Campo di battaglia: Le lotte dei corpi femminili
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Anteprima del libro
Campo di battaglia - Carolina Capria
Indice
Prologo. Corpo
Il cancro silente
Sangue
Il tuo corpo non ti appartiene
#tuttimaschi
Una signorina
Padri
Rughe
Sono mai stata una donna?
Il tempo che passa e lo sguardo che cambia sul tempo che passa
La cosa giusta da fare
Capelli
Mantenersi bene
La trascuratezza
Il mito della naturalezza
Cosce
Quanto sa bello
Il mio corpo, il mio privilegio
Esiste un ideale di bellezza a cui tendere?
Io, oggetto
Trovare un limite
Aspetto
Ma che bella bambina!
I sacrifici di bellezza devono far parte della mia vita?
Educazione al confine
Ossa
Le parole giuste
Potere
Spazio
Utero
Te ne pentirai
Una donna, molte donne
Il corpo delle madri
Epilogo. Occhi, orecchie, mani
Un’opportunità
Bibliografia
Nota editoriale
Campo di battaglia • ebook
isbn
9791280263438
Prima edizione digitale: febbraio 2022
© 2021 effequ Sas, Firenze
www.effequ.it
Facebook: effequ | Twitter: @effequ | Instagram: @effequ_ed
Questo libro:
Redazione
Silvia Costantino, Francesco Quatraro
Ufficio stampa
Silvia Costantino
Ufficio conmmerciale
Francesco Quatraro
Ufficio eventi
Andrea Cafarella
Artwork di copertina
Simone Ferrini
Attenzione: la riproduzione di parti di questo testo con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore è vietata, fatta eccezione per brevi citazioni in articoli o saggi.
Questo è un libro indipendente, perché sgomita tra i colossi e prova a dire che c’è.
Vogliategli bene.
Carolina Capria
CAMPO DI BATTAGLIA
Le lotte dei corpi femminili
A chi ha indicato la strada, a chi la sta percorrendo, a chi arriverà
prologo
Corpo
Il cancro silente
Avevo cinque anni quando in libreria arrivò Il racconto dell’ancella, il romanzo che rese celebre in tutto il mondo la scrittrice Margaret Atwood. La storia è abbastanza nota, complice anche la serie televisiva che in seguito ne è stata tratta, ma volendolo riassumere molto brevemente, il romanzo descrive una realtà simile alla nostra nella quale a un certo punto accade qualcosa che muta completamente l’ambiente in cui si muovono i personaggi.
È quella che si definisce ‘ucronia’: un genere narrativo che si basa sull’idea che la storia dell’umanità a un certo punto abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello che conosciamo. Nello specifico, nel mondo immaginato da Atwood a un certo punto l’umanità deve far fronte al problema della bassissima natalità che potrebbe portare all’estinzione della razza umana. Ciascuno Stato è così chiamato ad affrontare la situazione nel modo che ritiene più efficace, e nel Nord America conquista il potere un regime totalitario teocratico: la Repubblica di Gilead.
Lentamente ma inesorabilmente a Gilead le donne iniziano a perdere i loro diritti, e da esseri umani dotati di capacità giuridica e libertà diventano macchine per la riproduzione. Il loro corpo smette di essere loro, per diventare di proprietà dello Stato, che può disporne come meglio crede in nome di un bene superiore: il ripopolamento del mondo. Le cittadine fertili della Repubblica di Gilead, le cosiddette ‘ancelle’ vengono ingravidate durante quello che è a tutti gli effetti uno stupro benedetto dal Signore e riconosciuto dalla comunità, e l’infante che sono costrette a portare in grembo verrà loro strappato via subito dopo il parto per essere dato in mano alle Mogli, sterili, dei Comandanti, le famiglie più privilegiate.
