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Lo faremmo l'anno scorso
Lo faremmo l'anno scorso
Lo faremmo l'anno scorso
E-book142 pagine2 ore

Lo faremmo l'anno scorso

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Info su questo ebook

Cosa lega un uomo che scopre di non avere vita privata ad un altro che si accorge di averne vissuta una estranea. Perché i libri misteriosamente impallidiscono e quali parole un bambino lascia nel biglietto. Come mai i veri uomini sono le donne e se è vero che il grande amore resti comunque e tutto il resto faccia volume. Chi è l’uomo che ride e cosa cerca lo sconosciuto affilato dall’aria, risucchiato dalla terra, battuto dall’acqua e arso dal fuoco. Cosa succede nell’eterno ascensore che scende o sale o tutte e due. Perché San Pietro dovrebbe riflettere sui conigli e chi sono veramente – e dove vanno – i bari in una notte di diluvio. Quale geometria collega la cuspide del campanile a uno strano resort. Cosa fa un geco sui cappereti selvatici. Se causa e caso decidono di incontrarsi, può darsi che le domande perdano ogni interrogativo. Può darsi che qualcosa accada, può darsi che a qualcuno venga l’idea di scoprire come va a finire. Se la verità sia limpida come un mare senza più terre da avvistare. O se resti uno sparso alfabeto.
LinguaItaliano
Data di uscita18 feb 2020
ISBN9788831659376
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    Anteprima del libro

    Lo faremmo l'anno scorso - Guglielmo Tini

    Indice

    PREFAZIONE

    IL CONTROLLO

    LA FIERA DI SANTO MANNO

    BIGLIETTO DI UN BAMBINO MORTO

    I VERI UOMINI SONO LE DONNE

    IL FUNERALE DI CARLO

    LA CEDOLARE SECCA

    LA SCOMMESSA

    LA STRADA DELL’ABBAZIA

    I CONIGLI DI SAN PIETRO

    RESORT

    UNA SIGNORA COME TANTE

    LO FAREMO L’ANNO SCORSO

    Guglielmo Tini

    LO FAREMO

    L’ANNO SCORSO

    Youcanprint

    Titolo | Lo faremo l'anno scorso

    Autore | Guglielmo Tini

    ISBN | 978-88-31659-37-6

    Prima edizione digitale: 2020

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi, 6 - 73100 - Lecce

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    PREFAZIONE

    C’è una ragione per cui ho scritto questo libro. O meglio ce n’è più di una, ma quella davvero fondamentale essenziale e basilare, quella che ha fatto sì che prendessi carta e penna (per alcuni dei racconti qui pubblicati non è un modo di dire: li ho scritti davvero a penna su carta di quaderno) e cercassi di dare vita a qualche assurdità, è una e una soltanto. Tanto impegno a scrivere, leggere, correggere, riscrivere, rileggere e chiudere tutto in un armadio in garage per vergogna di quanto lo scritto fosse stato scritto male; e ritirare fuori fogli e quaderni da quell’armadio davvero bruttino – uno di quelli in lamiera, per intendersi, con scompartimento per le scope e piani per detersivi – riprendere di nuovo tutto, dicevo, e ricominciare: solo per un fine, uno solo, un mio personale approdo, un porto da toccare, una mia cima da raggiungere (una cima: una collinetta, una duna. Un gibbo su un campo in periferia. Anni settanta o giù di lì). L’arco dell’intelletto – teso dalla protuberanza della profondità metafisica ai peduncoli refoschi più o meno rossi del cervelletto, dall’eminenza delle parti superiori fino alla sutura sagittale dell’alterigia – quell’arco di volontà indefessa non ha mai smesso di perseguire il fine ultimo, al prezzo di morali sotto i tacchi e digestioni laboriose. Ma sono qui: non esattamente contento, non pienamente soddisfatto, non compiutamente convinto. E con il timore che questo libro lo leggano in quattro, io non ci guadagni un euro (cosa che mi renderebbe assolutamente scontento, chiaramente insoddisfatto e decisamente incerto) e non ci facciano neanche un film, che è tutto dire. Non ci voglio pensare.

