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Giallo Arma di Taggia: Taggia's Weapon. Otto racconti noir carichi di suspense
Giallo Arma di Taggia: Taggia's Weapon. Otto racconti noir carichi di suspense
Giallo Arma di Taggia: Taggia's Weapon. Otto racconti noir carichi di suspense
E-book122 pagine1 ora

Giallo Arma di Taggia: Taggia's Weapon. Otto racconti noir carichi di suspense

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Info su questo ebook

Sette scrittori, i magnifici sette, più uno, il curatore. Otto racconti avvincenti, appassionanti, divertenti, tutti ambientati in un’unica location: Arma di Taggia. Ai liguri darà un collegamento immediato, soprattutto a quelli in provincia di Imperia, dove si trova la cittadina. A tutti gli altri suonerà strano leggere di una città che contiene la parola “Arma” nel suo nome. E in effetti siamo partiti proprio da questa idea, e dal genitivo sassone del sottotitolo: Taggia’s Weapon, una nuova maniera per chiamare la città, che vogliamo lanciare come tendenza. L’elemento più interessante di questa raccolta è l’accostamento di stili completamente diversi, come certamente nelle raccolte accade, ma in questo caso vincolati a una prospettiva logistica unitaria. Penne celebri, navigate, insieme ad altre che provengono da solchi diversi, chi più avanti nel cammino, e chi poco dopo l’inizio. Stili solidi accanto a passi più fumettosi, scritture del paesaggio accanto a chiare e veloci introspezioni, incedere pulp e classicità. Tutto sposato alla perfezione in una koinè in grado di dare un solo risultato: quello di lasciare i lettori attaccati alle pagine. Si entrerà in un mondo di osti bonari, misteriosi visitatori, studiosi della psiche, donne innamorate e distanti in tempo e luoghi, inquietanti presenze, prostitute, papponi, cocainomani, tormentati e violenti antieroi, metodici impiegati, assassini, fuggiaschi, trafficanti, guardie pazienti, conti, paesani, investigatori, suonatori di tromba jazz, ricche signore annoiate, gestori di locali malfamati, ladri, notai, insegnanti, registi, giornalisti, medici, atleti, influencers, ragazze bellissime, in ostelli, strade, pub, case di campagna e monolocali, vallate, piazze, torrenti, vicoli e spiagge. Questi scritti, delicati o dirompenti, estremi o sussurrati, vi terranno compagnia fuori e dentro casa, al mare o al caldo di un camino, in un bus o in una sala d’attesa, come fedeli compagni di viaggio o di comodino.

Gli autori:
Francesco Basso, Fabio Beccacini, Paolo Fittipaldi, Marino Magliani, Matteo Monforte, Bruno Morchio, Eugenio Ripepi, Marco Vallarino.
LinguaItaliano
Data di uscita25 giu 2021
ISBN9788869435430
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    Anteprima del libro

    Giallo Arma di Taggia - Eugenio Ripepi

    IL SONNO DELL’ASSASSINO

    di Francesco Basso

    Questo racconto è un’opera di fantasia. Tutti i nomi, personaggi, luoghi, episodi, lavori, sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con scenari, fatti o persone è del tutto casuale.

    Cade giù sulla strada. Un volo di cinque piani.

    Un uomo. Pancia in su. Gli occhi chiusi.

    Una donna corre veloce. Si avvicina e abbraccia quel corpo straziato.

    «No!» singhiozza «... no».

    Lo stringe forte, gli tiene la testa su. Vorrebbe fargli riaprire gli occhi, ma è tutto inutile.

    Guarda sopra, davanti il palazzo. In alto una figura nell’oscurità. Gli occhi scintillanti.

    La donna riporta lo sguardo sul corpo e urla.

    Tante gocce cadono giù sulla strada. Una dietro l’altra. Si staccano dalla troposfera, dall’alto delle nuvole, come minuscoli paracadutisti impavidi e lente scivolano giù, a moltitudini.

    Infinite lacrime, infiniti specchi di vita picchiettano il cemento, tintinnano sul suolo rumoreggiando.

    Una cantilena continua, impassibile, inevitabile. Il grigio ingoia la città, la stringe a sé e non la molla più.

