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Isolitudine costruttiva
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E-book299 pagine4 ore

Isolitudine costruttiva

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Info su questo ebook

Celestino Ferreri va in Venezuela per indagare sui crimini perpetuati ininterrottamente sulla popolazione non reattiva alla finta rivoluzione dal Caudillo Hugo Chavez. Questo leader maximo, veniva incomprensibilmente apprezzato nel mondo per aver migliorato la situazione venezuelana e soprattutto quella dei poveri venezuelani. Tutto questo non sembrava reale a Celestino Ferreri che in Venezuela si ritrovava in un petrostato ricco, con una natura incomparabile, con i fiumi amazzonici ricchi d’oro e paradossalmente con l’80% della popolazione che viveva sotto la soglia della povertà. Chavez aveva nazionalizzato tutto ciò che era nazionalizzabile ma soprattutto aveva fatto degli accordi occultati al mondo per favorire e non ostacolare tutti i crimini commessi dai garimpeiros (i cercatori d’oro) sulle popolazioni indigene e soprattutto sugli indios Yanomami.
La nuova missione di Ferreri: difendere gli Indios Yanomami; rivelare al mondo chi era veramente Hugo Chavez; eliminare la “Regina dell’oro”. Gli eventi storici vollero che mentre l’anarchico costruttivo compiva la sua vera rivoluzione in favore dei venezuelani, Hugo Chavez morì. Le cascate, gli altopiani, i fiumi amazzonici, le isole caraibiche soddisfacevano a pieno ogni desiderio di pace e serenità del viaggiatore scrivente. Ma il suo desiderio di pace e serenità non l’aveva mai anteposto al suo desiderio di essere tormentato per fare le sue rivoluzioni. Doveva portare a termine la sua opera punitiva e sterilizzante.
Essendo un sardo, dunque un isolano, anche sulle isole caraibiche venezuelane lo scrittore investigatore godeva di un senso impetuoso di Isolitudine Costruttiva che aveva sempre caratterizzato la sua vita viandante e i suoi amori
 
LinguaItaliano
Data di uscita3 feb 2020
ISBN9788897911708
Isolitudine costruttiva

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    Isolitudine costruttiva - Gianluca Celestino Cadeddu

    sempre.

    CAPITOLO 1

    Cagliari, estate 1991

    L’anno prima, Aida Cruz aveva conseguito il diploma da ragioniera all’Istituto Tecnico Economico Pietro Martini. Da gennaio del 1991 aveva iniziato a lavorare mezza giornata (4 ore la mattina) presso il commercialista Tullio Piras. In quell’ufficio oltre a sentirsi morbosamente osservata dal suo capo e dal ragioniere anziano che lavorava nella scrivania dinanzi alla sua, lei si sentiva inquisita nella sua femminilità da quei due cinquantenni libidinosi. Aida non era fatta per lavorare in un ufficio dinanzi a un computer e per affogare tra le scartoffie. Ma allo stesso tempo non se la sentiva di collaborare a tempo pieno col padre e la madre che erano proprietari di 4 negozi di calzature molto rinomati, tutti ubicati nel centro di Cagliari. Tuttavia l’amore che nutriva per i suoi genitori la faceva collaborare con loro il pomeriggio e la sera nel negozio di Stampace. Nei negozi di calzature Cruz ci andavano a comprare moltissimi cagliaritani e molti abitanti dell’Hinterland cagliaritano. Quei suoi lavori part-time da ragioniera e da venditrice di scarpe e la chiusura mentale del capoluogo sardo in cui era nata le avevano fatto spegnere l’unico interruttore che accendeva la sua voglia di vivere e la rendeva veramente felice: il teatro. Fin dal primo anno di catechismo (all’età di 6 anni) recitava nella compagnia teatrale della parrocchia di Sant’Anna. Il quartiere in cui lei viveva insieme ai genitori si chiamava Stampace. Aida era cresciuta come donna e come attrice e a 21 anni in tutta Cagliari la consideravano insuperabile in bravura sul palcoscenico.

