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Dreamfighters - Vol. II: Il ritorno del Principe
Dreamfighters - Vol. II: Il ritorno del Principe
Dreamfighters - Vol. II: Il ritorno del Principe
E-book161 pagine2 ore

Dreamfighters - Vol. II: Il ritorno del Principe

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Info su questo ebook

Non è bastato vincere. Ambra e i suoi amici sono ancora lì, notte dopo notte, a vagare nelle Lande Oniriche in cerca di avventure mentre il Legionario, sempre più tormentato da visioni e premonizioni e disperatamente alla ricerca della sua vera identità, è braccato dal Nero, che minaccia l’umanità intera. La loro unica speranza sembra essere un’improbabile alleanza con il vampiro chiamato il Principe, custode della Dimensione Onirica, e con i suoi seguaci. Nonna Najla intanto cerca di rimettere insieme quel che resta dei fedelissimi della Sorgente, l’unico cacciatore in grado di spezzare la maledizione.
LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2020
ISBN9788835360407
Dreamfighters - Vol. II: Il ritorno del Principe

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    Anteprima del libro

    Dreamfighters - Vol. II - Sara Marcante

    22

    Capitolo 1

    Ambra uscì da scuola e si guardò intorno: visi sorridenti, risate e abbracci dopo la fatica degli esami di settembre. Anche lei era soddisfatta, ma non osava esultare e nemmeno sorridere: tornare al liceo l’aveva costretta a ricordare Conny. Le pareva che da un momento all’altro l’amica potesse comparire da dietro un albero, o uscire dalla porta. Sentì una morsa allo stomaco.

    Improvvisamente divenne tutto buio. Due mani calde erano calate davanti ai suoi occhi come un sipario.

    «Sharif… Scemo!» Rise, finalmente. Quel contatto, il buio improvviso, il profumo inconfondibile del ragazzo fecero svanire il fantasma di Conny insieme a quel senso di colpa che continuava a pesarle sul cuore.

    «Allora?» domandò lui saltellando. Indossava una maglietta bianca con scritto ‘New York’, che metteva in risalto la sua abbronzatura.

    «Andata…» sbuffò lei. «E a te?»

    «Fatto ieri… Otto nello scritto e sette nell’orale! Almeno credo, i risultati ufficiali ci saranno solo venerdì…»

    Si abbracciarono stretti. Ambra appoggiò la testa sulla spalla dell’amico e cominciò a piangere. Aveva bisogno di sfogarsi, di lavare via il dolore. Adesso la morte dell’amica, il cinque in inglese e l’estate passata sui libri cominciavano a prendere il loro posto fra i ricordi: dolorosi, certo, ma passati. Tirò su col naso e pensò che dopo qualche giorno sarebbe ricominciata la scuola, avrebbe ripreso a uscire con Giulia, Laura e le altre amiche Magari avrebbe anche ripreso a sognare…

    Sharif la prese per mano e si diressero verso i cancelli. Marco era seduto su una panchina e fissava il ponte. I capelli, corti e bianchissimi, sbucavano da sotto un berretto rosso. Faceva caldo, sul lastricata davanti ai cancelli della scuola e le giovani piante nelle aiuole erano troppo piccole e troppo distanti dalle panchine per fare un’ombra decente, eppure Marco sembrava non farci caso, assorto come sempre nei suoi pensieri.

    «Com’è andato l’esame di latino?» domandò Ambra sedendosi accanto a lui.

    L’amico, senza parlare, sollevò le mani mostrando loro i palmi aperti e continuando a fissare il ponte.

    «Stai bene?» si stupì lei.

    Lui si voltò finalmente a fissarla, sgranò i suoi freddi occhi celesti e agitò leggermente le mani.

    Ambra sbatté gli occhioni verdi scuotendo la testa. Anche Sharif non capiva.

    «Ho preso dieci…» sussurrò Marco, ancora incredulo, osservandosi le mani.

    «Uaaa!» esclamò sottovoce Ambra. Le sembrava una notizia grandiosa e non capiva perché l’amico ne parlasse con tutto quel riserbo, come se dovesse restare un segreto.

    «L’hai detto a tuo padre?» domandò Sharif. «Così almeno non ti ammazza…»

    Marco scosse la testa:

    «No… Il fatto è che… mi è successa una cosa strana… Ho fatto una cosa strana…»

    «Non avrai mica insultato la Missori?» si preoccupò Sharif. «Quella ti boccia anche se hai preso dieci!»

