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Fermi tutti... sto sclerando
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E-book123 pagine1 ora

Fermi tutti... sto sclerando

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Info su questo ebook

Vivere alla corte di Sua Maestà la Sclerosi Multipla non è assolutamente semplice perché questa malattia è una sovrana esigente e possessiva.

Eppure Natascia è sicura che si può lo stesso avere una propria esistenza carica di significato oltre che di sofferenza.

Ma può davvero una “disgrazia” come l’incontro con Sua Maestà avere degli aspetti positivi?
LinguaItaliano
Data di uscita17 gen 2020
ISBN9788831654890
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    Anteprima del libro

    Fermi tutti... sto sclerando - Natascia Marchi

    Beau­voir

    Pre­fa­zio­ne

    Dif­fi­ci­le leg­ge­re un li­bro co­me que­sto di Na­ta­scia Mar­chi e non sen­tir­si coin­vol­ti, non av­ver­ti­re ad­dos­so tut­to il pe­so di una vi­ta an­co­ra gio­va­ne ma già trop­po ca­ri­ca di sof­fe­ren­ze. D’al­tron­de lei il li­bro l’ha scrit­to pro­prio per que­sto: per cer­ca­re di sca­ri­ca­re nel­le sue pa­gi­ne tut­to il ne­ro che por­ta­va den­tro di sé, co­me in un ge­sto di li­be­ra­zio­ne ca­pa­ce di dar­le co­rag­gio per af­fron­ta­re il do­ma­ni au­gu­ran­do­si che la la­sci fi­nal­men­te re­spi­ra­re, le per­met­ta di vi­ve­re una vi­ta nor­ma­le.

    Fer­mi tut­ti… STO SCLE­RAN­DO, que­sto il ti­to­lo mol­to si­gni­fi­ca­ti­vo del suo li­bro, ma­iu­sco­le com­pre­se! Un’ope­ra pri­ma scrit­ta di get­to, pur se la ste­su­ra è av­ve­nu­ta in mo­men­ti di­la­zio­na­ti nel tem­po. Un te­sto che pre­sen­ta un lin­guag­gio mol­to flui­do ed at­tua­le in cui si aver­te la vo­glia, qua­si af­fan­no­sa, di di­re, di rac­con­ta­re ad an­che di op­por­si con co­rag­gio ad un mo­stro co­me all’ini­zio pu­re a lei era sem­bra­ta quel­la dia­gno­si di Scle­ro­si Mul­ti­pla che ave­va do­vu­to ascol­ta­re dal­la boc­ca dei suoi dot­to­ri. Una dia­gno­si che le era ap­par­sa, al­me­no in un pri­mo mo­men­to, dav­ve­ro in­fau­sta, mi­ti­ga­ta so­lo dal fat­to che non era quel­la di tu­mo­re ma­li­gno ful­mi­nan­te, sor­te che, in­ve­ce era toc­ca­ta a suo pa­dre, una fi­gu­ra as­sai pre­sen­te ma pu­re tan­to as­sen­te nel­le sua vi­ta.

    Pro­ta­go­ni­sta di que­sta sto­ria è una ra­gaz­za con i suoi tic, le sue pa­ra­no­ie e le sue pa­tur­nie, che, co­me è nor­ma­le per tut­ti i gio­va­ni, ten­ta­va an­che di pro­gram­ma­re la pro­pria esi­sten­za pur se in un con­te­sto fa­mi­lia­re per nul­la sem­pli­ce fin dall’ini­zio. Ma, in mez­zo a tan­te dif­fi­col­tà ed an­che a tan­ta sof­fe­ren­za, non ave­va an­co­ra in­con­tra­to la Scle­ro­si Mul­ti­pla, Sua Mae­stà. Co­sì, mol­to si­gni­fi­ca­ti­va­men­te, lei chia­ma la sua ma­lat­tia, quel­la che l’avreb­be ob­bli­ga­ta a ri­met­te­re tut­to in di­scus­sio­ne, fi­no a do­ver ri­nun­cia­re a qual­sia­si pro­gram­ma­zio­ne del­la pro­pria esi­sten­za ob­bli­gan­do­la, in­ve­ce, ad ac­cet­ta­re tut­to quel­lo che es­sa può por­ta­re con sé, può esi­ge­re dai pro­pri sud­di­ti.

    Del tut­to nor­ma­le, dun­que, al­me­no in un pri­mo mo­men­to, il suo ri­pie­ga­men­to su se stes­sa, qua­si una ri­nun­cia a com­bat­te­re per­ché la pro­pria sor­te le ap­pa­ri­va già se­gna­ta. Lei non avreb­be più po­tu­to es­se­re una ra­gaz­za co­me tut­te le al­tre, con i pro­ble­mi e le gio­ie di tut­te le per­so­ne del­la sua età. A co­sa sa­reb­be po­tu­to ser­vi­re l’ami­ci­zia? So­lo per far­si com­mi­se­ra­re, per far­si com­pa­ti­re? Avreb­be­ro avu­to an­co­ra un sen­so per lei il ses­so, l’amo­re, la ma­ter­ni­tà op­pu­re era­no di­ve­nu­ti ar­go­men­ti a  cui non do­ve­va più pen­sa­re, tra­guar­di che non avreb­be mai po­tu­to rag­giun­ge­re?