    Al di là di questo, un numero congruo di pagine le ho messe insieme, che è la cosa importante per il mio fine ultimo. Voglio dire: avrei potuto pubblicare le ricette culinarie di mia madre dalla a dell’abbacchio alla z delle zeppole, passando per la p delle sue strepitose pizze pasquali (dolci e al formaggio), ma non avrei potuto raggiungere quello che volevo. Invece così – lima di qua, cancella di là, raschia di su, riscrivi di giù – ho messo insieme il mio bel quinterno e adesso finalmente, dopo anni di attesa scrittura e vergogna, dopo anni di niet da parte di editori e di editrici, posso dire di essere arrivato, di avercela fatta. Di poter scrivere: Ogni riferimento a persone o fatti realmente avvenuti è puramente casuale. Questo era il fine ultimo! Ho pubblicato questo libro soltanto per poter scrivere che ogni riferimento a persone o fatti realmente avvenuti è puramente casuale. La parte cospicua di ogni libro e di qualunque film.

    Uno sceglie un libro perché è bella la copertina, perché parla dell’uovo alla coque, perché adora il profumo delle pagine nuove o perché la professoressa se no gli mette quattro. Va al cinema perché gli piacciono i popcorn, perché danno la corrazzata Potemkin, perché il cinema è il cinema, o perché l’attore è bellino. Balle. Se manca che ogni riferimento a persone o fatti realmente avvenuti è puramente casuale, se non c’è questo distico in lingua legalese, non compro libri e non vado al cinema. Del resto datemi una – dico una – ragione per cui oggi un tizio dovrebbe pubblicare un libro o, meno che mai, presumere di considerarsi quella cosa ridicolissima che si chiama scrittore. Nessuno legge più e tu che fai? Scrivi un libro. Attenzione: un libro vero, di quelli tosti, impegnativi, di quelli che ti danno due sventole se non segui, di quelli che al limite li chiudi dopo tre pagine pensando che il problema è lui, il libro.

    No. Io la ragione per pubblicare le mie mattane ce l’ho: ogni riferimento a persone o fatti realmente avvenuti è puramente casuale. Senti come suona bene. Altro che liberamente ispirato a: porzione di verso che non dice niente, come se ispirarsi a qualcosa renda migliore qualcuno. Io non voglio rendere migliore nessuno, ma questa eufonia – ogni riferimento a persone o fatti realmente avvenuti è puramente casuale: più la scrivo più la trovo bella – la dedico a tutti.

    E visto che sono in tema di dediche, anch’io, come ogni autore che si rispetti, desidero dedicare il mio libro alle persone che mi sono care. Gli ho già preannunciato che, quando sarò un classico e uscirò financo come analisi testuale all’esame di stato, i diritti d’autore saranno tutti loro e così Maria potrà trasferirsi negli Stati Uniti, ad un Department of Chemistry di un’university che non ricordo, e Filippo comprarsi il kappattiemme trecento per il cross (o viceversa se vorranno; al momento mi attengo ai desideri espressi poco fa). Molto opportunamente Maria e Filippo mi hanno fatto notare che non di necessità entrambe le cose debbano essere legate alla storia dei diritti d’autore, se no stiamo freschi. D’accordo, ma un po’ di fiducia – da questo punto di vista – gliela vorrete concedere al vostro papà? Per adesso divertiamoci con occhi svegli e lieti, sotto un diluvio di luce e di vita, perché bisogna smettere di raccontare quello che non c’è e bisogna cominciare a riscoprire tutto il bello che c’è, perché quando sorridete l’aria si profuma di viole, perché tanto quello che conta davvero è che ci vogliamo bene, perché tanto tutto il resto fa volume, perché tanto ogni riferimento a persone o fatti realmente avvenuti è puramente causale!

    IL CONTROLLO

    Poiché non saprei attendere quattro giorni, ansioso e nevrotico come sono, mi presento alla Guardia di Finanza non appena ho avuto a disposizione copia del mio settettrenta. Attendo presso un salottino, sfogliando una rivista specializzata che ha foto di salvataggi in elicottero e, a metà, un inserto sulla specie del Sole Ventiquattr’ore. Non capisco un’acca di titoli e di borsa, ma di sicuro il pavimento non è ben pulito; le piastrelle sono opache. Urgerebbe una pulizia. Un signore sui quaranta mi invita ad accomodarmi e dice: - Faccio strada.

    Ringrazio e vorrei poter aggiungere brigadiere, appuntato, tenente o che, ma questo signore non indossa divisa e così non posso onorarlo chiamandolo col suo titolo. Sono convinto gli farebbe piacere.

    - S’accomodi. Maresciallo capo Olindo Pontenuovo. Il vicebrigadiere Mario Lojacono.

    Penso fra me che qui nessuno indossa la divisa, neppure il maresciallo capo. Dal piccolo corridoio, lungo il quale si aprono diversi uffici, giunge una voce decisa e rifilata: - Fatemi avere qualche risultato, qualcosa di concreto, diamine …

    Il maresciallo capo estrae, da una pila di documenti che ha sulla scrivania, un foglio. Il computer arde, ma sul nulla. Lo screenserver mostra, animato quasi fosse un cartone, il caricamento di una pistola.

