Saga della Corona delle Rose - La Stirpe dei Divoratori Vol. 3
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Anteprima del libro
Saga della Corona delle Rose - La Stirpe dei Divoratori Vol. 3 - Gianluca Villano
Indice
Nomi dei personaggi
Prefazione Saga della Corona di Arbor - Gianluca Villano
Prologo…
1. il Pellegrino
2. il dilemma di Thesil
3. la nuova missione
4. fulmini dal cielo
5. risoluzioni inattese
6. in trappola
7. Drelda, la città dentro una città
8. fuga da Drelda
9. le Lacrime di Horomos
10. la Progenie del Rinnegato
11. una battaglia estenuante
12. la ragazza nel baratro
13. i mostri dell’Haor
14. il Rinnegato
15. il medaglione di Ghelan
16. il Santuario violato
17. di nuovo faccia a faccia
18. fuga dagli insetti giganti
19. la Città-Palude
20. dentro il Flusso
21. le paludi di Grisia
22. amici o nemici
23. l’Angelo di Ghiaccio
24. il riscatto del Rinnegato
25. i sogni degli uomini
Epilogo
Ringraziamenti
Appendice 1 – Glossario
Appendice 2 - Le Cronache di Arbor
Appendice 3 – Qualcosa sulla genesi di Arbor
Gianluca Villano
Saga della Corona delle Rose III
La Stirpe dei Divoratori
Youcanprint Self-Publishing
Titolo | Saga della Corona delle Rose III – La Stirpe dei Divoratori
Autore | Gianluca Villano
Immagine di copertina | Andrea Tentori Montalto
Immagini interne | Valentina Danieli e Andrea Tentori Montalto
ISBN |9788827851036
Prima edizione digitale: 2018
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce
www.youcanprint.it
info@youcanprint.it
Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.
Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.
a tutti gli Angeli della mia vita…
Nomi dei personaggi
Achernar Druido dei Draghi (Miitha)
Agravan Lord Immortale Campione dell’Haorian
Alsipher Templare d’Argento di Sulania
Angrell Templare d’Argento (figlio di Myls)
Ardhès Paladino della Rosa Blu
Argram Comandante della Guardia di Palazzo di Muelnor
Banethlor Officiante della Città-Palude
Berannian Mercante Valgor
Beresheen Paladino della Rosa Rossa
Cahiri Il vero nome dell’Han Ghiorn di Muelnor
Carvahèl Negromante Nirb
Crios Divoratore d’Ombra (amico di Logren)
Dhen-Al Debenlore Cavaliere del Vento
Ghan Lur Mistico dalla Testa d’Aquila
Gree Abitante del Rifugio dei Draghi
Grestwear Erbolaio di Muelnor
Eberryn Abitante di Muelnor (amica di Logren)
Elmerhel Sciamana Valgor delle Paludi
Fadnia Madre di Logren
Ferghalor Padre di Logren
Ferghir Padre di Crios
Firial Reverenda Madre delle Levatrici di Muelnor
Jhila Locandiera di Drelda
Kalhaud Discepolo degli Invocatori
Kelen Monaco del Monte Torre
Klhen Luogotenente della Guardia Cittadina di Muelnor
Handrya Levatrice dell’Asher di Muelnor
Haorian Uomo-Dio, Signore di tutti gli Uomini
Haury Madre Animista di Sulania
Herim Iriniano dell’Ordine del Puntale, alleato della Nuova Dottrina
Lisa Moglie di Pellin
Logren Profeta di Arbor
Londbran Nano Batugh (Guardiano delle Celle per la Rieducazione di Muelnor)
Malduser Soldato di Muelnor
Manthedlass Luogotenente dei Cavalieri di Smeraldo, Debenlore Efraim dalla pelle nera, esploratore.
