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Gli dei del Diluvio: Alla scoperta dell’evento cosmico che cancellò la memoria PRIMA DI NOI
Gli dei del Diluvio: Alla scoperta dell’evento cosmico che cancellò la memoria PRIMA DI NOI
Gli dei del Diluvio: Alla scoperta dell’evento cosmico che cancellò la memoria PRIMA DI NOI
E-book731 pagine15 ore

Gli dei del Diluvio: Alla scoperta dell’evento cosmico che cancellò la memoria PRIMA DI NOI

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Info su questo ebook

Com’è possibile che l’umanità abbia dimenticato l’esistenza della civiltà antidiluviana che ci ha preceduto molte migliaia di anni fa?

Le vestigia di un’origine misteriosa sono sotto i nostri occhi, punteggiano il pianeta, a testimonianza degli eventi catastrofici, che hanno letteralmente plasmato la geologia, la biosfera e la vita del nostro meraviglioso pianeta.

La nostra presenza in questo mondo è stata e sarà ancora testimone di sconvolgenti accadimenti, in grado di riportare indietro di migliaia di anni l’orologio della civiltà, nell’arco di qualche giorno, al punto che ancora oggi, l’umanità intera rivive i ricordi di questo passato dimenticato.

Con questo libro scoprirai:
  • Le cause degli eventi catastrofici che 12.850 anni fa stravolsero la superficie e la vita del pianeta
  • Il mistero del surgelamento e della scomparsa dei mammut e della megafauna
  • I rifugi atomici paleolitici sparsi in tutto il pianeta
  • Come le civiltà recenti furono fondate dai superstiti del diluvio universale
  • La presenza costante del diluvio nelle culture, tradizioni e religioni dei popoli.
  • … e molto altro ancora.
Ogni novembre, al rintocco delle campane degli impatti cosmici,
noi tutti commemoriamo i caduti dell’ultimo giudizio universale,
in cui un diluvio planetario quasi annientò l’umanità
e cancellò la memoria di Prima di Noi.
 
LinguaItaliano
EditoreOne Books
Data di uscita29 ott 2021
ISBN9788833802428
Gli dei del Diluvio: Alla scoperta dell’evento cosmico che cancellò la memoria PRIMA DI NOI

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    Anteprima del libro

    Gli dei del Diluvio - Massimiliano Caranzano

    Dedicato a tutti NOI

    Un Grande Reset cosmico investì il pianeta 12.850 anni fa, talmente catastrofico, da riportarci all’Età della pietra, da cancellare perfino i nostri ricordi; fu qualcosa in grado di plasmare la geografia terrestre, la nostra storia e determinare l’attuale assetto del mondo.

    Le sue evidenze si celano alle scienze individuali, ma non sfuggono allo sguardo multidisciplinare, all’approccio scientifico ed emergono evidenti, come i puntini di un unico filo rosso, nella geologia, nella paleoclimatologia, nella genetica, nei miti, nelle religioni, nella cultura.

    Le nostre menti, chiuse per mezzo millennio in un negazionismo ostinato, possono ora illuminarsi, aprendo gli occhi: ignorare non è più ammissibile, sarebbe un delitto, che vedrebbe l’umanità nei panni della vittima e costituirebbe non una fatalità, ma un atto premeditato, proprio perché la nostra civiltà tecnologica ha certamente la possibilità di prevenire ed evitare che questa tragica storia si ripeta.

    Il silenzio su questa minaccia e sulla vera storia nascosta è la conferma che il pericolo esiste ed è reale, ma non è più accettabile e non deve essere più accettato, perché solo agendo insieme, come genere umano, unendo le forze, potremmo, forse, sconfiggere il prossimo

    tzontemoc

    ".

    Ringraziamenti

    Ringrazio sentitamente tutti i miei lettori per le soddisfazioni che mi hanno regalato con Prima di noi. Le energie e gli sforzi che ho dedicato a scrivere questo nuovo capitolo della nostra vera storia, sulla scia del percorso iniziato insieme, me le avete donate voi e di questo vi sono grato.

    Ringrazio la mia famiglia che pazientemente ha saputo accettare e perdonare il tempo che ho rubato al piacere di stare insieme, per dedicarlo alla stesura di questo libro.

    Prefazione

    L’evidenza di quanto sta succedendo negli ultimi decenni nel mondo culturale scientifico costituisce la base e la dimostrazione di quanto abbia ragione l’autore quando scrive: «C’erano dei veri e propri dogmi accademici di fede, quasi religiosi, con le fondamenta di sabbia, da imporre e per farlo si è negata la crescente evidenza scientifica, tra l’altro, già nota da almeno duecento anni, che raccontava una storia radicalmente differente, si è difeso disperatamente un edificio scricchiolante, anche contro la decenza, che l’intelligenza degli stessi esperti meriterebbe». Un edificio davvero scricchiolante e, mi viene da dire, per fortuna.

    Le scoperte che la paleogenetica sta facendo con una cadenza che sta diventando quasi stagionale rivelano come le fondamenta di sabbia riguardino proprio anche le questioni concernenti l’origine stessa dell’uomo che un certo scientismo dogmatico invece tenderebbe a proporci come risolte e chiarite.

    Le ombre ancora presenti sulla nascita del Sapiens allungano naturalmente il loro influsso su tutto ciò che a essa ha fatto seguire: l’intera storia dell’umanità, così come ci viene raccontata, è viziata da questa colpa originale, la presunzione di sapere già tutto, da molti ostentata con eccessiva saccenteria.

    Ma le cose non stanno così: ce lo dicono le evidenze che periodicamente emergono. Fortunatamente, quindi, ci sono quelli che non si accontentano e non lo fanno per un infantile e immotivato partito preso ma perché vogliono e sanno tenere caparbiamente gli occhi aperti su realtà che la tradizione culturale invece nega, dileggia, tenta di nascondere.

    L’esistenza di civiltà tecnologicamente avanzate prediluviane è patrimonio comune dell’umanità in tutti i continenti e poco importa, al momento, conoscerne la vera origine.

    Bisogna infatti fare un passo alla volta: è necessario intanto prendere atto di questa evidenza che già di per sé rimette in discussione tutto quanto si crede di sapere o viene addirittura dato per certo.

    Conoscere l’origine di quelle civiltà è certamente importante e affascinante ma innanzitutto bisogna avere la mente libera da tutti quei preconcetti che ne rendono impossibile la stessa accettazione, condizione prioritaria per proseguire nelle ricerche.