Come dicevo, avevo cinque anni, e ce ne vollero altri venticinque perché prendessi in mano il capolavoro di Atwood. Quando avvenne però accadde una cosa, che credo sia accaduta a gran parte delle lettrici de Il racconto dell’ancella: riconobbi in quel mondo, all’apparenza tanto lontano, le tracce del mio. La realtà descritta da Atwood non era qualcosa che poteva accadere e che quindi si doveva temere, ma qualcosa che già era, e che semplicemente si mostrava solo a un occhio attento e indagatore. Come un cancro silente che cresce senza dare segni visibili, e che rivela la sua presenza solo quando oramai è a uno stadio avanzato.
La cosa che più mi colpì quando lo lessi era che l’impossibilità di disporre del proprio corpo per le ancelle si traduceva anche nell’obbligo di prendersene cura. Era una cosa a cui non avevo mai pensato prima di allora, e che mi permise di riflettere sul fatto che la violenza è messa in atto non solo da un essere umano che ti costringe a fare qualcosa che ti danneggia o ti causa dolore, ma anche da un essere umano che ti costringe a fare qualcosa che sembra essere positivo, che sembra una premura nei tuoi confronti.
Nonostante il romanzo di Atwood fosse pieno di scene violente, quelle che più mi lasciarono turbata furono proprio quelle in cui le ancelle erano costrette a fare il bagno, a profumarsi, a mangiare e mantenersi in salute. Insomma, quelle in cui erano obbligate a occuparsi del corpo loro malgrado, anche quando quel corpo avrebbero voluto distruggerlo, colpirlo, martoriarlo, stancarlo. Sentivo un brivido risalire lungo la schiena ogni volta che un personaggio ripeteva a un’ancella quanto fosse speciale, e quanto fosse importante e fondamentale per il mondo il compito a cui era chiamata. Solo nel tempo avrei scoperto che questo atteggiamento apparentemente amorevole e protettivo nei confronti delle donne aveva la stessa radice e lo stesso scopo del sessismo che mi era più facile individuare, ovvero quello che viene definito ostile e che si manifesta attraverso atteggiamenti apertamente contrari a riconoscere la parità tra i sessi. Il sessismo benevolo, che il più delle volte si manifesta attraverso gesti galanti e premure atte a salvare la donna, più debole e bisognosa di protezione, ha lo stesso identico scopo: quello di chiudere le donne in una gabbia, solo che lo fa dicendo: Tu sei speciale, è qui che devi stare, in questa gabbietta dorata preziosa come te
, invece di dar loro un calcio e spingerle dentro.
È allora che ho cominciato a vedere il cancro. Che cresceva e cresceva a mia insaputa.
Ho cominciato a sentirmi ospite all’interno del mio corpo, che non era mio davvero, altrimenti avrei potuto farne quello che volevo senza essere giudicata. Io ero semplicemente la persona che se ne doveva occupare. Come una guardiana, una custode, una governante.
Sangue
Il tuo corpo non ti appartiene
Il mio corpo ha cominciato a esistere con il menarca. Prima di allora sì, sapevo di averne uno, ma essendo bianca e abile nessuno si era mai soffermato a osservarlo; era un corpo tutto sommato invisibile, e di conseguenza non avevo mai preso in considerazione che esistesse anche al di fuori della mia percezione. Ero una bambina graziosa, magra, obbediente ed era normale che passassi inosservata.
Fino a quando, una mattina d’autunno, non è arrivato il sangue.
Nessuno mi aveva spiegato nulla, sapevo che esistevano le mestruazioni solo perché alcune mie compagne di classe già le avevano. Non che ne avessimo mai parlato, ovviamente, però avevo potuto osservare che chi aveva già le mestruazioni (all’epoca non le chiamavo così, usavo gli eufemismi più disparati) sembrava sentirsi orgogliosa e speciale e allo stesso tempo spaventata e colpevole. Non avevo mai visto fondersi insieme stati emotivi così lontani e diversi, eppure le ragazzine che sanguinavano erano così: fiere di essere diventate donne e di poter partecipare finalmente al grande gioco della femminilità e della seduzione, per cui si allenavano da quando avevano ricevuto la prima bambola da truccare e vestire, ma incapaci di dire la parola ‘mestruazione’ o di andare in bagno a cambiare l’assorbente senza nasconderlo in tasca o nella manica della felpa come si trattasse di una dose di eroina.
