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E-book350 pagine6 ore

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Italia. Futuro prossimo, anti utopico. Un giovane uomo, Francesco Randini, in pochi giorni si vede trascinato lontano dalle sue fragili ma comode certezze, materiali e spirituali. Costretto dagli eventi ad aprire gli occhi sulla società dominata dai Signorotti e dalle Famiglie, dove le forti ineguaglianze si accrescono tra involuzioni settecentesche e follie tecnologiche, mercenari stranieri e immensi ghetti. Francesco, suo malgrado, si improvvisa contrabbandiere di Proxamina, un potente integratore alimentare, di fatto una droga legalizzata, monopolio dei Signorotti. Inizia così uno sconclusionato viaggio, che lo porterà in contatto con nuove e surreali realtà, spunto di riflessione anche per una malinconica esplorazione interiore. In un paese smembrato dal decadente abbandono, preda delle piccole prepotenze locali, dove appiattimento morale e legalizzazione dell'illecito rendono confuso il confine tra delinquere e sopravvivere, Francesco si trova a mettere in discussione la sua vita passata e la sua stessa cultura occidentale.
Fantasociologia ed eventi visionari si fondono in un eterogeneo panorama, amara scenografia per semplici vicende umane e sentimenti primordiali, da sempre immutati nella commedia umana.
 
LinguaItaliano
Data di uscita9 gen 2018
ISBN9788867827022
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    Anteprima del libro

    Italy - Marco Caramante

    diventare...

    Cinquanta euro

    Quattro ore. In piedi. In fila davanti al Centro Distribuzione Numero Tre, quello in fondo a via Copernico, uno di quelli per i prodotti di importazione.

    Francesco era stufo di quell'ennesima attesa; un'altra domenica mattina sarebbe stata sacrificata per una tanica di gasolio e qualche litro di latte.

    Con il suo lavoro non si poteva permettere di comprare merce nazionale; quella estera costava fino alla metà, e si riteneva ben fortunato ad avere la tessera per i Centri Distribuzione Autorizzata, i soli dove si poteva acquistare a buon mercato carburante, generi alimentari ed elettronici; tutti di importazione.

    Certo, doveva ringraziare suo cugino per il gran favore. Quella tessera gliela aveva ceduta prima di andarsene per sempre nel Nord Europa; di lui non aveva avuto più notizie; ma prima o poi si sarebbe voluto sdebitare per quel regalo. Una tessera per i Centri non si dà a chiunque.

    Ma quattro ore sotto il caldo sole di settembre avrebbero reso nervoso anche un santo e Francesco ormai odiava tutte le facce che lo precedevano. La fila si dipanava dalla porta di ingresso lungo buona parte del marciapiede, fin quasi all'incrocio con via Lombroso, ed era tutta uno sbuffare, uno sventolare, un continuo ripetere che la macchinetta dei numeri era rotta e che bisognava chiedere l'ultimo.

    La stanchezza e la noia fecero lentamente scivolare il ragazzo nei suoi pensieri. «Con questo gasolio ci faccio tutta la settimana» calcolò Francesco «chissà se giovedì ci si ritrova al bar Blue, ci potrei andare in auto questa volta.»

    Continuava a fantasticare assopito, con la destra in tasca a rigirarsi tra le dita il pezzo da cinquanta euro. La coda scorreva lenta e indisciplinata. I suoi pensieri finirono sul lavoro «Ho tre caldaie tra lunedì e mercoledì; menomale, quest'anno inizia bene.» 

    Riparava caldaie, aveva fatto quello da sempre, da quando aveva finito la scuola dell'obbligo passando a pieni voti l'esame di quinta elementare. Sarebbe stato un buono studente, almeno così gli dicevano; ma la famiglia aveva preferito comprargli l'attestato di Operatore Tecnico Specializzato Collaudi Caldaie, un lavoro abbastanza sicuro. Da quando era stato abbassato il limite dell'obbligo, solo pochi si potevano permettere il prosieguo degli studi, divenuti troppo onerosi.

    Francesco fu violentemente strappato dal suo torpore per colpa di un corpo molle, sudaticcio e pesante che gli collassò addosso. La signora che lo precedeva nella fila aveva avuto un mancamento, rovinando all'indietro sul distratto pensatore. L'abbondante peso della donna non riuscì comunque ad atterrare chi la seguiva nella fila.