    Il lavoro multidisciplinare fatto dall’autore è una scelta metodologica che percorre una via capace di uscire dagli schemi di una scienza accademica che spesso rimane imbrigliata in recinti mentali e culturali che impediscono (volutamente o meno) una vera comprensione di quanto si è verificato nel passato.

    Il raffronto tra le diverse branche del sapere evita di commettere quegli errori e di superare quei rischi che l’esasperata specializzazione invece pone sul cammino della conoscenza: come si può affermare che il duro granito veniva lavorato con il rame quando ogni artigiano della pietra sa bene che la cosa non è possibile?

    Esempi banali come questo fanno comprendere come l’approccio che tiene conto di apporti diversi sia in grado di superare quei blocchi culturali e mentali che rendono difficoltoso, se non addirittura talvolta impossibile, l’accesso alla conoscenza. Questo blocco culturale spiega la triste amnesia che affligge l’umanità cui fa riferimento Caranzano, per cui si può – e a mio avviso si deve – concordare con lui quando afferma che: «È quindi necessario uno sforzo mentale enorme per uscire da questo buio che attanaglia la nostra memoria, per aprire gli occhi, guardarci intorno e renderci conto delle tante, palesi, macroscopiche, testimonianze di quel passato grandioso che ci ha caratterizzato e di cui abbiamo perfino dimenticato l’esistenza stessa». Una dichiarazione di intenti che non è semplice, pregiudiziale e sterile polemica nei confronti di un sistema che va comunque cambiato, ma espressione di una volontà di andare oltre per attingere a quelle fonti (materiali e testimoniali) che sono disponibili da secoli e che non attendono altro che di essere prese in seria considerazione, osservate, studiate, verificate, comparate e ritenute potenzialmente credibili ma soprattutto utili a ricomporre un quadro che talvolta pare essere stato volutamente scomposto al fine di renderne impossibile la comprensione.

    È abbastanza evidente che la scomposizione del quadro in singoli frammenti, tenuti lontani gli uni dagli altri, è stata fondamentale per l’applicazione e diffusione di un modo preciso e programmato di presentare la storia: una visione che è stata funzionale al controllo dei vari recinti in cui è stata opportunamente ripartita l’intera società umana al fine di esercitare su di essa un controllo capillare.

    A questo proposito bene fa l’autore a citare Orwell quando scrive: «Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato».

    Il messaggio che scaturisce da questo tipo di lavori e che dobbiamo fare nostro, a mio parere, è quindi il seguente: teniamo la mente sempre aperta, verifichiamo se non ci sia la reale possibilità di riprenderci il passato per cercare di controllare il nostro presente e fare in modo che, ancora una volta, non venga condizionato il nostro futuro. Inoltre, lo studio è di per sé affascinante, indipendentemente dai risultati concreti che ci consente di raggiungere.

    Mauro Biglino

    Premessa

    In questo nuovo libro, il seguito di Prima di noi, riparto dagli stessi punti per fare un nuovo percorso insieme, una nuova indagine, tesa a svelare cosa abbia creato l’amnesia dell’umanità riguardo la nostra vera storia.

    Dalle nebbie del nostro oscuro passato emerge evidente un messaggio coerente, un autentico avvertimento per il nostro futuro, scritto tutto intorno a noi, nelle strutture megalitiche, negli antichi testi, nei miti e criptato nelle religioni, culture e tradizioni di tutto il pianeta, un grido di allarme che chi ci ha preceduto, chi è venuto Prima di noi, ha evidentemente fatto di tutto per tramandarci.

    Si tratta in tutta evidenza di un avvertimento alle generazioni future su quello che i cicli della natura ci possono riservare nel futuro e sin dalle prime pagine di questo libro, emerge la netta sensazione che tutto quello che questa civiltà umana ha adorato, venerato, raccontato, durante tutte le sue epoche e ancora contempla oggi, sia direttamente o indirettamente legato a un fatto realmente e storicamente accaduto: il

    diluvio universale

    .

    Le moderne scienze ci hanno confermato che il periodo interglaciale che stiamo vivendo e che ha visto fiorire la nostra civiltà, rappresenta un brevissimo intervallo di optimum climatico, all’interno di un quadro complessivo che vede spaventose e costanti oscillazioni di tutti i macro-parametri ambientali, in grado di spazzare via senza difficoltà anche la più moderna civiltà, senza lasciarne quasi traccia e memoria. Non dovremmo quindi trascurare quello che ha tutta l’aria di essere un avvertimento, un metterci in guardia, per evitare di dover fare i conti con i cicli della natura che ci circonda.

    Gli dèi ci hanno donato gli strumenti per monitorare la ciclicità della natura e io credo lo abbiano fatto per farci trovare pronti, quando le lancette dell’orologio cosmico scoccheranno, ancora una volta, l’ora fatidica. Viviamo su di un pianeta pericoloso e non dovremmo trastullarci nell’effimera arroganza della nostra forza tecnologica, ma piuttosto cercare di scoprire senza preconcetti la nostra storia, impegnando il nostro avanzato sapere scientifico per comprendere il messaggio lasciatoci da chi ci ha preceduto, al fine di evitare le minacce future. Dovremmo imparare ad agire uniti come razza umana e non divisi da fallaci illusioni, perché non farlo sarebbe davvero un peccato mortale, soprattutto oggi che avremmo la tecnologia per far sì che la nostra civiltà sopravviva, dove altre sono scomparse "Prima di noi".

    Frasi per riflettere

    «Ancora oggi, ogni anno, l’umanità intera commemora i caduti del diluvio universale».

    Max Caranzano

    «Vi sono due storie: la storia ufficiale, menzognera,

    che ci viene insegnata, la storia ad usum Delphini, e la storia segreta, dove si trovano le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa».

    Honoré de Balzac

    «La verità attraversa sempre tre fasi: nella prima viene ridicolizzata; nella seconda ci si oppone violentemente; infine, la si accetta come ovvia».

    Arthur Schopenhauer

    «Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato».

    George Orwell

    «Non è negando le ombre che si scacciano, ma facendo luce»

    Tullio Regge

    «Quando hai eliminato tutto ciò che è impossibile, ciò che rimane deve essere la verità, non importa quanto sia improbabile».

    Arthur Conan Doyle

    «Nella scienza, ciò che oggi si ritiene assurdo, domani sarà accettato come un fatto».

    Anonimo

    «Io vedo orizzonti dove tu disegni confini».

    Frida Kahlo

    «È più facile ingannare le persone che convincerle di essere state ingannate».

    Mark Twain

    «L’inverno del grande anno ciclico è un diluvio».

    Aristotele

    «Il dio degli scribi mi ha concesso il dono della conoscenza della sua arte. Io sono stato iniziato ai segreti della scrittura.

