Dreamfighers - Vol III: Il Gorgo dei dannati
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Anteprima del libro
Dreamfighers - Vol III - Sara Marcante
28
Capitolo 1
Il Principe si era risvegliato. Dopo diciotto anni il signore e custode della Dimensione Onirica, forse il peggior vampiro dopo il Nero, era tornato. Ambra e Sharif erano dovuti partire da Roma prima del previsto: Marco li aveva cacciati, dalla sua casa e dalla sua vita; ormai era il nemico.
Adesso però dovevano tornare alla fontana di Trevi. Se c’era un posto nella Dimensione Onirica dove poteva essere rinchiuso la Sorgente, era quella grotta. Najla l’aveva chiamata ‘il gorgo dei dannati’: una sorta di girone infernale, una prigione. La loro ultima speranza.
Bisognava inventare una scusa per tornare a Roma; Ambra aveva detto a sua madre di aver litigato con Marco, adesso cosa poteva raccontare? A toglierla dall’impiccio ci pensò Laura, la sua compagna di classe, con un messaggio sul gruppo femminile:
Laura:
Vado a Roma per una gara di ritmica, domenica. Chi viene a fare il tifo? Ho due posti in macchina e abbiamo preso in affitto un appartamento con cinque posti letto!
Ambra:
Io ci sono. Giulia, vieni anche tu?
Giulia:
Mia mamma non vuole.
Invece lei aveva un disperato bisogno di Giulia: era l’unica amica che poteva capirla, magari aiutarla… Dovevano convincere Sandra. Ci volle un po’ ma alla fine la mamma di Giulia cedette, borbottando che in fondo erano solo due giorni…
Appena arrivate a Roma andarono subito al Palazzetto dello Sport, accompagnando Laura agli allenamenti. Ambra e Giulia rimasero una buona mezz’ora a guardare l’amica che provava e riprovava i suoi esercizi. Per un po’ fecero anche finta di essere interessate:
«Com’è brava!»
«Hai visto come fa la spaccata? Se la faccio io mi apro in due!»
«Anche le sue compagne sono brave!»
«Eh sì…»
«Già.»
«Quanto dura ancora ‘sto allenamento?»
Il telefono di Ambra si mise a vibrare. Era Sharif.
«Allora? Volete stare tutto il pomeriggio al chiuso? C’è un bel sole qui fuori!»
«Ma dove sei?»
«Sono ai giardinetti fuori dal Palazzetto.»
«Arriviamo!»
Ottenuto il permesso dai genitori di Laura, raggiunsero l’amico. Con lui c’erano Giacomo e una splendida ragazza dai capelli neri lunghissimi.
Ambra presentò Giulia a Giacomo, poi fissò la ragazza con sguardo interrogativo. Non avrebbe dovuto, eppure un pochino era gelosa.
«Piacere, sono Nahid,» si presentò lei.
«Ah, la sorella di Sharif!» esclamò Ambra con un sospirone. Iniziò a ridere da sola, poi si accorse che Giacomo si teneva in disparte, con un viso scuro e preoccupato.
«Che c’è, Giacomo?» gli domandò. «Notizie di Mattia?»
«Sempre uguale,» bofonchiò lui. Continuava a fissare Giulia e a mandare ad Ambra delle strane occhiate, come se lei avesse dovuto capire al volo qualcosa…
Finalmente Ambra colse l’imbarazzo dell’amico.
«Ah,» esclamò, «non preoccuparti per Giulia. Lei sa…»
«Vuoi dire che è dei nostri?» si stupì Nahid.
«No, voglio dire che le ho spifferato tutto! Lo so, non avrei dovuto ma ormai la frittata è fatta.»
«Lui la ucciderà…» borbottò Giacomo sempre più scuro in volto.
«Chi?» domandò Ambra, stringendo la mano dell’amica, che taceva imbarazzata.
«Il Principe.»
«Marco? Non credo proprio. Avrà anche ricordato chi era ma non può essere diventato cattivo tutto di colpo.»
«Non capisci: lui è il Signore della Dimensione Onirica, il Guardiano, il Giudice. E deve punire chi trasgredisce il Codice.»
«E questo chi te l’ha detto?»
«Lui stesso.»
«Lo hai visto di nuovo?»
«Sono il suo nuovo aiutante.» Lo disse senza orgoglio, come se fosse un peso.
Ambra incrociò le braccia e lo fissò con aria disgustata.
«Sei… cosa?»
«Martedì notte sono uscito sul mio terrazzo. Giusto per guardare fuori, non avevo intenzione di andare in giro. A un certo punto ho visto il Legionario in strada, proprio sotto casa mia. Sono sceso e quando mi sono avvicinato ha cambiato aspetto: indossava una sorta di frac, con una camicia lilla dal colletto strano, e un mantello nero dalle sfumature violacee. I capelli gli sono diventati neri e anche gli occhi. Ah, anche le unghie. Appuntite, lunghe e nere, come orrendi artigli. Mi ha detto: «Ciao piccoletto» e non potete immaginare quello che gli spuntava dalla bocca: canini lunghi e aguzzi come… come un vampiro!»
