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Letteratura fra i banchi di scuola
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E-book349 pagine4 ore

Letteratura fra i banchi di scuola

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“Il volume potrebbe avere come titolo Pagine a prova d’alunno o Scorribande narrative a scuola. Il sapore è quello dell’inchiostro e della carta. Lo si legge tutto d’un fiato come un romanzo, come un ricordo dell’anima, invece è un saggio, un testo molto documentato che racconta il rapporto tra formazione e narrazione nella scuola italiana dall’Ottocento ai giorni nostri.”
LinguaItaliano
Data di uscita6 feb 2020
ISBN9788899415747
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    Anteprima del libro

    Letteratura fra i banchi di scuola - Carla Boroni

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2020 Oltre S.r.l.

    www.oltre.it

    ISBN 9788899415747

    TITOLO ORIGINALE DELL’OPERA:

    LETTERATURA FRA I BANCHI DI SCUOLA

    di Carla Boroni

    Marchio editoriale Gammarò

    info@gammaro.eu

    Collana * Maestri e altre storie *

    SOMMARIO

    AUTORE

    INTRODUZIONE

    PREFAZIONE

    La scuola raccontata

    INTENTI

    CAPITOLO I

    La crisi della scuola e l’anima nei ricordi: dai Regi Istituti Normali ai Licei Umanistici

    Una protesta sociale pedagogica

    Ricordi di scuola

    CAPITOLO 2

    L’immagine della scuola non solo a scuola. Educare ed istruire

    CAPITOLO 3

    Scuole e aule: fra storia e letteratura

    CAPITOLO 4

    Tessere la rete per imparare ad insegnare. Tra dovere e passione

    Dove sono le maestrine dalla penna rossa?

    CAPITOLO 5

    Un mare di difficoltà e di pregiudizi: dall’Italia post-unitaria ai prof. esauriti. Gli antagonisti

    I principali antagonisti nella storia della scuola

    Gli squilibri dell’istruzione: dai luoghi ai generi

    Riscossioni e punizioni in natura

    L’autorità scolastica: direttori e direttrici

    CAPITOLO 6

    Questione di punti di vista

    Un futuro che si fa remoto

    Paradossi di prospettiva

    CAPITOLO 7

    Cenni letterari su metodo o metodi scolastici

    Metodi sempre oltre la destra e la sinistra

    Uno strano corpo a corpo

    Dallo stringere un patto alla magia del racconto

    Capitolo 8

    Per insegnare c’è bisogno di eros

    Il cuore nella scuola

    Un classico: innamorarsi dell’insegnante!

    Ed io fra di voi…

    CAPITOLO 9

    Se i bambini raccontano la scuola

    CONCLUSIONE

    BIBLIOGRAFIA

    CARLA BORONI

    Laureata in Pedagogia all’Università Cattolica di Brescia e in Lettere all’Università La Sapienza di Roma, Carla Boroni è professore associato alla cattedra di Letteratura Italiana Contemporanea (Scienze della Formazione) presso l’Università Cattolica di Brescia. Ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e diversi libri tra i quali: Dall’Innocenza alla Memoria: Giuseppe Ungaretti, Corbo & Fiore, Venezia 1992; per La Compagnia della Stampa i volumi Tra Sette e Ottocento. Momenti di critica e letteratura bresciana e Giuseppe Ungaretti. Amore e Morte, un percorso lirico (1999). Per l’editore De Ferrari di Genova ha curato la raccolta Le parole legate al dito (141 racconti dal Giornale di Brescia di Enrico Morovich), in due volumi pubblicati rispettivamente nel 2009 (anni 1949-1970) e 2010 (anni 1971-1978). Sul rapporto tra sport e letteratura ha scritto Lo sport nella letteratura del Novecento. Il mondo dello sport raccontato dagli scrittori, Gussago (Bs), Vannini 2005 e, per l’editore Ghenomena, Gli scrittori italiani e lo sport, 2012. Nel 2015 ha curato la nuova edizione aggiornata in volume unico di Enrico Morovich, I racconti per il Giornale di Brescia per Massetti Rodella Editori. Ancora per Vannini è stata ideatrice e direttrice della Collana Didattica e Letteratura. Studiosa di fiabe e favole, italiane ed europee, ha prodotto numerosi volumi fra cui Favoleggiando (2006), Fiabe & favole golose (2009), I mestieri delle favole (2010) sempre per i tipi Massetti Rodella Editori. Per SEFER, ha pubblicato nel 2016 Paralipomeni e, per la collana I Testi, Appunti per il mio Novecento. Figure, percorsi e temi della letteratura italiana e Scuola e letteratura del 2017. È del 2018 Donne di cuori, donne di picche. Storie d’amore (e non) nella letteratura italiana fra Ottocento e Novecento.

