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I Templari, le Marche e il Santo Graal
I Templari, le Marche e il Santo Graal
I Templari, le Marche e il Santo Graal
E-book626 pagine4 ore

I Templari, le Marche e il Santo Graal

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Info su questo ebook

La ricerca del Santo Graal è sempre stato il sogno segreto di ogni Cristiano. Esiste? Ne esiste solo uno? È una coppa o è altro?
Emanuela Properzi illustra qui una documentata spiegazione che individua nelle Marche il luogo in cui questa importantissima reliquia è nascosta, pur essendo sotto gli occhi di tutti.
Qual è il collegamento che lega il Santo Graal, i cavalieri templari e le Marche? Il favoloso tesoro templare, dopo il drammatico rogo del Gran Maestro Jacques de Molay a Parigi, è arrivato in questa incredibile regione? Poi, che fine ha fatto?
Che ruolo ha avuto il potente Vescovato di Fermo in tutta questa vicenda? Un libro sorprendente che ci fa scoprire un Medioevo del tutto nuovo, ricostruito mettendo insieme documenti nascosti in antichi archivi, di quelli che oggi sono piccoli paesetti di provincia ma che nella storia hanno rappresentato importanti capisaldi religiosi, culturali, politici.
Un libro che risponde a tanti quesiti, senza nulla lasciare alla fantasia, con una precisa metodica scientifica.
È questa la vera storia dei Templari? Nessuno può affermare di conoscerla pienamente, tanto è ricca  di eventi e contenuti, ma di certo in questo libro se ne racconta una parte importante, tutta di scoprire.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mag 2021
ISBN9788831381871
I Templari, le Marche e il Santo Graal

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    I Templari, le Marche e il Santo Graal - Emanuela Properzi

    Emanuela Properzi

    I Templari, le Marche e il Santo Graal

    ISBN: 9788831381871

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Premessa

    Introduzione

    1. Dall’editto di Costantino ai Canonici riformati di papa Gregorio Magno

    Costantino e la Chiesa occidentale

    Nascita dell’Ordo canonicus

    La situazione romana

    La Chiesa di Roma e l’impero d’Oriente

    Organizzazione gregoriana e la regola agostiniana

    La diffusione del canonicato

    La Donatio Costantini

    2. Lo Stato del Papa, i Canonici e gli Ordini laici

    Il ruolo della diplomazia

    A Fermo e nel Fermano

    Il priorato fermano a Gerusalemme

    I Presbiteri e i Canonici fermani in Terrasanta

    RET.A.F.U.R.

