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L’ultimo violino
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E-book186 pagine2 ore

L’ultimo violino

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Info su questo ebook

Il ritrovamento casuale di un manoscritto trasforma Guido in un investigatore della domenica che, con pazienza e poca discrezione, vuole trovare i tasselli mancanti di quella storia.
Quei fogli scritti a mano raccontano di Massimo, un cassaintegrato di 58 anni deluso dalla vita, prigioniero di un grigio quotidiano, che trascina stancamente anche il suo matrimonio. A un certo punto l’incontro con un cane e con le vicende del suo padrone scuotono quella mesta routine e, progressivamente, lo spingono verso situazioni pericolose per lui e per la sua famiglia.
Questa adrenalina è il carburante che gli cambia la vita, fornendogli nuova energia, risorse inaspettate e anche una nuova complicità coniugale.
Vite che si incontrano e si scontrano, quelle di nuovi amici e gente di malaffare.
LinguaItaliano
Data di uscita16 apr 2020
ISBN9788855129206
L’ultimo violino

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    Anteprima del libro

    L’ultimo violino - Mario Micci

    9788865376997-g.jpg

    Mario Micci

    L’ultimo violino

    Copyright© 2020 Edizioni del Faro

    Gruppo Editoriale Tangram Srl

    Via dei Casai, 6 – 38123 Trento

    www.edizionidelfaro.it

    info@edizionidelfaro.it

    Prima edizione digitale: aprile 2020

    ISBN 978-88-6537-699-7 (Print)

    ISBN 978-88-5512-920-6 (ePub)

    ISBN 978-88-5512-921-3 (mobi)

    Ringrazio mia figlia Claudia per la realizzazione del disegno in copertina

    http://www.edizionidelfaro.it/

    https://www.facebook.com/edizionidelfaro

    https://twitter.com/EdizionidelFaro

    http://www.linkedin.com/company/edizioni-del-faro

    Il libro

    Il ritrovamento casuale di un manoscritto trasforma Guido in un investigatore della domenica che, con pazienza e poca discrezione, vuole trovare i tasselli mancanti di quella storia.

    Quei fogli scritti a mano raccontano di Massimo, un cassaintegrato di 58 anni deluso dalla vita, prigioniero di un grigio quotidiano, che trascina stancamente anche il suo matrimonio. A un certo punto l’incontro con un cane e con le vicende del suo padrone scuotono quella mesta routine e, progressivamente, lo spingono verso situazioni pericolose per lui e per la sua famiglia.

    Questa adrenalina è il carburante che gli cambia la vita, fornendogli nuova energia, risorse inaspettate e anche una nuova complicità coniugale.

    Vite che si incontrano e si scontrano, quelle di nuovi amici e gente di malaffare.

    L’autore

    Mario Micci è nato a Soriano nel Cimino (VT) nel giugno del 1962, con una sufficiente esperienza di lettore e alla prima di scrittore, si cimenta in questo romanzo.

    L’ultimo violino

    Prologo

    «P rego, inserisca il codice per il pagamento.» Bi… bi… bi…

    «Ecco la ricevuta. Conservi lo scontrino per eventuali resi.»

    «Grazie. Buonasera.»

    «A lei, e torni a trovarci.»

    Guardo l’orologio mentre le dita cercano frenetiche prima le chiavi dell’auto poi lo scontrino del parcheggio.

    Un giovedì diverso dal solito, invece di percorrere i soliti trenta chilometri tutti dritti della strada a scorrimento veloce, opto per il circuito panoramico.

    Il viale che porta fuori città è costellato di ville, una carrellata espositiva di costruzioni che dal XIII secolo arriva ai giorni nostri. Quelle in stile romanico e gotico più rade, incastonate in ampi parchi come pietre preziose, le liberty dai ricchi giardini, le coloniale e le moderne.