    INTRODUZIONE

    Questo volume potrebbe avere come titolo Pagine a prova d’alunno o Scorribande narrative a scuola. Il sapore è quello dell’inchiostro e della carta. Lo si legge tutto d’un fiato come un romanzo, come un ricordo dell’anima, invece è un saggio, un volume molto documentato che racconta il rapporto tra formazione e narrazione nella scuola italiana dall’Ottocento ai giorni nostri.

    Il lavoro di Carla Boroni mi è parso particolarmente importante perché coinvolge la mia professione primaria di maestro, per una vita intera, e di sindaco, prima, e assessore, poi; figure (e non solo prototipi) che tanto hanno avuto, e hanno, a che fare col mondo dell’insegnamento in genere.

    E, allora, mi pare di poter dire qualcosa.

    Il tema che prende in considerazione il rapporto tra gli scrittori italiani e la scuola, ovvero tra narrazione e formazione, è ampio, articolato e, per molti versi, contraddittorio. Il suo interesse e la sua popolarità hanno determinato, dalla metà dell’Ottocento ai nostri giorni, il fiorire di una vasta produzione, sia in ambito pedagogico che letterario. Tale produzione rappresenta oggi un valore culturale indiscusso, anche se non privo di zone d’ombra. Nell’ambito degli studi, per esempio, appare ancora troppo vago e sfumato il campo di indagine e troppo sottovalutata la chiarezza per quel che riguarda alcune scelte di metodo. Dalla necessità di una maggiore definizione degli strumenti interpretativi, alla valutazione dei vari contributi letterari, più o meno significativi. Dalla delimitazione dell’ambito degli studi di approfondimento, all’adeguamento di termini e significati per modelli di scuola (e di scrittura) che si sono modificati nel tempo.

    La letteratura descrive e racconta il mondo scolastico in molti modi: con ordine e disciplina, ma anche con fantasia e irriverenza. Basta dedicare un po’ di attenzione al mondo dell’editoria (ovviamente non solo a quella di settore, dove è scontata) per accorgersi di come romanzi, racconti, poesie e narrativa di ogni genere siano costellati di rimandi al mondo dell’insegnamento e dell’educazione. Scrivere di scuola e letteratura, dice la Boroni, è soprattutto un tentativo di connessione semantica, spesso una ricerca di brani secondari e marginali, una raccolta di considerazioni in gran parte estrapolate dal flusso narrativo, una mediazione tra lo studio interpretativo e il racconto. Per queste, e per molte altre ragioni, scrivere di scuola e letteratura comporta un approccio fluido e, in un certo senso, multidisciplinare: si tratta infatti di un’impresa ardua e delicata allo stesso tempo se ciò che preme è il riuscire a cogliere le atmosfere, le sfumature e le peculiarità, soprattutto emotive, strettamente legate al tema della scuola e alle sue rappresentazioni in letteratura. Si tratta di non raccogliere solo documenti, informazioni e dati, ma di far rivivere, per quanto possibile, un mondo. Si tratta di ritrovare e riattualizzare un sapere congiuntamente a un sapore per fare in modo che la letteratura, soprattutto quella meno frequentata e destinata altrimenti all’oblio, temporale e lessicale, possa continuare ad essere cosa viva e attuale. Compito non facile e tuttavia interessante e necessario oltre che, sia nella ricerca che nella lettura, affascinante. Carla Boroni è riuscita ad essere esauriente ed appassionata in questo arduo percorso.

