La dichiarazione dei sentimenti, manifesto inaugurale della Seneca Falls Convention, la conferenza sui diritti civili femminili tenutasi per la prima volta negli Stati Uniti in quell’anno. Si impegna inoltre con i suoi familiari nella Underground Railroad, la rete clandestina di sostegno agli schiavi di colore. A quegli anni risalgono anche le iniziali sperimentazioni come scrittrice e le pubblicazioni delle sue prime novelle.

    Il faticoso e impegnativo primo decennio a Concord culmina con due avvenimenti che saranno il fulcro della successiva stesura di Piccole Donne: la sorella Lizzie muore di scarlattina e la maggiore, Anna, si sposa con il collega di teatro John Pratt, di cui resterà vedova dieci anni dopo e da cui avrà due figli.

    Così come bene enucleato anche nel romanzo, sebbene su un differente piano temporale, il matrimonio della sorella maggiore è un trauma che va ad aggiungersi a quello per la morte di Elizabeth: la scrittrice vive l’allontanamento di Anna come un ulteriore lutto, segno definitivo di rottura di quella dimensione emotiva della sorellanza che diventerà elemento centrale della sua narrazione.

    Nel 1862, durante la guerra di secessione, Louisa si arruola come infermiera a Georgetown e lì contrae il tifo. Le cure a base di mercurio alle quali viene sottoposta le provocano un’intossicazione cronica che in seguito sarà annoverata tra le probabili cause della sua morte. Legato all’esperienza della guerra è il suo scritto Hospital Sketches ( Racconti dall’Ospedale), che ottiene un buon successo di critica. A questo seguono la novella Mood e una serie di opere minori di carattere sensazionalista (allora denominate lurid stories) che pubblica sotto lo pseudonimo di A. M. Barnard e che per il loro stile popolare le valgono un ampio favore di pubblico e un buon riscontro economico.

    Piccole Donne

    La carriera letteraria e la situazione finanziaria di Louisa si stabilizzano definitivamente nel 1868, grazie al rapido ed eclatante successo di Piccole Donne ( Little Women: or Meg, Jo, Beth and Amy). Nel celebre romanzo di formazione la vita degli Alcott a Orchard House, il legame tra le quattro sorelle, le difficoltà del crescere, l’intimità familiare sullo sfondo della guerra e la povertà come valore sono trasfigurati nelle vicende della famiglia March, in una narrazione che prende molti spunti dalla vita della scrittrice, la cui figura viene rappresentata dalla secondogenita Jo.

    Il rimando autobiografico è coerente soprattutto nella caratterizzazione delle personalità delle quattro sorelle. Mentre Jo è impegnata sulla difficile strada dell’emancipazione femminile, la maggiore Meg incarna ancora gli aspetti tipici dell’ideale di donna vittoriano: dolce e remissiva, insofferente al lavoro, vedrà infatti nel matrimonio e nella maternità il compimento del suo destino.

    Il personaggio di Amy assume invece una funzione parzialmente speculare, rispetto alla figura di Jo. La sorella minore condivide con quest’ultima alcuni aspetti più immediatamente evidenti del carattere, spesso anche causa di conflitto tra le due: l’orgoglio, l’ambizione, la fiducia nelle proprie capacità e la determinazione a costruirsi un futuro migliore esercitando il proprio talento.

    L’artista Amy tuttavia vive in una dimensione prettamente estetica, che nulla ha a che fare con le inquietudini della sorella. Anche nell’impeto dello slancio verso il futuro, in lei l’etica del bello è preponderante e mantiene una funzione di limite rassicurante, di steccato entro il quale la piccola di casa costruirà man mano una personale sintesi del sistema di valori appresi in famiglia.

    La fragile Beth si pone infine come preziosa ed eterea compensazione della ribelle e mascolina Jo, sebbene la sua funzione sia quella di complice, fiducioso e costante aggiustamento delle scontrosità della sorella prediletta, piuttosto che di opposizione stridente.

