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Sospetti tra le righe: eLit
Sospetti tra le righe: eLit
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E-book227 pagine3 ore

Sospetti tra le righe: eLit

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Info su questo ebook

Caroline Kimberly vuole fare la reporter ed è per questo che da Atlanta si è trasferita a Prentice, un piccolo centro dove si sta consumando una serie di delitti orrendi. Proprio a lei viene assegnato il compito di seguire lo sviluppo degli eventi per il Prentice Times. Per questo collabora con la polizia e soprattutto con Sam Turner, il cinico e riservato detective responsabile delle indagini. Anche se Caroline sa di non piacere molto all'affascinante Sam, ha comunque bisogno di lui, in modo particolare da quando comincia a trovare strani messaggi di morte che...

LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2015
ISBN9788858935873
Sospetti tra le righe: eLit

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    Anteprima del libro

    Sospetti tra le righe - Joanna Wayne

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    As Darkness Fell

    Harlequin Intrigue

    © 2004 Jo Ann Vest

    Traduzione di Laura Cinque

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-587-3

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    «C’è una cosa che devo dirle, signorina Kimberly. Mia nonna sostiene che in questa casa ci siano i fantasmi» disse Barkley Billingham dopo che Caroline ebbe firmato il contratto d’affitto.

    Lei lo guardò, convinta che stesse scherzando, ma vide che il giovane era assolutamente serio. «E come mai lo pensa?»

    «Sa come sono le vecchie case. Hanno un sacco di rumori. Gemiti, scricchiolii... Quando poi soffia il vento del nord e colpisce l’angolo con le camere da letto, sembra di sentir gridare una donna.»

    «Tutto qui?»

    Lui piegò in due il contratto e annuì.

    Caroline sospirò. Poteva sopportarlo, soprattutto se considerava che quella casa era molto grande e vecchia. Non riusciva a immaginarne nessun’altra con delle radici simili e non voleva vivere in nessun altro posto. «Lei è il proprietario?»

    «No, è di mia nonna. Lei adesso vive in uno di quei residence in cui si ritira la gente anziana. Questa casa le dava troppo lavoro. In realtà la vorrebbe vendere, ma nessuno vuole pagare la somma che chiede.»

    «E lei? Ha dovuto cambiare casa perché questa è infestata dai fantasmi?»

    «No, sarei rimasto volentieri. Qui si sta molto comodi, ma mi sono trasferito dalla mia ragazza. Comunque non mi preoccuperei dei fantasmi, al posto suo. Questa casa è sopravvissuta agli yankee che hanno distrutto mezza Georgia, figuriamoci se non sopravvivrà a qualche fantasma.»

    «È un suo antenato?» s’incuriosì Caroline, indicando un grande quadro appeso alla parete in cima a un doppio scalone, che sembrava uscito dritto da Via col vento.

    «È Frederick Lee Billingham, il mio trisavolo, che ha costruito la casa. Mia nonna dice che su quel ritratto aveva messo una maledizione. Se qualcuno lo avesse spostato da lì, lui sarebbe uscito dalla tomba e gli avrebbe portato disgrazia. Sa, è un po’ fissata con questo genere di cose e...»

    «Allora penso che sia meglio lasciarlo lì dov’è» lo interruppe Caroline. «Non voglio nessuna disgrazia.»

    «Faccia come vuole. Qui può fare tutto quello che desidera. Se i mobili non le vanno, può metterli in cantina con tutto l’altro ciarpame.»

    «Questa roba non è ciarpame. Mi piace molto, soprattutto il divano sul pianerottolo. Credo che io e i fantasmi staremo molto bene, qui.»

    «Perfetto. Lei paga l’affitto e qui è tutto suo. Come mai si è trasferita a Prentice? Qui la maggior parte della gente sotto i novant’anni cerca soltanto di andarsene.»

    «Sono stata assunta dal Prentice Times

    «Per fare cosa?»

    «La giornalista.» In realtà avrebbe iniziato il lunedì successivo. Aveva fatto l’insegnante ad Atlanta fino a una settimana prima, quando il Prentice Times l’aveva assunta. Non ci aveva pensato due volte. E poi quella casa le piaceva molto.

    «Non capisco come facciano a sopravvivere» disse il ragazzo. «Qui non succede mai nulla, a parte la stupida parata storica che fanno ogni anno al Cedar Park e il ballo di primavera.»