«Il Principe è un vampiro!» lo interruppe Sharif.
«Comunque, mi ha confidato di aver bisogno di un aiutante e gli ho risposto che non lo avrei mai aiutato a fare del male, così mi ha promesso che finché fossi stato con lui non avrebbe ucciso nessuno. Poi mi ha detto che non poteva farsi vedere in giro con una palla di lardo rosa e che dovevo cambiare aspetto.»
«In cosa ti sei trasformato?» Giulia era eccitatissima.
«Niente. Per quanto mi sforzassi, non sono riuscito a diventare niente di diverso da un pacioccoso porcellino rosa. Lui stava diventando isterico, diceva che non sarebbe stato credibile. Così ha preso il suo bastone, un bastone nero con un rubino color sangue che faceva da pomello, e ha iniziato a darmelo in testa.»
«Ma che str…» esclamò Ambra.
«Sì,» continuò Giacomo. «Sembrava che gli venisse da ridere, però almeno a ogni colpo cambiavo colore. Dopo aver provato tutte le sfumature dell’arcobaleno e avermi riempito di bernoccoli, finalmente è riuscito a farmi diventare nero.»
«Un mostro nero?» domandò Giulia, che non riusciva proprio a immaginarselo.
«No,» Giacomo sorrise imbarazzato. «Sono rimasto sempre un piccolo porcellino rotondo poco più grande di un pallone di calcio. Però nero.»
«E così gli andavi bene?»
«Credo di sì. Ha smesso di darmi bastonate e mi ha fissato compiaciuto. O almeno meno disgustato di prima.»
«Questo dimostra che è proprio Marco!» concluse Sharif con un sospiro. «Che avete fatto, poi?»
«Mi ha chiesto di tornare a Castel Sant’Angelo, ma siamo rimasti piuttosto lontani dal ponte. Siamo anche andati un po’ in giro per i sogni, ma non ha fatto nulla di ‘strano’.»
Rimase in silenzio qualche istante, poi aggiunse:
«Siete venuti qui per qualcosa? Pensate di uscire, stanotte?»
Ambra stava per parlare, ma Sharif la anticipò:
«No, io dovevo fare una cosa con mia sorella e Ambra ha accompagnato un’amica a una gara. E poi, non credo che Marco, cioè il Principe, vorrà vederci. Tu comunque non dirgli che siamo qui, per favore.»
Giacomo annuì, poi li accompagnò a prendere un gelato.
La casa presa in affitto per la notte dai genitori di Laura era un grande appartamento vicino al palazzetto. Per fortuna Laura doveva alzarsi presto per la gara, così prima delle undici erano già a letto.
Dragonfly uscì dalla finestra, tremando di paura. Sharif le aveva spiegato di seguire la via Flaminia e di andare sempre dritta, così sarebbe arrivata alla fontana di Trevi. Sì, ma qual era la via Flaminia?
La libellula cominciò a zampettare avanti e indietro sul davanzale, indecisa su quale direzione prendere, quando una voce squillante la fece spaventare:
«Ti sei decisa a uscire, finalmente!»
Il falco la stava aspettando, appollaiato su un ramo poco distante.
«Uff,» fece lei con un sospiro di sollievo, «Giulia e Laura non la smettevano più di chiacchierare! Fai strada, Lupo. Io ti seguo!»
Volarono silenziosi, sopra ai tetti, radenti ai muri, cercando di seguire la direzione che avevano visto sulla mappa. Anche Roma, come la loro città, era assai diversa nella Dimensione Onirica e qua e là apparivano immagini dei tempi passati, come vecchi film in bianco e nero proiettati sui muri delle case. Una città popolata da vampiri e fantasmi.
La Fontana di Trevi, con la sua luce e il ritmico, delicato sciabordio dell’acqua, sembrava un’oasi di pace; difficile pensare che celasse un girone dell’inferno. Il falco si infilò nell’apertura in cui erano entrati la settimana prima, ma si arrestò dopo pochi passi:
«Qui non si va da nessun parte!» esclamò sorpreso e deluso.
«Avrai sbagliato grotta!»
«No, è quella giusta. Vieni qui a far luce con i tuoi occhietti led.»
Dragonfly, gongolante, lo oltrepassò saltellando, facendo debolmente luce.
«È vero, non c’è niente. No, guarda, di qui si passa!»
Davanti alla piccola libellula dagli occhi blu, le pareti della grotta parevano aprirsi, sviluppandosi in un lungo e tortuoso budello che scendeva sotto la fontana per sbucare ancora nella grande caverna.
«Hai visto?» sussurrò Dragonfly. «E tu che dicevi che non ho senso dell’orientamento!»
Lupo non rispose. Aveva visto fin troppo bene il cunicolo che si apriva davanti agli occhi della libellula. Ecco perché nonna Najla non aveva mai trovato quel posto: solo la Fenice poteva svelarne il passaggio. Uno dei tanti poteri misteriosi della ragazza, di cui Lupo cominciava ad avere un po’ paura. Entrò nella grotta e si trasformò in lupo.