Miitha Taumaturgo di Muelnor (Achernar, Druido dei Draghi)
Myls Padrone dell’Emporio di Muelnor (padre di Angrell)
Nahily Sacerdotessa Arawn
Nhea Ahradi Paladina decaduta della Rosa Bianca
Nimhria Anziana Keras
Niminuil Draghetto della Lanterna della Luce
Pellegrino Sconosciuto dai capelli rossi
Pellin Capitano della Guardia Cittadina di Muelnor
Peshval Musico e cantastorie
Robius Comandande Debenlore dei Cavalieri di Smeraldo
Rodney Avventore abituale dell’Emporio di Myls
Shabin Governatore del Potentato di Muelnor
Silha Principessa dei Debenlore Efraim
Telba Levatrice Funeraria di Muelnor
Thesil Paladino della Rosa Verde
Prefazione Saga della Corona di Arbor - Gianluca Villano
Affrontare la recensione dei primi due romanzi della "Saga della corona delle rose" di Gianluca Villano, Il divoratore d’ombra e L’obelisco dei divoratori, è stato un compito davvero difficile, perché ci si trova davanti a due romanzi che dimostrano compiutamente il talento di questo scrittore, presentando una struttura e una complessità che rendono arduo dargli veramente giustizia a parole, riuscendo anche a trasmettere il piacere che si prova nel leggere i primi due libri di una saga fantasy davvero ben fatta, sotto tutti i punti di vista.
"Il divoratore d’ombra e
L’obelisco dei divoratori" ci accompagnano nella vita e nelle vicende di Logren, il protagonista, il cui viaggio alla scoperta di nuove verità e di sé stesso diventa uno dei temi principali dei romanzi, assieme ovviamente alla catena di eventi che il protagonista affronta nel tentativo di salvare il suo migliore amico, Crios, uno dei divoratori d’ombra di cui ci parla il titolo.
I temi ricorrenti sono tanti e legati al mondo del fantasy più puro, come ad esempio il valore dell’amicizia ed il profondo senso dell’onore, nonché la fragilità insita nell’animo umano e il trovarsi ad affrontare le paure più remote, aspetto che richiede sempre ardimento e forza di volontà.
Nel corso della narrazione Logren viene a conoscenza di quella che deve essere la sua missione, ovvero essere un profeta
che deve intraprendere un viaggio assieme ad altri che come lui stanno affrontando i propri demoni. Nelle sue peregrinazioni – e questo è un altro tema classico della narrativa fantasy – dovrà compiere una scelta dura e dolorosa tra ciò che è giusto e ciò che è necessario per salvare il destino del mondo e con esso quello di molte vite. Il viaggio è dunque imprescindibile, fondamentale, perché ogni personaggio possa comprendere quale sia il suo ruolo nel mondo di Arbor, nella continua lotta tra Bene e Male.
Proprio questo punto gioca grandemente a favore di Gianluca Villano, che lascia fuoriuscire dalla sua penna sentimenti ed emozioni che descrivono i personaggi con grande maestria. A questo si somma senza dubbio la presenza di un numero non altissimo di eventi che invece di essere uno svantaggio si rivela un espediente totalmente a favore dell’autore, che dilata il tempo della narrazione per far assaporare al suo lettore i nodi narrativi con piacevolezza, calma e concentrazione. Un ulteriore aiuto al lettore durante la narrazione è dato dai glossari che sono inseriti in entrambi i romanzi, con l’aggiunta di quelle appendici e mappe che ogni appassionato di fantasy ama trovare in un libro, proprio per rendere la lettura più sicura, completa e per non lasciar cadere niente nel dimenticatoio.
Questo è utile anche perché le descrizioni dei personaggi, che pure stupiscono per la loro ricchezza, non sono sempre immediate per il lettore e quindi avere il supporto di questi strumenti è sicuramente un’arma vincente. Per concludere, possiamo sicuramente dire che la sapiente penna di Gianluca Villano ha creato assieme una grande saga fantasy, perché ha saputo cogliere l’essenza principale di questo genere narrativo. I temi focali uniti ad una trama avvincente, saggiamente costruita e accompagnata da personaggi ben inseriti nel tessuto narrativo, danno vita ad un classico adatto a tutte le età. La Redazione dell’Associazione Culturale Universo Fantasy è dunque in trepida attesa del nuovo capitolo, per scoprire se e come gli interrogativi rimasti in sospeso troveranno una risposta, e per assaporare tutte le sorprese e i colpi di scena che sicuramente Gianluca saprà regalarci.