    La scuola è un luogo e un tempo (un periodo, un evento) imprescindibile nell’esperienza e nella formazione dell’uomo. È fra i banchi e le cattedre, fra aule e corridoi (che possono essere vissuti come minuscoli o infiniti, a seconda dell’atmosfera, fisica e psicologica, degli spazi scolastici), nel rapporto con i propri compagni, con i docenti, con i direttori, i bidelli, i presidi o i dirigenti scolastici che i bambini cominciano il proprio percorso di socializzazione e formazione, al di fuori del contesto famigliare. Un viatico meraviglioso che dovrebbe essere, sempre, dolce e bello per ogni bambino.

    Roberto Gitti

    PREFAZIONE

    La scuola raccontata

    La scuola entra nella vita degli italiani appena nasce l’Italia unita. Il primo censimento nazionale, svoltosi proprio nel 1861 aveva sottolineato il problema di porre rimedio con un urgenza, anche per fare gli italiani, ad una condizione di secolare abbandono dell’istruzione: il 75% degli italiani risultava analfabeta, con punte del 95% al sud (dove certo ai Borboni non interessava che ci fossero le scuole), mentre nel Lombardo-Veneto la percentuale scendeva al 50%, grazie prima a Napoleone e poi al dominio austro-ungarico, che avevano vedute più larghe e moderne sulla necessità dell’istruzione per creare i buoni cittadini.

    Si deve alla lungimiranza del primo presidente del Consiglio del Regno d’Italia, Camillo Benso conte di Cavour – che da bravo piemontese usava il francese per la sua corrispondenza – la scelta nel suo governo di un ministro della pubblica istruzione che aveva sull’argomento grande competenza ed esperienza: nientemeno che Francesco De Sanctis. Nelle sue memorie, uscite postume nel 1889 con il titolo La giovinezza, aveva scritto un libro che ogni insegnante, anche quelli di oggi, dovrebbe leggere e imparare, sia per l’esposizione di una metodologia didattica moderna nata dalla sua esperienza, sia per la passione con la quale, studentello dell’Irpinia, aveva affrontato ogni sacrificio per studiare a Napoli. E proprio nel ricordo di quegli anni difficili, come ministro porrà le basi a quello che oggi si definisce diritto allo studio, quegli articoli 33 e 34 della nostra Costituzione la cui stesura nacque anche dall’opera di un altro grande italianista membro della Costituente: Walter Binni. Ma oltre a ciò, De Sanctis si rese conto della necessità di formare gli insegnanti e dunque pose le basi per la Scuola Normale che poi sarebbe divenuta l’Istituto Magistrale e dal quale sarebbero usciti quei maestri che, nel giro di qualche decennio, riuscirono a far abbassare la percentuale degli italiani analfabeti.

    Creati dunque gli insegnanti, affidato ai Comuni il compito di trovare i locali per gli alunni e i maestri, fatta, ma solo nel 1877 e dopo grandi contrasti (il lavoro minorile era comunemente praticato, come racconta Verga nella novella Rosso Malpelo), la legge Coppino che imponeva l’obbligo scolastico di almeno due anni con conseguenti pene per le famiglie che vi si sottraevano, occorrevano ora gli strumenti per insegnare a leggere, scrivere e far di conto. E così i libri di lettura per ragazzi ebbero in pochi anni una rilevante impennata nella produzione, passando dai 190 titoli del 1878 ai 633 del 1886, anno in cui uscì Cuore di De Amicis, ai 903 del 1889. E allora molto bene fa Carla Boroni, in questo utile e avvincente percorso tra scuola e libri, a partire proprio dal diario di Enrico scritto da De Amicis, ritornandoci in più occasioni perché, al di là dell’allora inevitabile componente patetica nata dall’esasperazione dei sentimenti (ai quali Paolo Mantegazza opporrà il razionalismo del suo Testa), alcune situazioni didattiche rimangono ancora valide, a cominciare dalle lettera del 28 ottobre del padre sulla necessità di andare a scuola, perché sennò l’umanità ricadrebbe nella barbarie: non lo pensiamo oggi anche noi, spesso indignandoci con chi invece mostra indifferenza verso i problemi dell’istruzione?