    «Be’, qualche notizia c’è sempre, no? Sembravano molto ansiosi di avere un nuovo reporter.»

    Quando poco dopo il giovane Barkley se ne andò, Caroline guardò il ritratto del suo pomposo trisavolo. «Felice di conoscerla, signore. Adesso vivrò qui e né lei né uno dei fantasmi dei Billingham mi farà andare via» dichiarò ad alta voce.

    In realtà non sarebbe potuta andarsene nemmeno se avesse voluto. Almeno fino all’agosto seguente. Aveva un contratto d’affitto di un anno e molte speranze d’iniziare una nuova vita nella tranquilla, storica cittadina di Prentice, Georgia.

    Sei mesi dopo

    Caroline Kimberly si infilò nel primo parcheggio che trovò, subito dopo il furgoncino della televisione locale e due volanti della polizia che gettavano intorno le loro luci intermittenti rosse e blu. Prese dal sedile posteriore la sua macchina fotografica, richiuse con un colpo secco la portiera e attraversò il prato.

    Grosso errore, decise mentre i tacchi alti le affondavano nel fango. Si tolse i vistosi orecchini, li mise nella borsetta e raggiunse il poliziotto che stava di guardia davanti al cancello.

    Sfortunatamente, non poteva fare nulla per il vestito e le scarpe.

    Erano andati bene per la festa di compleanno della sua migliore amica, Becky Simpson, ma erano del tutto fuori luogo in quel posto e in quella circostanza.

    Una giacca sarebbe andata bene per nascondere la scollatura vertiginosa, però non l’aveva con sé.

    «Caroline Kimberly, Prentice Times» si presentò, mostrando il tesserino del giornale.

    Il poliziotto la illuminò con la sua torcia e si soffermò sull’abito scollato. «Se fossi in lei, signorina, tornerei alla festa, a meno che non abbia lo stomaco molto forte.»

    «Cosa è successo?»

    «A qualcuno la luna piena ha dato alla testa. Hanno ucciso una donna. Le hanno tagliato la gola e fatto un lavoretto di pittura col sangue sul suo corpo.»

    Caroline rabbrividì. Contemplò l’idea di tornare davvero alla festa, ma quella era la prima possibilità che aveva di scoprire una vera notizia. Scrivere su un delitto, invece che correre in giro a raccattare pettegolezzi sulle signore locali e i loro stupidi tè di beneficenza. Comunque, non si era aspettata d’incappare in un delitto così efferato.

    Si guardò in giro.

    Il fotografo che avrebbe dovuto raggiungerla lì non si vedeva. Per fortuna lei aveva sempre con sé la sua macchina fotografica. Quella poteva essere una faccenda grossa.

    Il suo direttore l’aveva avvertita subito, ma non era riuscita in ogni caso a battere quelli dell’emittente locale.

    «Manda via tutti! Subito! A cominciare da quella sui trampoli!»

    Caroline si guardò intorno per vedere chi aveva abbaiato. Si trattava di un tizio alto e bruno, con dei jeans scoloriti e una polo a maniche lunghe che doveva essere stata lavata un migliaio di volte.

    «Sono una giornalista del Prentice Times e ho il diritto di stare qui» ribatté decisa.

    «Proprio per niente, perché questa è la scena del delitto.» L’uomo la superò e si diresse verso la telecamera che stava riprendendo la zona.

    «Rompiscatole odioso» borbottò Caroline a voce bassa.

    Un poliziotto le si avvicinò. «Non badi a Sam» le disse. «È il suo modo di fare.»

    «Il tipo rude che invece di parlare abbaia?»

    «In effetti è peggio di un bulldog, ma intendevo dire che non deve prendersela. È che odia i giornalisti.»

    Maledizione! Le telecamere erano in funzione e lei non sapeva neanche cosa fosse successo. Approfittando del fatto che qualcuno si era avvicinato per dire qualcosa al poliziotto, sgusciò via, decisa a entrare in azione.

    L’uomo le gridò di tornare indietro, ma Caroline lo ignorò.

    Pochi metri dopo intravide il corpo.

    Una giovane donna sdraiata sulla schiena, nuda. Aveva una ferita profonda che le attraversava il collo da una parte all’altra e due grosse croci disegnate sui seni col sangue.

    Lo stomaco subito in subbuglio, Caroline girò sui tacchi con un senso di nausea così forte che la fece vacillare. Qualcosa le diceva che doveva allontanarsi da lì al più presto, e lo fece. Per fermarsi davanti a dei cespugli, dove vomitò tutto quello che aveva nello stomaco.