    So leggere anche le complicate tavolette nella lingua di Shumer; comprendo le enigmatiche parole incise nella pietra fin dai giorni che precedettero il diluvio».

    Assurbanipal

    «Convulsioni e rivoluzioni violente oltre la nostra concezione ed esperienza, ma comunque non equivalenti alla distruzione dell’intero globo o della specie umana, sono esistite e continueranno a esistere, un sorprendente susseguirsi di Ere».

    George Hoggart Toulmin

    «Ci furono e saranno molti e diversi stermini di uomini, grandissimi quelli per fuoco e acqua».

    Platone

    «Coloro che hanno la capacità di vedere oltre le ombre

    e le menzogne della propria cultura non saranno mai capiti e tanto meno creduti dalle masse».

    Platone

    «Pochi sono schiavi per necessità. I più lo sono volontariamente».

    Seneca

    Introduzione

    In Prima di noi¹ mi posi l’obiettivo di dimostrare l’esistenza di una società passata, che ci ha preceduto e generato e il fatto che essa fosse tutt’altro che primitiva, anzi molto avanzata, per molti aspetti probabilmente più di quella attuale.

    Al di là di questi risultati raggiunti, la verità è che mi sono rimasti parecchi sassolini nelle scarpe; parlo di quelle evidenze che sono affiorate durante il precedente lavoro, che si sono vagamente intraviste sotto il pelo dell’acqua, ma che per un motivo o per l’altro, principalmente per carenza di tempo e spazio, non sono riuscito a trattare come avrei voluto nella precedente opera.

    Uno di questi sassolini mi disturbava particolarmente, mi attirava, stimolava la mia curiosità e riguardava fondamentalmente il seguente punto: com’è possibile che abbiamo dimenticato?

    Come possiamo aver scordato un passato così diverso da quello che ci viene raccontato oggi, quantomeno dall’ortodossia accademica e religiosa?

    Come hanno fatto tutti i popoli del pianeta a dimenticare, qual è la causa di questa amnesia planetaria?

    L’amnesia che affligge l’umanità, infatti, non è paragonabile a quella di cui soffrono le persone che hanno subito traumi; quest’ultime, infatti, perdono la memoria degli eventi trascorsi, ma, anche solo semplicemente guardandosi allo specchio, comprendono di esistere e hanno quindi coscienza di aver avuto un passato, del quale purtroppo non ricordano nulla, a causa del trauma.

    L’amnesia che affligge l’umanità intera è invece doppia, perché, oltre a non ricordare un passato diverso da quello dipinto nei libri di storia, noi non siamo nemmeno consci di averlo avuto e viviamo di conseguenza in un buio ben più profondo di coloro che perdono la memoria, ma non la consapevolezza.

    È quindi necessario uno sforzo mentale enorme per uscire da questo buio che attanaglia la nostra memoria, per aprire gli occhi, guardarci intorno e renderci conto delle tante, palesi, macroscopiche, testimonianze di quel passato grandioso che ci ha caratterizzato e di cui abbiamo perfino dimenticato l’esistenza stessa.

    Solo coloro dotati di grande indipendenza e apertura mentale riescono a emanciparsi dalla morsa di questa amnesia totale e conseguentemente a ricostruire, indizio dopo indizio, evidenza dopo evidenza, una storia completamente diversa da quella insegnataci.

    «Non è negando le ombre che si scacciano, ma facendo luce».

    Tullio Regge

    L’intento, che in quest’opera anima i miei sforzi, è quello di ricostruire gli eventi che hanno portato a questa amnesia dell’umanità, con la speranza di risvegliare in voi il ricordo di un mondo perduto nelle nebbie della storia o quantomeno quella salutare curiosità, che vi porterà a indagare, osservare e collegare insieme le vestigia di un passato dimenticato, che ancora circondano il nostro presente e condizionano il nostro futuro.

    «Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato».

    George Orwell

    Come ho fatto in Prima di noi, ho ritenuto fondamentale perseguire un approccio multidisciplinare e scientifico alla ricerca, in cui le evidenze vengano raccolte ovunque possibile, con mente aperta, senza preconcetti e analizzate usando la logica e non il dogma che si ha in mente e si vuole solo imporre.

    Questo è il problema degli ultimi cento anni: c’erano dei veri e propri dogmi accademici di fede, quasi religiosi, con le fondamenta di sabbia, da imporre e per farlo si è negata la crescente evidenza scientifica, tra l’altro, già nota da almeno duecento anni, che raccontava una storia radicalmente differente, si è difeso disperatamente un edificio scricchiolante, anche contro la decenza che l’intelligenza degli stessi esperti meriterebbe.

    In Prima di noi, a queste domande risposi dedicando un intero capitolo al diluvio universale, nel quale spiegai come non si fosse trattato di una semplice alluvione, quantunque di proporzioni planetarie, ma di un’incredibile catastrofe globale, in grado veramente di azzerare la tecnologia e la civiltà su tutto il pianeta, una catastrofe al limite dell’estinzione di massa.

    In questo nuovo libro riparto proprio dagli stessi punti, per fare un nuovo percorso insieme, una nuova indagine, tesa a svelare cosa abbia creato questa amnesia, quale sia l’evidente messaggio coerente, questo autentico avvertimento per il nostro futuro, che ci perviene dalle nebbie del nostro oscuro passato e che è scritto tutto intorno a noi, nelle strutture megalitiche, negli antichi testi e nei miti che sono arrivati ai nostri giorni.

    Come sempre lo farò con una ricerca multidisciplinare, con mente aperta, perché quando si guardano le evidenze, che sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere, allora basta un po’ di logica del buon senso, per far crollare una verità accademica, che non è altro che un velo di vernice vecchia, che si va scrostando, sotto le crescenti evidenze scientifiche, lasciando oramai chiaramente intravvedere le fondamenta di una verità negata troppo a lungo? Quale sia quella verità, forse non riusciremo mai a capirlo completamente, ma è proprio nel riconoscere la sua esistenza, che si cela la forza necessaria per cercarla... come facciamo noi, ricercatori di una verità alternativa.


    1 M. Caranzano, Prima di noi, Uno Editori, 2020 Torino.

    1. Il giorno del giudizio

    «Nell’anno seicentesimo della vita di Noè, nel secondo mese, il diciassette del mese, in quello stesso giorno, eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono».

    genesi 7, 11

    Noè usava un calendario con dodici mesi di trenta giorni, in cui l’anno cominciava verso la metà dell’attuale mese di settembre².