    Un vescovo fermano di nome Presbitero

    Gli Ordini canonicali religiosi e laici

    3-Le Pouvre Chevalier di Bernardo di Chiaravalle

    Una questione di regole

    Le Regole monastiche

    In Medio Oriente

    La storiella macabra e il Blafometto

    4-Gli Ordini militari a Fermo e a Santa Vittoria in Matenano

    Il monastero di Farfa

    Le riforme delle regole monastiche

    Il Praesidium militare

    Il Papato, l’Ordine templare e la Magna Charta

    5-Perchè i Gerosolimitani e gli Ospitalieri elessero Fermo loro sede

    La situazione storico-politica di Fermo

    Arrivano i cavalieri

    Un’insolita richiesta

    La situazione politica della Marca

    La sistemazione dei Templari

    L’evolversi della situazione

    La cattività avignonese

    Le costituzioni egidiane e le implicazioni sociali

    Gli anni dell’arrivo del Mandylion a Fermo

    L’ombra fosca del duca Valentino

    6-L’occultamento templare nella Marca

    La famiglia Savelli

    Un rifugio per i Templari

    Il ruolo dei Veneziani

    7- I processi agli Ordini cavallereschi nello Stato del Papa

    Il ruolo del notariusapostolicus Pandolfo Savelli

    Gli Ordini cavallereschi nel Patrimonium Petri

    La rivincita

    8- Il Mandylion islamico, l’opus anglicanum e la casula di Thomas Becket

    Le reliquie e i priorati

    Il Mandylion e il Sacro Telo

    La natura del Mandylion

    Da Mandylion a Graal a Santo Graal

    La produzione manifatturiera di Antiochia

    L’opus anglicanum

    Da Mandylion a casula di Thomas Becket

    9-I Normanni, i Templari e Thomas Becket

    La storia della Chiesa d’Inghilterra

    Gli Arcivescovi di Canterbury

    Gli Ordini laici in Inghilterra

    Thomas Becket e i Templari

    La vicenda di Thomas Becket

    L’incontro con Enrico II

    Ci sarà ben qualcuno che mi libererà da questo fastidioso prete283

    L’assassinio nella cattedrale

    L’Ordine di Saint Thomas Becket

    Lo sviluppo della situazione in Inghilterra

    10-Le reliquie di Thomas Becket nella Marca Fermana

    La presenza ebraica nel Patrimonium Petri

    La tragica fine di un vescovo di Fermo

    Elia e Antonio di Sabbato

    «Papa Sisto papa tristo che non perdona neppure Cristo»

    La civitas di Fermo e papa Sisto

    Papa Sisto aveva un sogno

    Da Cavalieri gerosolimitani, ospitalieri e templari, a Cavalieri di Malta

    Note

    Premessa

    Il presente lavoro nasce dalla lettura dei documenti dei numerosi archivi e biblioteche locali che ho avuto la fortuna di sistemare e organizzare.

    Sicchè mi sono più volte chiesta se, alla luce delle competenze acquisite, vi fosse ragione riprendere lo studio sulla storia, neppure difettoso di puntualità, degli Ordini religiosi e laici inseriti nelle vicende generali.

    La risposta ai miei dubbi è stata fornita dall’emblematico documento quale è la casula di Thomas Becket (presente oggi nel Museo diocesano di Fermo) trovando maldestra e poco scientifica la giustificazione della presenza a Fermo di un tale manufatto.

    L’identificazione della casula con il Graal anzi con il Santo Graal è scaturita dalla ri-lettura della storia della Diocesi fermana e di cosa essa abbia rappresentato nella storia della Chiesa e per gli stessi Ordini religiosi e laici.

    A rendere ammissibile un tale convincimento non fu neppure ininfluente quanto si trova nell’incredibile atto-graffito nella capsella presente nella chiesa di Santa Maria a Pie’ di Chienti (Montecosaro).

    Confesso che questo mio lavoro non sarebbe stato possibile senza l’apporto di alcune persone nei confronti delle quali mi sento fortemente debitrice per avermi aiutato e incoraggiato a proseguire autonomamente per un terreno insidioso e ampiamente percorso.

    Una documentazione, per gran parte, inedita, ha reso possibile questa pubblicazione, indirizzata alla comprensione di un fenomeno storico articolato come è la storia templare, la cui sintesi, qui presentata, è frutto della mia formazione di pa-leografa e di studiosa.

    Emanuela Properzi

    Introduzione

    Nei resoconti sul Graal sono affluite le linee narrative più disparate.

    Per dirla con Alessandro Manzoni, " il perpetuo richiamo di Attioni gloriose" attorno ad esso, lo hanno reso di profonda suggestione tanto da apparire irreale.

    Eppure al Graal sembrano collegarsi tutte le storie, che fanno riferimento al mondo delle crociate e al Medio Oriente e ancora la natura del Sacro Graal [¹] sembra unire le tante tradizioni popolari che circolavano nell’Europa cristiana.

    Dal mare era nata la pretesa regalità di Meroveo e dei suoi discendenti. Dalla storica venuta via mare dalla Palestina in Linguadoca dei primi Cristiani che portavano con loro le testimonianze del Cristo e i ricordi dei primi Santi, scaturì la presunzione di Clodoveo di possedere il Sangre Royal ossia che nelle sue vene scorresse il sangue divino del Cristo sposo di Maria Maddalena che prossima alla maternità divina, da Efeso sarebbe giunta in terra di Francia.

    Ancora, la narratiodel Sangre Royal si legò con i racconti del priorato di Sion, territorio di Gerusalemme donato dal Califfo di Baghdad a Carlo Magno.

    Dall’Imperatore del Sacro Romano Impero fu ceduto al Papa per essere consegnato in amministrazione al vescovo e ai Canonici di Fermo.