    Quando ebbe finito, si sollevò e si accorse con sgomento che l’agente che le aveva intimato di tornare indietro era alle sue spalle.

    «Dev’essere stato qualcosa che ho mangiato» si giustificò lei.

    «Certo. È quasi successo anche a me non appena l’ho vista.»

    Quasi. Cioè lui non aveva vomitato, considerò Caroline.

    «Adesso sta bene?» le chiese l’agente.

    «Più o meno. Chi è la vittima?»

    «Non lo sappiamo ancora.»

    «Chi ha trovato il corpo?»

    «Chiunque sia, ha chiamato la televisione. È arrivata qui prima di noi ed è per questo che Sam è così nervoso. Probabilmente è il crimine più brutale che sia mai stato commesso qui a Prentice e la scena del delitto è stata compromessa.»

    «È questo Sam che si occupa del caso?» volle sapere Caroline.

    «Certo. È il capo della Omicidi.»

    «Come si chiama di cognome?»

    «Turner.»

    Detective Sam Turner. Il nome le sembrava familiare, ma era sicura di non aver mai incontrato quell’uomo prima di allora. Poteva essere irritante, ma non era il genere di individuo che si dimenticava. Più minaccioso che bello, era il tipo rude e maschio che una donna non poteva fare a meno di notare.

    «Mi dispiace mandarla via, ma Sam qui non vuole nessun giornalista» le disse l’agente.

    Già, soprattutto quelle coi trampoli. Caroline annuì, si avviò verso il cancello, ma all’ultimo momento si girò. Vide che non la stava osservando nessuno, trasse un respiro profondo per calmare lo stomaco e i nervi, quindi tornò sui suoi passi, verso il cadavere. Quando lo raggiunse, scattò alcune fotografie, anche se sapeva che erano troppo impressionanti per essere pubblicate.

    Poi il detective Sam Turner comparve dal nulla e mise una mano di fronte al suo obiettivo.

    «Spero che abbia un motivo molto valido per essere ancora qui» sibilò.

    «Devo scrivere un articolo per l’edizione di domani mattina e avrei un paio di domande da rivolgerle.»

    «Oh, certo. Adesso mi dimentico dell’assassino e cerco di aiutarla a scrivere la sua storia!»

    «Ha qualche sospetto?» gli chiese Caroline ignorando il suo sarcasmo.

    «Ehi, Turner!» lo chiamò qualcuno. «Vieni un po’ qui a vedere.»

    «Arrivo» rispose lui, poi si voltò di nuovo verso Caroline e le disse in tono brutale: «Non ho nessun sospetto, non so quale sia il movente e nemmeno la vittima. E, comunque, del suo articoletto non mi interessa un accidente. Mi interessa solo il fatto che una giovane donna è stata affettata come un pezzo di carne, per cui si tolga dai piedi perché devo trovare chi le ha fatto quel lavoretto, d’accordo?».

    «I lettori devono preoccuparsi che...»

    Turner se ne andò, come se lei fosse stata soltanto una mosca fastidiosa che non valeva nemmeno la pena di scacciare con la mano. Comunque le aveva detto quello che le serviva. Non c’era una pista e la vittima non era ancora stata identificata. Poca roba, ma avrebbe potuto scrivere lo stesso il suo articolo, soprattutto se qualcuna delle foto che aveva scattato fosse stata pubblicabile.

    Indubbiamente, quello era il delitto più efferato mai avvenuto nella piccola, tranquilla Prentice.

    Caroline avrebbe dovuto chiamare il suo direttore non appena fosse risalita in macchina per dirgli di tenerle uno spazio in prima pagina. Il Prentice Times era un quotidiano di una piccola città e John Rodes, editore, direttore e caporedattore competente ed esperto, avrebbe voluto leggere ogni sua riga prima che fosse pubblicata.

    Si sentiva scombussolata e una strana paura la stava attanagliando. Avrebbe scritto un articolo su quel delitto e tutti coloro che avessero letto il giornale la mattina dopo avrebbero provato il suo stesso timore, la sua stessa preoccupazione. Quello però era il lavoro che si era scelta. Una professione che poteva essere una sfida eccitante, ma anche angosciante.