    Mentre butto l’occhio oltre una siepe o tra le colonne di un cancello, procedendo quasi a passo d’uomo, la testa si sposta a destra e a sinistra come quella di un nuotatore che prende fiato.

    A una cinquantina di metri di distanza un gruppo di ragazzi attira la mia attenzione. Il drappello marcia compatto e con passo deciso, attraversa la via principale per infilarsi in una strada interna che taglia i confini di altre abitazioni: sul fondo si intravede l’ingresso di una villa, un ponteggio edile fascia la facciata frontale e volta ad angolo e delle transenne di rete metallica sostituiscono il cancello, qua e là brandelli di teli svolazzano come bianche bandiere di resa. Inequivocabili segni indicatori di una ristrutturazione mai portata a termine.

    La luce del crepuscolo ha divorato tutte le ombre, rende tutto piatto e senza profondità.

    Quel gruppo marciante accende la mia fantasia, potrebbero essere dei writer che si appostano in attesa del favore dell’oscurità per mettere in atto il loro disegno, ridando un poco di vita a quello spazio morto, a quella bruttura incompiuta.

    Mentre i neuroni corrono fantasticando anche l’auto avanza e gli occhi, che indagano in cerca di conferme, scorgono sul lato opposto alla villa il furgone di una ditta, la scritta sullo sportello indica Marcozzi & Figli Traslochi – Svuotamento cantine – Trasporto in discarica.

    È parcheggiato poco dentro una strada che svolta destra. A terra intorno al veicolo, cartoni, piccoli mobili, lampadari e suppellettili, due uomini stanno caricando.

    Non ho lo spirito del rigattiere o del collezionista, ma la curiosità ha preso il sopravvento e svolto di scatto senza segnalare. Il conducente della macchina dietro di me suona ripetutamente il clacson, con la coda dell’occhio vedo che il suo braccio alzato manda dei segnali inequivocabili, o mi ha mandato a fare in culo o mi ha tirato qualche accidente. Ammetto che ne ha tutte le ragioni.

    Al primo parcheggio libero mi fermo e torno indietro a piedi verso il furgone. Mi avvicino mentre sul versante opposto sono di ritorno anche i ragazzi, scorgo le gambe mentre i loro corpi sono coperti da: due comodini, una specchiera, un troumon, più dietro un comò e ancora, sull’altro lato della strada, in tre attendono l’omino verde del semaforo per passare, attraversano, si avvicinano, portando solo dei cartoni.

    Raggiunto il furgone, buttano tutto a terra senza cura. Mi avvicino a uno di loro.

    «Posso dare una occhiata?»

    E lui: «Per i pezzi di mobilio dai quindici ai cinquanta euro.»

    «Ok, vorrei curiosare un po’.»

    Sul pianale del camioncino, semicoperta da cianfrusaglie varie, scorgo una cristalliera stile liberty. Uno dei facchini sta caricando due piantane porta vaso alte, dello stesso stile.

    Con lo sguardo perlustro intorno ma il tizio con cui avevo parlato non c’è più, quindi mi dirigo verso l’uomo sul furgone. Agito il braccio per attirare la sua attenzione.

    «Scusi, scusi!»

    Quello posa l’oggetto che aveva in mano e riacquista la posizione eretta, la sua faccia è inespressiva, non muove nessuno dei muscoli mimici del volto, un irreale fermo immagine.

    «Senta sono interessato a quel pezzo, lo posso vedere meglio?» dico con lo sguardo diretto alla cristalliera.

    E lui: «Questo?» puntando con il dito un comodino che si trova sulla stessa linea del mio sguardo.

    «No, no quella dietro in fondo, mi sembra una cristalliera.»

    «Capo, che mi fa riscaricare tutto il camion?» mi risponde seccato.

    «Sia gentile!»

    Quello fa cenno a uno dei ragazzi che saltando sul pianale si fa largo tra le gli oggetti ammassati. Insieme afferrano il mobile e lo sollevano posandolo nello spazio libero del pianale; ora che lo vedo meglio mi piace ancora di più, veramente bello. Base a sezione ovale, con quattro piedi, alto un metro circa, quattro ante vetrate con vetri molati, due o tre sono mancanti.