    Ma un gior­no, un bel gior­no qual­cu­na del­le per­so­ne che le sta­va­no ac­can­to  e non per com­pa­tir­la, tro­vò il co­rag­gio di di­re, qua­si a bru­cia­pe­lo, a lei am­ma­la­ta: «Le­va il cu­lo dai cal­ci!». Quel qual­cu­no, co­sì Na­ta­scia ri­ten­ne in un pri­mo mo­men­to, do­ve­va so­lo aver vo­glia di pren­der­la in gi­ro, so­prat­tut­to per­ché quel dot­to­re co­no­sce­va per­fet­ta­men­te la sua si­tua­zio­ne. Co­me po­te­va lei evi­ta­re le pe­da­te che la vi­ta le ave­va fi­no­ra in­fer­to? Per lei che sen­so po­te­va ave­re com­bat­te­re, muo­ver­si al­la ri­cer­ca del pro­prio po­sto nel­la so­cie­tà? E, poi, esi­ste­va dav­ve­ro un po­sto per lei co­me per tut­ti gli al­tri por­ta­to­ri di han­di­cap?

    Ma, in se­gui­to, Na­ta­scia ha com­pre­so e stra­vol­to quel con­si­glio, fa­cen­do­lo di­ven­ta­re un mo­ni­to an­co­ra più pre­gnan­te: «Al­za il cu­lo e dai cal­ci». Sì, pro­prio lei do­ve­va im­pa­ra­re a da­re cal­ci a tro­va­re il pro­prio po­sto nel­la so­cie­tà. Ma a chi avreb­be do­vu­to da­re cal­ci? E per­ché avreb­be do­vu­to cer­ca­re il pro­prio po­sto nel­la vi­ta?

      Un po’ al­la vol­ta e non sen­za fa­ti­ca, per­ché le con­qui­ste si rea­liz­za­no sem­pre sof­fren­do, lo com­pre­se. In­co­min­ciò a ca­pi­re che quel po­sto par­ti­co­la­re esi­ste­va dav­ve­ro e nes­su­no avreb­be po­tu­to oc­cu­par­lo  se non lei stes­sa. Era so­lo suo e la aspet­ta­va.

    Da al­lo­ra Na­ta­scia si è con­vin­ta che era per lei ne­ces­sa­rio dav­ve­ro al­za­re il cu­lo e im­pa­ra­re a da­re cal­ci al­la ma­la­sor­te, af­fron­tan­do a mu­so du­ro  Sua Mae­stà. Bi­so­gna­va ri­pren­des­se a muo­ver­si, a scal­cia­re per non mo­ri­re di ine­dia e di ras­se­gna­zio­ne. So­prat­tut­to per­ché ac­can­to a sé ave­va dal­le per­so­ne che le vo­le­va­no ve­ra­men­te be­ne. A co­min­cia­re da quel­le di ca­sa sua, da quel­le che la­vo­ra­no all’ospe­da­le, i va­ri me­di­ci, i fi­sio­te­ra­pi­sti e gli in­fer­mie­ri per i qua­li lei non era so­la­men­te un nu­me­ro, so­lo una pa­zien­te con cui po­ter fa­re sol­di ven­den­do­le ma­ga­ri so­gni il­lu­so­ri di una gua­ri­gio­ne, del tut­to im­pro­ba­bi­le, al­me­no per i tra­guar­di che la me­di­ci­na fi­no ad ora ha rag­giun­to nel­la guer­ra con­tro la Scle­ro­si Mul­ti­pla.

    «Al­za il cu­lo e dai cal­ci» ora do­ve­va di­ven­ta­re per lei lo slo­gan del­la sua nuo­va esi­sten­za, del­le sue con­qui­ste e ri­con­qui­ste pro­gres­si­ve, co­me quel­la di ri­pren­de­re a cam­mi­na­re da so­la e di sa­per gui­da­re  di nuo­vo l’au­to­mo­bi­le.

    Lun­go que­sta stra­da, e pro­prio nell’ot­ti­ca di far chia­rez­za, pri­ma per se stes­sa e poi an­che per gli al­tri, sul­la real­tà del­la sua ma­lat­tia che l’ha ag­gre­di­ta e che le sem­bra an­co­ra po­co co­no­sciu­ta da trop­pe per­so­ne, van­no let­te al­cu­ne del­le pa­gi­ne del suo li­bro. Pa­gi­ne qua­si di­dat­ti­che e all’ap­pa­ren­za an­che ca­te­go­ri­che, in cui spie­ga ciò che di ve­ro e di fal­so cir­con­da Sua Mae­stà co­sti­tuen­do­ne la cor­te. 