    Considerando le parole della Genesi, se ne deduce che il diluvio biblico fece la sua apparizione in novembre, ma questo è un mese che per la cristianità annovera un’altra importante ricorrenza, quella in cui si rende omaggio ai defunti. In particolare, Ognissanti, il primo novembre, è la festa cattolica di tutti i santi (festum omnium Sanctorum), con la quale si onorano i defunti che godono la gloria del Paradiso, seguita, il 2 novembre, dalla commemorazione di tutti i fedeli che ci hanno lasciato, comunemente detta "Giorno dei Morti", una ricorrenza della Chiesa latina.

    Si tratta di due festività note e diffuse nel mondo occidentale come All Saints e All Souls, ma che misteriosamente hanno degli analoghi in una moltitudine di popoli sparsi per il pianeta, di culture differenti, cui la storia accademica attribuisce origini non comuni. Eppure, come vi darò evidenza nel prosieguo, nel Perù precolombiano, nel Sud-Est dell’oceano Indiano, presso gli aborigeni australiani, gli antichi Persiani ed Egizi e perfino nelle sperdute e isolatissime isole del Sud Pacifico, fatto, questo, che apre un nuovo enorme Vaso di Pandora, ritroviamo lo stesso tipo di celebrazioni dei defunti nel mese di novembre: com’è possibile?

    Ci risiamo, come descritto ripetutamente in Prima di noi, ecco un altro di quei culti, usanze o miti che, come quello della Dea Madre, il diluvio, l’importanza attribuita all’oro, i bendaggi tesi a deformare il cranio e tanti altri, era diffuso a livello globale, ben prima che, secondo la storia ufficiale, i diversi popoli entrassero in contatto tra di loro. Chi mi legge sa che, a mio parere, tre coincidenze fanno quasi sempre una prova, ma qui, anche statisticamente parlando, siamo ben oltre la soglia che divide la casualità dalla razionale e logica esistenza di un fattore comune che leghi tutte queste evidenze.

    Vi è poi un’aggravante serissima, che depone irrimediabilmente a favore della presenza di un denominatore comune a questi indizi: com’è possibile che, ancora oggi, a distanza di migliaia di anni dalle loro presunte origini, queste celebrazioni avvengano tutte nell’attuale mese di novembre, perfettamente sincrone, nonostante che i differenti calendari solari, utilizzati per misurare l’incedere del tempo da queste culture, avrebbero dovuto rapidamente introdurre uno sfasamento temporale delle varie celebrazioni?

    Questo sincronismo ci fornisce un preziosissimo indizio per risolvere quello che, indubbiamente, rappresenta un rompicapo in grado di accendere la fantasia dei più curiosi o se preferite, la curiosità di coloro che ragionano con mente aperta.

    In maniera meno esplicita, ma per questo non certo priva di fondamento scientifico, anche l’Antico Testamento sembra associare l’attuale mese di novembre alla morte, per tramite di quel cataclisma globale, conosciuto volgarmente con il nome di diluvio universale. Capisco che, così su due piedi, il nesso tra queste due evidenze possa sembrare talmente labile, da apparire ai più come inesistente e frutto della fantasia malata dei ricercatori di una verità alternativa, ma, scavando in profondità, vedremo emergere qualcosa di sconvolgente.

    Prima di leggere quanto sto per affermare sarebbe opportuno essere saldamente seduti su di una stabile poltrona e questo nonostante esista una quantità tale di evidenze a suo supporto, da cancellare il benché minimo dubbio dalla mente del più scettico dei lettori:

    I giorni consacrati dalla religione cristiana alla celebrazione dei defunti sono in realtà una commemorazione del giorno del giudizio in cui un diluvio universale quasi annientò l’umanità.

    Lo ripeto a scanso di equivoci:

    Noi tutti e con questo pronome intendo almeno la metà del genere umano, cioè qualche miliardo di persone, ancora oggi, ogni anno, commemoriamo i caduti, le vittime, del diluvio universale.

    Il gioco dei puntini

    Un interessante studio, che risale al lontanissimo 1868, a opera di Robert Grant Haliburton, ma che trae le sue radici dagli scritti di Sir William Jones³, prese in considerazione una serie di antiche festività e ricorrenze, patrimonio di popoli distanti tra di loro e apparentemente senza legame alcuno. In particolare, una di queste tradizioni riguardava la commemorazione dei defunti, che, con grande stupore dello stesso autore, si rivelò ben presto essere un’usanza estremamente diffusa e con pratiche pressoché identiche, tra popoli e culture lontani e senza nessuna apparente radice comune⁴.

    L’autore condusse una entusiasmante analisi delle culture di molteplici popoli del pianeta, attraversando diverse discipline, scoprendo e unendo insieme nuovi puntini, con mente aperta, fino a formare un disegno tanto sconvolgente, quanto stupefacente, i cui dissacranti risvolti cominciano a trovare le conferme scientifiche nei nostri tempi moderni, come avremo modo di discutere nei prossimi capitoli.

    Se già tutto questo non fosse abbastanza strano e particolare, diciamo pure una di quelle coincidenze che suonano il campanello di allarme nella nostra testa malata, eccone subito un’altra, riguardante le tempistiche in cui queste tradizioni vengono celebrate:

    «[...] leggendo i risultati delle mie indagini è emerso chiaramente che la festa [commemorazione dei defunti] è stata generalmente osservata a novembre, sia a Sud che a Nord dell’equatore, un fatto talmente notevole, che era evidente che, qualsiasi fosse la causa, doveva essere qualcosa di finora sconosciuto»⁵.

    A dir la verità, presso alcuni popoli, come i moderni Greci e Persiani, i Romani, gli Algonchini della costa Est nordamericana, la ricorrenza dei defunti era osservata in febbraio, mentre i giapponesi e i cinesi la celebravano in agosto, discostandosi dall’apparente regola, ma Haliburton, nel proseguo delle sue indagini, fu in grado di riconciliare le discrepanze tra i vari calendari e di stabilire una solida e logica correlazione tra le varie usanze di commemorazione dei morti.

    Tra l’altro, questa apparente discrepanza lo mise immediatamente sulla strada giusta, in quanto era tipica dei popoli dell’emisfero Nord, mentre tra quelli a Sud dell’equatore c’era una granitica contemporaneità delle celebrazioni, forse un primo indizio e testimonianza dell’area geografica di origine di questo culto.