    Il Vescovo e i Canonici di Fermo s’erano premurati di nascondere (con una certa accortezza e avvedutezza) il documento imperiale del priorato non nell’Archivio canonicale, ma nella capsella occultata nella chiesa di Santa Maria a Piè di Chienti nel comune di Montecosaro (MC), chiesa da loro affidata ai monaci benedettini [²] .

    Il priorato fu riconsegnato, con il relativo documento, all’imperatore Enrico V, quando questi lo rivendicò, attraverso la perorazione di Irnerio, come bene legato alla persona e non alla corona.

    L’Imperatore, riottenuto il bene intorno all’anno 1111, lo cedette, tre anni dopo, come dote del mattino alla sua giovanissima moglie Matilde d’Inghilterra che poté mantenerne il possesso, in quanto dote, anche quando passò in seconde nozze, nel 1125, con Goffredo d’Angiò.

    L’Imperatrice sostituì, a Gerusalemme, i Canonici fermani laici e religiosi, con i Templari di Normandia alla cui guida pose il fedele conte di Gisors, normanno e templare.

    Al momento della riconsegna del documento all’Imperatore i monaci benedettini e i Canonici fermani non mancarono di trascrivere gli estremi del documento sulla piccola scatola di pietra che conteneva i ricordi che san Paolino, vescovo di Nola, aveva affidato alla cugina, santa Melania Anici.

    Negli stessi anni della riconsegna del priorato gerosolimitano vi fu un secondo priorato, nato nell’abbazia di Orval [³] .

    Fu legato ai Templari, a san Bernardo [⁴] , alla famiglia Forez poi Lusignano [⁵] e anch’esso alle figure femminili più in vista dell’epoca che, secondo il duca Jean de Berry, misogino committente della fabula Roman de Mèlusine, erano, tra mille intrighi, riuscite a regnare [⁶] .

    1. Dall’editto di Costantino ai Canonici riformati di papa Gregorio Magno

    Costantino e la Chiesa occidentale

    Una delle tappe fondamentali, nella storia della Chiesa in Occidente, fu l’emanazione dell’editto con cui, nel febbraio del 313, Costantino Augusto, assieme a Licinio Augusto accordava, a tutti i Cristiani dell’Impero, la piena libertà di esprimere e praticare il proprio credo.

    Morto Licinio, Cesare Flavio Costantino si pose alla ricerca della benevolenza del mondo orientale, ma alle confuse condizioni politiche nell’area occidentale dell’impero, cercò di porre rimedio attraverso la soluzione dell’intricata situazione religiosa.

    Una volta cinta la preziosa corona monocratica, il nuovo Imperatore non esitò a trasformarsi nel sovrano di una monarchia assoluta, teocratica e orientaleggiante.

    Per sottrarsi all’ambiente aristocratico romano, da sempre poco tenero nei confronti degli Imperatori barbari, specie se atteggianti a despoti orientali, Costantino pensò alla costruzione in Oriente della Nuova Roma e la volle assolutamente importante e magnifica, tanto da far cercare le rovine della mitica Ilio nel luogo dove doveva sorgere la nuova città, perché dall’archeologia e dalla storia potesse derivarle una dignità incommensurabile [⁷] .

    Con un’ottica concretamente politica, l’Imperatore desiderava l’unità religiosa dello stato sotto il suo potere, per utilizzarla a vantaggio generale dell’impero.

    Ottenuta facilmente questa intesa dalle comunità cristiane delle province orientali e africane che, superato il periodo delle persecuzioni, ponevano interpretazioni razionali e univoche del messaggio cristiano, egli diresse le sue attenzioni all’Occidente [⁸] .

    Ma se nell’area orientale i contenuti e le posizioni del credo cristiano apparivano consolidati, unitari e aperti al dialogo, in Occidente la situazione del Cristianesimo si presentava labile sul piano culturale e disunita in ambito sociale.

    Il Cristianesimo orientale non si era, infatti, sottratto alle considerazioni della filosofia greca ed ellenistico-romana ricevendone in cambio un sostanzioso arricchimento culturale e si mostrava pronto ad accettare le disposizioni imperiali anche su argomenti schiettamente spirituali.

    In Occidente, vicini, in linea di massima, al modello della comunità cristiana di Roma, dove era ancora avvertita la presenza dell’apostolo Pietro, già episcopus ad Antiochia, numerosi nuclei di Cristiani erano uniti attorno a un episcopus, scelto all’interno delle comunità locali tra le persone ritenute di maggior carisma [⁹] .