    E da Cuore, e prima ancora (1883) dalla pedagogia nata dalla trasgressione creata da Collodi per il suo burattino che alla fine comunque saprà diventare un ragazzino per bene, i libri per i giovani lettori e sulla scuola si moltiplicheranno, senza dimenticare un altro capolavoro dello stesso De Amicis, Il romanzo di un maestro (1891), che racconta la scuola dal punto di vista non dell’alunno ma dell’insegnante, in pagine che sottolineano la frequente ostilità nei suoi confronti che, con la sua opera, metteva in discussione le due autorità (sindaco e parroco) che, soprattutto nei paesi, indirizzavano i comportamenti dei cittadini.

    Se dunque non mancavano i libri scritti per gli scolari, con una diffusione sempre maggiore delle antologie che, soprattutto in poesia, diffondevano i toni familiari e domestici del più morbido Pascoli (come poteva mancare allora in quei testi la Pioggerellina di marzo, quasi un’antitesi in tema meteorologico della dannunziana Pioggia nel pineto?), le narrazioni sulla scuola non erano poi così copiose; non certo nel periodo fascista, dove imperavano libro e moschetto e dunque ogni eventuale voce critica veniva soffocata perché il pluralismo delle idee non era contemplato (e infatti il libro di scuola era quasi sempre obbligato, con grande fortuna delle case editrici che ne stampavano e vendevano a migliaia di copie; e anche a questo fenomeno si deve l’inziale fortuna della Mondadori), ma neppure nel secondo Novecento il mondo della scuola ha fornito agli scrittori frequenti motivi di ispirazione, tanto che possiamo contarli sulle dita di una sola mano quelli che hanno dato continuità al tema come Domenico Starnone, Marco Lodoli e Paola Mastrocola.

    Certo, qualche romanzo sulla contestazione studentesca del Sessantotto e poi del 1977 è stato scritto, come Figlioli miei, marxisti immaginari (1975) di Vittoria Ronchey o Assemblea studentesca con professore (1976) di Salvatore Mignano, ma in sostanza, in relazione alla centralità nella vita degli italiani della scuola, con i suoi molteplici problemi di adattamento alle nuove realtà sociali che ministri spesso mediocri e sideralmente lontani dal loro primo predecessore De Sanctis non hanno saputo neppure affrontare, è invero molto scarsa la narrativa che, sia pure nella finzione del racconto, vi si soffermi non occasionalmente e non quasi in fretta, come per fuggire da un terreno vischioso e complicato.

    E allora assai opportuno, anzi necessario risulta il lavoro certosino di ricerca e di analisi compiuto da Carla Boroni in questo ricco volume che, raccogliendo quasi tutti i possibili testi di autori italiani sulla scuola, ci porta in questo mondo complesso e vitale, guidati appunto da quegli scrittori che ad essa, appunto da De Amicis in avanti, si sono avvicinati per raccontarne alcuni momenti, di crescita o anche di conflitto, nella consapevolezza che tutto comincia di lì; e forse nel timore che spesso la formazione dei giovani nelle stesse aule scolastiche dove comincia pure si concluda.

    Francesco De Nicola

    INTENTI

    Questo lavoro nasce con lo scopo di indagare i rapporti fra maestri, scuole e analisi di testi letterari o racconti autobiografici ambientati nel secolo e mezzo che abbiamo alle spalle. L’intento primario consiste nel ricostruire l’immagine educativa del maestro nella letteratura facendo ricorso a diversi punti di vista narrativi, con tutte le sfaccettature che tale metodo comporta, e nell’individuare le caratteristiche principali che tale figura ha rivestito nei circa centocinquant’anni di scuola italiana.

    La ricerca è corredata da rimandi ad eventi storici precisi, ma vuole dedicarsi principalmente alla letteratura (vera e propria), esplorando la figura del maestro inserito nel suo contesto lavorativo ed esistenziale, attraverso il commento di un corpus di testi fortemente variegato. Mi sono concentrata su alcune tematiche imprescindibili, come la diversa condizione sociale ed economica dei maestri nel corso del tempo, ho cercato di mettere in evidenza il rapporto tra il mondo scolastico e la società in evoluzione e indugiato (ma non in maniera leziosa) sulle differenze di genere.

