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Anna con tutti: La seconda indagine genovese del Maresciallo De Scalzi
Anna con tutti: La seconda indagine genovese del Maresciallo De Scalzi
Anna con tutti: La seconda indagine genovese del Maresciallo De Scalzi
E-book152 pagine1 ora

Anna con tutti: La seconda indagine genovese del Maresciallo De Scalzi

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Info su questo ebook

Il Maresciallo De Scalzi ama le donne, le considera il sesso forte, pur riconoscendo che sono ancora bistrattate e, per questo, bisognose di protezione. Quando Anna, una cara amica di sua sorella, lo chiama chiedendo aiuto, lui non esita ad intervenire. Lei è una donna di quarant’anni che conosce il significato della parola violenza, ne porta i segni sul corpo e nel cuore. Le cicatrici dell’anima sono indelebili, ma Anna sta tentando di rinascere dalle ceneri, come una fenice. Le botte del marito, perpetrate negli anni, non hanno fermato il suo bisogno di riscatto da una vita senza rispetto. La scrittura l’ha aiutata, è stata la mano che l’ha sollevata dal pozzo di disperazione nel quale lui l’aveva gettata. Per lei, scrivere è catartico. Inaspettatamente il suo romanzo erotico diventa un successo editoriale. Il prezzo da pagare per il suo trionfo, però, è troppo alto e Anna si ritrova nuovamente in un vortice di minacce, paura, violenza e morte. Massimo De Scalzi, in questa seconda indagine, inciamperà in una realtà di malvagità nascoste, di segreti e di persecuzione. La sua anima non ne uscirà indenne.
LinguaItaliano
Data di uscita6 giu 2017
ISBN9788869432033
Anna con tutti: La seconda indagine genovese del Maresciallo De Scalzi

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    Anteprima del libro

    Anna con tutti - Alessandra Aliotto

    1

    A Genova piove spesso.

    Lo sanno bene i genovesi abituati a vivere in una città soprannominata bonariamente il pisciatoio d’Italia. Le tragiche alluvioni che negli anni passati hanno messo in ginocchio molti quartieri, portando con sé distruzione e morte, hanno reso i cittadini vulnerabili e inermi di fronte alle imprevedibili bombe d’acqua.

    Dopo tre giorni di pioggia quasi ininterrotta, quella domenica assolata e tersa d’autunno non poteva essere che un grande regalo per Genova. Il sole intrepido voleva asciugare in poche ore una città avvolta nell’umidità e aveva persuaso molte persone a uscire per una passeggiata in corso Italia.

    Il Maresciallo De Scalzi lo stava percorrendo in moto facendo lo slalom tra le auto in doppia fila. A ogni rallentamento si voltava a guardare l’andirivieni dei passanti sul marciapiede. Padri che spingevano passeggini simili ad astronavi in miniatura con l’espressione rassegnata di chi, la mattina presto, è stato buttato fuori di casa dalla propria moglie, determinata ad occuparsi del bucato rimasto indietro; una donna di mezza età, inguainata in una tuta rosa lucida, che faceva jogging con la speranza di perdere i chili che non se ne sarebbero andati neanche correndo dieci chilometri ogni giorno e una badante bionda, giovane e avvenente, che accompagnava a braccetto un vecchietto molto fortunato.

    Quella mattina presto sua sorella gemella, Claudia, gli aveva telefonato per invitarlo a pranzo. Dal momento che non era una grande cuoca, il suo invito non poteva che nascondere un interesse particolare: un favore impellente, un consiglio da chiedere, bisogno di confidarsi o una rivelazione inaspettata. De Scalzi aveva comprato un vassoio di pasticcini che teneva in un sacchetto appeso al polso, perché la sua moto Guzzi 850 Le Mans, per lui solo Teodora, non aveva bauletto e non era intenzionato ad aggiungerlo: avrebbe rovinato la linea della moto.

    Pochi chilometri per arrivare a Quinto dove abitava la sorella, un palazzina rosa a due piani a pochi passi dal mare, la cui vista sul litorale ligure compensava il fastidio del traffico cittadino. Era in perfetto orario. Controllò il suo vecchio orologio meccanico a carica manuale da cui non si separava mai, nemmeno sotto la doccia.