Stefania Sottile
Presidente Associazione Culturale Universo Fantasy
Prologo…
Quando l’essenza del crepuscolo si condensò sul tappeto oscillante di ninfee bianche, il Vento andò a rintanarsi fra i giunchi, infastidendo un tarabuso immobile, con il lungo collo proteso, che emise un inaspettato canto simile a un muggito; non parve un richiamo ma piuttosto un avvertimento, un segnale di pericolo per chissà quante altre creature che si celavano all’ombra della notte incombente.
Dopo quel verso, ogni altra realtà piombò in un insopportabile abisso di silenzio, dal fruscio sulle cime degli aceri e delle ginestre, fino agli arbusti di millefoglio e biancospino, soffocando il verso d’insetti e rane.
L’entità prese forma e divenne un Nirb. Un cappuccio ampio gli copriva il capo, i tratti del volto e la pelle esposta alla penombra erano contornati di un bagliore violaceo e gli occhi catturavano l’incubo come quelli dei predatori nascosti negli anfratti in attesa di balzare sulla preda.
Si teneva su un bastone d’osso, non aveva alcuna premura di evitare che l’orlo inferiore della tunica s’infangasse; il suo passo sfiorò la superficie di torba ma non affondò, piuttosto sembrò sostenuto da una forza invisibile.
Intorno alla polla s’intravedevano dei pioppi che spuntavano da un tappeto erboso rigoglioso e un forte odore di vegetali decomposti permeava l’aria.
Il Nirb camminò sull’acqua e, nell’attimo in cui poggiò i piedi sul terreno, il Vento lambì con discrezione i suoi pensieri, soffiandogli vicino.
Illusione, salvezza, distruzione!
udì.
Il Negromante avanzò speditamente fra le felci, dirigendosi verso una cortina di giunchi da cui s’intravedeva lo specchio d’acqua di un ampio fiume.
Numerose libellule sfuggirono al cupo timore che suscitava la sua figura e il Vento gli turbinò davanti, così vicino da riuscire a scorgere il suo volto emaciato, tirato in una smorfia di disappunto e gli occhi stretti a fessura, con le palpebre tremolanti, a testimonianza di un furore insostenibile.
Il Nirb fece un mezzo arco con il bastone davanti a sé e la vegetazione si contorse, si assottigliò e, disidratandosi, si ridusse a un sottile velo di cenere che si polverizzò al suo procedere.
Non tratterai con parzialità il povero…
percepì ancora il Vento nei pensieri del Negromante.
«Taci!» gridò il Nirb, fermandosi e puntando il bastone verso un piccolo stagno ricoperto di alghe.
…né userai preferenze verso il potente
.
«Ancora per poco, lei sarà qui molto presto e soffocherà di nuovo la tua voce, ti relegherà in una prigione così profonda…».
…ma giudicherai il tuo fratello con giustizia
.
«Dov…» s’interruppe, come se parlare gli provocasse uno sforzo notevole. «Dove potrai gridare quanto vuoi ma non ti ascolterà nessuno!».
A chi apparteneva quella voce nella testa del Nirb?
Il Negromante tornò a muoversi, incurvandosi per passare sotto i rami sporgenti, e il Vento poté scorgere alle sue spalle una scia di luce violacea persistente che era il residuo del potere dei morti che gli aveva permesso di giungere in quel luogo.
Il Nirb spostò l’attenzione dal canneto a qualcosa che si trovava ben oltre e il Vento lo precedette, incuneandosi nello spazio che aveva davanti, superando un leggero declivio fino a raggiungere la riva del corso d’acqua, le cui sponde erano ricoperte di un manto vegetale marrone e rossiccio.