    In realtà, il viaggio di questo intrepido esploratore lo portò a correlare eventi del passato all’apparenza slegati tra di loro, come il diluvio mitologico, l’inizio dell’anno negli antichi calendari e particolari astronomici rilevanti, gettando una nuova luce su di una storia dell’umanità radicalmente diversa da quella che conosciamo e confermando ulteriormente le evidenze già emerse e dimostrate in Prima di noi, in particolare la presenza di un’avanzata civiltà antidiluviana, dalla quale noi deriviamo.

    A proposito di diluvio, giusto per complicare un pochino uno scenario di per sé già al limite della fantascienza oppure per fornire uno spunto fondamentale, ritengo oltremodo importante far notare il pensiero dell’autore Robert Grant Haliburton, riguardo il racconto biblico della catastrofe e quindi la correlazione implicita con la commemorazione dei defunti, in quanto in essa è praticamente già contenuta la spiegazione di questo anomalo culto planetario:

    «la nostra storia della creazione e del diluvio è un ricordo reale, non solo di quei grandi eventi, ma anche di una ritrovata verità astronomica, eredità dell’uomo primordiale»⁶.

    Haliburton inciampò casualmente in questi argomenti quando gli venne fatto notare come gli antichi peruviani, ben prima dell’arrivo degli europei, onorassero i defunti esattamente lo stesso giorno in cui lo facevano gli spagnoli, ovvero il 2 di novembre del nostro attuale calendario, il Giorno dei Morti.

    Abbiamo visto come, nei calendari dei popoli europei, il primo e il secondo giorno di novembre siano dedicati ai defunti, con le celebrazioni di "Ogni Santi e del Giorno dei Morti", ma anche incredibilmente contigui con un’altra folcloristica ricorrenza legata ai morti, che cade proprio l’ultimo giorno di ottobre: Halloween. Molti di noi pensano che questa festa, la cui simbologia è scherzosamente associata alla morte e all’occulto, evidenti nel simbolismo della zucca intagliata e illuminata da una candela, con la faccia sorridente e al tempo stesso spaventosa, abbia origini anglosassoni e sia stata riportata in auge dal consumismo americano.

    In realtà, questa ricorrenza, che si celebra a cavallo tra ottobre e novembre, nei giorni in cui si pensa che gli spiriti dei defunti tornino in mezzo a noi, condivide le stesse origini ancestrali delle altre celebrazioni dei morti. Nelle Filippine i giorni che vanno dal 31 ottobre al 2 novembre sono dedicati al ricordo dei morti e in questo periodo molti filippini tornano nelle rispettive città natali per commemorare i defunti, assieme alla propria famiglia. L’antica tradizione del Pangangaluluwâ, prevede che gruppi di persone, per lo più bambini, passino di casa in casa, cantando antiche canzoni per le anime dei defunti, in cambio di soldi o cibo⁷. Vi ricorda qualcosa? Scherzetto o dolcetto? L’odierno aspetto festoso di Halloween, dettato dalle necessità del consumismo, non deve trarre in inganno, in quanto questa ricorrenza nasconde un qualcosa di nefasto, un periodo temporale in cui gli spiriti dei morti sono più presenti tra di noi, al punto che, nelle loro tradizioni, i contadini irlandesi preferiscono discretamente rimanere a casa in quella notte di malinconia, piuttosto che festeggiare. Halloween è poi famosa per i suoi fuochi, come le torce degli irlandesi, i falò degli scozzesi, i fuochi autunnali di Coel Coeth dei gallesi e quelli di Tindle della Cornovaglia, i falò dei cinesi e la festa delle lanterne in Giappone, un arcano, chiaramente memoria di un’usanza che si trova quasi ovunque nella celebrazione della festa dei morti. Haliburton ipotizzò che ciò derivasse dall’abitudine diffusa di accendere falò durante questa festa, io invece ritengo che anche questi particolari aspetti legati al fuoco abbiano un’origine ancestrale e ci forniscano un indizio chiave, da tener ben presente quando, a breve, esamineremo nel dettaglio le tradizioni dei Maya, svelando il mistero sull’amnesia che affligge l’umanità intera.

    Devo evidenziare come questi ultimi passaggi sottolineino un ulteriore aspetto, che corrobora ancor di più l’ipotesi di una matrice comune, quasi primordiale, alla base di tutte queste similitudini: non solo il periodo e l’oggetto di queste ricorrenze sono gli stessi, ma anche i rituali, le consuetudini, i cerimoniali, sono praticamente identici.

    Prendiamo questo apparente legame che unisce il cibo alla celebrazione dei defunti: esso è, o era, un costume diffuso planetariamente e sempre associato alle celebrazioni dei morti. Per esempio, una vecchia tradizione francese vuole che i parigini, il Giorno dei Morti, pranzassero nei cimiteri sulle tombe dei loro cari, proprio lo stesso giorno in cui i contadini britannici compivano il rito dell’a-souling, durante il quale vagavano, implorando "una torta dell’anima" per tutte le anime cristiane. Questo rituale molto specifico, legato a una torta per onorare i morti, lo ritroviamo nei testi sacri indiani, che prescrivono ai fedeli di offrire una torta consacrata alle anime dei parenti defunti, durante l’autunno⁸.

    Riferimenti simili li ritroviamo in Grecia, nelle usanze degli indigeni dello Yucatan, tra gli scozzesi, i britannici e tra l’altro, i dettagli di questa usanza fanno emergere un ulteriore legame, che scopriremo essere di rilevanza assoluta, in quanto spesso le torte per i defunti erano associate al simbolismo del toro, delle corna o della croce. Un mio lettore, che vive in Madagascar, mi ha confermato che la ricorrenza dei morti, il 2 novembre, viene celebrata con dei banchetti.

    Le similitudini per le celebrazioni dei defunti non si fermano certo qui: che dire, per esempio, del fatto che esse risultino sempre associate alle feste della primavera o del raccolto e coincidano con la data d’inizio anno nei vari e disparati calendari locali? Emergono poi anche altre impressionanti coincidenze, come il fatto che queste celebrazioni durassero esattamente tre giorni, sia per i giapponesi, che per gli indù, gli australiani, gli abitanti delle isole Sandwich, dello Sri Lanka, gli antichi Romani, Persiani, Greci ed Egizi, così come in certe celebrazioni del Nord Europa⁹. La realtà è che in moltissime culture esiste o esisteva l’usanza di commemorare i defunti con tre giorni di tristezza e lutto, spesso denominati dies nefasti e quindi non vi è solo una concomitanza delle celebrazioni, ma anche un’assonanza dei vari rituali, che denota chiaramente una radice comune.