    Infastidito, Francesco aiutò la signora a riprendere una postura dignitosa. Lo sguardo del ragazzo si fermò sulla tessera caduta dalla borsa della donna, vicino ai suoi piedi. La scarpa di Francesco coprì lesta il prezioso oggetto, poi l'improvvisato ladruncolo si abbassò lentamente, fingendo di allacciarsi una stringa. Mentre le sue dita si allungavano sul marciapiede verso la tessera, queste si scontrarono con degli scarponcini da trekking, scuri e con inserti di pelle scamosciata. Senza alzarsi Francesco tirò su lo sguardo: sopra gli scarponcini trovò un saio marrone, e sopra al saio due occhi attenti. Un frate, che lo precedeva in fila, accanto alla sbadata signora, lo guardava impassibile. L'uomo aveva una faccia affusolata e bianca, la testa con pochi capelli rasati, compensati da una barba rossiccia e rada; un paio di occhiali rotondi di filo dorato incorniciavano il suo sguardo fisso e inquisitorio.

     Quasi sorridendo, Francesco si rialzò facendo scivolare dolcemente la tessera rubata nella tasca dei pantaloni; poi strizzò l'occhio al frate, certo della sua omertà.

    «Figuriamoci se quello fa la spia» pensò il ragazzo «poi va pure in giro con quelle scarpe al posto dei sandali, con questo caldo, povero matto, ma cosa vuole?» 

    Archiviata la questione morale, la mente di Francesco passò velocemente a esaminare i vantaggi che quel furto accidentale gli avrebbe garantito.

    «Posso acquistare il doppio la prossima settimana, basta che usi una tessera qui, l'altra al Centro di via Collodi!»

    Era allegro e le, ormai, cinque ore di attesa non gli pesavano più di tanto adesso.

    «Mi dica» ripetette per la centoquarantaquattresima volta l'impiegato dietro al vetro sporco e blindato.

    «Carlo, sono io... dammi il solito: quaranta di gasolio e dieci di latte austriaco, tieni i cinquanta euro. Ah, ecco la tessera!»

    Contemporaneamente, di fronte allo sportello accanto al suo, la Sicurezza stava allontanando una signora, priva di tessera ma con una rumorosa crisi di nervi.

    Dopo aver pagato, aver aggiornato i dati, aver compilato e restituito il Modulo Informativo Utilizzo Prodotti Importati, Francesco uscì dal Centro, con una tanica di carburante e tre bottiglie di latte.

    Fuori, tra le auto parcheggiate, in piedi, il frate si trovò nuovamente a posare il suo sguardo severo sul giovane; Francesco gli passò rapidamente davanti e i loro occhi si incrociarono solo per un istante.

    «Rieccolo, ma crede di farmi pentire con quelle occhiatacce?»  pensò il ragazzo, dirigendosi soddisfatto e deciso verso casa.

    Abitava in periferia, in via Europa, quasi al confine col quartiere degli Africani. Si allontanava dalla sua zona solo per lavoro o per andare al Centro di via Copernico; ma soprattutto non frequentava mai il quartiere degli Asiatici e quello degli Africani.

    «Se siamo in queste condizioni è tutta colpa loro» ripeteva rancoroso il ragazzo ogni volta che si trovava costretto a passare da quelle parti.

    «Giovanotto!» Francesco si sentì appellare da qualcuno che stava sopraggiungendo velocemente dietro di lui.

    «Se è ancora quel frate, stavolta gli faccio passare la voglia di impicciarsi» promise il ragazzo girandosi per vedere lo scocciatore.

    «Eugenio!» esclamò sorpreso Francesco «sempre spiritoso; dammi una mano a portare questa roba, visto che sei qui.»

    Eugenio era un amico di Francesco, forse l'unico; non troppo alto, decisamente sovrappeso; la faccia tonda senza un filo di barba, il naso schiacciato, capelli lunghi e neri, legati in un codino a cui era morbosamente affezionato da quando aveva quindici anni. Vestiva sempre un completo grigio e scarpe eleganti; anche quel giorno, nonostante fosse sopra il suo ultimo acquisto: una bicicletta elettrica auto stabilizzante.

    «Giovedì ci sei? ti devo presentare Claudia» urlò Eugenio, senza rispondere alla richiesta di aiuto dell'amico. E proseguì veloce per la sua strada.

