Milionario solitario: Harmony Destiny
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Info su questo ebook
Maureen Child
Maureen Child ha al suo attivo più di novanta tra romanzi e racconti d'amore. È un'autrice molto amata non solo dal pubblico ma anche dalla critica, infatti è stata nominata per ben cinque volte come migliore autrice per il prestigioso premio Rita.
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Anteprima del libro
Milionario solitario - Maureen Child
Capitolo 1
«QUELLA SÌ CHE porta guai.»
Se c’era una cosa che Jericho King sapeva riconoscere, erano i problemi. Quindici anni nei marines gli avevano regalato una specie di sesto senso, di radar interno: era in grado di adocchiare un potenziale intoppo a un chilometro di distanza.
Questo problema in particolare era molto più vicino.
Socchiudendo gli occhi per ripararsi dalla luce del tardo pomeriggio, Jericho osservò una donna bassina ma tutta curve, che si chinava a recuperare qualcosa dall’interno di un’utilitaria verde acido parcheggiata sul vialetto d’ingresso.
«Comunque sia, non è malvagia, come vista» borbottò l’uomo accanto a lui.
Jericho ridacchiò. Sam non aveva tutti i torti. Chiunque fosse la morettina, aveva un fondoschiena niente male. Il suo sguardo indugiò sulla suddetta parte anatomica prima di scivolare lungo un paio di gambe davvero sensazionali. Indossava delle scarpe rosso brillante con tacchi di otto centimetri che, anche in quel momento, stavano sprofondando nella ghiaia.
«Perché le donne portano quelle scarpe assurde?» domandò senza aspettarsi una vera risposta.
«In genere» replicò comunque Sam Taylor, «penso che sia per attirare l’attenzione degli uomini.»
«Dovrebbero sapere che non c’è bisogno che si sforzino tanto» considerò Jericho scuotendo lentamente il capo. «Be’, oggi non abbiamo tempo di occuparci di lei. Perciò, chiunque sia me ne libererò in fretta. Scommetto che sta cercando il centro termale dall’altra parte della montagna. Vado a metterla sulla giusta strada.»
Tuttavia poté muovere un solo passo prima che la voce di Sam lo fermasse.
«In effetti» iniziò, «non credo che si sia persa. Potrebbe essere la tipa con cui ho parlato per il posto di cuoco. Ricordi, mi hai affidato l’incarico di trovare il sostituto di Kevin.»
«Sì, certo, ma... una cuoca?» Jericho la scrutò con maggiore attenzione; era ancora chinata in macchina, ad armeggiare in giro come se stesse cercando una pepita d’oro andata perduta. «Quella?»
«Se si tratta di Daisy Saxon, allora sì.»
«Saxon. Saxon...» Il collegamento fu una doccia fredda. «Hai detto Saxon?» domandò allora all’amico, tanto per essere sicuro.
«Sì, il tuo udito funziona ancora» lo rassicurò questi. «Perché? Che problema c’è?»
Che problema c’è?
«Da dove comincio?» borbottò Jericho mentre la donna finalmente si raddrizzava, si voltava e metteva a fuoco lui e Sam a pochi metri di distanza.
Dopodiché strinse al petto una borsetta sovradimensionata e si avviò verso di loro. I lunghi capelli castani danzavano nel vento, gli occhi scuri erano fissi su di lui e la bocca era piegata in una linea decisa.
Mentre la osservava, Jericho provò qualcosa che non avrebbe voluto provare. Soffocò immediatamente la sensazione: quella donna non sarebbe rimasta a lungo, si ammonì. Se davvero si trattava di Daisy Saxon, lì non c’era posto per lei. Per la miseria, bastava guardarla: chi aveva mai visto una donna più femminile? Quando le donne si recavano al campo, erano vestite adeguatamente – jeans, scarponi. Lei sembrava appena uscita da un centro commerciale di classe; era dolce, carina e delicata. E le delicate non duravano a lungo in montagna.
Non nel mondo di Jericho, per lo meno.
L’avrebbe ascoltata, si sarebbe scusato per il fraintendimento a proposito dell’impiego e l’avrebbe rimandata per la sua strada. Sarebbe stato meglio per tutti, soprattutto per lei. Il posto non le si addiceva; bastava guardarla per capirlo.
«Carina» considerò Sam.
Jericho non avrebbe voluto farci caso, ma non poté farne a meno.