    Direi che è assodato un primo importante punto di partenza di questo lungo viaggio: l’associazione tra rituali e feste, simili in tutto il mondo, con la celebrazione delle ricorrenze per i defunti e dell’inizio dell’anno

    . Fin dai primi riscontri, a seguito delle sue indagini, il brillante ricercatore intuì che qualcosa di grande rilevanza nella storia dell’umanità si celava sotto queste apparenti coincidenze, qualcosa non legato a scambi culturali tra i popoli, alle religioni o che altro, ma di ancestrale, di globale, di profondamente radicato nella memoria delle genti e di tale impatto per tutti i popoli della Terra, da essere rimasto impresso a fuoco nelle loro tradizioni, permeandone il

    dna

    culturale nei millenni:

    «Era evidente che l’uniformità non poteva essere causata o preservata da nessun calendario a noi noto e che il festival doveva essere originariamente regolato da qualche segno o marchio visibile, che la natura aveva impresso nei nostri antenati e nei peruviani»¹⁰.

    Del resto, come si poteva altrimenti giustificare il fatto che i peruviani, gli indù, gli abitanti delle isole del Pacifico, il popolo delle isole Tonga, dello Sri Lanka, gli aborigeni australiani, gli antichi Persiani ed Egizi, le nazioni del Nord Europa, commemorassero tutti i loro defunti o avi all’incirca a inizio novembre?

    La ragione non poteva senz’altro essere legata ai vari calendari solari in essere nelle differenti culture, in primis perché diversi e sfasati tra loro e poi perché spesso dettati dalle attività dell’uomo, piuttosto che da riferimenti assoluti, quali l’orbita del pianeta o eventi cosmici, che segnarono la memoria di ogni popolo della Terra. Haliburton sottolineava questa particolarità, che lo colpì e che risulta evidente dalle sue parole relative ai difettosi anni solari in voga in antichità:

    «Era evidente che questa singolare uniformità non avrebbe mai potuto essere preservata con l’anno solare difettoso, in voga tra le nazioni antiche»¹¹.

    Questo è un punto importante, perché sottintende che, siccome le celebrazioni erano rimaste allineate con grande precisione, tra popoli distanti tra loro e per migliaia di anni, allora doveva necessariamente esserci un marcatore comune, un timekeeper, un metronomo assoluto, che tutti i popoli usavano quale riferimento. Qui ho introdotto un punto complesso, ma importante, in quanto il marcatore temporale, comune a tutte queste culture, doveva essere necessariamente legato a qualche fenomeno fisico, per esempio, un evento cosmico ricorrente e non poteva essere semplicemente un mese di uno dei differenti calendari solari in voga, irrimediabilmente imprecisi nei loro tentativi di seguire il complesso fenomeno della precessione terrestre.

    A questo punto colgo l’occasione per chiarire questo concetto abbastanza complicato, che però riveste un ruolo determinante nell’indagine che ci stiamo accingendo a compiere.

    Fig. 1 Il fenomeno della precessione terrestre.

    La precessione terrestre o degli equinozi è la lenta, impiega poco meno di 26.000 anni a fare un giro completo, rotazione in senso orario dell’asse terrestre.

    Se l’inclinazione dell’asse terrestre è responsabile del ciclo delle stagioni associato ai calendari solari, la precessione fa sì che tale ciclo anticipi un pochino ogni anno. Il tempo necessario alla Terra per ritornare nella stessa posizione relativa rispetto al Sole risulta più breve di quello necessario per ritornare nella stessa posizione orbitale rispetto alle stelle fisse. I calendari siderali, a differenza di quelli solari, sono associati alla posizione orbitale del pianeta.

    Concretamente, ogni anno le stagioni, demarcate da equinozi e solstizi e quindi dalla reciproca posizione di Sole e Terra e non da quella orbitale, anticipano un pochino il loro arrivo, motivo per cui il fenomeno prende il nome di precessione degli equinozi.

    Fig. 2 La precessione degli equinozi.

    In pratica la croce immaginaria formata da equinozi e solstizi, che demarcano le transizioni tra le stagioni, ruota lentamente in senso orario, anticipando ogni anno di una manciata di minuti, un mese ogni poco più di duemila anni e compiendo un ciclo completo in circa 25.772 anni.

    Se il calendario seguisse le orbite del pianeta, a causa della precessione, le stagioni si invertirebbero ogni circa 12.900 anni, con l’estate boreale a dicembre e l’inverno a giugno. Quasi sempre, invece, i calendari adottati dall’uomo si basano sull’anno solare, come nel caso di quello gregoriano o di quello giuliano e quindi tendono a garantire che il Solstizio d’Estate e ogni altro evento stagionale, capitino sempre lo stesso giorno dell’anno, cosa che non succederebbe se si basassero sull’anno siderale. La cosa ha senso perché è la reciproca posizione di Sole e Terra a dettare i ritmi dell’agricoltura, della quantità di luce e calore e quindi della vita stessa e non la posizione orbitale del pianeta. L’uomo ha giustamente sempre tentato di perfezionare i calendari solari, in modo che i vari mesi risultassero sempre allineati alle stagionalità e inoltre, in tempi antichi, ha sempre usato degli orologi solari, come le meridiane, per dettare i ritmi della quotidianità.

    Novembre non poteva quindi essere il riferimento che dettava i tempi di queste celebrazioni, per lo meno nelle culture più recenti, che avevano adottato qualche forma di calendario solare, come, per esempio, quello giuliano o quello gregoriano, che tenevano conto del fenomeno della precessione e che quindi erano allineati alle stagioni, piuttosto che alla posizione orbitale terrestre (calendario siderale).

    Io penso che il riferimento usato per queste ricorrenze dovesse essere assoluto, legato cioè alle orbite degli astri e questo spiegherebbe perché tutte le culture continuarono a celebrarlo contemporaneamente e indipendentemente da quali fossero i loro calendari e mantennero la sincronicità col passare dei millenni. È quindi solo in tempi relativamente recenti, parliamo comunque di millenni, che questo marcatore temporale viene a cadere intorno al mese, che chiamiamo novembre.

    Direi che non fa una piega e mi appare evidente che queste coincidenze celino una verità nascosta, un fattore comune, per lo meno questo è ciò che mi suggeriscono la mia logica e la mia mente, sempre aperte a considerare anche le evidenze non canoniche, quelle troppo spesso rifiutate dalla scienza ufficiale.

    Una delle costellazioni, che sembra essere fin troppo presente, quasi costante, al limite del sospetto, nei miti, nelle religioni e nelle usanze di tantissimi popoli del passato, anche distanti tra di loro e senza apparenti radici comuni, è quella delle Pleiadi.