    Nelle ore pomeridiane, calde e sonnolente, mentre tutti a Cagliari impigrivano, lei si occupava delle pratiche commerciali e burocratiche dei negozi di calzature Cruz. Un giorno di quel luglio veramente caldo Aida cominciò a pensare da brava ragioniera che era piuttosto che da collaboratrice dell’azienda commerciale dei genitori. Suo padre e sua madre lavoravano nel negozio di Stampace ma andavano a controllare continuamente anche tutti gli altri negozi di cui erano proprietari nel centro di Cagliari. Avevano dei fidati collaboratori, tuttavia a loro piaceva farsi vedere dai clienti in tutti i punti vendita. Insomma lavoravano dalle 8:00 del mattino fino alle 10 della sera. Quell’estate Aida si ripromise che l’estate successiva non avrebbe lavorato per il commercialista Tullio Piras (ovviamente era il commercialista del padre) e non avrebbe più lavorato part-time per i negozi di famiglia pur sapendo che essendo figlia unica prima o poi lei avrebbe ereditato un impero commerciale cittadino. Quei negozi erano tutto tranne quello che lei realmente voleva dalla vita. Frequentemente lei stava nel negozio Cruz di Stampace a sera inoltrata, mentre tutti gli altri suoi coetanei rientravano festosi dalla passeggiata serale e si apprestavano alla cena. Con una calcolatrice tra le mani, aggiornava il registro dei corrispettivi con l’incasso giornaliero di quel punto vendita e con gli incassi degli altri punti vendita che le venivano comunicati telefonicamente. Ma in fondo di quei numeri e di tutti i soldi che entravano in famiglia a lei non interessava proprio niente. Sapeva che restava seduta su quella poltroncina del negozio solo per l’incondizionato amore verso sua madre e suo padre.

    Quando poi doveva rendicontare alla padrona di casa (sua madre Paola Concas) tutto era andato per il meglio ed il fatto che la cena fosse fredda, che subito dopo dovesse occuparsi di sistemare la cucina e che la mattina dopo sarebbe tornata nell’ufficio dove due maniaci sessuali l’avrebbero radiografata per quattro ore con i loro sudici occhi da cinquantenni insoddisfatti dalle loro mogli, ancora una volta non costituiva per lei motivo di insuperabile disappunto. Non si lamentava mai! Considerava quella condizione come sua naturale; era quella la sua vita, non poteva immaginarne un’altra, né forse ne desiderava una diversa e anche se la desiderava non faceva emergere questa sua brama nascosta. Eppure in casa qualcuno aveva capito che lei, silentemente, voleva qualcosa in più e qualcosa che la portasse lontana da Cagliari. Ed era la persona che incontrava meno e con cui parlava meno: suo padre Ignazio Cruz.

    Nel suo inconscio Aida si sentiva inviluppata da una coperta fatta di numeri e di calzature. Sorrideva a tutti ma dentro era invelenita dall’ipocrisia e dalla falsità degli abitanti della città in cui era nata, qualche parente compreso. Tutta questa rabbia inespressa le causava costante ipotermia invece di renderla infuocata. Aveva sì un sogno, ed era quello di comprarsi una casa lontano da Cagliari! A lei non piaceva andare alla spiaggia del Poetto per fare i bagni nel limpido mare. Odiava partecipare a quella vita di relazione intensa e febbrile che esisteva nel capoluogo sardo dove c’era tanta gente altezzosa e ipocrita.

    Pur essendo di famiglia molto benestante, lei non aveva mai dato importanza al denaro e non aveva mai chiesto troppi soldi ai genitori quando ancora non lavorava. E quelli che guadagnava autonomamente da gennaio di quell’anno col suo lavoro da ragioniera li usava solamente per togliersi qualche piccola soddisfazione e per comprare ciò che serviva per allestire il palcoscenico del teatrino di Sant’Anna dove ogni weekend recitava.

    Quella sera Ignazio Cruz rientrò che era quasi mezzanotte. La signora Paola Concas era già andata a letto. Aida fumava una sigaretta sul terrazzo di casa.

    Ciao Papà, ti scaldo la pasta! disse Aida alzandosi dalla sdraio.

    No, Aida. Mangiala tu domani a pranzo. Io mi faccio una doccia, mi mangio un’insalata mista e poi me ne vado a letto. Tra quattro ore devo alzarmi perché alle 6:15 ho l’aereo per Milano. Sai bene che devo andare alla Fiera Internazionale della Calzatura. Disse il padre senza esitazioni ed entrando in casa.

    Già, il MICAM. È vero, me n’ero scordata disse Aida con un’espressione mortificata per essersene dimenticata.

    Non c’è problema. Tanto lo so che in fondo delle calzature non te ne frega niente. Ignazio Cruz entrò in casa per farsi la doccia.

