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Vertigine vermiglia
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E-book219 pagine3 ore

Vertigine vermiglia

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Info su questo ebook

Remo Rossi, giovane impiegato di un’azienda milanese, conduce una vita semplice, dividendosi tra il lavoro e la famiglia. La sua routine si interrompe bruscamente a causa della morte della moglie. Costretto a crescere la figlia Martina, cui è legatissimo, si appoggia per un aiuto alla madre, un’insegnante di matematica in pensione. Tuttavia, le difficoltà hanno su di lui un effetto anomalo, anziché deprimerlo e fargli avvertire la solitudine lo rinvigoriscono nel fisico e nello spirito: esce dal guscio in cui si era rintanato e inizia una inarrestabile scalata professionale.
Riacquistando sicurezza in se stesso e nelle sue possibilità, riaffiora anche di pari passo l’interesse verso la compagnia femminile. In particolare, scatta il feeling con Delizia, una collega appena trasferitasi a Milano. Si capiscono, si completano, si invaghiscono. Purtroppo però, lei è già sposata. La clandestinità a cui i due sono costretti crea disagio a Remo, il quale deve anche fare i conti con uno stalker che gli lascia misteriosi bigliettini.
In soccorso del giovane giunge l’incontro con un colto e raffinato esponente della massoneria: che sia un’ultima possibilità di redenzione e di uscita dalla situazione di impasse in cui è miseramente caduto?
Romanzo intrigante, dai risvolti inaspettati.
LinguaItaliano
Data di uscita1 apr 2020
ISBN9788832926569
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    Anteprima del libro

    Vertigine vermiglia - Alfredo Mirandola

    1

    Stava in piedi davanti al bancone del bar, intento a ordinare il solito caffè di dubbio gusto, buono solo per riscaldare il palato e per invogliare a una dose nervosa di nicotina. La ragazza cinese che serviva ai tavoli si dimenava frenetica, ma senza un reale motivo. Al bar erano in pochi: un anziano anonimo il cui nome era stato di una qualche importanza per qualcuno solo fino a trent’anni prima, una signora che cercava la fortuna sfregando dei gratta e vinci, un ragazzotto perditempo a una slot machine e un cameriere che scopava per terra, anticipando il lavoro di chiusura. Poi c’era Remo, il protagonista di questa storia. Fuori era quasi buio, non faceva freddo ma serviva comunque una giacca invernale. Non pioveva da tanto e l’aria cominciava a essere pesante: PM 2.5, PM 10 e NO2 si impennavano come i titoli in borsa, quelli davvero buoni. Le auto si muovevano lente, guidate da persone che avevano finito di lavorare e che si dirigevano verso le proprie case. Insomma un tardo pomeriggio di una giornata normale, in una zona che non è in centro città, ma nemmeno in periferia.

    Il caffè era meno stantio del solito, lasciando un aroma in bocca quasi felpato. La sigaretta avrà avuto per Remo un gusto migliore, stavolta. Remo si trovava nell’età in cui non si è più così giovani per rifare grosse scelte, ma nemmeno così maturo da cominciare a stilare bilanci. Aveva studiato, si poteva tranquillamente definire colto. Ma la pigrizia dettata da una sana insicurezza e l’umiltà ereditata dagli insegnamenti familiari non lo avevano mai aiutato a sfondare nella vita. Emanava fascino, ma solo se chi lo circonda era davvero interessato a scovarlo dietro un abbigliamento informale, in un’auto bellina ma normale, in un appartamento di novanta metri quadri al quarto piano di un palazzo ordinario. Si rimise in macchina, era ora di andare a casa dove lo aspetta una bella moglie, Sonia e una figlia di quattro anni, Martina. La prima donna lo amava ma non lo adorava, la seconda lo adorava e basta.

    Ciao, esordì Sonia con voce chiara e limpida.

    Ciao Sonia, rispose il marito.

    Remo, come è andata oggi?

    Sì dai, tutto bene, sono stanco. Mi hanno fatto arrabbiare a lavoro, ’sti stronzi.

    Perché? Ancora ’sta storia degli aumenti? Dai non ti arrabbiare, cosa cambia se ti arrabbi? chiosò amorevolmente Sonia.

    Eh sì… tu la fai facile, disse Remo, corrugando la fronte, per la tensione nervosa ancora vivida: I soldi servono sempre! E poi sono stufo di essere preso in giro da loro. È un’azienda discretamente florida, ma non sembra visto come trattano i loro dipendenti! Poi in pausa pranzo finisco a sentire i discorsi delle colleghe… Madonna che palle! Noi maschietti parleremo spesso di calcio e di donne, ma voi… Con sorriso sardonico, senza tetano.