    Suo nipote Filippo aprì la porta d’ingresso e con un balzo si attaccò al suo collo. Il sacchetto con le paste, cadde sul pavimento del pianerottolo, ma per fortuna non si capovolse; i cannoli alla crema pasticcera erano salvi.

    «Ciao zio Massimo, che bello: mi hai portato i cannoli!», urlò Filippo scendendo dalle sue spalle e dirigendosi in salotto per continuare la visione del suo cartone preferito. De Scalzi raccolse il sacchetto da terra, salvandolo per un soffio dai piedi del nipote. Contendersi i dolci con Filippo sarebbe stata un’impresa ardua: lo zio, in quanto a golosità era peggio di un bambino. Entrò in casa di sua sorella Claudia.

    Il caos primordiale, un disordine che di logico non aveva nulla, dove le stanze venivano usate con scopi ben diversi da quelli ai quali erano state destinate: il salotto era una lavanderia permanente con gli stendini, carichi di panni stesi, collocati in ogni angolo libero della stanza, mentre alla mancanza di un ripostiglio si era posto rimedio utilizzando la piccola cameretta accanto a quella di Filippo come gigantesca scarpiera, deposito per scope e per stracci e contenitore delle molteplici cianfrusaglie per tutte le passioni volubili di sua sorella che duravano qualche mese al massimo.

    De Scalzi aveva rinunciato a cercare di educare Claudia ad una minima organizzazione casalinga, fatica sprecata.

    «Ciao fratellone, finisco di sistemare due cose e arrivo. Vuoi qualcosa da bere?», gli urlò Claudia dalla cucina, facendolo sorridere al pensiero delle uniche due cose da sistemare.

    Senza rispondere, la raggiunse e la vide che stava travasando della cera colorata negli stampi, per creare nuove candele profumate che sarebbero diventate banali regali natalizi per le sue amiche. Sua sorella era talmente concentrata su ciò che stava facendo da non notare l’impazienza del fratello.

    «Claudia, guarda che io non ho ancora mangiato, non mi hai invitato a pranzo? Cosa diavolo stai facendo?».

    «Perché? Che ore sono? Non può essere già ora di pranzo, sono riuscita a confezionare solo due candele», rispose lei seraficamente.

    «Andiamo bene… ed io cosa mi dovrei mangiare? La cera all’essenza di vaniglia?», brontolò De Scalzi.

    «Sei sempre il solito, la fame non ti fa ragionare. Il cibo è dentro al microonde. La signora Viviana, la titolare del negozio di alimentari qui sotto, mi ha assicurato che la torta pasqualina congelata è squisita, neppure la miglior cuoca genovese potrebbe accorgersi che non è un prodotto fatto in casa. È uno dei tuoi piatti preferiti, giusto? Visto che me lo sono ricordato?», rimarcò Claudia sorridendo al fratello.

    «Certo, ma la torta pasqualina di nostra madre, non quella della signora Viviana», le rispose De Scalzi ridendo.

    «Aiutami a liberare il tavolo, mentre la torta si scongela, così apparecchiamo e parli un po’ con la tua sorellina. Il cartone di Filippo terminerà tra dieci minuti, abbiamo tempo».

    Eccoci arrivati all’apertura del cavallo di Troia, l’invito a pranzo che mal celava una richiesta d’aiuto di sua sorella. Claudia, con la lama di un coltello, stava grattando la cera caduta sul tavolo di legno, un mobile che sopportava molte attività di fai da te della padrona di casa. Si era sistemata i lunghi capelli scuri alla bell’e meglio con l’aiuto di pinze colorate. Un ciuffo ribelle le era caduto sulla fronte a coprirle un occhio e sussultava al ritmo del suo corpo, in un movimento oscillatorio, nello sforzo di staccare le macchie di cera dal tavolo.

    «Dai Claudia, falla breve, spara».

    «Ti ricordi di Anna, vero?».

    «Certo, la tua amica del cuore, come sta? È un po’ che non la vedo».

    «Per ora bene… ma sono molto preoccupata per lei».

    «Perché?» le chiese De Scalzi.

    Claudia smise il lavoro di pulizia per sedersi di fronte a lui.