    Verso mezzanotte e mezzo uscì nuovamente dalla casa. Si sedette sulla sdraio vicina a quella in cui era seduta Aida che era ancora lì e si era appena accesa la quarta sigaretta dell’ultima ora.

    Non vai a letto Aida? Domani sarà dura in ufficio. Poche volte il padre aveva il tempo di sedersi e di parlare con la figlia.

    Lavoro con due maniaci sessuali. Il pomeriggio e la sera muoio lentamente nel negozio di Stampace. Oggi il nuovo sacerdote della parrocchia di Sant’Anna ha ufficializzato che non potremo più utilizzare il teatrino dell’oratorio per le nostre rappresentazioni teatrali. Papà, qui a Cagliari tutta la mia vita e dura!

    Guarda che anche se non lo facevi vedere agli altri io ho capito da un pezzo la tua silenziosa sofferenza. E anche tua mamma l’ha compresa disse il padre abbracciandola e asciugandole una lacrimuccia che le calava sul viso.

    Un minuto di silenzio in un abbraccio che così forte non aveva mai condiviso col padre.

    Poi improvvisamente il padre si staccò da lei e si alzò dalla sdraia. Mise la mano nella tasca posteriore destra dei pantaloni e tirò fuori dei documenti.

    Tu vuoi fare l’attrice. Tu dovrai fare l’attrice! Ti ricordi il pranzo di Natale scorso?

    E come potrei scordarlo?! Tu lavori 365 giorni all’anno. E anche quel giorno alle 16:00 sei andato a lavorare perché hai voluto che il negozio di Via Manno fosse aperto anche a Natale. E poi avevi invitato anche il mio ex ragazzo che poi, la settimana dopo, la sera di Capodanno ha pensato bene di porre fine alla nostra storia d’amore. Disse Aida con un sorriso denso d’amore per il padre che, finalmente, stava parlando così tanto con lei. E poi calò sul suo viso la tristezza derivante dai pensieri per quel suo ex fidanzato.

    Eppure a me piaceva quel ragazzo con cui uscivi da qualche mese. È intelligente e molto sveglio.

    Peccato che sia uno stronzo che non sa amare. Anche lui è ragioniere ma i calcoli non li fa con i numeri. Li fa con la sua brama di viaggiare, imparare le lingue straniere e scrivere poesie. È un ragazzo altezzoso e troppo pieno di sé.

    Sai che conosco bene i genitori perché hanno un bel negozio di scarpe nel centro di Villacidro. Lui pur essendo un ragioniere fa il commesso in quel negozio. Eppure tre quarti di Villacidro va a comprare le scarpe lì e tutti dicono che il figlio della piemontese signora Rosa è gentile, umile, altruista e spiritoso.

    Sarà… Non credo. Aida fissò il padre con viso poco convinto dopo quelle sue ultime affermazioni. E maledico il giorno di settembre dell’anno scorso quando al MICAM di Milano sei tu che me l’hai fatto conoscere insieme ai suoi genitori. Non capisco perché decisi di venire a Milano con te.

    Allora cosa ti dissi prima di andare a lavorare Natale scorso?

    Non ricordo Papà.

    Se avessi avuto il tempo per andare a comprati il regalo di Natale cosa avresti voluto? Ti feci esattamente questa domanda.

    Sì, mi ricordo… Aida lo aveva già rimosso e mentì.

    E invece no! Non ti ricordi o fingi di non ricordare. Mi hai risposto che avresti voluto un biglietto per Madrid per andare a studiare alla scuola di recitazione di Sofia Sanchez.

    È solo un sogno Papà esclamò Aida guardando il cielo stellato.

    Non più! sentenziò Ignazio Cruz e le porse dei biglietti aerei che poco prima aveva tirato fuori dalla tasca dei pantaloni. Poi dall’altra tasca tirò fuori una busta bianca. Questi sono due biglietti Alitalia di sola andata, Cagliari-Roma e Roma-Madrid. Nella busta ci sono tre milioni di lire. Ti aiuteranno a stabilirti lì il primo anno almeno. Poi dipenderà da te. Ma tu sei in gamba e ce la farai alla grande!

    Ma papà, io sono l’unica figlia che avete. Come farete senza di me?

    Io e mamma continueremo a vendere scarpe. Del resto tutta Cagliari sa che lo facciamo bene. Le diede un bacio sulla fronte.

    "Buonanotte figliola. Mucha Suerte dicono a Madrid." Entrò in casa e sparì nella camera da letto.