    Ciao papà! irruppe di corsa Martina nella stanza a illuminare una grigia conversazione.

    Ciao Martina! Cosa hai fatto oggi all’asilo? Dillo a papà tuo, sorrise Remo.

    "Niente, oggi è ciuso non ti ricoddi? " disse la bimba nel suo linguaggio ancora acerbo ma vivace e scoppiettante come un fuoco acceso in una sera fredda d’inverno.

    Per il ponte dell’otto dicembre vi danno un giorno in più di riposo, è vero! Mi ero scordato. Sonia, mi lavo prima di mangiare okay?

    Okay, metto il cavolfiore a bollire allora. Non metterci troppo che mi serve una mano a tirar giù la valigia dalla mensola in alto. Da sola non ce la faccio.

    Va bene. A che ora partiamo dopodomani? Facciamo prestino che poi c’è traffico e non voglio passare metà del tempo in coda. Più che Remo, era la coscienza del pedante automobilista a parlare.

    Sì, presto, fece Sonia con una frase ovvia, calzante risposta all’affermazione scontata del marito.

    La cena scivolò tra discorsi casalinghi: economia domestica, la spesa da fare, la macchina da revisionare, la mamma che si lamenta che non vede sufficientemente la nipotina ma che se gliela lasci per un’ora in più va di matto… tutto questo cadenzato, come un metronomo tedesco di altissima precisione, dalle scaramucce tra Martina e il cibo, qualsiasi esso sia. ’ Sta bambina non mangia quasi per niente, pensò Remo.

    Sonia lavorava presso uno studio di dentisti associati, era un’impiegata solerte, una donna precisa e molto dedita alla famiglia. Era lei che organizzava le giornate. Andava a portare la figlia all’asilo e, lavorando poche ore al giorno, era anche quella che andava solitamente a prenderla. Teneva il marito il più possibile lontano dalle necessità familiari sia perché amava occuparsene lei in prima persona, sia perché non riteneva Remo in grado di svolgere le attività nel modo in cui le svolgeva lei. Era una bella donna dal carattere dolce, forse eccessivamente metodica. Non amava quelle normali imperfezioni della vita che chiamiamo incidenti di percorso e, nonostante i trentatré anni ormai suonati, non riusciva proprio ad abituarcisi. Remo e Sonia vivevano in una discreta armonia. I litigi avvenivano sempre per gli stessi motivi: le scarpe abbandonate da Remo appena varcata la soglia, i vestiti distribuiti sulle sedie, la tv troppo alta, la casa sporca tutta sulle spalle di lei (così diceva). Motivi futili che però sedimentano nell’anima, strato dopo strato, un malessere che implicitamente e silenziosamente allontana le parti. Martina invece era un gioiello inestimabile per entrambi, vero collante della famiglia e amorevole impegno quotidiano. Da subito era sembrata una bambina incredibilmente sveglia e sensibile, non aveva un caratterino arrendevole ma aveva la dote di combattere e di fare i capricci solo per le cose effettivamente importanti. Dote rarissima per i suoi quattro anni. Mangiava poco, passava molto tempo a giocare da sola ma per via del suo carattere, non certo per la mancanza dei genitori. Aveva preso l’indipendenza e la cocciutaggine dalla madre e la sensibilità e l’intelligenza del padre. Un mix di tutto rispetto. Impegnava molto i genitori: Martina mangia, Martina, ti devi fare la doccia, Martina se non la smetti di far finta di non sentire ti butto i giochi, Martina andiamo a giocare con gli altri bimbi, Martina andiamo allo zoo, Martina metti il costume che dobbiamo andare in piscina (come se dovessero entrare tutti in acqua, non solo la bimba). Sonia dettava i tempi da brava madre, Remo si adattava facendo buon viso a cattivo gioco. La routine frenetica era per Sonia la realizzazione dell’amore coniugale e familiare, per Remo era routine punto e basta, dalla quale cercare di evadere ogni tanto, come facevano tutti. Remo amava Sonia con la consapevolezza che lei fosse l’amore giusto per lui. Martina invece era quell’inconsapevole motore che accendeva quel vortice di azioni e reazioni che contraddistingue le faccende quotidiane.