    «Senta, sono interessato a questo e a quei due che stava caricando – dico indicandoli con il capo – Il suo collega mi ha detto dai quindici ai cinquanta euro per i mobili, lei che dice?»

    Quello guarda l’insieme, poi scruta la mia faccia. Ha sicuramente colto il mio interesse.

    «I trespoli alti quindici euro l’uno, per l’altro centoventi euro.»

    «Ma scherza!? Gli mancano pure i vetri. Facciamo cento euro tutto.»

    Guarda il suo collega che gli fa cenno di sì col capo, poi risponde: «Va bene, ma ti porti via anche quei cartoni che non abbiamo spazio per caricare tutto.»

    La cosa non mi garba tanto ma vale cinquanta euro di sconto, così dico: «Ok, affare fatto.»

    Mentre quelli scaricavano mi sono messo a curiosare nei cartoni.

    Nel primo abiti da bambino di taglie diverse, nel secondo stoviglie da refettorio e tante forchettine col manico di plastica. L’ultimo è chiuso e lo sposto orientandolo verso la luce dell’insegna del negozio di frutta e verdura poco distante, benché fioca mi aiuta a scrutarne il contenuto. Sul nastro che lo sigilla la scritta papà.

    Lo apro, frugo contando una trentina di riviste di Quattro Ruote, numeri a caso, forse acquisti occasionali, poi altre due che, rigorosamente in bianco e nero, mostrano il dorso. Le sollevo, le giro e, con stupore… sono due riviste porno, chiamate Le Ore. Sfoglio il contenuto e penso sorridendo che queste oggi potrebbero guardarle anche in seminario, fanno quasi tenerezza, un qualsiasi show televisivo odierno ha molto più contenuto erotico e ammiccante. Continuo a sfogliare velocemente le pagine in cerca dei famosi occhiali a raggi X, mito di tanti adolescenti e non, chi non avrebbe voluto provarli? Sotto ancora c’è dell’altro, dei quotidiani e una sorta di pacco, tento di aprirlo ma il tizio si avvicina mostrandomi il palmo della mano.

    Su quel vassoio sporco e calloso lascio i soldi, torno alla macchina e sdraiati i sedili posteriori inizio a sistemare il carico con l’aiuto di uno dei ragazzi.

    Si è fatto tardi l’ispezione accurata va rimandata, guidando verso casa dico tra me che le riviste di Quattro Ruote le posso regalare a Vincenzo, sicuramente apprezzerà, e così una parte del carico è già smaltita, quel pensiero da forma a un sorrisetto beffardo.

    Uno, due squilli di citofono, all’altro capo la voce di un uomo.

    «Giuseppe, scusa se ti disturbo, stai già cenando?»

    «Ohi, dimmi che succede, problemi con l’auto?»

    «No, ho la macchina piena di cose da scaricare in garage. Puoi scendere a darmi una mano?»

    «Arrivo, giusto il tempo di infilarmi le scarpe.»

    Giuseppe ha qualche anno più di me (forse otto) ed è l’unico dei condomini che conosco meglio. Una riunione di condominio ci ha visto battagliare fianco a fianco per arginare le richieste pazze delle gemelle del quinto piano, per poi scoprire la passione comune per il fumetto, mi vanto di essere uno dei pochi che ha visto le sue collezioni Marvel.

    Mentre scarichiamo gli racconto dell’acquisto, diamo una occhiata a quei mobili e anche lui conviene che ho fatto un affare, con pochissima manutenzione e una buona lucidata quei pezzi faranno ancora la loro bella figura.

    Finalmente è venerdì e posso dare piena soddisfazione alla mia curiosità, come da programma mi sto accingendo a controllare il contenuto del pacco con la scritta papà che qualche giorno prima avevo portato a casa. Domani non vado al lavoro e posso prendermela comoda.