    La calma e l’abnegazione del carattere di Beth non hanno nulla della remissività tipicamente legata ai costrutti dell’epoca. La sua introversione è semmai legata al suo essere ancorata al circoscritto universo dei valori e degli affetti familiari, in un orizzonte rassicurante che nella gioia delle piccole cose racchiude tutto il senso della sua esistenza. In lei tuttavia la spinta verso il trascendente è attiva e potente, sempre più evocata man mano che la morte diventa ipotesi concreta e imminente, da affrontare con coraggio e in solitudine, in una incessante ricerca di senso. La vaga intuizione del suo destino, in qualche modo già presente anche nella prima parte del romanzo (si veda ad esempio nel tredicesimo capitolo, Castelli in aria) la induce a vivere con intensità crescente nel suo limitato orizzonte temporale. Nella seconda parte del romanzo la tensione di Beth si risolverà in uno stato di piena consapevolezza e di serena accettazione, in cui tutto troverà una collocazione precisa, in un fiducioso sentimento di certezza rispetto ai valori in cui è vissuta, all’affetto dato e ricevuto, alla sacralità degli oggetti del suo quotidiano.

    Mentre Beth sa bene chi è, cosa sta lasciando e verso cosa è diretta, nel momento in cui va consapevolmente incontro al suo destino, l’inquietudine con cui Jo guarda al futuro è invece del tutto mondana, piuttosto legata all’incertezza del sé, alla difficoltà di definirsi nel ruolo che il tempo in cui vive vorrebbe attribuirle. Jo è alla ricerca di un’identità che è ancora in divenire e tutta da definirsi, poiché lei si rifiuta di fondarla sulle aspettative della sua epoca.

    Secondaria è invece la figura del padre, che nella traposizione letteraria assume un ruolo più sfumato, quasi a voler liberare le vicende di casa March da una presenza che nella realtà di Orchard House è centrale ed emotivamente pregnante. Il padre è un’immagine spesso evocata, sebbene quasi del tutto estranea alla trama; un riferimento affettivo importante, che l’espediente della guerra tiene lontano e che farà il suo esordio solo alla fine della prima parte del romanzo, a sancire l’ormai avvenuto processo di trasformazione e di crescita delle ragazze March.

    È probabile che questa particolare disposizione della trama sia stata anche il risultato di una precisa indicazione, legata ai dubbi che l’editore Thomas Niles nutriva nei confronti della controversa e scomoda figura del padre di Louisa, spesso al centro di numerose critiche. Le idee di Bronson Alcott sono tuttavia pienamente presenti nell’impostazione pedagogica evocata nel romanzo della figlia, e certo per molti aspetti possono risultare al lettore contemporaneo eccessivamente pedanti e moralistiche. È necessario in effetti procedere con un continuo sforzo di contestualizzazione, rispetto all’epoca in cui sono state concepite, per poterne cogliere in pieno l’aspetto innovativo.

    I riferimenti alla pedagogia di impronta trascendentalista, nel loro richiamo a una concezione non coercitiva dell’educazione, emergeranno soprattutto nei successivi volumi, e in Piccoli Uomini, la terza parte della serie, l’autrice farà un esplicito omaggio alle sperimentazioni educative del padre.

    Le fasi di avvio in Piccole Donne ruotano invece sulla centralità e sul concreto apporto educativo della figura materna, più ancorato alla dimensione affettiva della vita familiare, a un realismo pedagogico molto funzionale ai processi di formazione al femminile e alla mistica del lavoro e del sacrificio, che l’autrice riesce però a stemperare riassumendoli in una descrizione accalorata, intimista e a tratti molto rasserenante del quotidiano.

    A seguito del grande successo di Piccole Donne, Thomas Niles commissiona ad Alcott la seconda parte del romanzo, pubblicata nel 1869 con il titolo di Good Wives (tradotto in Italia con Piccole donne crescono). Nel 1880 i due scritti verranno poi definitivamente riuniti in un unico volume, che manterrà da allora il titolo di Little Women.

    Con la nuova edizione vengono anche apportate alcune modifiche stilistiche, con lo scopo di armonizzare una scrittura appesantita dall’uso dell’american idiom. La revisione grafica vede invece l’inserimento delle nuove illustrazioni di Frank T. Merrill, molto apprezzate dalla Alcott, che sostituiscono quelle che la sorella May aveva disegnato per la prima versione e che sono quelle proposte anche nella presente edizione. In Italia e in altri paesi europei verrà invece mantenuta l’originale distinzione tra i due volumi.

    Fanno parte della serie di Piccole Donne anche i seguenti Piccoli Uomini, in cui le esperienze e gli ideali educativi di Bronson Alcott vengono trasposti nella descrizione della scuola che l’ormai adulta Jo apre insieme al marito, e il quarto volume dal titolo I ragazzi di Jo. Nella realtà invece la scrittrice non si sposò mai, e poco si sa della sua vita sentimentale.