    Aida pianse di gioia fino alle quattro del mattino. Poi si addormentò sulla sdraia del terrazzo.

    Alle cinque del mattino il padre la vide ancora sul terrazzo. Russava sulla sdraia. Il taxi che l’avrebbe portato in aeroporto sarebbe arrivato a momenti.

    Luglio finì. Agosto passò velocemente.

    Il 2 settembre del 1991 Aida Cruz partì per Madrid.

    CAPITOLO 2

    La Asuncion, Capitale Coloniale dell’Isla Margarita (Venezuela), novembre 2005

    Lorenzo Strozzierini era in uno stato di aporia in quella assolata mattina mentre passeggiava per La Asuncion. Ripensava al suo passato da imprenditore in Italia e a quanti mobilifici aveva sparso per tutta la penisola. Aveva fatto tanti soldi fino a potersi permettere un appartamento in via Frangipane a Roma, a duecento metri dal Colosseo. Poi nel 1999, ricco ma troppo impegnato e con troppe responsabilità lavorative, cominciò a sentirsi appeso a una sorta di cappio in un’Italia che cominciava a non dare nessuna importanza a chi produceva e creava posti di lavoro. A gennaio del 2000 vendette tutti i suoi mobilifici e l’appartamento lussuoso di Roma e si trasferì in quella paradisiaca isola venezuelana. Trasferirsi sull’Isla Margarita fu la soluzione a un mal di vivere che stupiva anche gli psicologi a cui si era rivolto a Roma e che erano sempre stati restii a consigliare qualche antidepressivo a un soggetto che si era affermato così tanto in Italia e che poteva senza dubbio trovare una soluzione ai suoi mali senza ricorrere a dei farmaci.

    Ma Lorenzo Strozzierini era un imprenditore nato, un approvvigionatore naturale di ricchezza e anche sull’Isla Margarita non resistette alla tentazione di fare impresa. Pensò e creò l’Hotel Les Flamboyant sulla spiaggia vergine di Playa El Agua. All’inizio del 2001 già tanti turisti europei e degli stati più ricchi del Sudamerica riempivano il meraviglioso Hotel Les Flamboyant. Erano passati quasi cinque anni da quando l’hotel venne inaugurato. Lorenzo si era circondato di seri e professionali collaboratori che pensavano a tutte le faccende dell’hotel. Lui si limitava a farsi vedere dai clienti la mattina in piscina o alle feste caraibiche che tutte le sere delle splendide ragazze, sue dipendenti, organizzavano in uno dei bar della struttura. Aveva mollato la realizzazione di divani e cucine in Italia per continuare a fare tanti soldi, ospitando turisti da tutto il mondo nel suo meraviglioso Hotel Les Flamboyant. Ma l’Isla Margarita non aveva portato solo quell’hotel nella nuova vita di Lorenzo Strozzierini. Gli aveva portato altre due cose che, anno dopo anno, gli stavano rovinando la vita. In Italia si era sposato con Luana che gli aveva dato due figli ma presto si separò da lui che pensava solo a lavorare e a fare soldi piuttosto che alla famiglia. Fondamentalmente, a Lorenzo, in Italia le donne non interessavano. Ma sull’isla Margarita le meravigliose donne venezuelane (tra le più belle al mondo) interessavano eccome! Ogni notte, nel suo appartamento sul lungomare di Porlamar, in avenida Raul Leon, entrava una donna diversa. Tranne le tre notti a settimana che trascorreva girando tra i tanti casinò della città e perdendo una marea di soldi al gioco. Più di quelli (e tanti) che faceva con gli introiti dell’Hotel Les Flamboyant. L’Isla Margarita gli aveva portato anche donne e casinò che gli stavano rovinando la vita in quel paradiso che avrebbe dovuto allontanarlo per sempre dall’inferno Italia.

    Poche volte era stato a La Asuncion, la capitale amministrativa dell’isola e dello stato venezuelano di Nuova Sparta, formato dalle isole Margarita, Cubagua e Coche. Ci era andato solo qualche volta assieme alle conquiste femminili notturne. A parte l’amore per i soldi, lui era sempre stato arido di spinte sentimentali. Spesso veniva assalito dalla brama di fare sesso e aveva sempre avuto tanti soldi per pagare le donne del luogo e soddisfare i suoi desideri carnali. E anche se le pagava, da sessantottenne ancora molto attivo sessualmente, amava farsi vedere nei bar, nei ristoranti e nei casinò con donne sempre diverse.