    Paesaggio ligure spento dalla pioggia, avvolto dallo scroscio costante. Non si vedono più i palazzi, non si scorgono più gli edifici. Il mare è un pozzo nero di pece, il cielo è un alito violento di fumo emanato dalla più frenetica sala da gioco in cui è concesso fumare. Sale da gioco argentine, lui si ricordava solo quelle. Sì, era stato al Casinò di Sanremo ma era passato troppo tempo, non ne aveva più il ricordo e all’epoca forse non fumava neanche. Invece in Argentina amava fumare, giocare a carte, ma non per soldi. Gli piaceva l’atmosfera, un che di casa, di familiare. Forse ritrovava proprio Sanremo in quel fumo. Il nero del mare però lo stava inquietando, sembrava volerlo divorare e non si sentiva per niente tranquillo.

    Non ho mai visto niente di così scuro, è questo quello che pensava attraversando Arma di Taggia, seduto in corriera, guardando il cielo plumbeo.

    È come osservare il vapore di un vulcano. Sbirciava dal finestrino i contorni delle case, cercava di riconoscere la strada principale, le vie adiacenti, i luoghi a lui cari, ma il grigio copriva tutto, dissolveva ogni cosa, come gli anni che passano, che si attaccano alle membra come cappotti troppo stretti impossibili da levare. Gli anni feriscono il corpo in modo perenne, incontrovertibile e lui li sentiva tutti. Meglio non pensarci.

    La corriera viaggiava veloce, fermandosi controvoglia alle fermate. Non riusciva più a capire dove fosse, ma ecco che lo vide, eretto, perfetto, immortale. L’obelisco di piazza Eroi. Era arrivato a Taggia.

    Scese solo lui, vide il mezzo allontanarsi sempre più, inghiottito nella nebbia. La valigia tra le mani, il cappello in testa, l’impermeabile addosso. Si guardò intorno.

    Attraversò la strada e si diresse verso l’hotel Obelisco. Lo riconobbe a stento, quasi andando a tastoni, procedendo nel buio, con la paura di precipitare da un qualche cornicione. O da una finestra.

    Cadere giù.

    Nel nulla.

    Come queste gocce, come i ricordi che passano muti ma restano dentro, indelebili.

    L’ingresso era quello di sempre, accompagnò la maniglia ed entrò. L’oste davanti a lui non lo riconobbe subito, gli ci volle qualche secondo.

    Quel cappello così calato, quella maschera d’ombra appiccicata al volto, quell’impermeabile minaccioso, così pieno di mistero. Si levò il copricapo, lentamente, e lo posò sul ripiano alla sua sinistra. Il locandiere ebbe un sussulto.

    «Carlo, Carlo! Amico mio» disse andandogli incontro.

    Carlo lo guardò con gli occhi lucidi e lo abbracciò.

    «Marco... sono qui."

    Si strinsero forte, si diedero delle pacche sulle spalle. Carlo, il visitatore, l’argentino, e Marco, l’oste, il taggiasco.

    «Ma perché non mi hai avvisato? Ti facevo trovare qualcosa di pronto.»

    «Non ti preoccupare, volevo farti una sorpresa!»

    «E ci sei riuscito. Dammi la valigia, te la porto io. Andiamo di là» Marco indicò il salone dietro le sue spalle.

    «Ti faccio preparare qualcosa da mia figlia. Te la ricordi Angela, vero?"

    Marco chiamò a gran voce: «Angela!»

    «Ma no dai, non vorrei disturbare, magari stavate mangiando. È già buio» commentò Carlo, visibilmente provato dal lungo viaggio.

    «Ma quale disturbo? Anzi accomodati, vieni a mangiare qualcosa con noi.»

    Marco fece strada, dal corridoio passarono al salone, tanti tavoli sparecchiati. Solo un tavolo a lato, vicino alla cassa, era animato. Due donne che discutevano.

    «Guardate chi è venuto a trovarci!» esordì Marco.

    «Carlo!» esclamarono insieme le due donne che si alzarono e lo salutarono. Gloria e Angela. Madre e figlia, molto somiglianti, sembrava di vedere nell’una il passato dell’altra e nell’altra quello che sarebbe stato il futuro dell’una. Il tempo, che fugge, che appare e poi scompare, come un fiammifero nella bufera.