    La madre di Louisa muore nel 1879 e poco tempo dopo anche la sorella minore, May, muore a Parigi, dove si era trasferita con il marito e dove aveva ottenuto un buon riconoscimento come pittrice. Louisa ne adotta la figlia, Louisa May Nieriker, che da allora vivrà sempre con la zia.

    La sorella maggiore, Anna, si trasferisce con i due figli in una casa a Concord, che riesce ad acquistare grazie all’aiuto di Louisa, e lì vivrà fino alla morte, avvenuta nel 1893.

    La scrittrice muore a Concord il 6 marzo 1888, nello stesso giorno in cui vengono celebrate le esequie del padre.

    PICCOLE DONNE

    1. Giocando al pellegrino

    Un Natale senza doni non è un vero Natale - brontolò Jo, sdraiata sul tappeto.

    - Essere poveri è una vera disgrazia! - sussurrò tristemente Meg, con lo sguardo chino verso il suo abitino logoro.

    - Non è giusto che alcune ragazze abbiano tante cose belle e altre nulla - aggiunse la piccola Amy piagnucolando.

    - Noi però abbiamo mamma e papà, e siamo una famiglia unita e affettuosa - osservò Beth tranquilla dal suo angolino.

    Il pensiero dei genitori sembrò illuminare i quattro giovani visi, immersi nel tremolante riflesso della luce del caminetto. Presto tuttavia le ombre tornarono, accompagnate dalle tristi parole di Jo:

    - Intanto, papà non è con noi. E chissà quando lo rivedremo.

    Non pronunciò le parole forse mai, ma tutte le scandirono silenziosamente, pensando al padre lontano da loro, in guerra.

    Per qualche istante nessuna fiatò; poi Meg ruppe il silenzio, improvvisamente animata:

    - Conoscete bene il motivo per cui mamma ha proposto di non acquistare regali per questo Natale. Si prospetta un inverno molto duro per tutti, e lei pensa che non sia giusto sprecare il denaro in cose futili, quando i nostri cari in guerra devono affrontare tante privazioni. Noi non possiamo fare molto, ma certo qualche piccolo sacrificio lo si può sopportare, anzi dovremmo farlo con piacere… anche se temo che mi costerà tanta fatica - e scosse tristemente il capo, pensando a tutto ciò che desiderava da tempo.

    - Ma il nostro sacrificio potrà davvero contribuire ad alleviare il destino di chi soffre? Quale differenza potrebbe fare, il misero dollaro che ciascuna di noi possiede, anche se lo offrissimo all’esercito? Non mi aspetto alcun regalo, né dalla mamma né da voi, ma con i miei pochi risparmi vorrei comprarmi Undine e Sintram. È da tanto che lo desidero! - disse Jo, che era una lettrice appassionata.

    - Io avrei voluto qualche spartito - sussurrò Beth con un sospiro così delicato che si perse nell’aria.

    - E io una bella scatola di matite Faber. Ne ho davvero bisogno - affermò Amy in tono perentorio.

    - Mamma non si è pronunciata, riguardo ai nostri piccoli risparmi, e credo che non sarebbe contenta se rinunciassimo proprio a tutto. Compriamoci almeno quello che desideriamo da tempo, togliamoci qualche piccolo capriccio; abbiamo lavorato abbastanza per meritarcelo - esclamò Jo, guardandosi i tacchi delle scarpe in una posa vagamente maschile.

    - Ne so qualcosa, io, che quasi tutti i giorni devo occuparmi di quei terribili ragazzini, quando farei qualunque cosa per poter restare tranquillamente a casa - riprese Meg ancora con voce afflitta.

    - Lamentati quanto vuoi, ma non puoi certo paragonare la tua vita alla mia - la interruppe Jo. - Ti piacerebbe passare tutto il giorno con una vecchia stizzosa e antipatica, che trova sempre un motivo per farti correre su e giù, che non è mai soddisfatta e che ti tormenta tanto da portarti ogni volta sull’orlo del pianto, se non a desiderare di buttarti dalla finestra?

    - Forse non è giusto che ci lamentiamo ma, credetemi, lavare i piatti e mantenere la casa in ordine è il peggior lavoro del mondo. Le mie dita sono così rovinate che non posso più suonare una nota - aggiunse Beth, guardandosi le mani e sospirando così forte che, questa volta, tutte la poterono sentire.