    «Forse non sa ancora fermare quella bici» si convinse Francesco riprendendo il suo cammino verso casa. 

    Era quasi ora di pranzo e le strade erano praticamente deserte. Solo agli incroci, dove c'erano i preziosi cassonetti dei rifiuti, bande di ragazzini oziavano e controllavano chiunque si avvicinasse. Nessuna auto passava sull'asfalto polveroso e sconnesso, e nessuno lasciava il proprio veicolo parcheggiato all'esterno, in quei quartieri.

    Francesco procedeva rapido, districandosi sui marciapiedi ostruiti da calcinacci, palesi testimoni del degrado dei palazzi vicini.

    Aumentò il passo, un po' per la fame, un po' perché iniziava a provare un forte dolore alle dita della mano che sosteneva la tanica di carburante.

    Poi l'ultimo incrocio, via Europa, il suo portone, le sue otto rampe di scale, quarto piano, la sua casa, il suo divano. Si sdraiò lasciando cadere la tanica e le buste di latte sul pavimento. Solo un minuto; poi la voglia di un piatto di spaghetti lo fece rialzare. Aglio olio e peperoncino, il suo preferito. Mise il latte nel frigorifero, prese il pacco di pasta, l'aroma di aglio, l'aroma di peperoncino, l'olio di semi.... esitò, si girò nuovamente verso la sua piccola dispensa e lo sostituì con una piccola bottiglia piena di olio di oliva. «È domenica oggi.» si giustificò.

    Mangiò avidamente quel suo piccolo capolavoro, non sapeva cucinarsi di meglio. Si ricordò per un attimo di suo padre e della sua passione per la cucina, dei suoi ottimi risultati; altri tempi, altri ingredienti a disposizione.

    Si tuffò dal tavolo al divano, mirando il telecomando. Il suo sessanta pollici tinse di luce azzurrognola la piccola stanza e i pochi mobili presenti.

    La pubblicità festosa della Proxamina lo fece scivolare in un profondo sonno pomeridiano. 

    Domenica pomeriggio

    Il tablet squillò incurante dei sogni di Francesco. Sullo schermo apparve la faccia di Eugenio. L'odiosa suoneria continuava a martellare le tempie del ragazzo.

    Francesco si alzò dal divano e rispose alla videochiamata bubbolando poche parole «Che vuoi adesso?»

    E prontamente Eugenio «Questa mattina ti ho fatto una domanda!»

    «Come?» balbettò Francesco.

    «Non mi hai ancora detto se giovedì sera ci sei o no al Bar Blue! Sveglia!» chiarì lo scocciatore.

    «Si tranquillo, ci sarò...» Francesco chiuse la chiamata senza salutare.

    Era assillante Eugenio, lo era sempre stato; assillante e insistente; era la sua natura, ma da quando aveva intrapreso la carriera di assicuratore sembrava che avesse volutamente amplificato questi suoi difetti, trasformandoli in quelle che lui considerava virtù. Negli ultimi dieci giorni era diventato perfino ansioso, ripetendo sempre le stesse cose al povero Francesco «La devi vedere; quando la conoscerai capirai; abbiamo tutto in comune...» Eugenio rimarcava questa cantilena ad ogni occasione.

    Viveva ai Villini e si chiamava Claudia. Di lei altro non era stato raccontato a Francesco; Eugenio voleva che il suo amico scoprisse di persona i pregi della sua nuova fidanzata.

    Posò il tablet sul tavolo e andò nel bagno; si sciacquò la faccia, poi si controllò allo specchio: i capelli e la barba erano incolti e disordinati, come i suoi obiettivi. Anche quel pomeriggio non sapeva bene cosa fare. Chiuse dietro di sé il portoncino ed uscì.

    Fuori la via cominciava ad animarsi, piccole processioni si incamminavano verso il centro della città. Francesco passeggiava ondeggiando fra i suoi pensieri, con le mani nelle tasche. Ripassava le scene più belle dei film della sua collezione, pellicole degli anni ottanta del ventesimo secolo; era la sua passione, gliela aveva inculcata suo padre. Il faccione di Carlo Verdone era anche l'unica foto appesa nel suo piccolo bilocale.

    Verso sera raggiunse il corso principale, illuminato dai negozi affollati e chiassosi.