    Poliziotti, televisione, reporter. Che spettacolo! E tutti erano rimasti terrorizzati alla vista del corpo. Però si erano fermati a guardare, godendosi la vista del sangue che si coagulava come se non ne avessero mai abbastanza.

    Senza dubbio si stavano chiedendo come dovesse essere brandire un coltello, che brivido dovesse dare veder scorrere il primo zampillo di sangue da un corpo vivo. Lo invidiavano. Certo, non lo avrebbero mai ammesso. Si consideravano superiori a un desiderio del genere, ma lui sapeva la verità. Tutti erano affascinati dall’atto del delitto, come la maggior parte dei fanatici delle corse dagli incidenti spettacolari o la gente che non si staccava dalla televisione quando veniva trasmessa qualche tragedia in diretta.

    Lui li osservava e li studiava tutti, soprattutto il detective Sam Turner, ma quel bastardo non faceva che guardare la giornalista con l’abito rosso tanto sensuale. Lei stava svolgendo il suo lavoro, però era evidente che Sam non la rispettava.

    Sam Turner credeva che quello fosse il suo gioco, ma si sbagliava. Lo avrebbe scoperto presto. Tutti lo avrebbero scoperto presto.

    Delitto dopo delitto.

    2

    Quando Caroline lasciò la redazione e tornò a casa era quasi mezzanotte.Come si era aspettata, John era stato elettrizzato dal fatto che si era data da fare per avere alcune informazioni e un paio di immagini pubblicabili dei poliziotti al lavoro sulla scena del crimine. Si era piazzato alle sue spalle per tutto il tempo in cui lei aveva scritto il pezzo, dandole dei suggerimenti e facendole delle domande e, alla fine, si era complimentato con lei per il suo lavoro. L’aveva definito ottimo.

    Era molto stanca e le immagini della scena del delitto continuavano a vorticarle nella testa come un film al rallentatore. Mentre faceva la doccia, mentre si lavava i denti, mentre frugava in un cassetto in cerca di qualcosa di morbido e raffinato con cui dormire. Quella della biancheria intima era la sua unica indulgenza. Forse perché per anni aveva potuto indossare solo delle semplici mutandine di cotone.

    Quella sera si mise un pigiama di seta rosa che aveva la vestaglia abbinata, ma nemmeno quello migliorò il suo stato d’animo. Andò in cucina a versarsi un bicchiere di vino, che sorseggiò mentre vagava di stanza in stanza. Amava quella casa antica sempre di più, anche se al momento non si sarebbe potuta permettere l’affitto. Certo, i pavimenti scricchiolavano e i vecchi tubi dell’acqua gemevano, ma era un posto che aveva carattere e personalità. Aveva visto matrimoni, nascite, un sacco di feste e funerali. Trasudava storie del passato. Chi poteva biasimare i pochi spiriti che non se ne erano voluti andare?

    Comunque dubitava che i suoi antichi abitanti avessero mai visto niente di così brutale come il delitto di cui aveva scritto lei quella sera. Si circondò la vita con le braccia, sentendo improvvisamente freddo e, con un vago senso di apprensione, salì le scale scricchiolanti.

    Il pianerottolo del primo piano era ampio, quasi un atrio, aveva il soffitto alto ed era arredato con i mobili lasciati dal proprietario. C’erano un divano così consunto e scolorito che era impossibile indovinarne il colore originale, una cassapanca antica con le maniglie rotte, un grosso specchio con la cornice argentata, così intarsiata e ricca che sembrava fosse stata fatta per una regina.

    E poi il suo pezzo preferito, uno scrittoio tutto rigato e macchiato che era stato costruito in Francia e poi portato in America poco prima della guerra civile, come aveva appreso da una delle carte che si trovavano ancora nel suo cassetto.

    Si lasciò andare sul divano e ripiegò le gambe sotto di sé. Appoggiandosi allo schienale, guardò il quadro con la cornice dorata appeso sulla parete in cima allo scalone e, anche da quell’angolazione, gli occhi dell’uomo del ritratto sembravano guardarla.

    «Le cose sono cambiate, Frederick Lee» gli disse. «I tempi non hanno rispettato la tua tranquilla cittadina del sud. La storia e l’orrore moderno sono ufficialmente emersi anche qui.»

    Alla fine cedette alla stanchezza e chiuse gli occhi. Il suo subconscio ebbe la meglio e diede forma a delle immagini di una realtà raccapricciante. Lei stava cercando di chiudere la

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