    - Credo che nessuna di voi soffra quanto me - esclamò Amy. - Voi almeno non andate a scuola e non dovete frequentare ragazze maleducate, che vi prendono in giro se non ricordate la lezione o se non avete un bel vestito, e scremano vostro padre perché non è ricco o vi insultano perché non avete un naso sottile.

    - Forse intendevi dire screditano, Amy, e non scremano, come se papà fosse un bidone di latte! - e Jo scoppiò in una sonora risata

    - So io quello che dico, e tu smettila di prendermi in giro. Avere un vocabulario ricco e usare parole difficili e ricercate è un segno di grande distinzione - replicò Amy cercando di darsi un contegno.

    - Ragazze, non litigate come al solito - intervenne Meg, pensando ai tempi in cui le cose in famiglia andavano decisamente meglio, e che lei poteva ricordare bene. - Se avessimo ancora il denaro che papà perdette quando eravamo piccole! Che bella cosa sarebbe, eh, Jo? Come ci sembrerebbe più facile, essere miti e ubbidienti, se non avessimo altro a cui pensare.

    - Ma se l’altro giorno sei stata proprio tu a dire che ti ritenevi molto più fortunata dei ragazzi King, che sono ricchissimi ma litigano dal mattino alla sera.

    - Certo, Beth. E penso davvero che noi siamo molto più fortunate di loro; dobbiamo lavorare, è vero, ma ci vogliamo bene e siamo una bella cricca, come direbbe Jo.

    - Jo usa sempre dei termini così volgari! - osservò Amy, rivolgendo uno sguardo di rimprovero alla lunga figura sdraiata della sorella.

    A queste parole, Jo si mise a sedere di scatto, infilò le mani nelle tasche del grembiule e cominciò a fischiettare.

    - Non dovresti fischiare, Jo, è un’abitudine da maschiacci.

    - È appunto per questo che lo faccio.

    - Non sopporto le ragazze maleducate e poco eleganti!

    - E io non sopporto le bambine altezzose e sdolcinate! - rispose Jo.

    - Gli uccellini dello stesso nido vanno d’accordo… - canticchiò Beth cercando come sempre di mettere pace, con una smorfia così buffa che le due sorelle scoppiarono a ridere e il battibecco cessò, almeno per quella volta.

    - Comunque sbagliate entrambe - sentenziò Meg dall’alto del suo ruolo di sorella maggiore. - Tu ormai sei abbastanza grande per smetterla con questi atteggiamenti sbarazzini e comportarti meglio, Josephine. Poteva andare bene quando eri piccola ma, adesso che sei così alta e che da tempo non porti più i capelli sciolti, dovresti ricordarti di essere ormai una giovane donna.

    - Invece non lo sono affatto! E se raccogliermi i capelli mi trasformerà in una gattamorta, allora porterò la treccia giù fino a venti anni! - gridò Jo, strappandosi la reticella e liberando sulle spalle una foltissima chioma di capelli castani. - Mi fa orrore sapere che un giorno diventerò comunque la signorina March, che dovrò portare le sottane lunghe e comportarmi come se fossi più delicata di un giglio. È già abbastanza insopportabile essere una donna, quando darei qualunque cosa per giocare, lavorare e comportarmi come un uomo. Non riesco ad accettare il fatto di non essere un maschio, soprattutto adesso che fremo dalla voglia di raggiungere papà e combattere al suo fianco, mentre invece mi tocca stare qui a sferruzzare come una vecchia di cent’anni! - E Jo, furiosa, gettò a terra la calza a cui stava lavorando, così rabbiosamente che i ferri tintinnarono come nacchere e il gomitolo di lana rotolò fino al lato opposto della stanza.

    - Che ingiustizia, mia povera Jo. Ma temo tu non abbia scelta, perciò ti dovrai accontentare del fatto che il tuo nome sembri quello di un ragazzo. Intanto ti puoi divertire a fare il fratello con noi - osservò Beth, mentre le sue mani, che nessun lavoro casalingo avrebbe potuto rendere meno lievi e delicate, accarezzavano la testa spettinata che la sorella aveva appoggiata sulle sue ginocchia.