    «Tutta gente dei Villini, beati loro» dedusse Francesco sbirciando dentro le vetrine. Non c'era invidia nelle sue parole, ma solo rassegnazione; non aveva mai acquistato in quei negozi, e mai l'avrebbe potuto fare. Il Mondo era fatto così, lo sapeva bene.

    Guardò il suo tablet per controllare l'ora. «È tardi, meglio tornare a casa» pensò «domattina ho il primo appuntamento alle sette.»

    Solitario si diresse verso via Europa. Non usciva mai in compagnia, la sua vita sociale si limitava al giovedì sera di ogni settimana, se il lavoro andava bene.

    Un ronzio lo colse di sorpresa: una possente auto elettrica reclamava la carreggiata e Francesco attraversò velocemente la strada, soffermandosi sul marciapiede a guardarsi riflesso nella splendida macchina che si allontanava verso il quartiere dei Villini.

    Rientrato nel suo appartamento ingoiò una pasticca di Proxamina aiutato da mezzo bicchiere d'acqua, poi con fare meticoloso preparò i sette contenitori della raccolta differenziata. Scese nuovamente in strada. La Proxamina gli dava coraggio.

    Si avviò deciso verso l'incrocio dove c'erano i cassonetti. A pochi metri da questi gli si fece incontro un ragazzotto, basso e tarchiato, con indosso un paio di jeans strappati e un gilè di pelle. Era il capo dei Guardiani, bande di ragazzini assoldate per controllare i cassonetti. Gli fece cenno di mostrargli i contenitori. Dopo aver verificato quanto Francesco trasportava, il ragazzotto si girò verso i suoi compari facendo cenno che il nuovo arrivato era a posto.

    Francesco tirò fuori la sua tessera per la differenziata e rapidamente svuotò l'immondizia nei vari cassonetti, sempre sotto lo sguardo vigile dei Guardiani.

    «Muoviti» ammonì il ragazzotto a Francesco «non vedi che sta arrivando il camion di Piero?»

    Francesco non se lo fece ripetere e rapidamente si allontanò da lì. Prima di rientrare nel portone fece in tempo a vedere il camion fermarsi, Piero scendere e contrattare con i Guardiani, per poi ripartire con due casse piene di materiale.

    Si rese conto che l'effetto della Proxamina stava calando e prese un'altra pasticca. Si addormentò sul divano, senza neanche cenare. La Proxamina gli dava tranquillità.

    Si svegliò alle due di notte per la fame. Decise di mangiare un po' di biscotti, assieme al latte che aveva comprato quella mattina.

    La notte era calda e fu un piacere affacciarsi alla finestra.

    I Guardiani pattugliavano ancora i cassonetti. Il resto della via era completamente deserto. Vide solo un uomo passare veloce in bicicletta.

    Si trascinò sul letto, lasciando acceso il sessanta pollici: anche dalla camera lo vedeva bene.

    Sentì un tonfo e delle urla. Venivano dalla strada. Tornò nuovamente alla finestra. Notò che era tutto tranquillo. L'uomo di prima si stava allontanando zoppicante. Il capo dei Guardiani infilava soddisfatto la bicicletta in un cassonetto.

    Dopo pochi minuti una lussuosa auto si avvicinò. Il ragazzotto si chinò al finestrino e prese una busta. La macchina ripartì veloce e silenziosa.

    Francesco si adagiò sul suo cuscino, annoiato. La notte continuò tranquilla.

    Il pane quotidiano

    Sembrava una calda alba di agosto, invece era fine settembre.

    Francesco non fece colazione, si vestì e scese silenzioso le scale. Entrò nel cortile e salì sulla sua vecchia auto con motore diesel. La macchina si diresse verso via Dell'Artigianato, lasciandosi dietro rade nuvolette nere.

    «Che pessimo inizio di settimana» grugnì il ragazzo «la prima caldaia da revisionare è al quartiere degli Asiatici.»

    Guidava il monovolume seguendo le indicazioni del navigatore, non conosceva molto quelle vie e raramente si era spinto da quelle parti.

    Alle sette in punto parcheggiò. Scese con la borsa degli attrezzi e si diresse al civico diciotto, un capannone prefabbricato, uno dei tanti. Al piano terreno c'era un laboratorio artigianale; sopra, un anonimo appartamento.