    Ma quella mattina a La Asuncion aveva un piano molto preciso e quella che avrebbe dovuto incontare era sì una donna ma molto diversa dalle giovani bellezze femminili con cui gozzovigliava per Porlamar. Era ancora una bella donna ma aveva sessanta anni.

    Dovendola vedere nel pomeriggio nella villa di cui era proprietaria, Lorenzo ne profittò per farsi un bel giro per la capitale amministrativa dell’isola. Arrivò al monumento principale della città, il Castello di Santa Rosa, edificio con scopi difensivi che era stato realizzato nel Seicento nel luogo dove prima si trovava un covo di pirati.

    Dal castello godeva di un’ottima vista verso la verde e soleggiata Valle dell’Asuncion. Il panorama era bellissimo ma a Lorenzo i pensieri correvano al passato. Gli venne in mente quando da bambino nelle aule delle scuole elementari del quartiere Celio di Roma si sentiva avvelenato dai libri e dal dover studiare per diventare qualcuno. Lui già sapeva di essere intelligente ma si sentiva più portato per le attività manuali. Alle scuole medie i suoi compagni di classe si rendevano conto della sua abilità manuale e della sua fantasia artigiana quando sull’autobus che li riportava a casa da scuola Lorenzo esibiva tutti i suoi lavorati di legno che creava quando andava a trovare il padre alla falegnameria. Ma assolse comunque al suo dovere da studente e al desiderio del padre di vederlo diplomato e conseguì il diploma di ragioniere a 22 anni. Alle superiori venne bocciato quattro volte. Poi, dopo aver fatto il militare cominciò ad aiutare il padre in falegnameria e piano piano aprì il suo primo mobilificio al quale ne seguirono altri 16 in tante regioni d’Italia.

    Dopo il castello, proseguì verso la cattedrale intitolata a Nuestra Senora de la Asuncion, costruita tra il 1570 e il 1617. Era una delle chiese più antiche dell’intero continente americano. L’interno, a tre navate presentava colonne intagliate e bellissimi motivi floreali.

    Poi si approssimò all’ex convento di San Francesco. Risaliva al XVI secolo e nell’era moderna era adibito a Casa del Governo. Aveva un orologio del 1612 ancora funzionante.

    Era quasi l’ora di pranzo quando decise di entrare al Museo Nueva Cadiz, in Plaza Bolivar. Era ospitato in un edificio del 1800 e esponeva ceramiche, oggetti precolombiani, armi antiche e costumi tipici dell’isola.

    Era il 27 novembre 2005, l’antivigilia del suo sessantanovesimo compleanno. Lorenzo in quei giorni non pensava a festeggiare il suo compleanno, anche perché quell’usanza non gli era mai appartenuta. L’unico suo pensiero era diventato quello di andare a trovare Carmen Botuto, la ricca signora che aveva conosciuto nelle sue frequentazioni dei casinò di Porlamar. Con lei aveva bevuto tanto Champagne e tanti rum davanti al tavolo della roulette, a quello del blackjack e a quello del poker. Fuori dai casinò non si erano mai frequentati. Ma in quei santuari del vizio erano lo stesso diventati amici. Con la sostanziale differenza che Carmen Botuto vinceva sempre mentre Lorenzo era un perdente cronico. Talmente perdente che nei casinò di Porlamar veniva perpetrata da qualche tempo una sorta di apartheid nei suoi confronti. Tra gli assidui giocatori dei casinò si era sparsa la voce che lui, oltre a essere un perdente, era uno che portava scalogna. Infatti nell’ultimo mese aveva notato che gli altri giocatori lo lasciavano spesso a giocare da solo. Lui contro il croupier. E ai tavoli del poker, appena Lorenzo si approssimava, gli altri si alzavano e manifestavano la contrarietà a sedersi allo stesso tavolo col corvo italiano. Così avevano iniziato a soprannominarlo. L’unica che invece si sedeva al suo stesso tavolo da gioco e continuava a passare le serate insieme a Lorenzo era proprio la ricca signora Carmen Botuto.

    A La Asuncion, in una strada secondaria, Lorenzo trovò una casa che sembrava rispondere ai requisiti che gli erano stati descritti, e sulla quale faceva bella mostra un logoro cartello da cui s’apprendeva che era in vendita. Era circondata da un alto muro di antica costruzione, fatto di grosse pietre e che da molti anni non aveva subito riparazioni di sorta. I cancelli erano di pesante, vecchia quercia e ferro un po’ smangiato dalla ruggine.