    Un testo scritto in francese, del 1787, per fortuna ancora disponibile, Traitè de l’astronomie indienne et orientale¹², riporta che, secondo il calendario dei bramini di Tirvalore, una cittadina indiana sulla costa del Coromandel, vicina all’attuale Nagapattinam (un tempo Negapatam), l’anno iniziava in un mese chiamato Cartiguey, ovvero il mese delle Pleiadi e questo sembra corroborare parecchie delle coincidenze finora riscontrate. Oltretutto gli indù, nel mese di ottobre, celebravano la ricorrenza dei defunti per tre giorni, analogamente a quanto facciamo noi.

    Questa associazione tra inizio dell’anno e Pleiadi introduce ovviamente il sospetto che questo gruppo di stelle potesse essere il marcatore assoluto, visibile a tutti i popoli, in grado di sincronizzare le celebrazioni di rituali e ricorrenze. D’altronde questa costellazione riveste da sempre un ruolo importante nello studio delle antiche civiltà, che spesso la raffiguravano nelle loro rappresentazioni artistiche o allineavano le proprie meraviglie architettoniche a essa. Per esempio, questo è il caso della griglia di strade della città degli dèi in Messico, Teotihuacan, che è allineata alla levata eliaca delle Pleiadi nel 150 d.C.¹³

    Prima di approfondire l’analisi di questo nuovo indizio è però importante aggiungere un minimo di contesto sulle avanzate, quanto misteriose conoscenze scientifiche, proprie dell’antica India e per farlo vi riporto alcuni brani di un testo del 1793, un periodico scritto in un italiano antico ed edito nella Toscana del granduca Ferdinando III, che a mio parere annichiliscono ogni tentativo di difendere la scomoda storia accademica, che ci viene insegnata ai nostri giorni. Prima di leggere queste parole, si consiglia di sedersi e reggersi ai braccioli della sedia:

    «Rapporto alla fisica principia il dottor Robertson le sue prove di quanto avanzati vi fosser gl’indiani dal far veder lo stato della loro Arimmetica, che egli a ragion riconosce per base necessaria per estender le nostre cognizioni nelle matematiche, nella meccanica, nella astronomia. Osserva egli, che quando i Greci e i Romani avevano il metodo d’indicare i numeri con lettere dell’alfabeto, che render dovevan necessariamente le calcolazioni arimmetiche faticose e tediose, gli indiani da tempo immemorabile impiegavan per l’istesso uso le dieci cifre, o figure ora conosciute universalmente, e già facevan per mezzo loro colla maggior facilità e speditezza qualunque operazione arimmetica. L’Europa deve questo metodo semplice e sicuro agli arabi, che furon sinceri assai da confessare che imparato l’avevano nell’India [...] Altre Tavole (astronomiche) vennero in seguito, di epoca posteriore, eccettuate quelle pubblicate da M. le Gentil, che sono le più curiose e caratteristiche di tutte, e che egli ebbe da un dotto bramino di Tirvalore, piccola città sulla costa del Coromandel, 12 miglia in circa all’Occidente di Negapatam. L’epoca di queste Tavole è di alta antichità, poiché coincide col principio della cel. Era del Calyougham o Collee Iogue, che principiò secondo i calcoli indiani 3.102 anni avanti la nascita di Cristo, che è la quarta della loro stravagante cronologia, che dura ancora e che durar deve a parer loro quattrocento mila anni. Rapporto a queste Tavole gli astronomi francesi dissero che il movimento dei corpi celesti, e più particolarmente la loro situazione al principio delle diverse epoche, a cui esse si riferiscono, è assicurata con gran precisione e accuratezza; e molti degli elementi dei loro calcoli, in ispecie per età rimotissime, sono verificati da una maravigliosa coincidenza colle Tavole della moderna astronomia di Europa, quando aumentata dalle ultime più esatte deduzioni dalla teoria della gravitazione. Il nostro A. fa osservare che sebbene al presente i bramini compongano un almanacco con predizioni astronomiche esatte dei più importanti fenomeni del cielo, come la Luna nuova e la piena, le eclissi del Sole e della Luna, e mostrino di esser guidati nei loro calcoli da una scienza di genere superiore, pure essi più non sanno di questa i principi e le teorie; sanno essi l’uso delle Tavole che possiedono, ma non conoscono il metodo della loro costruzione. Noi non seguiteremo il dott. Robertson nel dare, come egli fa, un’idea di queste Tavole già cognite a quelli periti nell’astronomia e inutili per quelli che non la conoscono. Concluderemo soltanto, che obbligati come noi siamo ad accordare che gl’indiani avendovi fatti progressi tali da poter fare osservazioni giuste e importanti in circa 4.890 anni sono, noi dobbiamo quasi per necessità supporre che molti secoli prima di quell’epoca fosser precorsi, perché una grande e numerosa nazione potesse giungere a gradi a quel raffinamento e coltura, che sembra aver essi posseduta. Queste riflessioni (dice il nostro Amico M. Crawford, basato per vari anni e con molta intelligenza al governo di Madras), ci conducon tanto indietro nell’abisso del tempo, che mentre noi siam perduti nella contemplazione della decorsa durata del nostro sistema, ci troviamo in grado di dimenticare le opinioni generalmente adottate riguardo alla creazione del mondo e alla storia»¹⁴.

    Quali migliori righe potevano confermare quella che è stata una conclusione di Prima di noi: l’esistenza di una civiltà avanzatissima, che ci ha preceduto molte migliaia di anni fa, le cui vestigia del sapere perduto costituiscono le basi della nostra conoscenza attuale. Faccio inoltre notare che anche i dotti bramini, già cinquemila anni fa, soffrivano della stessa amnesia di cui è affetta l’umanità, evidenza inequivocabile che la sua origine andava ancora parecchio indietro nel tempo.

    In relazione alla nostra indagine su quale possa essere stato questo marcatore temporale, usato per mantenere la sincronicità delle celebrazioni dei defunti in tutto il mondo, le righe appena riportate ci forniscono quindi un dato molto importante, che occorrerà tener ben presente: si tratta di conoscenze e tradizioni che «ci conducon tanto indietro nell’abisso del tempo» e non è difficile ipotizzare si possa parlare di diecimila anni fa.

    Bailly, l’autore di Traitè de l’astronomie indienne et orientale, relativamente all’associazione tra inizio dell’anno, le Pleiadi e il mese di Cartiguey, ebbe modo di fare una riflessione determinante per il prosieguo delle ricerche:

    «Si riconosce che gli indiani devono aver osservato l’ascesa delle Pleiadi e se ne sono serviti per marcare i loro anni e mesi; la costellazione si chiama anche Cartiguey. Ma hanno anche un mese che porta lo stesso nome; questa associazione poteva avvenire solo perché il periodo di quel mese era stato annunciato dal sorgere o il tramontare della costellazione»¹⁵.