    Suonò due volte, insistentemente, sperando di buttare giù dal letto qualcuno. Ma erano già tutti svegli da alcune ore in quella casa. Un uomo basso, vestito di bianco e dai lineamenti orientali fece strada a Francesco.

    Attraversarono un lungo corridoio in penombra, sulle pareti spiccavano solo piccoli portafoto con le cornici rosse. Affacciate alle porte delle camere cinque piccole faccine osservarono in silenzio passare quell'invasore mattutino.

    In fondo, nell'ultima stanza, c'era la caldaia. Il padrone di casa la indicò senza proferire parola. Subito Francesco iniziò ad armeggiare, a smontare, a sudare. Un piccolo colpo di tosse, proveniente dalla parte opposta della stanza, distolse il ragazzo dal suo lavoro. Istintivamente si voltò e vide, a due metri da lui, una donna minuta, con i capelli neri lisci, lo sguardo sottomesso; stava immobile mentre reggeva un vassoio con una teiera fumante e una tazzina. Francesco la ignorò e si volse nuovamente verso la caldaia.

    Al piano di sotto il ronzio dei macchinari e le voci degli operai divenivano ogni minuto sempre più fastidiosi.      

    Mezz'ora di lavoro e la caldaia era revisionata. La donna, il vassoio e la teiera erano ancora in attesa di un cenno del ragazzo.

    Nel corridoio il padrone di casa aveva preparato il compenso per il lavoro svolto.

    Francesco prese i soldi e se ne andò senza neanche salutare.

    Il vecchio monovolume ripartì rumorosamente. I capannoni si susseguivano tra strade sporche e monotone. Ma Francesco guidava felice, amava stare sulla sua auto, anche se vecchia di trenta anni. Per qualche mese ci aveva anche vissuto, prima di trovare in affitto il bilocale in via Europa.

    Il secondo appuntamento era in via De Amicis, alle ore undici.

    Il navigatore non era aggiornato e il ragazzo iniziò a vagare a casaccio nel quartiere degli Asiatici, sperando di uscirne prima possibile.  Ma era difficile orientarsi senza segnaletica. Fermarsi a chiedere informazioni era l'ultimo dei suoi pensieri. «Nemmeno mi capiscono qui» si convinse Francesco.

    Quel posto iniziava a nausearlo, talmente era ripetitivo e noioso. Non c'erano piazze o giardini, e neanche negozi. Solo vecchi capannoni, incasellati con precisione in un reticolo di stradine piene di buche. Eppure ci vivevano almeno duemila persone.

    Mentre osservava quello scempio urbanistico, si accorse che all'interno di quella zona non c'erano neanche i cassonetti dei rifiuti. Erano infatti posizionati solo lungo le strade che delimitavano il quartiere. Naturalmente controllati costantemente dai guardiani.

    Riuscì ad imboccare via della Repubblica. Era fuori, finalmente.

    Alle undici e trenta suonò il campanello di via De Amicis, numero cinque. Un'arzilla novantenne lo accolse con un sorriso a tre denti.

    «Mi scusi per il ritardo, ma ero al quartiere degli Asiatici» disse il ragazzo senza neanche presentarsi.

    «Capisco, capisco...» lo assecondò la signora Farbelli, facendo cenno di entrare.

    Il monolocale a piano terreno era illuminato da un grande lampadario appeso al centro del soffitto. La donna fece accomodare il ragazzo a un piccolo tavolo di legno massello completamente tarlato, dove due tazzine di caffè d'orzo attendevano ormai fredde. Sorseggiando l'intruglio Francesco osservò la stanza. Tutto era ricoperto da una sottile patina di polvere. Tutto tranne una ventina di barattoli di vetro col tappo dorato.

    «Erano di mia madre» disse l'anziana signora «servivano per le conserve di pomodoro, quelli grandi. I piccoli per marmellate e cibi sottolio. Ormai le etichette non si leggono più. Li lustro ogni mattina.»

    A Francesco tornarono in mente vecchi sapori, i sapori della sua infanzia «Dov'è la caldaia?» tagliò corto, risputando nella tazzina quel freddo brodo di orzo.

    La signora Farbelli aprì un'anta di un armadio. «Eccola» aggiunse facendosi da parte.

    Francesco finì rapidamente il suo lavoro, mentre l'anziana giocherellava con un tablet.