Tra le felci acquatiche ondeggiava una piccola canoa di legno nero con lo scafo ricoperto di muschio verde scuro che sfiorava appena il pelo dell’acqua: era priva di gancio per l’attracco, senza remi, né una corda che facesse pensare all’esistenza di un’ancora, ed era avvolta da una bruma di un giallo cupo.
Sull’imbarcazione c’era un Valgor in piedi, assorto nei suoi pensieri: la sua pelle sembrava simile al bronzo, con zigomi pronunciati e profondi solchi; vestiva una tunica verde muschio, i suoi occhi avevano l’iride gialla e screziata da linee color ruggine.
Era un Predone, appartenente alla casta guerriera del Clan dei Valgor di Palude.
«L’Officiante vi attende» proferì l’uomo nel linguaggio Gluntha.
Il Nirb affiorò dai giunchi e con un piccolo balzo atterrò sull’erba umida della riva. Sembrava che fosse avvenuta un’esondazione e, in effetti, il corso del fiume era così impetuoso che talvolta le rapide si gonfiavano, facendo uscire l’acqua dagli argini.
Come salì sulla canoa, questa si allontanò dalla riva per portarsi verso il centro del fiume, seguendo la corrente, procedendo stabile, per nulla condizionata dalla sua vivacità.
Il Vento li seguì carezzando il pelo dell’acqua, a debita distanza, mentre cominciava a delineare la meta, una struttura gigantesca a forma di cupola che univa le due rive come un ponte, pur assomigliando a una selva di grosse e alte piante.
Il Vento si mosse veloce, sopravanzando la piccola barca per scoprire qualcosa di più del luogo dove erano diretti: c’erano due carpini neri, con radici che dal terreno sondavano anche il letto del fiume. Si erano incurvati al punto da intrecciare le loro chiome e una selva intricata e viva li aveva fagocitati, opprimendoli.
Ma c’era qualcos’altro nel cuore della selva, imperniata al centro del corso d’acqua, slanciata verso l’alto, ben oltre le cime più alte dei carpini, con una cuspide circondata di pinnacoli: una torre!
La canoa intanto si avvicinava, procedeva decisa verso quel mostro vegetale gigantesco ma il Vento non vi riconobbe alcun ingresso. La struttura sembrava morta, fredda, una tenebra angosciante in mezzo a un regno marcescente.
All’improvviso le fronde si mossero, producendo un fruscio inquietante, seguì un istante di cupo silenzio e poi sciamarono una miriade di barbagianni neri e pipistrelli, oscurando il cielo infuocato del tramonto.
Lunghi e sottili tentacoli gialli con la punta accesa di un rosso vivido spuntarono dall’acqua, afferrarono il muro di rampicanti alla base della struttura e aprirono un varco, permettendo alla canoa di entrare.
Il Vento si precipitò verso l’apertura, individuando nelle oscure propaggini di quel mondo una massa organica pulsante e informe ma come fece per entrare, un lezzo nauseante lo investì, una nube maleodorante lo respinse, lo spirito di quell’aria malsana, il demone, figlio dell’Haor.
Il passaggio cominciò a richiudersi e i tentacoli a ritirarsi nell’acqua. Il Vento torreggiò in un turbine vorticante, sollevando spire di acqua melmosa, e tentò di incunearsi tra l’improbabile avversario e l’ultimo spiraglio ancora aperto.
La sua corsa poteva essere scorta nel solco scavato sul pelo dell’acqua.
Un gracidio intenso e soprannaturale riecheggiò tutto intorno, s’elevò dall’ombra dei giunchi, vibrò da sopra le ninfee delle polle stagnanti e il Vento s’abbatté su un muro ben al di là delle sue aspettative, un velo di pioggia sottile e acida e di nuovo fu respinto.
Si ritrasse, vinto.
Quale abominio, quale tetro incubo si celava in quell’inferno malsano? Solo il Profeta poteva far chiarezza su quell’agghiacciante scoperta, così il Vento si appiattì sulle rapide e tornò fra i giunchi, mentre il passaggio si serrava e il mondo riacquistava la sua naturalezza.