    Attraverso lo sguardo costante, critico, severo, propagandistico, militante, oppure ironico e compiacente dello scrittore, la scuola appare, subito e inevitabilmente, come un organismo complesso, vivo e vivace, ricco di contraddizioni e di ambivalenze. Reale o narrata, infatti, non è, e non può essere considerata, un luogo neutro in quanto rappresenta, simultaneamente, lo spazio dei sogni da realizzare e le paure di un futuro sconosciuto e pieno d’insidie.

    In molti libri di Edmondo De Amicis la scuola è protagonista assoluta, e per tale motivo, i suoi romanzi saranno il filo rosso di gran parte di queste pagine. Di questo autore prenderò in considerazione, oltre al famosissimo Cuore, anche altri lavori meno oleografici in quanto ritengo siano esemplari, nel loro complesso, nel fornirci una buona rappresentazione sia del mondo della scuola che del contorno formativo del periodo, ovvero del complemento educativo portato avanti, nel bene come nel male, sia in ambito familiare che sociale. Per un bambino, in effetti, pur essendo la scuola il principale luogo di formazione, non è l’unica depositaria privilegiata dei valori sociali ed esistenziali da conquistare.

    Cerchiamo innanzitutto di delineare un profilo descrittivo della scuola che ci possa essere d’aiuto soprattutto dal punto di vista terminologico. Cosa intendiamo quando utilizziamo il termine scuola? Prolungando e integrando (ma anche ribaltando) l’opera della famiglia, la scuola rappresenta l’essenziale unione nei confronti dei più complessi legami e problemi della vita sociale.

    La classe, in particolare, è il primo e fondamentale nucleo di socializzazione e di confronto. Famiglia, scuola e società appaiono i momenti solidali di un’evoluzione e di una continuità, osservate dal punto di vista del ragazzo e dei suoi educatori. La scuola risulta il luogo delle contrapposizioni e dei bipolarismi, che vanno, per esempio, nelle pagine di Cuore di De Amicis, da Franti il ribelle, l’indomito, il bullo, a Garrone lo scolaro buono, bravo e sincero. Due protagonisti del mondo scolastico che vivono il medesimo contesto educativo, ma in maniera diversa, per non dire opposta. Da parte sua il maestro Perboni, che incarna l’istituzione, e che in teoria dovrebbe essere super partes, mantiene invece costantemente un atteggiamento differente nei confronti dei due ragazzi. Lo stesso contesto educativo, che per Garrone rappresenta il tentativo di realizzare un sogno, una vera e propria spinta all’attuazione di un progetto esistenziale diverso da quello che gli è toccato in sorte, viene vissuto da Franti come luogo, nel quale prima si consuma e poi si consolida la certezza della sua impossibilità ad evadere dalla propria condizione sociale.

    Proprio per questa impossibilità di poter essere considerata e vissuta univocamente, la scuola, nella narrazione, si trasforma in un altrove, talvolta inquietante e oscuro, che è necessario conoscere e interpretare.

    Facciamo un esempio letterario che, per quel che riguarda il nostro discorso, e non solo, vale più di tante considerazioni sociologiche.

    In Cuore di De Amicis il bambino che scrive, Enrico Bottini, possiede anche una sua propria voce, così come la possiede Pinocchio, ma quella del primo è una voce già formata, che parte già completamente inserita entro il recinto pedagogico di valori etici, spirituali, sociali cui Pinocchio arriva ad accedere solo alla fine della sua tormentatissima vicenda.

    Anche il protagonista di Cuore, così come Pinocchio, è un personaggio messo di fronte a prove dolorose e difficili, che ci fanno capire come per questi scrittori il primo valore educativo sia il sacrificio (molto lontano dalla scuola attuale vera o raccontata, come vedremo). La scuola, che entrambi frequentano, è la scuola della vita, del dolore, del pentimento e del rimorso. È un luogo in cui si sperimenta il valore degli affetti e si realizza la propria umanità, ma con una fatica immensa. Alla fine del percorso, entrambi arrivano all’obiettivo prefissato consapevoli e riconoscenti che a ciò non sono arrivati da soli, ma grazie all’aiuto di persone vicine, maestri in generale.