La nuova venuta compì sì e no quattro passi incerti, tagliando per il prato prima di inciampare su una bocchetta di irrigazione e finire lunga e distesa, lanciando in aria la borsa.
«Dannazione.» Jericho si affrettò per soccorrerla, ma in un secondo una creatura pelosa saltò fuori dalla borsa e lo caricò con tutto l’entusiasmo di un pit bull rabbioso. L’altezza dell’erba era tale che tutto ciò che Jericho riusciva a vedere del cane in miniatura erano le sue orecchie rossastre che sventolavano.
Nella sua testa esplosero ringhi e guaiti la cui frequenza avrebbe potuto far staccare la vernice dai muri, mentre il cane di dimensioni improbabili, mostrando i denti, faceva del proprio meglio per spaventarlo.
Non ebbe un gran successo.
La risata di Sam si alzò dietro di lui. «Oh, per l’amor del cielo» mugugnò allora Jericho togliendosi gentilmente la bestia di torno. Il cane però gli stette alle costole, anche mentre raggiungeva la morettina che si stava già risollevando dal prato.
I capelli le ricadevano intorno al viso in un ammasso disordinato. C’erano macchie d’erba sulla sua camicetta e un’espressione di disgusto sul viso.
«Sta bene?» le domandò chinandosi per aiutarla.
«Bene, grazie» rispose lei accettando l’aiuto e rimettendosi in piedi. «Non c’è niente come una bella umiliazione per dare un po’ di colore alle guance di una donna.» Chinandosi di nuovo, recuperò la piccola bestiola che non aveva ancora smesso di abbaiare. «Oh, Nikki, tesoro, sei una piccola nocciolina coraggiosa, eh? Che brava, proteggi la mamma.»
«Già, è veramente un osso duro.»
La mamma lo fulminò con un’occhiataccia non più amichevole di quella del cane. «È molto fedele. Io apprezzo la fedeltà.»
«Anch’io» convenne Jericho fissando quegli occhi castani che brillavano come un ottimo whisky ammirato in controluce. «Ma se vuole protezione, è meglio che si prenda un cane vero.»
«Nikki è un cane vero» protestò coccolando la creatura tascabile. «Ora, mi rendo conto di non aver fatto la migliore delle impressioni, ma sono qui per vederla.»
«Ci conosciamo?»
«Non ancora» lo informò. «Ma so che lei è Jericho King, è corretto?»
«Sì, sono io» confermò lui senza toglierle gli occhi di dosso.
«Sono Daisy Saxon. Non ci siamo mai visti, ma lei mi ha scritto una lettera un anno fa dopo...»
«Dopo la morte di suo fratello» terminò per lei, ricordando quel terribile momento in cui Brant Saxon era morto in seguito a una pericolosa missione in territorio ostile.
Jericho aveva visto morire altri uomini, prima di quel giorno. Troppi, a dire il vero, in tutti gli anni che aveva servito nei marines. Ma Brant era stato diverso: giovane, idealista. E se n’era andato decisamente troppo presto. La morte del giovane l’aveva colpito duro, anticipando il suo congedo e portandolo dove si trovava ora, su quella montagna.
Il fatto che si ritenesse responsabile per la scomparsa di Brant non faceva che peggiorare la situazione – trovarsi di fronte la sorella.
Negli occhi di Daisy il dolore lampeggiò come un flash, prima di sparire immediatamente. «Esatto.»
In un istante, Jericho rivide Brant Saxon, ricordò la paura sul suo volto che si trasformava in rassegnazione, accettazione, quando era giunta la sua ora. E rammentò la promessa che il ragazzo gli aveva strappato: di badare alla sorella se avesse mai avuto bisogno d’aiuto.
Be’, lui aveva fatto del suo meglio per mantenere la promessa, no? Le aveva scritto un’ufficiale lettera di condoglianze, e poi le aveva telefonato per offrire qualsiasi cosa di cui potesse avere bisogno. Ma lei aveva declinato, educatamente, e in via definitiva. Lo aveva ringraziato per la chiamata, lo aveva rassicurato che sarebbe stata bene, e poi aveva messo giù, mettendo fine, per quanto lo riguardava, a qualunque responsabilità avesse avuto nei suoi confronti.
Fino a quel momento.
Quindi perché diavolo si trovava lì, sulla sua montagna, un anno dopo avergli risposto grazie, ma no, grazie?
«So che è passato un po’ di tempo da quando ci siamo sentiti l’ultima volta» stava intanto dicendo lei, e Jericho tornò a prestare attenzione. «Ma quando mi ha chiamato, dopo la morte di Brant, si è offerto di aiutarmi se mai ne avessi avuto bisogno.»