    «Che sbadato che sono. Dammi subito l’impermeabile e la valigia, ti sei bagnato tutto. Non avevi l’ombrello?»

    «No… pensavo di trovare il sole, qui ho sempre trovato il sole.»

    «Che bella sorpresa! Quanto ti fermi?»

    «Gloria, lui non me l’ha ancora detto ma può fermarsi quanto vuole. C’è libera la camera che prenoti sempre tu.»

    «Perfetto. Starò una settimana.»

    «Affare fatto, adesso siediti con noi. Angela dì alla cuoca di portare il coniglio.»

    «Il coniglio alla ligure» esclamò Carlo con un sorriso luminoso.

    «Sì, quello che ti piace tanto. Va’ Angela.»

    Carlo vide Angela allontanarsi. I capelli lunghi, i fianchi stretti. Era davvero cresciuta dall’ultima volta che l’aveva vista. A occhio e croce doveva avere diciassette anni adesso. Anche Gloria non era più la stessa, il colore nero dei sui capelli stava cominciando a schiarirsi. E Marco invece? Marco era sempre lo stesso. Pienotto, un po’ di calvizie e quel sorriso molto contagioso.

    «Da quanto tempo è che non ci vediamo?» disse Marco, versando un po’ di vino all’ospite.

    «Basta così, grazie. Saranno quattro anni. Purtroppo è sempre più difficile venire qui per me. Ero preso da degli studi. Sai che due anni fa mi hanno nominato rettore dell’Università dell’Argentina?»

    «Complimenti!» commentò Gloria assieme a un battito di mani.

    «Bravissimo» fece di rimando Marco.

    «E in più sto lavorando a un progetto... Un progetto che non mi fa proprio dormire la notte.»

    «E ci credo… da come mi ricordo tu non puoi proprio dormire, Carlo.»

    La moglie rise e di gusto a causa dell’affermazione del marito. Era vero.

    «Già, hai ragione Marco» disse Carlo un attimo prima di bere un sorso di vino.

    «Vi ho sentito ridere. Perché?» disse Angela appena tornata dalla cucina.

    «Tuo padre mi prende in giro.»

    «Uno scienziato come te, che fin da quando era ragazzo studiava a tempo pieno proprio la cura del sonno, non può dormire!? Beh, questa sì che è buona» borbottò Marco.

    Angela cominciò a ridere anche lei.

    «Tuo padre è sempre il solito. E poi non è vero che ho sempre studiato. Quante ne abbiamo passate insieme, quando eravamo ragazzi. Ti ricordi?»

    «Se mi ricordo!? Quando giocavamo a rincorrerci tra i carruggi… o quando facevamo gli scherzi per la strada.»

    «Già…»

    Da dietro le spalle di Carlo arrivò il cuoco con il vassoio. Un aroma di spezie inconfondibile. Il coniglio dorato faceva capolino sulla tavola.

    «Bravo Alfonso. Questo, Carlo, è tutto tuo.

    «Ma no, prego, datemi una mano anche voi a mangiarlo.»

    «No grazie. Abbiamo già mangiato» si scusò Gloria.

    «Io una mano te la do molto volentieri.»

    «Ti ricordo che sei a dieta papà.»

    «Ma che dieta e dieta. Aspetta che divido in due.»

    Il coltello affondò nella tenera carne e Marco fece le parti. Il pezzo più grosso a Carlo, ancora fumante, davvero delizioso. Le posate tintinnarono, il dottore del sonno si portò alla bocca rapidi bocconi mentre l’amico lento assaporava le carni. Carlo capì solo in quel momento che aveva davvero appetito ma non voleva essere scortese e stare troppo in silenzio così disse: «E tu, invece come te la passi? Vedo i tavoli ancora da sbarazzare. Ci sono un po’ di turisti, credo.»

    «Sì, ma sai, tutti che vengono solo per mangiare. Nessuno per la pensione completa. Questo perché siamo solo a inizio stagione. Poi tra poco farò il pienone. Come sempre.»

    «Cosa dici, papà, che non c’è nessuno? Abbiamo proprio un ospite al

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