    A que­sto pro­po­si­to Na­ta­scia, ri­por­tan­do un pen­sie­ro di John Fi­tz­ge­rald Ken­ne­dy, scri­ve: «Il gran­de ne­mi­co del­la ve­ri­tà non è la men­zo­gna de­li­be­ra­ta, crea­ta ad ar­te e di­so­ne­sta. Piut­to­sto lo è il mi­to per­si­sten­te, per­sua­si­vo ed ir­rea­li­sti­co». Con que­sta ci­ta­zio­ne lei vuo­le sot­to­li­nea­re co­me pro­prio i pre­giu­di­zi che an­co­ra cir­con­da­no la Scle­ro­si Mul­ti­pla la fan­no ri­te­ne­re una ma­lat­tia an­cor più ter­ri­bi­le di quel­la  che è nel­la real­tà. Es­sa, in­fat­ti, non ha un’uni­ca for­ma nel suo ma­ni­fe­star­si. I suoi dan­ni non so­no sem­pre ugua­li per tut­ti i suoi sud­di­ti.  E que­sto bi­so­gna im­pa­ra­re a ri­co­no­scer­lo.

    Per aiu­ta­re a rag­giun­ge­re ta­le tra­guar­do  ci so­no in que­sto li­bro pa­gi­ne che per­met­to­no di com­pren­de­re me­glio co­sa è la Scle­ro­si Mul­ti­pla ed i mo­di in cui es­sa si pre­sen­ta. Ma ce ne so­no an­che al­tre che par­la­no di co­me Sua Mae­stà ha por­ta­to pu­re qual­co­sa di po­si­ti­vo nel­la vi­ta di que­sta ra­gaz­za. E qui ci vie­ne su­bi­to da chie­de­re:  «E’ pos­si­bi­le che una di­sgra­zia co­me que­sta, enor­me co­me un grat­ta­cie­lo, pos­sa ave­re an­che dei  ri­svol­ti po­si­ti­vi? Sì, se vo­glia­mo pre­sta­re fe­de al­le pa­ro­le del­la gio­va­ne scrit­tri­ce.

    Del re­sto, che mo­ti­vo ab­bia­mo per non cre­der­le? È lei che sta vi­ven­do la pro­pria vi­ta al­la cor­te di Sua Mae­stà non noi che, pur se coin­vol­ti dal suo rac­con­to, non vi­via­mo que­sta real­tà e, spes­so, tem­po per fer­mar­ci a ri­flet­te­re su­gli aspet­ti im­por­tan­ti del­la no­stra vi­ta ne tro­via­mo sem­pre me­no per­ché ri­te­nia­mo di ave­re tan­tis­si­me co­se più im­por­tan­ti da fa­re.

    Ma, a mio av­vi­so, dob­bia­mo pro­prio di­re gra­zie a Na­ta­scia per quan­to ci of­fre con il suo li­bro, con la sua te­sti­mo­nian­za che ci co­strin­ge ad apri­re gli oc­chi sul­le real­tà che dav­ve­ro con­ta­no e che, spes­so, sap­pia­mo ap­pez­za­re in tut­to il lo­ro au­ten­ti­co va­lo­re so­lo quan­do ci man­ca­no.

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    Al­bert Ein­stein

    Que­sto mio li­bro na­sce con lo sco­po di in­for­ma­re che la Scle­ro­si Mul­ti­pla non col­pi­sce le per­so­ne nel­la stes­sa ma­nie­ra, che non tut­ti noi am­ma­la­ti di ta­le pa­to­lo­gia sia­mo se­du­ti o sia­mo de­sti­na­ti a se­de­re su di una se­dia a ro­tel­le e che non tut­ti an­dia­mo in de­pres­sio­ne quan­do ci vie­ne co­mu­ni­ca­to che sof­fria­mo di  que­sta ma­lat­tia.

    Io  por­to la mia espe­rien­za, quel­la di una ven­ti­set­ten­ne  che con­vi­ve da tre an­ni con  la Scle­ro­si Mul­ti­pla, che ogni gior­no sen­te di­re tan­tis­si­me co­se as­sur­de su que­sta ma­lat­tia,  che tut­ti i mo­men­ti si in­ter­fac­cia con per­so­ne ed è guar­da­ta in ma­nie­ra stra­na, qua­si con in­cre­du­li­tà so­lo per­ché cam­mi­na e per­ché ha una vi­ta nor­ma­le.

    Vor­rei so­la­men­te che tut­ti gli am­ma­la­ti

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