La spada d'oro
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Un misterioso suicidio spinge il detective Johnston in un’indagine che coinvolge la mafia giapponese e i servizi segreti di un governo straniero a causa di una controversia sul prezzo dell’oro a livello mondiale.
Un thriller dal ritmo veloce e dotato di humour.
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Anteprima del libro
La spada d'oro - Scot MacKenzie
Preambolo
Il signor Hashimoto era adagiato sulla sua sedia da ufficio di cuoio color borgogna. Guardava dritto, verso il tetto con la cornice bianca. Gli occhi erano ben aperti e la bocca era piegata in una smorfia come di strangolamento. Una macchia rossa inumidiva la maglia bianca e la cravatta blu. L’abito gessato era sfuggito al liquido, ma qualche goccia era schizzata sui documenti dell’ufficio, sparsi sulla sua piatta scrivania di legno.
Il signor Hashimoto teneva saldamente, e con entrambe le mani, l’impugnatura decorata d’oro. La lunga lama dorata era penetrata di circa venticinque centimetri nel suo stomaco. L’infernale viaggio era finito un po’ di tempo prima per il signor Hashimoto, ma il detective Richardson, dell’ Unità Crimini Speciali
della polizia metropolitana, la Met, aveva bisogno di sapere quanto tempo prima. In quel momento, Richardson era da solo con il signor Hashimoto nel grattacielo One Canada Square
, presso Canary Wharf.
Il prestigioso edificio, pieno di uffici, era quasi vuoto mentre si avvicinavano le 19:00. C’erano solo pochi laboriosi impiegati in alcuni uffici al piano terra, che avevano scadenze da rispettare. Anche Canary Wharf rallentava il ritmo di venerdì. Richardson fece un sospiro mentre scrutava l’ufficio un’ultima volta, in cerca di una fantomatica lettera d’addio. Con la coda dell’occhio notò qualcosa d’insolito nella mano sinistra del signor Hashimoto. Questa teneva strettamente l’impugnatura con tutte le dita tranne il mignolo. Quest’ultimo sembrava rigido, e sembrava non aver preso parte al suicidio. Richardson si piegò e guardò più da vicino. Quelli della scientifica erano venuti e avevano visto, e Richardson non voleva avere a che fare con il cadavere senza che fosse necessario e prima dell’autopsia. Così, prese una matita dalla scrivania e con questa toccò il mignolo tre volte. Era rigido, e produceva un suono metallico. Come mai il signor Hashimoto aveva un dito protesico?
Capitolo Primo
Johnston tirò fuori la mazza Big Bertha sull’invitante nona buca del campo Royal Lytham
. Uno swing pieno e un impatto massimo: aveva realizzato un tiro con un ferro corto dal green, la parte erbosa del campo. Johnston passò la mazza a Parker, che la mise nella borsa. Johnston poi si allontanò, zoppicando un po’, dal tee elevato. Dave Jones, prudente fino alla fine, tirò fuori un ferro uno e mandò giù quella pallina Slazenger 66, piena di fossette, verso il centro, a circa cinquanta metri dietro Johnston. C’erano in palio dieci sterline a buca, e Jones non correva rischi, trovandosi in vantaggio di due buche. Johnston aveva diritto a un colpo in più per ogni buca, come compenso per il fatto che la fragile caviglia gli impediva di giocare al solito massimo potenziale.
«Questa volta te l’ho fatta, Dave» disse Johnston sorridendo.
«Vedremo, Jock. Ho la sensazione che quella parte in pendenza potrebbe mettere alla prova la tua caviglia.»
Parker seguì lo zoppicante Johnston, che proseguiva con la schiena piegata.
«Come va con la caviglia?» chiese Jones.
«Non male. Dovrebbe consentirmi di lavorare tra una decina di giorni, ha detto il dottore.»
«Beh, per qualche settimana limitati a fare qualcosa di semplice. Fai controlli antitaccheggio o cose del genere.»
«Non abbiamo taccheggiatori a Whattle...ci ha pensato Parker.»
