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Notti di Satiri Maledetti
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E-book305 pagine4 ore

Notti di Satiri Maledetti

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Info su questo ebook

Alcune creature vogliono essere trovate.

Quando la dottoressa Katerina Silverton si ritrova nei Pine Barrens a filmare un documentario sul famoso Diavolo del Jersey, è sicura che non troverà traccia della sua esistenza. Infatti, l'unica ragione che l'ha spinta ad accettare il progetto sono i soldi e la promessa di nuovi finanziamenti per i suoi progetti futuri. Ma dovrà ricredersi quando si ritroverà faccia a faccia con la leggendaria creatura.

Nell'Antica Grecia, il dio Pan ha commesso un terribile sbaglio e ha contribuito a creare una nuova razza di satiri immortali: i Satyroi. Dopo molti secoli, Pan vive nei Pine Barrens, spaventando poveri mortali nei panni del terribile mostro della foresta. Quando una belissima donna si presenta nei boschi in cerca di prove della sua esistenza, Pan non riesce a resistere e si rivela a lei.

Forze esterne cercano di raggirarli, spingendoli a stare insieme per scopi malvagi. Kat deve capire se riuscirà mai ad amare una satiro e se il suo aspetto è qualcosa che non riuscirà mai a sopportare. Riuscirà a resistere alla natura lasciva di Pan? O si lascerà andare alle sue fantasie più profonde? 

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita12 gen 2020
ISBN9781071526293
Notti di Satiri Maledetti
Autore

Rebekah Lewis

Rebekah Lewis has always been captivated by fictional worlds. An avid reader and lover of cinema, it was only a matter of time before she started writing her own stories and immersing herself in her imagination. Rebekah’s most popular series, The Cursed Satyroi, is paranormal romance based on Greek mythology. She also writes Fantasy and Time Travel. When satyrs, white rabbits, and stubborn heroes aren’t keeping her busy, she may be found putting her creativity to use as an award-winning cover artist. Rebekah holds a Bachelor of Arts in English Literature and lives in Savannah, GA with her cat, Bagheera.

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    Anteprima del libro

    Notti di Satiri Maledetti - Rebekah Lewis

    Ringraziamenti

    A Kat, Mia e Jordy per aver passando un po’ del loro tempo ad essere i miei beta. Siete fantastici! E a Jenn, Hailey, Lana, Mel e Dawn per essere il mio gruppo di sostegno e per avermi aiutato a decidere che titolo dare al libro.

    ––––––––

    Alla mia famiglia: Vi amo.

    Capitolo Uno

    La vita di Kat era diventata un circo. Non solo perché per vivere lavorava con gli animali, ma anche perché le persone che vi si erano intrufolate dentro erano delle più bizzarre. Con quel pensiero ancora in testa, prese una sedia e si sedette di fronte a quell’imprenditore sconosciuto. Raddrizzò la sua postura e forzò il volto in un sorriso. Ma le ragioni di quell’incontro erano misteriose quanto l’uomo che si trovava davanti a lei.

    Il signor Dion Bach unì le dita sopra la scrivania di lucente mogano. Era l’immagine del benestare: indossava un fresco completo color nero e i gemelli che portava ai polsi erano ornati di onice e diamanti luccicanti. La sua cravatta risaltava di un color borgogna intenso, tant’è che la sua seta sembrava fosse fatta di vino costoso. «Si starà domandando perché io l’abbia chiamata qui, dottoressa Silverton».

    «Devo dire che sono rimasta un po’ sorpresa di ricevere la sua chiamata». O la chiamata della sua assistente, ma Kat non era lì per discutere di quei dettagli.