    I giorni di festa, come quelli in arrivo, erano per Remo sempre una prova da superare. Era forse ancora troppo individualista per pensare al noi, concetto fatto da tre persone, che all’ io fatto unicamente da se stesso. Avrebbe passato volentieri il sabato dedicandolo a ricaricare le batterie piuttosto che a portare Martina a vedere il planetario o una fattoria con gli animali. Remo in fondo però, anche se avesse potuto, le batterie non sapeva come ricaricarsele: non amava la sedentarietà del divano, né il relax di una colazione fuori con un giornale in mano. Non amava farsi una scorpacciata di sport in tv, né praticarlo da sé. Non gli piaceva nemmeno divorare un romanzo in tre ore, né passare tutto il tempo con moglie e figlia in giro per negozi. Amava fare tutte queste attività sì, ma a morsi. Un assaggio fugace su tutto, non per superficialità, ma per paura di perder tempo focalizzandosi a fondo su una cosa sola per volta. Un’irrequietezza che mal si sposava con la metodica organizzazione della famiglia impostata amorevolmente dalla moglie. Sapeva Remo, in cuor suo, che il suo modo di essere era quello sbagliato, ma non faceva pace con se stesso su questo punto, cedendo sì alla ragion di famiglia, ma non senza un piccolo sentore di amarezza per esservisi piegato.

    Trovo ributtante il chiacchiericcio femminile: spesso penso che le oche assomiglino alle donne che si dimenano in gruppo, più che viceversa. Ancora più ributtante però è l’uomo che non le ama e non le cerca...

    Da un mesetto circa Remo aveva poi preso a scrivere un pensierino su un quadernetto a righe rubacchiato alla figlia, con la copertina color giallo limone con degli aquiloni stilizzati. Copertina più appariscente non poteva essere prodotta , pensò… Lo faceva per diletto, senza alcun motivo reale, lo faceva per curiosità e per darsi un appuntamento con se stesso a un orario più o meno prefissato. Si dava una routine, come per i bambini.

    2

    Al lavoro la giornata era appena iniziata, Remo aveva da poco acceso il pc e si era messo a leggere le prime mail ricevute nella serata del giorno precedente. Solite cose tediose: fatture non pagate, clienti da chiamare e da riportare sulla retta via , come diceva Riccardo, il suo diretto superiore. Già, Riccardo. Più lo vedeva, lo sentiva parlare, più Remo si convinceva che la meritocrazia, la sensibilità d’animo, lo studio e tutto quell’insieme di pratiche che distinguono un uomo di valore da uno mediocre, fossero solo delle vuote parole, stese ad asciugare dieci metri sopra le proprie teste: inutili, utopiche, passate di moda. Riccardo, infatti, era un ragioniere dall’acume ridotto, ma dall’incredibile dedizione al lavoro (nel senso del tempo passato in ufficio almeno) e ai diretti superiori. Uno yes man di spessore, un campione olimpico di servilismo, un panzer di costanza lavorativa senza picchi di brillantezza. Ideale da avere sotto di sé, ma atroce da avere come capo. Le scale gerarchiche sono così: tutto è relativo. Dipende da quale gradino occupi, se sei sopra o sei sotto, se stai salendo o stai scendendo. Remo invece era una persona diversa: leggeva di tutto, si interessava a tutto e si annoiava presto di molte cose. Probabilmente avrebbe dovuto fare l’artista, il perditempo. Avrebbe dovuto fare il ricco che poteva dilettarsi in mille cose per poi non portarne a termine nessuna, senza dover dar conto agli altri, né alla propria tasca, né alla propria vita. Ma ahimè non era per lui così. Come tutti doveva lavorare, come tutti doveva portare avanti la famiglia e non far mancare nulla a Sonia e Martina. Ci riusciva, ma quello che dava agli altri, che pure lo rendeva orgoglioso e momentaneamente felice, lo toglieva a se stesso. Come se ci fosse un principio di conservazione della gioia, per il quale essa non si possa creare e non si possa distruggere: se la do a te, la tolgo da qualche altra parte. Spesso la tolgo a me , pensava Remo.

    Questa la scrivo stasera, si disse soddisfatto del pensiero appena partorito. A un occhio attento poteva sembrare la fiera del banale... ma solo se la frase la si legge senza capirla.

    Ciao Remo, buongiorno, esordì una voce dal timbro fastidioso. Il dottor Meoni vuole sapere come va la chiusura delle pendenze di quest’anno. Hai chiamato quelli che non ci pagano? Non siamo mica Babbo Natale, vogliono fare i regali alle mogli e alle amanti grazie ai soldi che ci stanno bruciando? Col cazzo… e poi Meoni se la prende con me, e ha rag…

    Sì Riccardo, lo interruppe Remo con la faccia schifata e la voce cantilenante delle vecchiette in processione, ho scritto, ho chiamato… ora gli mando i carabinieri col pandoro sotto braccio per fargli cambiare idea! Non preoccuparti, molti sono clienti da anni, pagheranno… di’ a Meoni che lo zampone con le lenticchie potrà gustarselo anche quest’anno, in perfetta armonia.