    Lo scopo che mi riprometto con questo lavoro è anche quello di mostrare come tutto ciò che avviene nella società, a tutti i livelli, si ripercuota non solo nelle istituzioni scolastiche e nell’educazione in senso lato, ma anche, e soprattutto, nell’immaginario collettivo intorno alla scuola. Una delle tesi, dunque, è che si possa risalire alla storia delle istituzioni attraverso la narrazione. Dal momento che la storia è intrinsecamente legata ad ogni aspetto della nostra vita, anche i racconti conservano, per chi sappia e voglia vederli, tracce del passato, delle nostre radici. Raccontare queste radici diventa indispensabile per tanti autori dell’Ottocento e del Novecento. Dentro e fuori le aule scolastiche, in qualche modo, maestri e maestre hanno rappresentato il punto di riferimento per l’intera società e si sono fatti portavoce e testimoni di una scuola militante, che si estendeva ben oltre i confini degli edifici che la contengono.

    Nella letteratura intorno alla scuola, si trovano maestri e maestre a volte tesi a mantenere lo status quo, a volte sicuri nel farsi promotori di tensione e trasformazione verso un mondo più giusto. La figura dell’educatore porta soprattutto a riflettere che al centro del progetto educativo (anche letterario) ci sono i bambini e i ragazzi, veri soggetti dell’educazione, il cui sguardo non cede mai alle lusinghe della teoria.

    Nel corso dell’Ottocento, ma anche quasi fino alla metà del Novecento, soprattutto nella letteratura italiana, si vengono a delineare due immagini d’infanzia diametralmente opposte: una dotata di voce, l’altra praticamente muta. La prima è la figura del ragazzo borghese, investito da norme e divieti, che viene rappresentato secondo un’ideologia dell’innocenza e della dipendenza, perciò di un’infanzia soffocata da cure e attenzioni anche scolastiche, ma priva in sostanza di autonomia. La seconda raffigurazione (un quadro meno fruito dagli scrittori) è quella dell’infanzia del popolo, tragica e sofferta che diventa adulta precocemente, senza voce, muta. A queste due condizioni di vita, corrispondono due immagini dell’infanzia a scuola: la prima invade i libri per bambini, i testi scolastici, l’iconografia (ritratti e cartoline), la seconda, priva di strumenti, marginale ed emarginata,viene connotata secondo una visione quasi inutile, a tutti gli effetti una non visione.

    All’interno di questa tradizione iconografica, omogenea e soffocante, si levano però alcune voci innovative e profonde, capaci di leggere in modo più ricco e dialettico la vita scolastica e di mostrarne le sue interne tensioni e contraddizioni. "Sono voci che toccano un piano più universale dell’infanzia e che, pur ancorate ad un pedagogismo borghese, anche se in varie forme e in diversa misura, oltrepassano decisamente i confini, per accedere a quel territorio più inesplorato della specificità dell’infanzia, di un’infanzia letta da angolazioni radicalmente opposte".¹

    Tanta, troppa letteratura staccata dalla realtà, tanta troppa teoresi pedagogica sradicata e scissa dalla vita scolastica vera e propria, rischiano di costruire una retorica continua dell’educazione e dell’istruzione e di incidere molto poco sulla pratica e sul destino formativo dell’essere umano.