    «No, non proprio… È solo che all’orale mi ha chiesto di dire quello che ricordavo su Terenzio e io… ho iniziato a parlare… del messaggio morale, l’educazione dei figli… Lei mi fissava con la bocca aperta, in silenzio. Sentivo i miei compagni che commentavano, ma non li capivo. Solo dopo parecchi minuti mi sono reso conto che stavo parlando in latino!»

    «In latino!» esclamò Sharif. «E la Missori cosa ti ha detto?»

    «Ha iniziato a chiamarmi e gesticolava con le mani per interrompermi. A quel punto è come se mi fossi svegliato da un sogno. Ma io non sogno! Solo allora sono riuscito di nuovo a esprimermi in italiano. Lei si è messa a ridere, ha pensato che forse avevo studiato troppo. Ha detto che poteva bastare e che mi avrebbe dato dieci, poi mi ha consigliato di andare a mangiare qualcosa. Mi sono alzato e stavo per uscire, ma sono tornato sui miei passi, l’ho fissata dritta negli occhi e le ho detto che avevo passato ogni singolo giorno a studiare, ogni minuto, senza andare in vacanza, al mare, in montagna, nemmeno in piscina, con mio padre che tutte le sere mi chiedeva se avevo studiato e mi ripeteva che se fossi stato bocciato sarei andato a lavorare, che sarei andato fuori di casa, che non potevo passare tutta la mia vita in terza liceo…»

    «Ahi…»

    «La cosa pazzesca è che anche questo… gliel’ho detto in latino!»

    «E poi?» Ambra si stava mangiucchiando le dita.

    «E poi mi sono voltato e sono scappato fuori dall’aula… Adesso quella mi boccia e mio padre mi ammazza!»

    «Ruffoli!»

    La voce della professoressa di latino li fece saltare tutti e tre.

    «Ahi ahi ahi,» continuava a lamentarsi Sharif, come se si fosse fatto male.

    «’Giorno prof…» la salutarono in coro, imbarazzati.

    «Marco,» esclamò lei piegandosi per fissarlo negli occhi, «ora tu vai a casa, dici a tuo padre che sei stato promosso e che io gli ordino, ripeto gli ordino, di portarti in vacanza fino all’inizio della scuola!»

    «Deve lavorare…»

    «Si prenda ferie, si metta in malattia o dica al suo capo che è stato rapito dagli alieni! Ma tu non rientri a scuola se non ti sei disintossicato da tutto quel latino! Non voglio un Cicerone in classe! Non ho nemmeno capito tutto quello che hai detto…»

    «Non… non sono sicuro nemmeno io di quello che ho detto…» balbettò il ragazzo, come a scusarsi.

    «Ecco, vedi? Sei esaurito! Quindi riposati, stai lontano dai libri per i prossimi sette giorni e torna riposato e abbronzato. Sei così bianco che sembri un vampiro!»

    «Eh!?» Marco sobbalzò sulla panchina, tanto che il cappellino gli cadde, mettendo in risalto la chioma candida e i capelli ispidi e ritti come setole di una spazzola.

    L’insegnante gli diede un pizzicotto sulla guancia.

    «Un po’ di colore qui! Capito?»

    Lui si tirò lo zaino sulle ginocchia e lo abbracciò, annuendo poco convinto.

    «Ha detto che sembro un vampiro…» borbottò mentre attraversavano il ponte sotto il sole cocente di mezzogiorno. «Parlo in latino, mi sento strano… Che mi sta succedendo?»

    «Hai sentito la Missori: sei esaurito!» ridacchio Sharif. «È tutta estate che studi latino, ti sei latinizzato…»

    Ambra rise:

    «Pensa che io per studiare inglese ho guardato tutta estate i cartoni di Peppa Pig! E adesso…» tirò sul con il naso, facendo due o tre volte un orrendo verso da maiale.

    «Io invece parlo matematichese…» aggiunse Sharif.

    Marco finalmente sorrise e si fermò, quasi alla fine del ponte. Si voltò a osservare le macchine che correvano sotto di loro, massaggiandosi una gamba.

    «Ti fa ancora male?» si preoccupò Ambra. «Zoppichi…»

    «Male, no. Solo… la sento ancora strana.»

    Sollevò il pantalone, mostrando un tatuaggio a forma di edera che saliva dalla caviglia per poi dividersi in due rami che si congiungevano dietro il polpaccio, proprio sotto al ginocchio.

    «Così non si vede la cicatrice…»

    «L’edera… è per Conny?» domandò Sharif posandogli una mano sulla spalla.