    Con un sorriso che sembrava essere più un’abitudine che un sorriso genuino, il signor Bach aprì una cartellina posizionata di fronte a lui. Mentre Kat era rimasta seduta nella sala d’attesa per trenta minuti, aveva speso il proprio tempo a contare le tessere del mosaico che si trovava sul pavimento e ad immaginarsi come sarebbe stato incontrare Dion Bach. Si era immaginata un vecchietto brontolone e calvo. Ma non avrebbe potuto andare più fuori strada. I capelli di lui erano folti e bruni, tagliati corti. Era attraente, sulla trentina più o meno, con una fossetta sul mento e il corpo d’atleta, la pelle così abbronzata da mettere in imbarazzo l’incarnato diafano di lei.

    L’enorme sedia di pelle e legno aveva uno schienale alto e ricurvo, tanto da farlo apparire più come un trono che un arredo da ufficio. La sedia e l’enorme scrivania di legno si trovavano sopra una lastra rialzata di marmo. In entrambi i lati si alzavano due colonne in stile corinzio. Delle piccole alcove ornavano le pareti immacolate, decorandole con busti di creature mitologiche. Gli angoli della stanza erano ricoperti di edera, anche se nell’aria si poteva ancora respirare un sentore di legno e sempreverde. Era come trovarsi dentro un tribunale o un museo.

    Il signor Bach era il CEO delle Bach Industries, una compagnia che investiva in film, televisione, scienza, musica e in tutto quello che attirava l’attenzione del suo proprietario. Era ricco, ma restava fuori dai riflettori. Probabilmente pagava bene molte persone in modo da vivere in quel modo.

    Come se avesse percepito la curiosità di Kat su di lui e i suoi averi, alzò lo sguardo e la guardò attraverso le sue scure e folte ciglia, facendo apparire sul suo volto lo stesso sorriso di prima. Un sorriso che non raggiunse gli occhi. «Sono stato molto dispiaciuto nel sentire dell’incidente della scorsa estate. Siete stata molto fortunata che qualcuno della sua squadra abbia fatto scappare il felino prima che quell’attacco potesse risultarvi fatale».

    Non perdeva tempo. Kat annuì una sola volta, ma era abituata a sentire quei commenti riguardo l’attacco. Dall’incontro con quel giaguaro, molti si erano dispiaciuti per lei, anche se la maggior parte delle volte quel dispiacere non era sembrato genuino. E Kat aveva gli stessi dubbi sulle intenzioni di quell’uomo.

    Lui continuò, senza osservarla. «Come mi sembra di aver capito, era stata chiamata per dare la sua opinione professione su un avvistamento di pantera nera in West Virginia, proprio nel luogo dove il felino l’ha attaccata».

    «Sì, signore. Stavamo cercando delle prove nella foresta, quando il giaguaro è uscito dalla boscaglia. Mi ha morso il fianco e la gamba sinistra, facendomi cadere. Fortunatamente qualcuno del gruppo aveva la licenza di portare un’arma da fuoco nel caso qualcosa fosse andato storto. Sparò una volta, quindi il giaguaro non ebbe mai l’occasione di uccidermi». Se le ferite fossero state al collo, sarebbe morta ancora prima di capire qual era l’animale che la teneva tra le fauci. Kat sapeva di essere stata molto fortunata, ma quello non aiutava. Quel giorno aveva fatto un orribile errore di valutazione, che le era quasi costato caro.

    «Molto fortunata, non c’è che dire».

    Senza rendersene conto, Kat si ritrovò a osservare gli occhi del signor Bach. Erano quasi completamente neri, tant’è che non riusciva a distinguere dove finisse la pupilla e iniziasse l’iride. Non vi era calore in quei occhi. Vi era solamente una luce di disapprovazione che la costrinse ad abbassare il suo volto e a fare un respiro profondo per calmarsi.

    Sebbene diversi da quelli del felino della foresta, gli occhi del signor Bach sembravano studiarla e pensare che lei fosse un essere inferiore a lui. E che, se l’avesse ritenuta inutile, l’avrebbe uccisa.