    Sicuramente queste comunità urbane vivevano un Cristianesimo che, peculiarità a suo tempo notata da Plinio il Giovane, lasciava ampio spazio alle caratterizzazioni storico-sociali dei singoli territori.

    Nelle campagne e lungo la costa adriatica, dove erano sistemati, i monaci venuti dall’Oriente eleggevano un loro rappresentante con funzioni civili e religiose simili a quelle degli episcopi [¹⁰] .

    Avendo come fine la coesione del Cristianesimo occidentale e di quello orientale, nell’anno 330, Costantino imperatore rese omaggio con eccezionali donativi alla Chiesa di Roma e le concesse il primato morale [¹¹] .

    L’Imperatore aveva senza dubbio in mente, per il riconoscimento da lui dato all’ Ecclesia romana, la creazione nell’impero, di un organismo religioso compatto, tetragono e asservito allo stato, gradito alla popolazione e al senato di Roma, rispettoso, seppur formalmente, della consuetudo latina, in grado di sostituire lo stato nelle istituzioni delle lontane province affidando queste agli episcopi che, per il ruolo religioso ricoperto, non potevano avere alcuna aspirazione di potere.

    L’Imperatore inoltre non poteva non essere infastidito dall’avere, sistemati nelle province occidentali, sia nella penisola italica e sia nella Gallia Narbonense, numerosi e piccoli vescovati.

    Nel progetto imperiale di riconoscere il primato morale alla Chiesa di Roma, era certamente compresa la creazione di grandi diocesi, configurate sulla base della dioclezianea divisione politica dell’Impero.

    In Oriente, come in Occidente, solo un ampio potere concesso a pochi e importanti e autorevoli vescovi, sarebbe stato in grado di costituire un freno per l’aristocrazia di provincia e limitare le facoltà del Vescovo di Roma; ragion per cui Costantino aveva disposto l’accorpamento dei piccoli vescovati in grandi diocesi [¹²] .

    Dopodiché, circa un secolo più tardi, papa Leone Magno (440- 461) poteva parlare di un’Italia divisa in tre grandi vescovati, di cui quello di Fermo era corrispondente a tutto il Piceno Annonario [¹³] .

    Al contrario, appena un secolo prima, Sant’Atanasio, vescovo di Alessandria (349-350), ci fa sapere che, al suo tempo, in Italia, i vescovati erano più di trecento [¹⁴] .

    Le due affermazioni, in netto contrasto, trovano una spiegazione solo se si ammette la trasformazione dell’ordinamento diocesano, auspicata e realizzata da Costantino, in una strutturazione facente riferimento a pochi vescovi di importanti municipia, sedi diocesane.

    A loro volta i vescovi potevano cedere il loro potere temporale ai presbiteri [¹⁵] .

    Stando così le cose, per la Chiesa dell’Urbe si era creato il reale pericolo che qualcuno degli episcopi si sentisse più santo, più ricco e più forte del Vescovo di Roma, da metterne in discussione o rigettare il primato che l’Imperatore aveva concesso.

    Costantino era morto, quando il Vescovo di Roma, di fronte al dilagare del paventato episcopalismo, trovò il modo di consolidare la sua supremazia su tutti i vescovi occidentali insistendo sull’interpretazione degli scritti di san Cipriano e di Rufino di Aquileia a favore della preminenza pietrina su tutti gli altri Apostoli [¹⁶] .

    Il tiepido riconoscimento alla superiorità di Roma accordato dall’episcopato occidentale ebbe come conseguenza la messa in discussione, in Oriente, dello stesso primato morale romano.

    Ne scaturì che, nell’anno 380, un decreto dell’imperatore Teodosio riconoscesse all’episcopato di Alessandria una dignità pari a quella dell’episcopato romano e, nel 381, sempre l’imperatore Teodosio, con un nuovo decreto, assegnava un ruolo pari a quello della Chiesa alessandrina alla Chiesa di Costantinopoli, quale Nuova Roma.

    Papa Damaso (366-384) si affrettò allora a dichiarare Roma sedes apostolica e il concilio, tenuto a Roma nel 382, definì la Chiesa romana non creata da un decreto sinodale, ma fondata da san Pietro e da san Paolo.