    Marco annuì, tirò gli spallacci dello zaino e riprese a camminare. Quel gesto parve infondergli una carica di energia, perché accelerò il passo e accennò un sorriso, mentre strizzava gli occhi per la luce, o forse per focalizzare meglio qualche stramba idea che gli stava passando per la testa.

    «Questa notte usciamo!» esclamò.

    «Pizza? Bar? Cinema?» Propose Sharif. «Lo sai che ho fatto la patente, a luglio?»

    Lui scosse la testa:

    «Andiamo a caccia!»

    Dal diario di Marco:

    "Sono un guerriero, un codardo o un pazzo?

    O forse solo un vampiro che non ha più nulla da succhiare

    e si consuma in un’eterna agonia.

    So solo ciò che non sono:

    non sono un diciassettenne che straripa di vita

    e sogna un futuro grandioso.

    Sono tutto sbagliato."

    Capitolo 2

    La libellula sbucò dal corpo addormentato di Ambra ai primi rintocchi della mezzanotte. Era agitata: aveva festeggiato la promozione e tirato tardi, e poi non era più abituata a uscire. Aveva passato l’estate chiusa nella soffice e ovattata polvere del guscio corporale, sperando che il tempo avrebbe fatto smettere quella cosa. Non sapeva nemmeno dare un nome all’abilità di entrare nei sogni degli altri, di volare, di trasformarsi, di succhiare l’energia degli altri riducendo vampiri, animali e multiforme a cartocci di carta velina… Era un dono, un grandioso potere o una maledizione da cui non poteva più sottrarsi?

    Dopo quattro mesi era ancora lì, era ancora Dragonfly, con i suoi grandi occhi a palla e le sue ali luccicanti, e la dimensione onirica era sempre zuccherina e tranquilla. Almeno in casa sua.

    Uscì dalla finestra e ronzò fino al terrazzo di Granmarco. Il Legionario era appoggiato al muro e osservava l’amico falco che volava.

    Dragonfly si posò sul parapetto e fissò il giovane cacciatore: i capelli ricci e biondi erano mossi come se ci fosse vento, l’uniforme chiara sembrava appena uscita dalla tintoria e quegli occhi azzurri parevano fari nella notte. Era così diverso da Marco, anche come carattere, eppure gli somigliava tantissimo.

    «Quando il falco vola alto, le anatre starnazzano…» sentenziò lui, come sempre senza guardarla.

    «È un detto latino?» si stupì Dragonfly.

    «No. Me lo sono inventato adesso…»

    «E… dove sarebbero le anatre?»

    «Nella mia testa.»

    «Oh, beh… Io a volte ho le farfalle nello stomaco…»

    Granmarco rise. Rise così tanto che gli cadde il cappello. Come sempre, del resto.

    «Ma dai! Una libellula con le farfalle nello stomaco!»

    Dragonfly cercò di ridere, ma riuscì solo a emettere dei fischi sgraziati, poi le venne il singhiozzo e cominciò a sobbalzare. Il Legionario dovette sedersi e tenersi la pancia.

    «Oddio… Adesso muoio…» bisbigliò lui abbracciandosi le ginocchia.

    «Sì, dai, -HIC-, così la smetti di prendermi in -HIC- giro…»

    Il falco atterrò proprio in quel momento sul parapetto e li fissò esterrefatto, con il becco aperto.

    «Che c’è da ridere a quel modo?»

    «La sai quella della libellula che dice: «ho le farfalle nello stomaco?»»

    «No. Fa ridere?»

    Granmarco si rialzò, inspirò profondamente cercando di assumere un’espressione seria, si sistemò il berretto sotto la cintura e rispose al falco che passeggiava nervosamente avanti e indietro sul parapetto:

    «Hai il senso dell’umorismo… di un uccello!»

    «Come pensi di scendere?» domandò il pennuto con un fastidioso tono saccente. O forse era solo imbarazzato.

    Granmarco si avvicinò al muro liscio e lo accarezzò, come se l’edera di Conny fosse ancora lì. Ma lei non c’era, e la domanda del falco gli riecheggiò nella testa.

    «Prenderò le scale,» borbottò incamminandosi. In fondo, aveva bisogno di restare per qualche minuto da solo con quel dolore che non voleva lasciarlo, a fare i conti con un vuoto che sembrava scavarlo dentro. Si sentì in colpa per aver riso, ma la piccola libellula era sempre così maldestra, pasticciona, ingenua. Tutte cose che Conny

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