    Kat raggiunse con la mano la tracolla di pelle della sua borsetta e la strinse in un pugno stretto. Sarebbe stato inappropriato perdere le staffe durante un colloquio che l’avrebbe riportata nel mercato del lavoro. Un lavoro che lei voleva fare, soprattutto. Forse richiamare alla mente il suo incidente le aveva fatto perdere un po’ il legame con la realtà. È forse shock post-traumatico?

    Il signor Bach si schiarì la gola. Se si era accorto del suo disagio, non lo dette a vedere. «Ad ogni modo, è stata in grado di scoprire e classificare la presenza di una popolazione di giaguari in una zona dove scientificamente non vi era stata alcuna prova della loro esistenza da oltre un decennio. Non era una pantera nera, ma il felino era comunque considerato un criptide dalla comunità scientifica, non è vero?».

    Era vero. La criptozoologia era lo studio delle creature di cui non era ancora stata accertata l’esistenza. In alcuni casi gli animali, o criptidi, erano esistiti ad un certo punto, nascosti in aree diverse da quelle in cui erano stati avvistati. Le pantere nere esistevano di sicuro. Sia i giaguari che i leopardi spesso partorivano felini che avevano il manto più scuro.

    Ad ogni modo, solo una piccola percentuale di giaguari allo stato brado e non cresciuti in cattività o posseduti da un collezionista di animali era mai stata trovata negli Stati Uniti. Non erano creature rare e vivevano molto lontano dal West Virginia. E quello era solo uno dei luoghi degli avvistamenti.

    La comunità scientifica spesso snobbava l’idea dell’esistenza di alcuni criptidi, a meno che non vi fossero delle prove schiaccianti, il che era raro. La maggior parte delle volte gli avvistamenti erano classificati come falsi allarmi, oppure si trovavano prove dell’esistenza di creature già conosciute. Oppure semplicemente la gente del posto si era rivelata molto superstiziosa.

    Tolse la mano dalla tracolla della borsa e la unì all’altra in grembo, in modo da non agitarsi. «Sì, signore. Siamo stati molto fortunati». Ma il povero giaguaro è stato comunque soppresso. Kat aveva cercato di convincerli a lasciarlo andare, in modo che li portasse al rifugio, soprattutto perché sembrava che nei paraggi si trovasse una cucciolata. La madre giaguaro era stata soppressa perché considerata un pericolo dopo l’attacco, era stata cacciata e sparata a vista. Kat si era infuriata. I quattro cuccioli erano stati presi e portati in un rifugio lì vicino. Fino ad allora non avevano trovato il padre e Kat sperava che non lo trovassero mai. Non vi era alcun motivo nello scoprire una specie nuova se tutti i componenti venivano poi uccisi. Se la civiltà avesse continuato a permettere alle loro città di crescere ed espandersi, non ci sarebbe stato più alcun luogo dove permettere a quegli animali di vivere fuori dalla cattività.

    «Andiamo al sodo, che le pare?». Il signor Bach prese un foglio e lo spostò alla sinistra della cartellina, mentre Kat si domandava cosa volesse da lei e perché. Prese la pagina successiva e la studiò un secondo prima di parlare. «Ho investito in una serie di documentari basati su figure popolari della criptozoologia negli Stati Uniti e nel mondo. Gli scienziati che avevo ingaggiato per lavorare in uno dei più importanti segmenti hanno deciso di abbandonare il progetto all’ultimo minuto. Spero, sebbene questa non sia un’area di sua competenza, che accetterà di seguire il progetto».

    Okay, un po’ più di informazioni? «Dipende da che progetto si tratta. Sono una zoologa specializzata in felini. Non sono una criptozoologa e non saprei da dove iniziare con qualcosa al di fuori del mondo felino. Quindi non sarei di grande aiuto se il progetto parlasse di Bigfoot».

    Lui sorrise ancora e questa volta una luce di apprezzamento illuminò i suoi occhi. Perché Kat pensava che fosse lo sguardo di un predatore pronto ad uccidere?