Nel silenzio che venne a crearsi, l’aria trasportò, dall’interno del mostro fatto di piante, una voce che sembrò quasi schernirlo: "illusione… salvezza… distruzione…".
1.
il Pellegrino
Quindici Lame d’Amaranto e quattro Dame del Dolore furono inviate a far luce su misteriosi ritrovamenti in una regione poco frequentata dei Boschi di Etherya. Nei labirinti sottostanti la Cascata della Lancia a Picco, era stata rinvenuta una grande pietra bianca avvolta da uno splendore dorato. Gli Esploratori dell’Ordine del Puntale, che l’avevano scoperta, erano certi di aver trovato il Rifugio di uno dei Sette Draghi Guardiani di Arbor
«Vieni Logren, seguimi!».
Nhea si voltò appena un istante, tendendogli la mano e il tempo fu come se si adagiasse in una sublime contemplazione. Nhea aveva lunghi capelli, come la neve candida appena caduta, con riflessi argento e un diadema sottile tutto d’oro, tranne che per una gemma di turchese incastonata al centro e gocce di perla tenute da fili d’argento che ricadevano tutte intorno. I suoi occhi descrivevano le acque immote di uno specchio d’acqua dal fondale smeraldino, la sua pelle sembrava come la seta, rosea e delicata, la sua espressione lo avvolgeva in una promessa d’amore eterno.
«Logren? Dai, andiamo» lo implorò.
Si trovavano sulle montagne e seguivano un declivio ricoperto dalla neve. La vegetazione era ornata di cristalli di ghiaccio scintillanti e la lucentezza del sole s’irradiava dalle alte fronde, producendo scie dorate, come di tendaggi d’una sala di corte addobbata a festa.
Nhea indossava una lunga veste color verde pastello, danzava sulla neve a piedi nudi e le sue ali avevano un piumaggio di un candido bianco screziato d’avorio e argento.
Logren la seguì, sforzandosi, suo malgrado, di non perdere di vista il suo splendore, scivolando talvolta sulle rocce celate dalla neve, inciampando ma recuperando l’equilibrio con straordinaria agilità. «Nhea, aspettami». La sua voce gli risultò lontana, come se fosse qualcun altro a pronunciare quelle parole e per un attimo esitò, rallentando, perdendo l’attenzione sulla ragazza, girandosi intorno come se ogni incanto stesse svanendo e un’improvvisa paura lo attanagliasse.
«Non temere…» lo rassicurò qualcuno che gli era vicino.
Si voltò. «Nhea…». Ma come aveva fatto a spuntargli alle spalle?
«Ci sono io con te» disse la Sidenlore.
Lo prese per mano e quel contatto gli fece uscire il cuore dal petto per l’emozione, fu come se il suo corpo si trasfigurasse in una nuvola.
La seguì fino all’ingresso di una caverna dall’ingresso ampio, con denti di cristallo che formavano un arco sontuoso sopra di loro.
Entrarono senza esitazione e corsero sul ghiaccio senza scivolare, fino a una parete alta un paio di metri. Alla loro destra si proiettava verso il basso un baratro bianco e sopra il muro, la grotta sembrava proseguire.
Dopo aver lungamente esplorato con lo sguardo le effettive possibilità di aggirare l’ostacolo, si accorse che Nhea era già salita sullo sperone e si apprestava a proseguire con una certa ansietà.
«Nhea, aspettami, ma come…».
La giovane Sidenlore sembrò come affascinata da qualcosa, gli voltò le spalle e scomparve alla vista.
«Arrampicati, vieni…».
«Ma dove…». Logren sperò di individuare degli appigli ma la parete era liscia e seppure fosse riuscito ad aggrapparsi, con un balzo, alla sommità, con i suoi stivali dalla suola liscia non sarebbe mai riuscito a… il Sigillo!
. Il suo potere gli sarebbe accorso in aiuto. Sollevò il braccio sinistro ma scoprì che non ve n’era traccia. «Ma che cosa…».