    Nel Siam, l’odierna Tailandia, esistevano due calendari, uno solare e uno astrologico. Il primo iniziava con il mese di Cartiguey e quello astronomico col sesto mese dopo di esso, chiamato Sittirey¹⁶.

    «D. Cassini ha scoperto che questo anno solare inizia sempre prima del Solstizio d’Inverno, a volte a novembre e a volte a dicembre dell’anno gregoriano. Attraverso ulteriori ricerche, frutto del confronto di diverse date siamesi, ha visto che quest’anno deve iniziare con la Luna nuova che si svolge tra il 12 novembre e il 12 dicembre, il mese dei bramini di Tirvalour, che risponde al nostro novembre è il mese di Cartiguey. Bagavadam si esprime in modo coerente con questa fissazione dell’inizio dell’anno nel mese di Cartiguey e il Solstizio d’Inverno. Si dice espressamente: "è il Sole che provoca la misurazione dei tempi secondo il suo corso da Nord a Sud, e da Sud a Nord all’inizio del mese Cartiguey»¹⁷.

    Caspita, questa sì che è una rivelazione! Il mese che porta il nome delle Pleiadi corrisponde all’attuale novembre, il periodo in cui ricorre la festa dei defunti. Cominciate anche voi a pensare che questi indizi debbano essere considerati come evidenze solide e vadano accantonate le ipotesi che siano solo fortuite coincidenze? Haliburton ipotizzò di conseguenza quali potessero essere i precisi marcatori astrali presi a riferimento fin dall’antichità, identificandoli nella levata o nel tramonto della costellazione delle Pleiadi e qui occorre fare alcune precisazioni.

    Molte stelle e corpi celesti subiscono periodi di invisibilità quando il Sole è troppo vicino all’ipotetica linea ottica che li congiunge alla Terra. Questi periodi di invisibilità sono delimitati dalle date della levata eliaca, in cui l’astro viene avvistato per la prima volta poco prima dell’alba e del tramonto eliaco, quando la stella diventa invisibile, perché nascosta dal Sole¹⁸. È importante descrivere brevemente alcuni di questi concetti astronomici per comprendere i prossimi passaggi:

    La levata eliaca avviene quanto una stella torna visibile al mattino presto, poco prima dell’alba, dopo che è stata nascosta dietro il Sole che, a causa dell’orbita terrestre, si frapponeva tra la Terra e l’astro. Quel giorno la stella diventa visibile per un attimo, appena prima dell’alba, per poi essere di nuovo nascosta dalla luce abbagliante del Sole. Ogni giorno che segue la levata eliaca, la stella sorgerà sempre un pochino prima.

    La levata acronica è il sorgere a Est di un corpo celeste al momento del tramonto del Sole.

    Il tramonto acronico è il tramontare di un astro all’orizzonte occidentale nello stesso istante in cui sorge il Sole.

    Il tramonto eliaco è il tramontare di un astro all’orizzonte occidentale nello stesso istante in cui tramonta il Sole. Un astro, al suo tramonto cosmico, è sempre invisibile, a causa della luce solare.

    Le levate eliache, in particolare, erano parecchio precise, in grado di marcare un singolo giorno e sono state utilizzate da molte differenti civiltà antiche per segnare eventi specifici, come la stagione di siccità, il tempo di semina, rituali e celebrazioni¹⁹. Fu, infatti, questo il marcatore inizialmente ipotizzato da Haliburton, ma risultò immediatamente chiaro come esso contrastasse nettamente con l’attuale levata eliaca delle Pleiadi nel mese di giugno, chiaramente sfasata rispetto alle celebrazioni della ricorrenza dei defunti nel mese di novembre.

    Inoltre, nelle culture dell’emisfero Nord, questa costellazione era associata alla primavera e non all’autunno e al mese di novembre. Anche tornando parecchio indietro nel tempo, di un paio di migliaia di anni, la levata mattutina di questa costellazione cadeva comunque a metà maggio, in primavera e non di certo in autunno e infatti, era presente ovunque la sua associazione con la stagione in cui fiorisce la natura. Nelle Georgiche, Virgilio metteva in guardia il contadino dal seminare il grano prima dell’epoca del tramonto delle Pleiadi nel mese di maggio e nel mondo latino le Pleiadi erano chiamate Vergiliae o Sidus vergiliarum, Le stelle della primavera.

    È interessante notare una coincidenza, l’ennesima: per gli abitanti delle isole Salomone le Pleiadi erano Togo ni samu, la "Compagnia di Vergini"²⁰.

    Altre culture, orientali esprimevano la stessa associazione, chiamandole Stelle dell’abbondanza o Stelle della stagione dei fiori, essenzialmente a causa del fatto che il loro sorgere eliaco avveniva in primavera, a maggio, durante il mese della fioritura. Perfino le scritture buddiste riportano un riferimento, che parrebbe collegarsi alle Pleiadi, quando si dice che la nascita del sacro bambino fu profetizzata nel periodo «quando la stella del fiore brilla a est»: Buddha nacque, nel 563 a.C., a metà maggio, in un giardino, proprio in coincidenza con la levata eliaca della costellazione del Cartaguey, difficile si tratti di una coincidenza²¹.

    Anche riportando le lancette dell’orologio indietro di cinquemila anni, la levata eliaca delle Pleiadi cadeva a inizio aprile e quindi non spiegava la loro associazione con l’autunno e il mese di novembre.

    In realtà, analizzando con attenzione i molti riferimenti alle Pleiadi come marcatore astronomico, utilizzato in epoche remote da tutti i popoli della Terra, si evince come una delle ragioni fosse la loro grande visibilità nel cielo notturno. Sembrerebbe quindi emergere un possibile legame con la notte, piuttosto che con l’alba e la levata eliaca e infatti, troviamo un’ulteriore conferma di questa intuizione nella mitologia greca. Le Pleiadi erano le Hesperides, le sette sorelle, figlie di Atlante e di Pleione, associate alle ninfe della sera e alla luce dorata del tramonto.

    Perdonatemi, ma davvero la mia mente malata non riesce di astenersi dal far notare come le Pleiadi, le figlie di Atlante, le "Atlantidi", siano un’altra coincidenza che lega questa costellazione, i rituali a essa associati, con la grande catastrofe che colpì l’Atlantide mitologica, forse la stessa che conosciamo come il mito del diluvio universale. Atlante, nella mitologia

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