    «Ah, ma è questa la bellezza della criptozoologia. Se una creatura non è mai stata classificata nel mondo animale, non è mai esistita agli occhi della scienza, come potrebbe qualcuno essere un esperto? Ci sono persone che conoscono solo i fatti, chi ne è ossessionato, chi ha solo una conoscenza generale del mondo animale e che può usare queste conoscenze nella ricerca della possibile esistenza di quella creatura. E questa persona è lei».

    Creatura? Ha proprio detto creatura? Oh, santo cielo. Sta parlando di Bigfoot, non è vero? Kat guardò intorno a sé nella stanza, aspettandosi di vedere una persona saltare fuori e mettersi a ridere dello scherzo.

    «Signor Bach, non riesco a capire cosa sta cercando di dirmi. Qual è il criptide che vuole che io cerchi?».

    «Oh, non l’ho ancora detto?». Era il volto dell’innocenza. La stessa innocenza che avrebbe avuto il serpente se nell’Eden avesse assunto una forma umana. Quelle pozze scure che aveva per occhi intrappolarono il suo riflesso, suggellando il suo destino.

    «N-no, signore», balbettò lei, sentendosi le guance infiammarsi a causa della sua risposta poco professionale.

    «Le mie scuse. Ho il brutto vizio di lasciami andare troppo». Un altro foglio venne posizionato sopra la pila. Prese la pagina successiva, la guardò con un ghigno e la posizionò di fronte a lei. Colpì gentilmente il foglio con le punte delle dita, prima di togliere la mano e permetterle di vedere l’immagine.

    Kat rimase pietrificata a guardare la figura, alzando lo sguardo incredula, per poi riportalo all’immagine. Doveva essere la sua immaginazione. No, il disegno era ancora lì. Sembrava essere un cavallo bipede con gambe magre come quelle di una cicogna, una coda biforcuta e ali da pipistrello. Si sentiva come se si fosse trovata dentro un episodio dei Looney Tunes con la parola FESSA scritta sulla fronte in caratteri cubitali. Da un momento all’altro la terra si sarebbe aperta sotto di lei.

    «Mi scusi, ma cosa diavolo è questa cosa?». Sarebbe stato meglio Bigfoot. Perlomeno una nuova specie di primate capace di camminare su due gambe era concepibile, anche se le leggende aggiungevano un sacco di elementi fantastici. Quella cosa era un mostro angosciante venuto fuori da un libro degli orrori.

    Lui rise. Aveva una risata così gioiosa e contagiosa che la costrinse ad unirsi a lui. Prima sorrise timidamente, ma poi si ricordò del demone con la testa da cavallo e le ali da pipistrello che aveva davanti e ritornò seria.

    «Questo, mia cara dottoressa Silverton, è la rappresentazione più famosa del Diavolo del Jersey. È una creatura che si crede sia stata avvistata qua e là nei Pine Barrens in New Jersey da oltre tre secoli. Hanno dato addirittura il suo nome ad una squadra di hockey», aggiunse con un ghigno.

    Kat strabuzzò gli occhi.

    «Allora?». Il volto del signor Bach diventò stoico. O almeno nella superficie. I suoi occhi avevano una luce che non apprezzò molto. Si sta prendendo gioco della mia confusione? Kat incrociò le braccia e sfregò la pelle esposta sotto le corte maniche a campana del suo vestito bianco. Le venne la pelle d'oca e tremò.

    «Non so davvero cosa dire». Ed era così. Era serio?

    «Dica Perché no, signor Bach. Accetto la sua proposta». Prese un altro foglio dalla sua cartellina e Kat gemette involontariamente. Cos’altro c’è adesso? «Le Bach Industries le forniranno tutti i materiali per filmare, copriranno tutti i pagamenti dell’hotel, del gas e del cibo. Avrà dalle due alle tre settimane per completare il progetto nel modo che preferisce e inizierà tra due settimane. Vorrei che provasse a sembrare un po’ più convinta dell’esistenza di questa creatura. Vogliamo che questo documentario venda, non vogliamo ridicolizzare questa storia».