Si sforzò di ricordare dove lo avesse perduto ma non ne aveva memoria. L’ultima volta che lo aveva usato… ma certo, la tomba del Re dei Sidenlore, i Kerathi, l’Obelisco…
. Continuò a rifletterci e improvvisamente un’idea lo raggelò. «Ma sto sognando!».
Si era addormentato al sicuro insieme alla compagnia di Nahily, con il Pellegrino e Nimhria che lo aveva invitato a riposare per recuperare le forze. «Nhea!» gridò, ricordando improvvisamente il sogno angosciante dove la Paladina della Rosa Bianca gli si era presentata nelle sembianze di Eberryn e aveva cercato di intrappolarlo nel suo incubo.
Come aveva potuto non ricordarlo?
Come sarebbe riuscito a sfuggirle, questa volta?
Oltre ogni buon senso soppesò la possibilità di poterle parlare per conoscere cosa le fosse successo; prima o poi avrebbe dovuto affrontarla, avrebbe dovuto confrontarsi con la sua malvagità e dopo quello che aveva appreso al cospetto dell’Obelisco, forse aveva capito come salvare Nhea.
Puntò lo stivale nel ghiaccio e pur con una certa difficoltà, riuscì a ricavarne dei punti d’appoggio; si tirò su e raggiunse l’imbocco del nuovo passaggio.
Lanciò uno sguardo alla ricerca di Nhea e l’intravide in procinto di scomparire dietro una svolta, distante almeno una trentina di passi.
«Nhea, eccomi, sono riuscito a salire!» gridò, sperando che la sua voce bastasse a rallentarla.
Nimhria lo aveva messo in guardia dal potere di Nhea ma chissà se avrebbe avuto altre occasioni per incontrarla.
Se riusciva a nasconderle di essere cosciente, forse poteva evitare di scatenare la sua bestialità.
Un brivido di paura gli percorse la schiena ma non esitò. Riprese a correre per raggiungerla ma era sparita di nuovo.
Sul fianco destro, la galleria sembrava aperta e Logren riconobbe una gola con un ghiacciaio fra gli alberi e in lontananza, una struttura composta da molte torri. Che posto è questo?
.
Qualcosa dentro di lui gli suggerì che potesse trovarsi fra le montagne a nord di Etherya.
Sto assistendo alla caduta di Nhea
pensò e raggiunse il punto della svolta, con il soffitto quasi a portata di mano, il ghiaccio tinto di azzurro e rosa; proseguì e si ritrovò su una piazzola affacciata su una pianura ricoperta d’acqua limpida.
Le vette delle montagne facevano da corona a quello spettacolo incredibile: il cielo terso si rispecchiava sull’acqua e così i numerosi cirri gonfi che si rincorrevano. Colonne di roccia a cuspide spuntavano dal fondo, che non doveva essere troppo profondo, ma ciò che più lo impressionò furono i colori del fondale, dai verdi smeraldo sfolgoranti agli azzurri, un tesoro di gemme che trasformavano quel luogo in un tenero invito a tuffarsi.
«Logren, vieni, è meraviglioso».
Nhea nuotava nuda in quello splendore abbagliante e Logren si sforzò di apparire allettato dal suo invito. Se mi mostro titubante, capirà!
. Non era mai stato un abile nuotatore. Cominciò, quindi, a togliersi di dosso la camicia e a calare le brache e fu allora che la morsa del gelo lo fece sobbalzare. Nell’acqua si sarebbe congelato e non aveva di che asciugarsi.
Ma se era un sogno, di cosa si preoccupava? Forse Nhea voleva mostrargli qualcosa di ciò che le era accaduto, forse c’era davvero una speranza di recuperarla.
Sollevò lo sguardo verso il cielo, sperando di individuare il Bianco Rapace, ma non c’era vita lassù, fra le nuvole.
«Logren, non aver paura, cosa può succederti? Tu sei il profeta, gli elementi ti servono, sei il principe del mondo».
…principe del mondo
. Gli piaceva come lo aveva chiamato e aveva ragione, di cosa doveva aver paura?