Tutto questo avrebbe dovuto insospettirmi, ma essendo una bambina di dodici anni feci la cosa che sapevo fare meglio: stetti zitta e cullai le mie domande e la mia curiosità fino a farle addormentare.
"Pubertà è il momento in cui la donna-bambina che ancora non ha rinunciato a lottare, riceve il coup de grâce¹". A pensarci adesso, a distanza di tre decadi, mi chiedo come sia stato possibile che l’ignoranza mi sia parsa normale. Le mestruazioni non erano un evento eccezionale, avrebbero fatto parte della mia vita per almeno trentacinque anni, eppure non mi sembrò inaccettabile non sapere nemmeno da dove venisse il sangue che mi trovavo nelle mutande. Si faceva così, si era sempre fatto così, quindi doveva andar bene anche per me.
Lo stigma che riguarda le mestruazioni è talmente antico e radicato che fino a poco tempo fa perfino nell’evolutissimo Occidente era impossibile anche solo parlare di un evento del tutto naturale come il ciclo femminile, figurarsi rendere l’argomento accessibile e chiaro per delle bambine.
Rosalynd Miles, in un saggio dal titolo Chi ha cucinato l’ultima cena?² – nel quale ripercorre la storia dell’umanità concentrandosi sul ruolo che ebbero le donne e sul loro contributo – sostiene che probabilmente siano state proprio le mestruazioni a permettere agli esseri umani di popolare il mondo. Secondo Miles fu il passaggio dall’estro dei primati, il cosiddetto ‘calore’ che si verifica raramente e che di conseguenza comporta un numero minore di gravidanze, al mestruo mensile delle donne, a permettere alla razza umana non solo di non estinguersi ma anche di fare il balzo evolutivo che ha consentito all’uomo e alla donna di diventare la specie ‘dominante’.
Una teoria, certo, che non può essere né dimostrata né confutata, ma che è affascinante, fosse anche solo perché ci permette di riflettere sull’importanza del cambiamento che ha interessato la specie umana, e sul quale regna la più totale omertà. Che siano state o meno le mestruazioni a cambiare il corso della storia, quello che è certo è che in qualche modo la loro incidenza nella vita delle donne (ma anche degli uomini) è stata enorme, e sarebbe giusto che non venisse taciuta.
1 Germaine Greer, L’eunuco femmina, Bompiani, Milano 1970, p. 85.
2 Rosalind Miles, Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia femminile del mondo, Elliot, Roma 2015.
#tuttimaschi
Uso l’hashtag comunemente dedicato a sottolineare l’assenza di donne da panel, eventi, pagine di giornale e convegni per parlare della sorte toccata alla narrazione sulle mestruazioni (e del femminino di conseguenza), che nel corso dei secoli è stata affidata esclusivamente agli uomini, un po’ come un incontro che si è tenuto a Trento di recente, nel quale per parlare di allattamento al seno sono stati invitati solo relatori maschi³. Ecco, con il ciclo mestruale è andata esattamente così, con l’aggravante che mentre adesso abbiamo la scienza a guidarci e a tracciare i confini di cosa è possibile sostenere e cosa no (almeno il più delle volte), allora era tutto affidato all’osservazione superficiale dei fenomeni.
Il primo invitato al concilio di #tuttimaschi che nel corso dei secoli hanno deciso come le donne dovessero vivere nel loro corpo e come dovessero affrontare il ciclo mestruale, è stato Ippocrate, un uomo che nella Grecia del 400