    «Perché suo marito, Sergio, è un fottuto bastardo: la picchia da tempo, per due volte è finita in ospedale, ma lei di denunciarlo proprio non ne vuole sapere. Non mi chiedere perché, anche io non me ne capacito. Lui è soltanto un fallito che si crede un paladino della giustizia e si fa forte con quella specie di divisa da guardia giurata che indossa. Ultimamente, il vigliacco sta esagerando, gli episodi di violenza sono più frequenti e lui non ha neppure più la decenza di fare in modo che i segni dei suoi pugni non siano evidenti. Ieri Anna aveva un livido sulla guancia e il labbro superiore spaccato. Mi è spiaciuto molto vederla ridotta così con il viso tumefatto e le labbra ricoperte di rossetto per tentare di celare la ferita».

    «Gran brutta situazione, perché lei non reagisce?».

    Claudia inclinò il viso e lo guardò, come se non lo vedesse, inseguendo un pensiero o un ragionamento.

    «Anna è una donna molto fragile, anche quando eravamo ragazzine si è sempre sentita un brutto anatroccolo e la sua famiglia, con quella madre prepotente e perfida non l’ha mai sostenuta e apprezzata. Nessuna meraviglia che, da moglie, si ritrovi ad essere una donna sottomessa e piena di sensi di colpa. Lei, invece, si merita tutto il bene del mondo perché è genuina».

    «Hai ragione. Da come me la ricordo, la tua amica Anna è una donna sincera, limpida e altruista, una bella persona che, palindroma come il suo nome, si mostra sempre coerente e trasparente con tutti in ogni situazione e da qualsiasi lato la si guardi. Anna con tutti».

    «Carina questa teoria del palindromo… Ho provato sai, glielo ripeto tutti i giorni che deve lasciare quel dinosauro del marito prima che sia troppo tardi, ma lei non vuole darmi ascolto, preferisce ripetersi il suo mantra: Ognuno si merita la vita che ha. Un’idiozia pronunciata da una donna che viene picchiata con violenza più di due volte alla settimana, non trovi?».

    «Certo, vedo spesso situazioni familiari di questo tipo e il loro esito è quasi sempre funesto. Proprio per questo la soluzione è un taglio netto. Anna non può permettersi di temporeggiare a lungo, in attesa dell’irreparabile. Devi dirglielo!».

    «Vuoi che non lo sappia fratellone? C’è un modo per fermare il bastardo anche se Anna non vuole? Potrei denunciarlo io, inventandomi di essere stata presente a uno dei loro litigi», gli disse Claudia visibilmente scossa.

    «Non servirebbe a nulla, perché Anna non sporgerà mai denuncia contro il marito. Tu perderesti un’amica e rischieresti di essere perseguibile per falsa testimonianza, o peggio ancora, di ritrovarti il dinosauro sotto casa con l’intenzione di fartela pagare e niente di tutto ciò è auspicabile. Non fare mosse azzardate, dammi retta, almeno per questa volta».

    «Allora che faccio? Massimo, non posso più continuare a far finta di niente».

    De Scalzi si alzò in piedi, prese un suo biglietto da visita dal portafoglio, che teneva nella tasca posteriore dei jeans e lo porse a sua sorella.

    «Dai questo ad Anna, dille che può chiamarmi quando vuole, anche solo per due chiacchiere tra amici, senza nulla di ufficiale. Forse, un giorno, ritrovandosi il mio biglietto nella borsetta avrà il coraggio di telefonarmi. Per ora, non posso fare di più», concluse De Scalzi.

    Claudia lo prese, gli diede una scorsa e andò in salotto per riporlo nella sua borsa che aveva lasciato sul divano.

    «Mamma, ho fame», piagnucolò Filippo, distogliendo lo sguardo dallo schermo della tv e aggrappandosi alla camicia di sua madre.

    «Sì amore, hai ragione, ora si mangia, vai a lavarti le mani», gli rispose Claudia.

    Filippo, ubbidiente, si alzò per andare in bagno. De Scalzi lo osservò allontanarsi e come sempre rimase estasiato dalla bellezza di suo nipote. Biondissimo, riccioluto, con la carnagione chiarissima, aveva preso da sua sorella soltanto il colore scuro degli occhi e la parlantina facile. Era una meraviglia. Assomigliava tantissimo a suo padre, un marcantonio di origine finlandese che aveva preso il largo quando suo figlio aveva appena compiuto un anno. Il matrimonio tra Heikki e sua sorella si era rivelato presto una convivenza sbilanciata che aveva permesso al

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