    Bravo Remo Rossi, se tu avessi più voglia di lavorare mi faresti le scarpe. Però hai un’ironia fastidiosa che non si capisce facilmente, disse soddisfatto Riccardo, girando i tacchi con un sorriso brillante, ma stupido.

    È mezzogiorno quasi e Sonia non mi ha ancora chiamato, disse tra sé Remo, oggi doveva portare Martina all’asilo e poi boh… in piscina forse? No no, l’asilo è chiuso, Sonia fa il ponte dell’Immacolata pure lei… ma non mi ricordo cosa mi ha detto che avrebbe fatto. Lo squillo acuto del suo cellulare lo interruppe dai soliloqui come una puntura di spillo.

    Pronto signor Remo Rossi? È il comando della polizia stradale di Milano, quartiere Affori che parla, fece una voce monotona dall’altra parte del telefono.

    Sì, sono io, disse Remo, cosa è successo?

    Mi han dato un sacchetto con cento monete d’oro di diverse dimensioni. Se ne regalo una a te… me ne restano sì novantanove, ma comunque ne ho una in meno io.

    3

    Dai Martina, stai ferma su ’sto seggiolino, non tirare calci al sedile che lo sporchi, si lamentava Sonia con una voce dolce ma già arrendevole.

    Eh? Pecchè? Io novvoglio le cinture, mi ttriggono e non ci voglio ttare più, si impuntò la bimba.

    Smettila altrimenti non ti porto a vedere l’acquario e non ti compro la bambola che canta le canzoncine.

    Nooohhh… mamma, urlò Martina isterica come solo una donna di quattro anni può essere di più di una donna di qualsiasi altra età che urli, io la vogliooo.

    Allora metti le cinture, disse Sonia alzando il tono della voce e diventando rossa in viso perdendo improvvisamente la pazienza. Non farmi arrabbiare, aggiunse, girandosi verso il seggiolino della bambina, torcendo il busto di quarantacinque gradi, la testa di novanta mentre la vita sferraglia dal suo zenit al suo nadir, spenta improvvisamente da un camion senza colpe che passava col semaforo verde.

    Purtroppo c’è stato un incidente che ha coinvolto sua moglie e sua figlia, fece la voce monotona.

    E come stanno? Come? Dove? chiese disperatamente calmo Remo con un nodo in gola e con la voce tremula di chi attende il colpo in faccia.

    Sua figlia è praticamente illesa, davvero un angelo l’ha tenuta stretta, si è solo fatta male a un piedino. Sua moglie… è stata sfortunata. Purtroppo è deceduta, crediamo sul colpo.

    Ah… okay… quindi Martina… almeno lei… sta bene almeno? biascicò Remo, come se la salute della figlia potesse compensare la perdita della moglie o forse solo per accertarsi che qualche monetina d’oro nel sacchetto della sua vita gli fosse davvero rimasta. È forse meglio perdere una vita cara che ha danzato nella vita trentatré anni che una vita cara che ha appena messo le scarpine da ballo?

    Sì, è qui che l’aspetta. Non sa ancora tutto. Venga, piange, vuole lei, vuole un corpo su cui sciogliersi.

    Arrivo, mi dia l’indirizzo… concluse Remo fra i singhiozzi.

    Mi han dato un sacchetto con cento monete d’oro di diverse dimensioni. Un uomo nero me ne ha rubato molte, senza regalarle a nessuno…

    A volte il tempo passa così in fretta che non ci si ricorda più di aver mangiato, aver parlato, aver visto, sentito, vissuto…

    Martina hai cinque anni e mezzo! È ora di imparare ad allacciare le scarpe, no? A scuola ti prenderanno in giro di sicuro.

    Papà, a scuola ci vado a settembre, ho tutto il tempo di imparare ad allacciarmi le scarpe.

    Era passato circa un annetto o poco più da quando la loro famiglia era stata stritolata tra le lamiere contorte di un’utilitaria.

    Che caratterino che ha Martina! pensò Remo. Già, era davvero così! E pensare che in tv i bimbi e le bimbe sono così teneri. Spesso sono dei bellissimi soggetti, con gli occhi grandi, i sorrisi perfetti, i capelli da divi, la carnagione di porcellana, i modi gentili e accondiscendenti. Hanno dei genitori vestiti bene e sorridenti già alle sei del mattino, la colazione pronta sul tavolo a illuminare il giorno. Di solito vivono in una casa con una cucina enorme. La casa di Remo, invece, non è enorme. Non sono le sei del mattino, non sorridono molto né padre né figlia, ed entrambi sono mori con gli occhi scuri. Il loro tasso di accondiscendenza reciproca rasenta lo zero: se

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