    - E per quanto riguarda te, Amy, - continuò Meg - sei comunque esagerata. Adesso che sei piccola, i tuoi modi gentili e le tue espressioni ricercate possono anche risultare graziosi, ma quando sarai più grande rischierai davvero di renderti ridicola, proprio come succede a Jo con i suoi attegiamenti da maschiaccio.

    - Se Jo è un maschiaccio e Amy è ridicola, che cosa sono io? - domandò Beth, pronta a sorbirsi la sua parte di predica.

    - Tu sei cara e niente altro - rispose Meg abbracciandola, e nessuno la contraddisse, perché topino era la cocca della famiglia.

    Poiché i giovani amano avere immagini dettagliate dei personaggi delle loro letture, coglieremo questo istante per tracciare un piccolo quadretto descrittivo delle quattro giovani sorelle, che sferruzzano alla luce del tramonto, mentre dentro il fuoco scoppietta allegramente nel camino e fuori tutto è immerso nel placido, ovattato silenzio della neve.

    Siamo in una vecchia e comoda stanza. I mobili sono modesti e il tappeto è logoro, ma l’ambiente è reso molto confortevole da un paio di buoni quadri appesi al muro, dagli scaffali pieni di libri, dai crisantemi e dalle rose di Natale che fioriscono alle finestre. La pace casalinga pervade ogni cosa.

    Margaret, la maggiore delle sorelle, è una bellissima ragazza di sedici anni, chiara e paffuta. Ha grandi occhi celesti e una folta capigliatura di un bel castano chiaro, la bocca dai tratti delicati e bianchissime mani di cui è molto orgogliosa.

    Josephine o Jo, come la chiamano in famiglia, è alta, snella e scura. È a tratti selvaggia e impacciata, come un puledro non ancora domato che non sappia bene dove appoggiare le lunge membra che sono di intralcio. Ha una bocca dal taglio deciso e risoluto, il naso bizzarro e occhi ce sembrano spesso scrutare lontano, e che variano di volta in volta dal severo all’ironico o al pensieroso. I lunghi e folti capelli sono la sua unica bellezza, ma lei li porta quasi sempre legati, perché non le siano di impiccio. Spalle un po’ curve, piedi grossi e mani lunghe, non si cura molto nel vestire e ha l’espressione di chi sta rapidamente crescendo ma vorrebbe restare per sempre bambina.

    Elisabeth, Beth, è una rosea ragazzina di tredici anni, dagli occhi limpidi e i capelli folti, pacifica e timida. Il padre la chiama la mia piccola tranquillità e il soprannome le si adatta a pennello, perché sembra vivere beata in un mondo tutto suo, da cui non esce se non per stare con le poche persone che ama.

    Amy, la più piccola, è un personaggio davvero importante, almeno secondo la sua opinione. La pelle bianca come la neve, gli occhi celesti e i folti boccoli biondi che le cadono sulle spalle, è pallida e magra, ma fa del suo meglio per avere sempre un portamento elegante.

    Quali siano i caratteri delle quattro sorelle, lasceremo che lo si scopra man mano, proseguendo nella lettura.

    L’orologio a pendolo scandì le sei e Beth, dopo aver pulito il braciere, prese un paio di pantofole per tenerle al caldo accanto al caminetto.

    La vista delle vecchie pantofole parve scaldare i loro cuori; la mamma sarebbe stata a casa presto, e tutte e quattro si prepararono ad accoglierla. Meg smise di pontificare e accese il lume, Amy si alzò dalla poltrona senza aspettare che qualcuno la esortasse a farlo, Jo dimenticò la stanchezza e tolse dalle mani di Beth le pantofole per tenerle vicino al fuoco.

    - Sono logore. Mamma dovrebbe averne un paio nuovo - sussurrò dopo un po’.

    - Avevo pensato di comprargliele con il mio dollaro - rispose Beth. - No, le voglio prendere io! - strillò Amy.

    - Io sono la maggiore... - cominciò Meg, ma fu interrotta da Jo, che tagliò corto decisa:

    - Sono io l’uomo di casa, ora che papà non c’è. Se ricordate, prima di partire papà ha affidato a me il compito di badare alla mamma.

    - Sapete cosa faremo? - disse Beth - Compreremo tutte qualcosa per la mamma e nulla per noi.

    - Brava Beth! Proprio quello che volevo proporre io. Ma che cosa prenderemo? - chiese Jo.

    Rifletterono assorte per qualche istante, poi Meg esclamò, prendendo spunto dalle sue belle mani:

    - Io le regalerò un bel paio di guanti.