    C’era davvero un modo per rendere ancora più ridicola quella cosa?

    Aveva studiato il mondo felino, non strani ibridi venuti fuori da delle leggende urbane. C’erano delle alte possibilità che la creatura non avesse i fondamenti di esistere – a meno che non si trattasse di un fenomeno da barraccone come l’ornitorinco, che un tempo si pensava non esistesse. Ma l’ornitorinco era piccolo. Quella cosa sembrava enorme. E poteva volare!

    Una volta delle persone in Nuova Guinea avevano iniziato a raccontare ripetutamente dell’esistenza di pterosauri nelle loro zone. O vi erano accorsi troppi scettici e nessuno aveva preso seriamente la situazione oppure quelle creature era brave a nascondersi e a non farsi vedere, sebbene volassero tutto il giorno in cerca di qualcosa da mangiare. Dovevano aver creato molto disagio per costringere quelle persone a correre a cercare qualcuno che credesse alla loro storia.

    E c’era anche quella strana teoria. Quella secondo la quale quelle creature non esistevano e le persone si erano solamente lasciate andare troppo all’immaginazione. Kat avrebbe puntato i suoi soldi su quella. Per come la pensava lei, vi erano più possibilità di trovare una creatura esistita un secolo prima rispetto ad una che si era estinta milioni di anni fa. E una pantera nera in una zona poco conosciuta poteva benissimo essere un animale esotico scappato ad un collezionista e mai denunciato. Era una possibilità minima, ma sempre plausibile. Sfortunatamente errori di identità – un comune giaguaro, un Labrador enorme oppure un gatto nero selvatico che sembrava più grande da una certa distanza di quello che era veramente– erano spesso la causa di avvistamenti fasulli.

    Kat era scettica. Non l’aveva mai nascosto. Dopotutto, era cresciuta in una comunità scientifica molto chiusa. Senza alcuna prova, per lei niente esisteva. Anche se era affascinante sognare ad occhi aperti di scoprire una nuova specie, sapeva che quella possibilità era più che remota. Le persone passavano la loro vita a correre dietro a mostri, per poi trovare una singola e minima prova che giustificasse la loro perdita di tempo.

    «Se non le dispiace rispondermi, vorrei sapere perché ha preso me in considerazione per questo progetto. Sono sicura che ci sono molto criptozoologi che ucciderebbero per avere questa possibilità. Per non parlare del fatto che è assolutamente fuori dalla mia area di competenza. Se conoscete le circostanze del mio incidente, allora saprà che ho avuto molte difficoltà a ritornare in piedi dopo l’attacco. Un progetto come questo potrebbe rovinarmi, anche se credo di essere ormai giunta a quella tappa da molto tempo».

    «Tutti fanno degli errori. È sopravvissuta ai suoi e la maggior parte dei suoi problemi sono dovuti al suo ricovero e alla sua terapia fisica, non all’assenza di lavoro. Ha lavorato molto nei centri di ricerca in Florida. Ho fatto i miei compiti. Infatti, è stato proprio mentre cercavo degli scienziati a cui proporre questo progetto che sono venuto a conoscenza del suo lavoro. I documentari che ha fatto per National Geographic sul leopardo africano erano fenomenali». Fece una pausa. «Sta arrossendo, dottoressa Silverton? Non è abituata ai complimenti?».

    Da un uomo ricco e attraente? Non credo proprio. Inoltre, non aveva perso il disinteresse del signor Bach riguardo la sua carriera e la sua possibile rovina se fosse andare alla ricerca di miti urbani.