    Ecco le trenta copie di Quattro Ruote, le due riviste di porno antico, un mazzetto di quotidiani ingialliti, articoli di cronaca, e il pacco confezionato con carta di giornale. Lo disfo con perizia, dentro c’è un mazzo di fogli scritti a mano. La prima pagina ha poche parole scritte al centro:

    NELLA SPERANZA CHE TU LO LEGGA

    Delle confessioni o una biografia, penso tra me. Salto a metà del mazzo, leggo qualche riga e iniziano ad affacciarsi alcune domande: «Chi l’avrà scritta? E quando? E perché si trova in questo cartone? E la villa?»

    Decido di riprendere la lettura, ma dall’inizio.

    L’incontro

    Mi chiamo Massimo, ho cinquantotto anni, sono sposato con Patrizia che ne ha due più di me, abbiamo due figlie, due nipoti e un cane.

    La storia ha inizio circa tre anni fa, in quel periodo avevo un sacco di tempo libero: la cassa integrazione aveva colpito anche l’azienda in cui lavoravo.

    Non vi sarà sfuggito che uno dei componenti del mio nucleo familiare è un cane, ed è l’incontro con questo essere a dare vita e scatenare tutta una serie di eventi piacevoli e non. Ci sono momenti nella vita che ti impongono di fare bilanci ed è così ora anche per me, ma più che fare bilanci ho bisogno di raccontare.

    Ci troviamo in Italia, ma non vi dirò dove e i nomi che farò sono di pura fantasia, come i dettagli paesistici o gli indirizzi stradali. Magari nella storia troverete fatti che potranno aiutarvi a collocare queste pagine nel tempo, ma l’importante è la storia, il resto è secondario.

    Sono le 23:38 di un giorno di novembre, fuori c’è un vento così forte che le tapparelle delle finestre sono scosse da un rumoroso fremito tanto che non si riesce a sentire il televisore, mi sto annoiando e ora lo spengo.

    Avete mai fatto caso a come l’acqua e il vento riescano a provocare suoni o rumori con cadenza perfetta quando colpiscono degli oggetti? Le gocce da una grondaia dopo che è piovuto, oppure l’angolo di una copertura in plastica di un terrazzino, il vento la solleva e la rilascia ed essa batte ritmando lo stesso ta ta ta, pausa, ta, pausa, ta ta e poi ricomincia la sequenza. È incredibile un vento con una volontà musicale! A volte questi suoni si uniscono a fare un unico pezzo di percussioni.

    Quando si è costretti in casa per tanto tempo la sensibilità verso quanto si muove intorno si amplifica, il giorno e la notte a volte si confondono.

    Mi alzo per bere un bicchiere d’acqua.

    L’acqua scende nella gola, come una lama gelata percorre l’esofago, uno sguardo fuori dalla finestra della cucina e in strada la stampa di un noto supermercato fa una gara di velocità con una busta di plastica e qualche foglia secca. Il propulsore è lo stesso per tutti… il vento, ma alla fine non vince nessuno, uno stop improvviso e un vortice solleva tutto in un abbraccio e quando esaurita la sua energia tutto rilascia, gli oggetti se ne vanno solitari per direzioni diverse. La borsa prende un’altra spinta, si gonfia e sale per qualche metro per finire la sua corsa trattenuta da un filo per stendere i panni, il foglio continua planando come un tappeto magico mentre le foglie si sono attaccate sulla mascherina frontale di una macchina.

    Questo vento mi fa tornare con la mente a quel martedì pomeriggio della seconda metà di agosto di qualche anno prima…

    Verso le 15:30 si era levato un vento fortissimo, prima caldo poi man mano che scorreva sempre più freddo, come fa nei temporali estivi o meglio faceva, perché ora siamo afflitti o dal caldo sahariano o dalle bombe d’acqua e il nostro clima è sempre più

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