    Per ultimo si è accennato in queste pagine all’insegnamento della letteratura rivolto ai bambini nel corso degli anni più recenti. Da un lato si è esaltato il valore altamente formativo dell’educazione letteraria nell’ambito dello sviluppo intellettuale; dall’altro, soprattutto a partire dagli anni Sessanta Settanta del secolo scorso, la letteratura per l’infanzia (ma non solo) è tacciata (a volte giustamente) di perpetuare l’ideologia della classe egemone e plasmare la mente dei giovani in favore del potere dominante.² Tale polemica sembra oggi assopita in una fase di trasformazione e rinnovamento non solo della scuola, ma del mondo e dei bambini che cambiano. È sempre importante che la letteratura, così come ogni altra forma di cultura, trattando valori che vengono trasmessi, passi attraverso il vaglio critico del maestro (professore o docente di qualsiasi grado). Proprio in seguito ad un processo di mutazione (continua) della scuola, anche l’insegnante è stato oggetto di profonde trasformazioni, passando dal maestro al facilitatore dell’apprendimento, poi ancora al maestro. Sul piano delle conoscenze disciplinari oggi il maestro ha dovuto allargare il proprio ventaglio di conoscenze di base (grande merito va attribuito alla laurea in scienze della formazione primaria) e il proprio approccio ai testi letterari, passando da quello storicista a quello strutturale, eccetera, eccetera. Su questo versante,importante si è rivelato, e non solo per i crediti formativi, il continuo aggiornamento e la ricerca.

    Tuttavia questo nuovo approccio didattico ai testi letterari ha prodotto un ingiustificato calo progressivo di interesse (anche se negato) per la letteratura vera e propria, sia nella scuola che fuori. Fra i tanti fattori (compresi genitori che sollecitano i figli a leggere, ma non hanno mai un libro in mano) la parte significativa è l’azione degli insegnanti (dalla scuola per l’infanzia all’università) che fanno, spesso, un uso sbagliato o perlomeno improprio delle pagine di testi letterari specifici. Non è raro vedere sottoposte poesie o pagine di romanzo meravigliose ad improbabili quanto inutili analisi testuali, vivisezioni di periodi. Assistere a personaggi fatti a pezzi, ambienti tagliuzzati, per cui la pagina che catturava l’attenzione, mobilitava la fantasia, alimentava la creatività, diventa una specie di graticola, di tiro a segno con freccette, numeri, segni, disegni e sottolineature colorate (inutile dire che, analisi grammaticale e logica restano imprescindibile che debbono continuare ad essere insegnate, assolutamente, con rigore). Quando la lettura è usata a servizio di un fine che non le è proprio, il risultato è sempre dannoso. Né narrativa, né poesia possono essere solo strumento di esercizi scolastici, vuoti e privi di vita, ma strumento di crescita e perciò riflessione, di interiorizzazione e di godimento. Togliere al bambino e al ragazzo la gratuità della lettura, la dimensione lieve (che non significa priva d’impegno, anzi) vuol dire annientarla. Per l’insegnante, che educa l’alunno a saper leggere, è necessario porsi tra lettore e libro in modo autentico e, appunto, gratuito; deve essere in grado prima di comunicare l’amore alla lettura, di guidare e incoraggiare, far cercare cosa c’è dentro e oltre le parole. Deve farlo innamorare. Deve insegnare ad analizzare il testo scritto, ma non a vivisezionarlo, ad ascoltare le domande, a non perdere né far mai perdere la visione globale della lettura. Deve operare quelle relazioni che vanno dalle pagine della narrazione, alla realtà del ragazzo e del suo mondo, facendolo riflettere, provando e riprovando, con un’arte che nasce dall’amore biunivoco per l’allievo e per il libro.

    In questo volume, in molte delle sue pagine, gran parte dei testi (commentati, in alcuni casi, e interpretati seguendo un filo di racconto unico, tutti quanti) sono stati scritti da maestri o da persone esperte di scuola. Altre parti antologizzate sono brani e narrazioni presi in prestito da scrittori più o meno famosi, attingendo al genere del racconto, della pagina di romanzo e, in qualche caso, della fiaba. Si tratta di un discorso vario, ma ininterrotto, dove il contributo dei vari scrittori crea un affresco unico pieno di personaggi che s’incontrano su un terreno non ancora del tutto dissodato, inserito tra mondo scolastico e mondo narrativo. Dove alcuni autori si collocano fra scuola e letteratura e altri si trovano invece completamente immersi nella letteratura della scuola.

    1 Franco Cambi, Collodi, De Amicis, Rodari. Tre immagini d’infanzia, Edizioni

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