Parker sembrava imbarazzato, ma non disse nulla. La sua iniziativa di prevenzione del crimine aveva sicuramente abbassato di molto le cifre. Il sole brillava tra le chiome degli alberi e l’aria costiera era fresca e dolce. L’unica macchia all’orizzonte era il fatto che Jones fosse in vantaggio di due buche. Jones prese un ferro sette e diede un bel colpo sicuro: la palla finì nella parte posteriore di quell’ampio green. Jones si diresse là dove si trovava la palla di Johnston e guardò in silenzio, mentre quel poliziotto di paese osservava e calcolava la distanza fino alla nona bandiera.
Johnston si mise a frugare nella borsa, e alla fine tirò fuori una vecchia Mashie Niblick di legno, lunga e sottile. Jones guardava scettico.
«Che diavolo hai intenzione di fare con quella?»
«Aspetta e vedrai.»
Johnston accarezzò la vecchia mazza, amata da tanti specialisti dei vecchi campi di golf scozzesi pieni di colline. Guardò la pallina per qualche secondo, e poi la colpì con decisione: una saetta, in alto e in basso, che giunse a circa sessanta metri. La pallina rimbalzò, saltò e si sentì: «E vai!» Poi, la pallina rotolò lentamente sul green. La leggera pendenza di fronte al green permise alla pallina di prendere un po’ di velocità, e pian piano essa procedette giù, fino a pochi centimetri dalla buca. Jones era senza parole. Parker scosse la testa, incapace di credere a quanto aveva visto.
Johnston fece poi un putt breve, e si mise a guardare quando Jones, con il suo tiro da circa sei metri, inviò la pallina a quasi altri sei metri più in là della buca.
«La partita non è finita!! Vedi come giocano i campioni?» Johnston gracchiava divertito.
«Vedremo» fu tutto ciò che Jones riuscì a dire.
Le cinque buche successive furono pareggiate, e poi Johnston, entusiasta come un cane con la coda alzata, vinse le due che venivano dopo, mettendo Jones quasi in condizione di dormie
, cioè con un vantaggio pari al numero di buche da giocare. Le buche finali furono una passeggiata per Johnston, ormai al settimo cielo. Quando i tre tornarono al circolo, Johnston era estremamente contento, Jones invece deluso. Parker sembrava solo annoiato. La diciannovesima buca, come viene chiamato in gergo il bar del campo, era sempre stata la buca preferita di Johnston.
«Dieci sterline a buca, giusto?» disse Jones frugando nel suo portafoglio, raramente aperto. Pescò una banconota sporca da venti, con la testa della regina parzialmente oscurata dall’impronta sudicia di un pollice, e dopo aver frugato di nuovo nel portafoglio per un po’, Jones aggiunse una banconota da dieci, dura e liscia.
«Bingo!» disse Johnston, prendendo le banconote. «Le metto dentro.»
Johnston riuscì ad attirare l’attenzione della barista con un rapido cenno del capo verso l’alto.
«Ciao, Janet. Due pinte di lager, e per me un doppio Edradour.»
Janet annuì e iniziò a versare il whisky di Johnston in una vecchia tazza di ottone da un quarto di gill, cioè da circa 35 millilitri.
«Quando porterete qui quegli strumenti ottici? Quelli con cui si misura la quantità esatta versata» chiese Johnston.
«Il comitato non li vuole. Preferiscono mantenere le cose tradizionali.»
«C’è tradizionale e tradizionale, ma siamo nel XXI secolo, e voi siete ancora nell’epoca buia.»
«Ad alcuni membri piace pensare che l’impero britannico esista ancora...già è stato troppo permettere alle donne di giocare sul campo.»
Il cellulare di Jones iniziò a squillare, riproducendo Il ballo del qua qua
come suoneria, e lui si mise a frugare nel suo impermeabile per trovarlo. Fu una chiamata lunga, e Parker era a metà della sua lager prima che Jones spegnesse.
«Proprio tipico. È il capo, e sa che questo è il mio unico giorno libero.»
«Cos’è che vuole, questa volta?»
«Beh, a quanto sembra, l’ Unità Crimini Speciali
della Met vuole che scortiamo un pezzo grosso della finanza a Londra e che lo teniamo d’occhio per qualche giorno...misure puramente precauzionali, dicono.»
«Qual è il vostro problema?»
«Siamo a corto. Veramente a corto. Gli unici agenti armati