    Sebbene il livello teologico del Cristianesimo romano fosse, in linea di massima, più basso di quello della Chiesa orientale, gli scritti di Rufino di Aquileia seppero sostenere efficacemente, in quegli anni, il privilegiato rapporto dignitario idealmente esistente tra san Pietro e tutti i passati, presenti e futuri Vescovi di Roma che pertanto divenivano apostolici ovvero successori di diritto dell’Apostolo [¹⁷] .

    La tesi della cathedra Petri, tratta da Tertulliano e sostenuta da papa Leone I (440- 461) e la dimestichezza di papa Felice III (o II) (483- 492) con il diritto romano permisero alla Chiesa di Roma, in base al primato morale, di considerarsi un soggetto giuridico e di definirsi quindi alla pari di un’istituzione governativa [¹⁸] .

    La conseguenza fu che le disposizioni del Vescovo di Roma potevano essere espresse secondo il diritto romano, e non a caso lo furono, nella forma di decretalia e assumere carattere civilmente vincolante.

    Parimenti, essendo le decretali, espressione dell’autorità religiosa, erano considerate emanazioni riconosciute dalla fede del popolo dei Cristiani; pertanto le disposizioni romane avevano valore di obbligo morale per tutti i battezzati [¹⁹] .

    Di quest’avviso fu papa Gelasio I (492-496), il quale, tenendo conto della situazione storica e della distrazione dell’Imperatore, a causa delle lotte politiche e dinastiche e da questioni religiose [²⁰] presenti in Oriente, formulò l’ipotesi della monarchia papale per la quale l’Imperatore doveva sottostare al romano Pontefice, detentore dell’ auctoritas sacrata, mentre all’Imperatore veniva lasciata la civilis potestas che doveva ricevere dall’autorità religiosa.

    Era stata una disposizione di Costantino a coinvolgere i vescovi dei municipia in faccende civili; essi erano chiamati a interessarsi della complessa riorganizzazione civile oltre che religiosa delle civitates. A loro era peraltro richiesta la funzione di vigilanza sulla distribuzione delle sportulae agli indigenti [²¹] . Quando, infatti, tra il IV e il V secolo venne meno l’impegno civile per le plebes cittadine da parte del senato e degli Imperatori romani, la mancata distribuzione dei viveri dell’annona comportò esiti talvolta drammatici e comunque nuovi.

    Nei disordinati cambiamenti demografici che accompagnarono il crollo dell’impero, fu il Cristianesimo a farsi carico della cura dei poveri con un messaggio di solidarietà diverso da quello del mondo pagano e più vicino al forte impegno civile e religioso giudaico.

    Nel 324, l’imperatore Costantino aveva istituito i limitatenses, ossia le truppe di frontiera.

    Ai vescovi, che aveva equiparato a funzionari governativi, presiedevano, infatti, con palese malavoglia e fastidio le udienze nei tribunali, voleva assegnare anche compiti militari.

    I prelati occidentali, ma anche orientali e africani, sdegnosamente rifiutarono, sostenendo che " al clero è proibito spargere sangue".

    Nascita dell’Ordo canonicus

    Se alle plebi dei municipia badavano i vescovi, alla moltitudine dei diseredati presenti nelle campagne, nei vici e nei pagi provvedevano coloro che avevano avvertito fortemente il senso sociale del Cristianesimo e che il concetto di fraternità aveva portato ad accettare regole di vita comunitaria, talvolta nelle forme di associazionismo economico già presenti nel Cristianesimo precostantiniano.

    San Basilio, da sacerdote, non ancora episcopus di Cesarea, chiedeva ripetutamente ai religiosi, suoi seguaci, non una vita da anacoreti e tanto meno da eremiti asociali, ma un forte impegno secolare indirizzato all’assistenza dei poveri, degli inermi e degli ammalati.

    Pure sant’Anastasio, il quale a sua volta aveva raccolto le intuizioni e le istruzioni di sant’Antonio Abate, vissuto da eremita nel deserto egiziano, s’impegnò nelle terre orientali a creare strutture sociali dove la solidarietà era una regola morale, in modo particolare diretta agli ammalati e ai moribondi.