Dragonfly volò sulla superficie del lago e lo sorvolò per un pezzo, almeno la parte che non era ricoperta dalla nebbia, che era così fitta da non farne vedere i confini. Sotto la superficie lucida e immobile si intravedevano le sagome sfuggenti di quelle creature.
Una di queste, con il corpo grigio scuro ricoperto di venature verdastre, si avvicinò alla superficie.
«Ambra, attenta!»
Lei rimase ferma, in volo, a pochi centimetri dall’acqua. Adesso poteva vedere distintamente quella creatura, sempre più vicina… L’essere allungò il braccio verso di lei e Dragonfly con un urlo si sollevò più in alto. La creatura raggiuse la superficie e vi si appoggiò, come se fosse una lastra di vetro: non poteva uscire.
Dragonfly volò da Lupo:
«Ti ha quasi presa!» si arrabbiò lui. «Non devi andare così vicino! Io non riesco a volare a mezz’aria come fai tu e non potrei aiutarti!»
«Non capisci! Loro non possono uscire, sono prigionieri del lago come se fosse un enorme acquario.»
«Hai visto che faccia aveva?» domandò Lupo.
«Non ce l’aveva...»
«Come?»
«Non sono esseri umani, Lupo. Sono delle specie di … calamari. Hanno una testa pelata, con solo qualche… boh, lamella fluttuante. E poi non hanno la faccia! Solo delle gobbette al posto degli occhi e una piccola cunetta al posto del naso. Non ho visto nemmeno la bocca e anche il corpo sembra liscio, con delle venature verdi che formano degli strani disegni. Ma la cosa più incredibile sono le braccia e le gambe: al posto di mani e piedi hanno una serie di piccoli tentacoli che si muovono in continuazione.»
Lupo si avvicinò alla superficie e la toccò con la zampa. Sembrava davvero vetro.
«Hai ragione,» esclamò sconsolato, «è una superficie impenetrabile. Loro non possono scappare e noi non possiamo entrare. Come faremo a cercare mio nonno? O Alexander?»
«E se anche ci riuscissimo, come faremo a riconoscerli?» continuò Dragonfly. «Non sappiamo nemmeno che aspetto abbiano!»
«Mio nonno era chiamato ‘il Sultano’ e la nonna mi raccontava che aveva l’aspetto di un ricco sultano arabo, con un elegante kaftano bianco stretto da una fascia color oro in vita, un turbante bianco e una gigantesca scimitarra d’oro. Alexander invece indossava un completo grigio chiaro, oppure altre volte blu, con una marsina, cioè una giacca dalle lunghe code, e sotto un panciotto più scuro e una camicia bianca, oltre a un fazzoletto da collo che sembra cambiasse forma ogni notte, sempre elegante e ricercato, arricchito da uno spillone con un grosso zaffiro. Portava pantaloni attillati e stivali lucidi. Ah, aveva anche un cappello a cilindro e guanti bianchi. Non so perché fosse chiamato ‘il Dottore’…»
«Due tipi alla moda, insomma!» rise Dragonfly.
«Per l’epoca sì,» ammise Lupo. «Oggi sarebbero un po’ ridicoli!»
«Quasi come il Legionario…» aggiunse Dragonfly, e subito si rattristò. Anche lui adesso le sembrava solo un vecchio ricordo di tempi lontani. Si alzò in volo per scacciare il magone che sentiva crescerle dentro e tornò sopra il lago. Volare a pelo d’acqua era piacevole, rilassante.
Si accorse di un’ombra scura sotto di sé e si fermò. La creatura continuava a toccare l’acqua, come dietro una finestra.
«Oh oh, sono qui!» la derise Dragonfly. «Adesso ti cammino sulla faccia!»
Si posò sull’acqua pensando di camminarci sopra, ma fatti pochi centimetri l’acqua si increspò leggermente e lei avvertì le zampe che affondavano. Provò a rialzarsi in volo ma i lunghi tentacoli di quella mano sbucarono dall’acqua e l’avvolsero, trascinandola sotto.
Capiolo 2
Veloce e furtivo, quella sorta di uomo calamaro si immerse, nascondendosi in mezzo alle alghe con la piccola libellula. Aveva una dozzina di tentacoli su ogni braccio, simili a quelli delle meduse e privi di ventose. Erano però appiccicosi e Dragonfly non poteva liberarsi.
Drago, drago, drago!
pensò, ma non riusciva a trasformarsi.
La creatura la avvicinò alla bocca, o almeno alla parte del volto in cui ci sarebbe dovuta essere una bocca. La pelle parve spaccarsi in tante fessure verticali, dietro le quali si intravedeva una cavità scura e due file di denti sottilissimi come i fanoni delle balene.
Dragonfly urlò e sott’acqua il suo grido acuto si tramutò in una vibrazione sgraziata spaventando l’uomo calamaro, che si arrestò per un istante. Superata la sorpresa, scosse la testa facendo