«Certo» ribadì incrociando le braccia sul petto. «Ma poi non ho più avuto sue notizie e così...»
«Mi ci è voluto un po’ per accettare la morte di mio fratello» ammise allora Daisy, quindi rivolse un’occhiata fugace al circondario, adocchiando la proprietà e Sam, ancora in piedi in mezzo all’erba, che li guardava. «Potremmo parlare in casa?»
L’irritazione fece capolino improvvisa, ma la ricacciò indietro. Non voleva essere in debito con quella donna, ma non poteva cambiare le cose. Aveva dato la sua parola, non solo a Brant, ma a lei stessa. E Jericho King manteneva sempre la parola. Perciò avrebbe dovuto almeno starla a sentire, che gli piacesse o no.
Fissando gli occhi sulla sua figura, notò che stava rabbrividendo nel vento freddo che soffiava dai pini. Non aveva neanche pensato di indossare una giacca, pur andando in montagna: persino in California, l’autunno poteva essere una stagione fastidiosa alle altitudini maggiori. D’altro canto, si disse, chiaramente non era il tipo da spazi aperti.
Ovvio che volesse andare in casa: quello era il suo posto. Era la classica donna che ama gli spazi aperti... visti dall’altra parte di una finestra, seduta accanto al fuoco a sorseggiare un bicchiere di vino. Conosceva quel genere fin troppo bene. E mentre se ne rendeva conto, capì anche che forse non avrebbe dovuto darsi la pena di cacciarla via: forse lei avrebbe ritrovato la ragione e avrebbe capito da sola che non era fatta per lavorare in un posto simile.
Tra l’altro, poteva per lo meno offrirle un caffè prima di rimandarla da dove era venuta. Che desse pure un’occhiata al posto di cui voleva far parte: avrebbe visto che non faceva per lei.
«Certo. Entriamo.»
«Grazie. Fa davvero freddo, qui fuori. Quando ho lasciato Los Angeles, stamattina, c’erano ventiquattro gradi.»
«Qui siamo più in alto» rimarcò asciutto. Poi afferrò ciò che aveva detto. «È partita questa mattina? Ed è arrivata solo ora? Ci vogliono tre, al massimo quattro ore, a seconda del traffico.»
Lei roteò gli occhi, piantò un bacio sulla testa di quello stupido cane e scrollò le spalle. «C’era molto traffico, in effetti, ma la verità è che mi sono persa.»
Jericho la fissò allibito. «Non ha un navigatore?»
«Sì» ammise a bassa voce, «ma...»
«Lasci perdere.» Si voltò, congedò Sam con un gesto della mano e si incamminò verso la casa. Quando lei non si mise al suo fianco, si girò di nuovo a guardarla. «C’è qualche problema?»
Aggrottando la fronte, lei agitò la gamba. «I miei tacchi sprofondano nel terreno.»
«È naturale.» Tornò da lei. «Li tolga.»
Quando li ebbe sfilati, Jericho si chinò a raccoglierli prima di porgerglieli. «Questo tipo di scarpe non è adatto a questo posto.»
Lei lo seguì, affrettandosi scalza sull’erba. Lo raggiunse, bilanciando la borsa col cane in una mano e le scarpe nell’altra. «Ma hanno fatto il loro dovere.»
«Sarebbe a dire?»
«Be’» osservò con una mezza risata, «è una prima impressione che non dimenticherà facilmente.»
Jericho provò una scintilla di ammirazione. Non si lasciava abbattere facilmente, doveva ammetterlo. Poi si fermò e la guardò: aveva le guance rosee, gli occhi brillavano divertiti e una macchia di sporco le ornava la punta del naso.
Era fin troppo bella.
«Che cosa c’è?» gli domandò lei. «Sono sporca in faccia?»
«In effetti...» Si chinò, la sollevò tra le braccia e le suscitò un gridolino di sorpresa.
«Ehi, non c’è bisogno che mi porti in braccio.»
«Quei tacchi non vanno bene neanche sulla ghiaia, e lei è scalza, signorina Saxon.»
Aveva un bel po’ di curve, la ragazza. Mentre si divincolava tra le sue braccia, Jericho sentì la reazione che senza dubbio avrebbe avuto qualunque persona di sesso maschile a sangue caldo. Il problema era che non voleva reagire a quel modo. Tutto ciò che voleva