    Senza una regola scritta, nel senso stretto del termine, ma con una normativa chiaramente e splendidamente enunciata nei suoi scritti, sant’Agostino, nell’anno 390, aveva segnato l’inizio di un’istituzione religiosa o di uno status religioso che ammetteva nella sede vescovile, con pari dignità rispetto al clero, la presenza di laici.

    Giustamente, così lo storico Ferraris si esprime a riguardo « Ordo canonicus non tamBeatus Augustinus istitutusquamrenovatus ab Apostolis in Monte Sion exordiumsumpsit.» [²²] .

    Questo nuovo e innovativo ordinamento, definito un secolo più tardi Ordine Canonicale, era composto da religiosi e da laici che avevano accesso alla sede curiale.

    Al tempo in cui era vescovo di Ippona, il santo Dottore, forse ripensando alla vita trascorsa da profugo nel 385 in Italia, rivalutò l’importanza del ruolo civile del vescovo quale protettore degli inermi, degli orfani e delle vedove.

    Tale impegno civile sarà, nei secoli V e VI, più volte lodato nei vigorosi e attivi vescovi delle Gallie.

    Certamente Agostino aveva ben presente la figura di sant’Ambrogio, il quale era diventato vescovo dopo un’esperienza di alto ufficiale civico nell’amministrazione milanese. Fu così che, Vescovo di Ippona, accolse allo stesso modo coloro che, miseri, profughi e non, cercavano la protezione della Chiesa.

    Il dotto Agostino si diede da fare per trovare loro un lavoro, un impiego civile, un compito socio-assistenziale, ruoli in cui occorrevano persone di fede, ma non necessariamente sacerdoti o uomini di chiesa: bastavano una doverosa capacità di preghiera e una disponibilità per un’assidua assistenza agli ammalati.

    Giacché, secondo la normativa ecclesiastica, ai religiosi era proibito spargere sangue, e che solo i laici cristiani potevano essere coinvolti in un bellum iustum (scaturente da ius ad bellum in difesa dei propri diritti e del proprio territorio), sant’Agostino adattò in chiave cristiana l’istituzione dei costantiniani limitatenses includendola nel suo Ordo canonicus, concedendo ai laici, accolti presso la sua sede episcopale, la facoltà di prendere le armi.

    Si sviluppò così l’Ordine di coloro che laici ma rispettosi dei sacra et canonica praecepta, entravano nella struttura organizzativa della Chiesa per impegnarsi a termine, tanto da essere definiti, frates ad terminum, nell’assistenza degli ammalati e degli inermi, nella difesa anche armata dei più deboli, ma anche dello Stato e del Cristianesimo, ponendosi concretamente e fisicamente accanto a coloro che avevano accettato i voti perpetui del Canonicato religioso.

    Agostino, insomma, aveva superato il concetto umanitario e caritatevole dei suoi predecessori e, accanto all’impegno religioso, sociale e assistenziale di san Basilio, aveva promosso quello civile, comprendente la difesa in armis delle civitates e dei territori.

    La situazione romana

    In Occidente la vera sfiducia verso l’impero d’Oriente iniziò nel 410, quando il sacco dell’Urbe, da parte dei Goti di Alarico, evidenziò tutta la debolezza militare e politica dell’impero.

    In quella drammatica circostanza, il disinteresse dell’impero d’Oriente per la civitas romana segnò l’inizio della separazione tra le civiltà occidentale e orientale.

    Dopo che papa Leone I (440-461), nel tentativo di dare forza dottrinale alla Chiesa occidentale, aveva affrontato nuovamente e drasticamente la questione del primato pietrino, l’aristocrazia romana e delle province occidentali che si andava ricostituendo dopo il passaggio dei Goti, non mancò di dare ampi consensi all’affermazione dell’autorità spirituale e temporale della Chiesa di Roma sperando d’ottenerne la legittimazione al proprio potere.

    Tale conferma un tempo spettava al senato romano, ora, in cambio, la Chiesa avrebbe potuto ottenere il riconoscimento ad consuetudinem per l’amministrazione dei territori del Patrimonium Petri.