    «Pronto?» chiese la donna scrutando la caldaia.

    «Si, sono ottanta euro»

    «Ma l'ultima volta erano sessanta! Adesso non li ho tutti» la signora Gabelli si buttò a sedere sconsolata.

    «Quelle sono nuove?» chiese il ragazzo indicando due scatole di Proxamina sul comodino.

    «Le ho comprate venerdì» rispose la donna alzandosi in piedi e dirigendosi verso il comodino.

    «Prendo quelle e siamo a posto» propose Francesco.

    «Va bene» acconsentì mestamente la signora Farbelli, porgendo la Proxamina e indicando la porta al giovane.

    Non avrebbe fatto in tempo a pranzare, l'ultimo appuntamento era tra meno di mezz'ora. La Proxamina della Farbelli capitava a proposito; ne ingurgitò due pasticche appena si sedette nella sua auto. La Proxamina gli dava energia.

    Piazza della Ferriera. Quartiere degli Africani. L'ultima tappa della giornata. All'interno dell'ex area industriale.

    Alti edifici di ferro arrugginito, convertiti da fabbrica in abitazioni, delimitavano uno slargo polveroso. Francesco parcheggiò al centro del piazzale.

    «E hanno il coraggio di chiamarla piazza» commentò mentre si dirigeva verso uno degli edifici circostanti.

    Non c'erano campanelli. Il portoncino era aperto e Francesco entrò deciso. L'effetto della Proxamina era ancora forte.

    Salì dieci rampe di scale prima di trovare il cognome che cercava. «Ndomba, eccolo finalmente» sussurrò ansimando per la fatica.

    Poi bussò.

    Alcuni istanti di silenzio totale, poi uno scroscio di urla festose di bambini. Il pesante portoncino di ferro si aprì con stridori e scricchiolii. Una vampata di aria umida e speziata colse di sorpresa Francesco.

    «Buongiorno, è per la caldaia?» chiese con voce squillante una giovane e grassa madre.

    Il ragazzo esitò un attimo, distratto dagli sgargianti colori della veste e del copricapo della donna, poi varcò la soglia annuendo con la testa.

    Fu subito circondato da diversi ragazzini saltellanti.

    «Dov'è la caldaia?» si affrettò a chiedere Francesco, divincolandosi nervosamente tra le piccole mani curiose che cercavano di afferrargli la borsa degli attrezzi.

    Questa volta l'intervento fu estremamente veloce, Francesco non sopportava gli odori, i colori e i rumori di quel posto. E quel pubblico attento di bambini lo infastidiva ulteriormente.

    Quasi si dimenticò di incassare, tanto aveva fretta di andarsene.

    Ripartì dal piazzale alzando un'alta colonna di polvere. Il monovolume imboccò una stretta via tra alti palazzi di ferro e vecchie ciminiere pericolanti. Dalle finestre sventolavano panni coloratissimi lasciati ad asciugare. Le strade erano molto affollate, e Francesco sterzava continuamente in modo brusco, per evitare pedoni e ciclisti. Ogni tanto incrociava qualche auto vecchissima e malandata, che lo salutava strombazzando.

    Uscito dal quartiere degli Africani si diresse verso i Villini. Era presto, e non aveva voglia di tornare per rinchiudersi nei suoi quaranta metri quadri.

    Arrivò sulla via Panoramica, la strada che delimitava il quartiere più ricco della città. Un alto muro di cemento, tinteggiato di celeste, lo separava dal resto dell'abitato.

    Francesco non era mai entrato ai Villini, ma almeno una volta a settimana faceva un giro lungo la Panoramica, costeggiando il muro celeste. Andava in quel posto senza mai addentrarcisi. Dentro non si sarebbe sentito certamente a suo agio, ma almeno stando fuori gli sembrava di dimenticare per un po' le brutture che quotidianamente frequentava. Una sorta di purificazione.

    Due auto elettriche lo sorpassarono veloci e mute. I loro vetri neri non lasciavano intravedere i fortunati passeggeri. Proseguirono entrambe per altri cento metri, poi svoltarono dolcemente a destra, entrando nel quartiere dei Villini. Alcuni uomini in divisa nei pressi del passo di accesso, salutarono ossequiosi.

    Francesco invece tirò dritto, osservando per pochi istanti con la coda dell'occhio uno spicchio di quel mondo felice che trapelava dal varco nel muro celeste.