Si tolse definitivamente i pantaloni e si sfilò le calze pesanti. Il contatto dei piedi con il ghiaccio lo fece trasalire. Saltellò come se camminasse sui carboni ardenti e si avvicinò al bordo della piazzola ghiacciata. Un balzo e sarebbe finito in quel mondo incantato, magari nel passato di Nhea e il cuore prese a battergli forte nel petto per l’emozione.
Al momento di lanciarsi ripensò alle parole di Nimhria: l’ombra che la sovrasta non è solo il tramonto della sua purezza ma la presenza dell’Haorian…
. Raggelò ed esitò. Non vuole che la aiuti, mi sta portando dal suo padrone!
.
«Logren!» la voce della Sidenlore risuonò imperativa e inumana.
Logren si ritrasse, ormai era stato smascherato.
«Vuoi tornare a essere quel ragazzo inutile e deriso da tutti?».
Logren vide lo specchio d’acqua cominciare ad agitarsi e Nhea nuotare verso di lui, con occhi come tizzoni ardenti.
«Soffrirai, tutto il dolore del mondo ti spezzerà il cuore e tu sarai solo ad affrontare la morte. Logren!».
Logren assistette al mutamento repentino del tempo atmosferico, ma stranamente non ebbe paura degli sconvolgimenti. Le acque erano mutate in un mare di lava infuocata, nel cielo sereno imperversavano turbini di tempesta, cumulonembi cupi e violacei lacerati dai lampi. «Esel! Mio angelo, portami via da lei» pregò, amareggiato per il suo nuovo fallimento, e, in risposta alla sua invocazione, il mare di lava s’ingrossò e travolse Nhea, spingendola con violenza verso le colonne di roccia.
«Logren!!!» gridò la Sidenlore mentre si contorceva, cercando di sfuggire alla sua sorte. «Ti darò la caccia! So dove trovarti, Logren!».
Logren provò profonda pena per lei, avrebbe voluto aiutarla ma rimase immobile, ad assistere al momento dell’impatto, dopodiché, in un sussulto doloroso al cuore, si svegliò…
Aprì gli occhi, con il cuore che gli batteva forte nel petto e con una sensazione di malessere e ansia che gli comprimeva lo stomaco.
Come prima cosa si sincerò della presenza del Sigillo e vederlo lo rincuorò, dopodiché cercò i suoi compagni, che si erano allontanati dal fuoco dell’accampamento per lasciarlo dormire in pace.
Lo colse un turbamento inaspettato nel vedere il Pellegrino discutere animatamente con Nahily, la Debenlore che aveva creduto d’aver perso per sempre nello scontro con il Negromante, alle porte del Mausoleo di Ardhès.
Non muoverti e ascolta
gli suggerì Nimhria, che era accovacciata al suo fianco. L’anziana Keras, guida assoluta di una razza sconosciuta al resto di Arbor, fissava la scena in atto con un’espressione divertita, strizzando i grandi occhi azzurri al punto da generare altre rughe sul suo volto già raggrinzito.
Era già mattino inoltrato, il sole s’intravedeva tra le fronde mosse dal vento pungente dell’alta quota eppure né la luce né l’impeto dell’aria influenzavano minimamente la sua figura o le sue vesti, che avrebbero dovuto essere fluenti. Lei era presente ma nessuno, a parte lui e il Pellegrino, potevano vederla, toccarla o avvertire il suo odore piacevole e misterioso.
«Non lo lascerò di nuovo solo!» gridava la Debenlore.
Ora Logren poteva ammirare meglio Nahily, dato che non indossava nessun travestimento, oltre alla pelle del colore delle felci delicate dei sottoboschi più rigogliosi e fu colpito dai numerosi tatuaggi di rose che dalle caviglie le risalivano fin sulle cosce.
Nahily non era bella come Nhea eppure se ne sentiva rapito; pensò a Eberryn e avvertì un peso sullo stomaco.
Che fosse un senso di colpa?
Cercò di pensare ad altro: la compagnia non si