    Nel V secolo a Roma, la Chiesa era la sola istituzione che aveva la forza di garantire un modus vivendi quantomeno civile, poiché il senatus, unico residuo dell’evoluta civiltà giuridica latina, era irrimediabilmente privato di potere per la presenza del praefectus Urbis la cui nomina dipendeva da Costantinopoli e, inoltre, era dilaniato dalle controversie politiche e religiose.

    La sopravvissuta classe patriziale e senatoria romana, spesso sostenuta dai proventi degli antichi investimenti coloniali in Oriente e prosperante all’ombra di Bisanzio, si era resa conto, all’arrivo non proprio inatteso dei Barbari, che era molto importante, per sé stessa e per l’intera comunità romana, esprimere un Vescovo di Roma che fosse una sua creazione.

    Messi, dunque da parte, anche per il deciso intervento di san Girolamo, i vecchi e interni rancori e sopita ogni nostalgia verso il tramontato paganesimo, il ceto senatoriale cominciò a proporre alla conclamatio Populi Romani, Vescovi di Roma scelti tra le proprie fila, la cui consacrazione però dipendeva dall’imperiale verifica di ortodossia , che giungeva da Costantinopoli, spesso con notevole ritardo.

    Subito dopo il sacco di Roma del 410, anche la supremazia culturale di Bisanzio cominciò a vacillare. Ciò avvenne a causa del fatto, o in concomitanza col fatto, che la Schola greca, situata presso la chiesa romana di Santa Maria in Cosmedin, istituzione gestita dall’Ordine basiliano, operò una netta rivalutazione della classicità latina, fino allora considerata nemica del Cristianesimo [²³] .

    Nel 540, superata definitivamente ogni fondamentalistica ostilità verso la civiltà romana, nel chiuso del monastero di Vivarium, Cassiodoro realizzò, con la copiatura dei testi appartenuti alla cultura dell’antica Roma, il primo esempio di monachesimo dotto e umanistico.

    Il Basileus era troppo lontano e troppo impegnato nelle contese dinastiche e nella salvaguardia dei precari confini orientali dell’impero per provare interesse a intervenire in difesa di Roma, dove, in ogni caso, numerosi Vescovi syriaci avevano spesso anteposto i vantaggi politico-religiosi di Costantinopoli a quelli dell’Urbe.

    Dopo il passaggio dei Goti e dopo il vescovato di Innocenzo I (401-417), i Vescovi di Roma vennero sempre e, con gran fretta, per evitare l’ingerenza dell’Imperatore, scelti tra gli esponenti delle famiglie romane e, non a caso, tra coloro che si erano impegnati più nei civilia negozia, anziché in faccende religiose e chiesastiche.

    Siffatti Vescovi garantirono, o cercarono di garantire la sopravvivenza della Chiesa, della Città, della civitas romana e della sua tradizione. Vi era pure la conservazione di un indefinito Patrimonium Petri, la cui incerta giurisdizione, in materia di proprietà e di consistenza territoriale, si basava più sul prestigio e sui meriti, morali e materiali dei Vescovi romani che sul diritto effettivo [²⁴] .

    Tra il 440 e il 457, papa Leone Magno (440-461), «con la sua alta coscienza del proprio ufficio» stretto dalle drammatiche circostanze storiche, a fronte degli Unni di Attila che si erano presentati nell’Italia settentrionale nel 452 e, in seguito, nel 455, quando i Vandali di Genserico erano giunti alle porte di Roma, si era premunito di istituire presso la chiesa romana di San Giovanni in Laterano, un Ordine formato da religiosi e laici, detto Canonicale, simile a quello voluto nel 390 dal santo Vescovo di Ippona.

    Tale Ordine Canonicale nasceva a garanzia della sopravvivenza delle istituzioni dell’Urbe e della Chiesa, e a garanzia di assistenza e protezione della popolazione di Roma.

    È ipotizzabile che questo Ordine, definito agostiniano, oltre ai compiti assistenziali avesse pure, data la presenza dei laici, una qualche funzione di difesa territoriale [²⁵] , dal momento che papa Leone lo volle istituire pure nelle diocesi dell’incerto Patrimonium Petri, a disposizione dei vescovi dei municipia.

    Se Basilio di Cesarea, nella Cappadocia del IV secolo, si era premurato di creare un sistema di vescovi ausiliari, denominati chorepiscopi, per

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