    Lui continuò. «Avevo pensato che una donna che prende le sue ricerche e i suoi progetti così a cuore potrebbe essere un bel investimento per la mia serie di documentari. Il fatto che è molto rinomata nel suo campo a soli trentadue anni è un punto a favore. Ed è un bonus avere una donna attraente con meravigliosi capelli rossi e luminosi occhi blu di fronte alla camera. Aiuta il prodotto nel mercato, soprattutto perché attira persone non sempre interessate al soggetto della ricerca, che sia la scienza o il paranormale».

    A causa della sua carnagione chiara non vi era alcuna possibilità di nascondere il rossore che le aveva scaldato la pelle delle guance e del collo. Sapeva che quello che aveva detto era vero, ma la metteva a disagio quando le persone dell’industria la etichettavano come bella. Era una scienziata, non una stella del cinema. Di recente la linea tra le due si era assottigliata, anche prima dell’incidente. Trovare finanziamenti era diventato molto difficile e aveva iniziato ad usare i soldi dei film per investire nelle sue ricerche. Anche se non le dispiaceva lavorare in laboratorio e fare ricerche a casa, preferiva provarsi in campo. Amava essere sommersa dalla natura. I posti, i suoni, gli odori... erano una meravigliosa fuga dal mondo della città. Non aveva mai pensato che sarebbe stata in televisione, ma aveva accolto le offerte quando si erano presentate.

    Il signor Bach mise a posto il foglio e intrecciò le dita di fronte a lui. «Potrà decidere lei chi farà parte della sua squadra e il suo salario. Finanzierò anche le sue prossime tre spedizioni di ricerca come ringraziamento per aver preso in mano il progetto. So bene che è tutto molto all’ultimo minuto».

    Aspetta? Tre spedizioni di ricerca finanziate? Scegliere la squadra e il salario? Che io sia dannata se non dico di sì.

    In quel caso... «Perché no, signor Bach. Accetto la sua proposta».

    Anche se le aveva fatto accapponare la pelle.

    Capitolo Due

    Due settimane dopo.

    «Un penny per i tuoi pensieri?».

    Kat alzò lo sguardo dal suo computer e si strinse nelle spalle per il terrore. Riprendendosi velocemente dallo spavento, si alzò e colpì con un pugno la spalla di Rick Martinez. Dietro di lui, Cindy collassò dalle risate sul letto dell’hotel.

    «Oh! Calmati un po’». Rick si massaggiò la spalla. Poi ridacchiò. «Cavolo, dovevi vedere la tua faccia. Eri tipo O mio dio, il Diavolo del Jersey mi sta per prendere! e sei saltata dalla sedia», disse, evitando un secondo pugno.

    «Ciucciamela». Kat si piegò sopra il suo computer, afferrò la maschera da diavolo rosso di Rick e la lanciò sul pavimento.

    «No, grazie. E devi stare attenta, chica. Un giorno di questi lo dirai al tipo sbagliato e ti ritroverai con qualcuno disteso sopra di te. Inoltre, sono già stato preso». E lo dimostrò dando un bacio con lo schiocco a Cindy, andando poi a sedersi vicino alla finestra.

    «Dove diavolo hai preso quella cosa?». Kat cercò di deridere la maschera, che dall’alto appariva come una macchia di sangue sul disgustoso tappeto marrone.

    «Alla stazione di servizio più vicina», disse Cindy mentre si legava i capelli in una coda alta con un elastico rosa neon. Si stiracchiò sul letto e si mise a cercare il telecomando.

    Kat sbuffò. «Solo uno spreco di soldi, a mio avviso».

    Rick e Cindy erano sposati da cinque anni e lavoravano con lei da molti di più. Cindy era la migliore amica di Kat, quindi quando Cindy aveva proposto di farle da chaperone con la sua squadra tutta al maschile mentre lavorando con National Geographic aveva accettato. Anche se il suo obiettivo era quello di difendere la sua zoologa di fiducia da chiunque se ne volesse prendere gioco, Cindy si era subito trovata molto bene con Rick. Fin dall’inizio erano diventati inseparabili. Sapevano lavorare molto bene insieme e conoscevano l’attrezzatura. Non vi era stato alcun dubbio su chi portare con lei in viaggio a New Jersey.