    - Io le pantofole, le migliori che ci siano - confermò Jo.

    - Io una dozzina di fazzoletti, ricamati tutti da me - disse Beth.

    - E io una bottiglia di Acqua di Colonia; le piace tanto e non costa molto, così avanzerò anche qualche soldo per le mie matite - aggiunse Amy.

    - Ma come glieli offriremo? - chiese Meg.

    - Metteremo tutto sul tavolo, poi la chiameremo e le faremo una sorpresa, come accadeva ai nostri compleanni - rispose Jo.

    Beth si lasciò andare ai ricordi, mentre, assieme alla sua faccia, abbrustoliva al fuoco del camino anche qualche fetta di pane per il tè:

    - Ero così spaventata, quando toccava a me; stavo seduta sulla grande poltrona e vi guardavo, mentre mi giravate attorno per consegnarmi i doni e baciarmi. Adoravo i baci e i regali, ma mi intimidiva avervi tutti addosso mentre li scartavo!

    - Facciamole credere che vogliamo comprare qualcosa per noi e facciamole una sorpresa. Dovremo trovare il tempo per fare tutte le commissioni domani, Meg; ora c’è tanto da fare per la recita di Natale. - disse Jo, camminando avanti e

    indietro per la stanza con le mani dietro la schiena e il naso per aria.

    - Questa è l’ultima volta che recito, ormai sono troppo grande - disse Meg, che in realtà quando si trattava di mettersi in costume era più giocherellona delle altre.

    - Tu non smetterai mai! Ti piace troppo indossare il lungo vestito bianco con lo strascico, portare i capelli sciolti sulle spalle e metterti tutti quei gioielli di carta argentata e dorata. Sei la migliore attrice della compagnia, senza di te che cosa faremmo? Se il capitano abbandona la nave dovremo rinunciare anche noi - esclamò Jo. - A proposito, questa sera dobbiamo provare. Coraggio Amy, riprendi dalla scena dello svenimento; hai proprio bisogno di esercitarti, stai sempre rigida come un pezzo di legno.

    - Non riesco a fare meglio di così; non ho mai visto nessuno svenire e non voglio riempirmi di lividi come fai tu quando ti butti per terra, come se non avessi ossa e non sentissi nulla. Se posso cadere adagio, senza farmi male, allora reciterò la scena come dici tu, altrimenti mi abbandonerò con molta grazia su una sedia, e non mi importa se Hugo mi minaccia con una pistola! - rispose Amy, che non aveva un particolare talento per il teatro, ma che era stata scelta per quella parte perché era esile e leggera e l’eroe del dramma poteva trasportarla in braccio fuori della scena senza troppa fatica.

    - Fai così, congiungi le mani e trascinati per la stanza, gridando terrorizzata: Roderigo, salvami, salvami! - e Jo attraversò barcollando la stanza, cacciando un urlo da far venire i brividi.

    Amy cercò di imitarla, ma congiunse le mani e si spinse in avanti muovendosi come un automa, mentre il suo ooh stizzito sembrava più il grido di una persona punta da uno spillo, che non un urlo di terrore e di raccapriccio.

    Jo, sconsolata, emise un gemito di disapprovazione; Meg scoppiò a ridere e Beth, distratta nel seguire la buffa scena, lasciò bruciare il pane che aveva dimenticato sulla griglia.

    - Non va, non la risolveremo mai. Sai cosa ti dico? Il giorno della recita fa’ quello che puoi, e se gli spettatori fischieranno non dire che è colpa mia. Vieni Meg.

    Il seguito andò decisamente meglio: don Pedro sfidò il mondo intero con un discorso di due pagine fitte, che declamò senza un solo errore; la strega Hagar pronunciò uno spaventoso incantesimo, ritta davanti a una pentola colma di rospi messi a bollire; Roderigo si liberò dalle catene e Hugo morì, devastato dai rimorsi e dall’arsenico, lanciando un ultimo urlo selvaggio.

    - È la migliore di tutte quelle che abbiamo provato - affermò Meg, mentre il morto si rialzava e si massaggiava i gomiti.

    - Non so come fai a recitare e a scrivere delle cose tanto belle, Jo. Sei davvero un secondo Shakespeare - esclamò Beth, che nutriva una fede assoluta sulla genialità delle sue sorelle.

    - Ma no, cosa

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