    Il vecchio e inquinante monovolume proseguì rassegnato alla volta di via Europa.

    Rincasato, mangiò un panino preconfezionato e si fece una doccia fredda.

    Aveva fretta. In prima serata davano un vecchio film di Verdone.

    Si sdraiò sul divano e dette vita al sessanta pollici. Appena in tempo per vedere e sentire lo spot dello sponsor della serata.

    «Buona visione da Proxamina, amplificatore emozionale ed energizzante» declamò con voce impostata una bellissima donna.

    Francesco recepì il suggerimento, e ingurgitò subito una pasticca del miracoloso integratore, non poteva certo rischiare di addormentarsi. Restò sveglio fino alle due. Poi crollò improvvisamente in un sonno profondo.

    Si ritrovò nel suo solito sogno. Sdraiato. Su di un prato verdissimo, in dolce pendenza. Sopra di lui un cielo intrecciato di nuvole plumbee e nere. E una pioggia fitta, insistente ma delicata gli cadeva addosso, senza bagnarlo. Francesco contemplava gli spilli di pioggia venirgli incontro dalle nubi. Provava una sensazione di totale rilassamento, che continuava anche dopo il suo risveglio.

    Faceva spesso questo sogno. Ipotizzava fosse un effetto della Proxamina, ma non ne era del tutto convinto. Di una cosa era certo però: della Proxamina non ne poteva più fare a meno.

    Conta le stelle

    Martedì e mercoledì li passò nel suo bilocale, senza mai uscire. Non aveva appuntamenti di lavoro. Immerso nella sua apatia si dedicava totalmente ai programmi televisivi, saltellando velocemente tra gli oltre settecento canali tematici disponibili. Ogni tanto si nutriva. Le notti continuavano a essere calde, umide ed insonni.

    Finalmente arrivò il giovedì.

    Un solo appuntamento, all'ora di pranzo; ma almeno aveva un motivo per uscire di casa. Non dovette usare neanche l'auto, lo attendevano nel palazzo accanto al suo.

    Alle due era di nuovo sul divano. Un messaggio di Eugenio animò il tablet di Francesco. Non lo lesse. Sapeva già con certezza cosa volesse il suo amico: ricordargli che si dovevano incontrare quella sera al Bar Blue.

    Alle nove Francesco si incamminò verso via Petrarca, pochi isolati da dove abitava. Non prese il monovolume, quella settimana lo scarso lavoro gli imponeva parsimonia.

    Al centro del piano terreno di un vecchio edificio un'insegna azzurrognola illuminava la vetrina del bar. Ad attenderlo, il ragazzo trovò un agitato Eugenio e una corpulenta ragazza.

    «Eccoti, finalmente» esordì Eugenio «Lei è Claudia.»

    «Lo immaginavo» ripose Francesco, sforzandosi di accennare un sorriso mentre analizzava sommariamente l'aspetto della giovane.

    Claudia era ben vestita, di corporatura generosa, con un caschetto di capelli corvini lisciati alla perfezione.

    «Entriamo?» si affrettò a dire Eugenio per spezzare l'imbarazzo che si stava creando «O vogliamo passare la serata qui?»

    La saletta del Bar Blue accolse i tre giovani con le sue squallide pareti rivestite di piastrelle bianche e grigie. 

    Dietro un lungo bancone di plastica un magrissimo barista accennò un saluto verso Eugenio, mentre i tre si stavano accomodando a uno dei pochi tavoli presenti.

    Claudia esitò a sedersi, credendo quasi di trovarsi nel mezzo di uno scherzo goliardico. Lei aveva sempre vissuto ai Villini e adesso le sembrava impossibile trovarsi a frequentare un simile locale. Ma ormai non poteva certo tirarsi indietro e si lasciò cadere sulla sedia scricchiolante.

    «Bene, di cosa ti occupi Francesco?» furono le prime parole della ragazza.

    «Collaudo caldaie a gas» rispose freddamente l'interrogato.

    «Caldaie a gas?» squittì Claudia stupita «Certo, giusto... non ricordavo mica che da voi esistono ancora» aggiunse compiaciuta la giovane donna  «che peccato però; inquinano molto, non è vero?

    «Non lo so, credo siano tutte leggende metropolitane»

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