    Tuttavia, non avrebbe mai detto a nessuno che aveva assunto solo i suoi due amici e nessun altro perché il progetto la imbarazzava. Oh, quanto doveva apparire ridicola. Kat avrebbe dovuto nascondersi sotto un masso dopo essere ritornata nel suo appartamento a Tampa. Stava ancora cercando di capire cosa l’avesse spinta a dire di sì al documentario. Insanità mentale temporanea, forse? La stanchezza per aver guidato fino ad Atlanta per incontrarlo?

    «Hai scoperto qualcosa, Scully?». Rick si piegò per raccogliere la maschera, che rappresentava un misto tra la faccia di un cavallo e una classica faccia da diavolo. Aveva addirittura le corna e il pizzetto a punta.

    «Scully? Davvero? Iniziamo di già con i riferimenti a X-files? Se questo fa di te Mulder, non stai facendo assolutamente un bel lavoro. L’ultima volta che ho controllato, quando stavi considerando il lavoro hai detto, e cito: "È la cosa più stupida che tu abbia mai accettato di fare, ma se vieni pagata così tanto per dare la caccia all’aria, allora sarei uno stupido a non correre a prendere quel treno prima che lasci la stazione"». Kat incrociò le braccia e alzò un sopracciglio. Dietro di lei, Cindy ridacchiò mentre cambiava canale.

    «Solo perché non credo in mostri con il volto da cavallo e le ali da pipistrello non vuol dire che io non creda ad altri mostri». Alzò una delle sue mani abbronzate e la spostò sul retro della testa, massaggiandosi i capelli scuri tagliati corti.

    «Certo. Dimmi il nome di una creatura in cui credi».

    Senza perdere alcun colpo, Rick fece cadere la maschera sul tavolo come un giocatore lascia cadere la palla dopo una vittoria. «Chupacabra».

    «Oddio, eccolo che ricomincia». Cindy gemette e scosse la testa.

    Kat scambiò uno sguardo con lei prima di spostarlo su di lui. «Spero tu ti renda conto che tua nonna ti raccontava quelle storie perchè non ti allontanassi troppo quando giocavi fuori». El chupacabra era una creatura che aveva sembianze canine e che si presumeva succhiasse il sangue dalle capre o di altri animali più piccoli per nutrirsi.

    «È proprio una cosa che direbbe Scully».

    Qualcuno bussò alla porta e lei tremò sulla sedia. Vi fu un secondo colpo alla porta e saltò dalla sorpresa. Qualcuno da fuori disse «Servizio in camera» e Rick si alzò e andò verso la porta per vedere cosa volesse. Nessuno di loro aveva ordinato qualcosa, quindi fu con rinomata sorpresa che vide Rick accettare una bottiglia di vino dalla dipendente dell’hotel, prima che la giovane donna gli mormorasse qualcosa e se ne andasse.

    Rick posizionò la bottiglia di fianco di Kat. Era una bottiglia di vino rosso con un po’ di goccioline sul vetro e aveva un’etichetta scritta in una lingua straniera. Le lettere sembravano greche, ma non era mai stata molto attenta alle lezioni di lingua. Avrebbe potuto essere russo o antico sumero e lei non avrebbe trovato alcuna differenza. Era più interessata alle scienze animali e non gliene fregava niente di quelle degli umani. Erano stati degli asini in passato ed erano asini anche nel presente. Togliendo dalla mischia alcuni amici stretti e la sua famiglia, Kat avrebbe preferito di gran lunga passare tutti i suoi giorni con gli animali.

    «Cos’è?», domandò, alzando in mano

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