    - Operiamo nei suoi confronti una verifica finalizzata al controllo della sua posizione reddituale, in quanto ci risulta che lei beneficia di prestazione sociale agevolata.

    C’è una carta geografica che rappresenta l’Italia insulare; è appesa sulla parete alle spalle del maresciallo capo. Sopra c’è il crocifisso con un rametto d’olivo a contrasto con il muro. Le foglie sono rinsecchite, un po’ accartocciate. – Esibisce dichiarazione sostitutiva unica?

    - Esibisco.

    E’ curioso questo esibisce carnevalesco. Esibisce mi fa pensare di dover accennare passi di danza col settettrenta in mano, una piroetta, due puntate et voilà. L’altro giorno ho sentito mio nipote fare il verso alla professoressa che somministrava la prova di matematica. Somministrava: su da bravo, apri la bocca per benino, aaam! Ecco somministrato Pitagora Euclide e tutto il cucuzzaro.

    - Lei usufruisce di mensa?

    Asserisco. Ho esibito e poi ho asserito. Anche il pavimento di questo ufficio è opaco. Si dovrebbe passare la cera, oppure la lucidatrice. Quelle lucidatrici di una volta, con le spazzole rotonde.

    - Interroghiamo ora on line l’Anagrafe tributaria.

    Mi chiedo se l’Anagrafe tributaria abbia studiato, se abbia almeno ripassato la lezione. Il maresciallo capo va sul mouse, che è cordless e quando il dito clicca fa la lucetta rossa (e io un po’ lo invidio, bonariamente s’intende, perché il mio topo ha il filo e la pallina, non funziona bene e il puntatore si muove a singhiozzo). La pistola scompare e spunta un cono vulcanico nel mezzo del Pacifico: perché proprio il Pacifico non so, ma appena ho visto l’immagine non mi è venuto in mente né l’Atlantico né l’Indiano. Il vicebrigadiere si avvicina e fuma il sigaro. Ho un po’ caldo e con molta circospezione, senza scompormi troppo né permettere al piumino il benché minimo fruscio, tolgo la giacca e l’appoggio sulle gambe. Il vicebrigadiere mi sta squadrando: - Inverno mite, non crede?

    - Anche troppo.

    Il vicebrigadiere annuisce mentre una nuvoletta di fumo gli scende giù per il pizzetto. Gli occhi sono due fessure: - Mai stato a Santo Domingo?

    «Cuccurucù delle tre formiche…» - Mai.

    Mi verrebbe da chiedergli se, a suo parere, con il mio reddito, potrei permettermi un viaggio alle Antille; ma sto zitto. Il vicebrigadiere di nuovo annuisce, fa più sottile lo sguardo, con l’indice lentamente si gratta un lato del pizzetto.

    - E a Palma di Montechiaro?

    Faccio di no con la testa: - Però sono stato alla Valle dei Templi. E poi ad Eraclea. E su fino a Sciacca e Selinunte.

    Il vicebrigadiere non fiata né si muove. Cerco d’intuire cosa mai stia facendo il maresciallo capo. «Cuccurucù dove son gite…»

    Ad ogni clic l’ombra diversa della videata si allunga sul suo volto. Sento che ogni tanto sospira e vedo che si tira indietro sulla poltrona, drizza la schiena, come per sgranchirsi.

    - Da qui risulta che in data otto ottobre lei abbia confidato ad un suo collega tutta l’insoddisfazione per le ritenute fiscali sulle competenze mensili. Vuole spiegarci bene il senso di quella frase?

    Mi riesce solo di seguire, con lo sguardo, l’intersecarsi delle fughe sulle mattonelle del pavimento. Disegnano rettangoli che s’insinuano sotto gli armadietti, sotto le scrivanie, sotto la fotocopiatrice che deve aver il toner in esaurimento.

    - Suppongo – interviene il vicebrigadiere – che lei non sia mai stato alle isole Cayman.

    Avverto il ticchettio della tastiera e mi chiedo cosa vada a tirar fuori quel suono così netto e preciso, quasi sappia esattamente cosa cerchi e cosa sappia di trovare: - Sa, più o meno, dove si trovano le isole Cayman?

    - Dalle parti di Cuba, se non sbaglio.

    - Non sbaglia.

    Il vicebrigadiere è immobile, cupo, il fumo del sigaro si leva lento, sinuoso: – Non sbaglia…

    Ci dev’essere (mi viene

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