    Lorenzo arrancò lentamente verso quella proprietà che aveva i quattro lati corrispondenti ai punti cardinali. Riuscì a scorgere dei capannoni in argentana limitrofi a un campo di appio. La proprietà comportava una ventina di ettari, ed era interamente circondata dal muro antico. Vi sorgevano molti alberi che rendevano il luogo un po’ tetro e vi si trovava un laghetto, profondo e buio, evidentemente alimentato da qualche sorgente, poiché l’acqua era limpida e defluiva in abbondanti rivoli. La villa, molto vasta, risaliva al 1700 perché una parte di essa era di pietra di enorme spessore, con solo poche finestre alte e munite di pesanti inferriate. Aveva accanto una vecchia cappella o chiesetta. Lorenzo cominciò a pensare che la villa fosse frutto di una serie di disordinate addizioni e non gli restava che indovinare l’entità della superficie coperta, che doveva essere grandissima. Accanto alla grande proprietà dove era stata costruita Villa Botuto, c’erano solo poche case, una delle quali, assai vasta, era stata riattata da poco e trasformata in manicomio.

    Quello è il manicomio dell’Isla Margarita. Io sono una personalità qui e ho cercato di impedire che quella vecchia villa venisse trasformata in manicomio. Pensa che su mia richiesta si era mosso anche il presidente Hugo Chavez che è un mio grande amico. Ma anche lui nulla ha potuto. E’ anche per questo motivo che sto cercando di vendere Villa Botuto. Qui ci vivo con mio padre. Ma ho tante case anche a Porlamar. O lo porto con me in una delle mie case di Porlamar o lo metto in un ospizio. Anche se è lucido. Pensa che della vigna della proprietà e del vino se ne occupa ancora lui che ha 83 anni. Lo sorprese Carmen alle spalle mentre il suo sguardo si era spostato verso l’edificio del manicomio.

    Ciao Carmen. È bello vederti fuori dai casinò per una volta.

    Ho sessant’anni. Sono ricca e non smetterò mai di esserlo. Una volta mi sono sposata ma non ho mai sopportato l’idea di dover rinunciare alla mia libertà per gli uomini. A parte mio padre, tra me e gli altri uomini si crea troppo spesso un attrito insopportabile. Mi sposai quando avevo 22 anni con un bellissimo pescatore di Juangriego. Lui voleva un figlio, io no. Gli feci smettere di fare il pescatore perché tanto ero ricca e mi bastava che badasse alle coltivazioni della villa. Lui obbedì. Dopo due anni mi stancai di lui e della sua monotonia e lo cacciai da Villa Botuto prendendolo a colpi di ascia. Gli feci anche male. Ma era un uomo senza palle che non ebbe mai il coraggio di denunciare la moglie che apparteneva alla famiglia Botuto.

    "Sai che un po’ siamo uguali. Io non ho mai sopportato di stare con la stessa donna. Moglie e figli mi pesavano. In Italia cominciai a dedicarmi con automatismo solo a lavorare e a fare un sacco di soldi. E poi il Venezuela…

    Carmen lo interruppe.

    E in Venezuela hai messo su l’Hotel Les Flamboyant. Hai continuato a fare molti soldi. Ma ora li stai sperperando con quelle donnette con cui vieni a volte ai casinò e con la tua incapacità di non essere un perdente al gioco. Carmen fu dura ma descrisse esattamente la vita di Lorenzo in poche parole.

    Lorenzo stette in silenzio per un po’.

    Con un cenno della mano Carmen invitò Lorenzo ad entrare nella proprietà. Pochi passi e furono dentro Villa Botuto. Poi ricominciò a parlare.

    "La casa è grande e vasta. Io sono di un’antica famiglia. I primi appartenenti alla famiglia Botuto arrivarono dalla Spagna, qui sull’Isla Margarita nel 1725. Appartenevano a una ricca famiglia di Malaga. Dopo aver trovato tanto oro nelle zone dell’Amazonas venezuelana si trasferirono sull’Isla Margarita. Dall’oro arriva la mia ricchezza e con l’oro ho continuato e continuo a essere ricca. Mi sono comprata tante case a Porlamar e ho anche due appartamenti a Caracas però vivere in una casa nuova mi riesce insopportabile. E quindi sono rimasta qui. È vero che l’ho messa in vendita questa villa però, in verità, spero che non si

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