Autostop-per-la-notte
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Anteprima del libro
Autostop-per-la-notte - Massimo Anania
Tavola dei Contenuti (TOC)
Il passaggio
La festa
L’altra festa
La fuga
Il secondo passaggio
Giovanna Liseo
Un altro ospite
Il risveglio
La cugina del diavolo
La cena
Il libro
Sandro Corda
La confessione
La resa dei conti
Ritorno a casa
Autostop per la notte
Se fosse un film a cura di Walter Moroni
golem / romanzo
©
2018
Miraggi Edizioni
via Mazzini
46
,
10123
Torino
www.miraggiedizioni.it
Progetto grafico Miraggi
In copertina: Eric Lot, Out of danger (comfort zone) e The untouchable
Finito di stampare a Città di Castello
nel mese di giugno
2018
da CDC Artigrafiche
per conto di Miraggi Edizioni
su carta Book Cream Avorio
80
gr
Prima edizione digitale: luglio
2018
isbn
978-88-3386-098-5
Prima edizione cartacea: giugno
2018
isbn
978-88-99815-85-1
Sono seduto sul bordo di un marciapiede, la mano sinistra regge un taccuino sulle ginocchia infreddolite, e tra le dita della mano destra una matita si muove senza sosta per lasciare sul foglio scarabocchi indecifrabili.
Gli occhi scannerizzano la striscia bianca che separa le due corsie di marcia in cerca di imperfezioni. Gli scarichi delle macchine che mi sfrecciano davanti s’infilano nelle mie narici corrotte lasciandomi senza fiato.
Ho seguito quella striscia nella sua corsa feroce verso quello che accadrà, o che potrebbe accadere, nel momento in cui si apriranno le cosce della notte.
E la notte diventa mattino.
Questa storia inizia sul bordo di una strada, un pugno chiuso e il pollice rivolto verso l’alto.
Questa storia inizia con l’autostop.
Autostop per la notte.
Il passaggio
Sono le nove di sabato sera quando alzi il pollice in cerca di un passaggio per il centro. Sei immobile sul bordo di uno spartitraffico in corso Orbassano e aspetti che il semaforo diventi rosso e le auto si fermino.
Ti avvicini ai veicoli con il braccio teso, il pugno chiuso e il dito grosso rivolto verso l’alto. Ti chini davanti a ogni macchina e fissi i conducenti con l’espressione di un cane che aspetta un biscotto: speri in un cenno, un finestrino che si abbassa, qualcuno che ti faccia montare e ti scarrozzi almeno fino a Porta Susa.
Manca una settimana all’esame di filologia classica e il flusso di informazioni che circolano nel tuo cervello si è ormai interrotto. I neuroni se ne stanno fermi come auto all’ora di punta, incapaci di prendere una direzione qualunque e senza un vigile in grado di gestirne il traffico. Ognuno di loro ha il bagagliaio pieno di parole ben ordinate da accatastare nel reparto informazioni importanti
all’interno del tuo cranio, ma i navigatori satellitari sono andati in tilt e molti ti hanno abbandonato: – Sciopero generale, – protesta uno: – Questo è sfruttamento, – gli fa eco un altro. Due neuroni si spintonano mentre altri cercano di dividerli, si forma una calca e sembra di essere a Porta Palazzo al sabato mattina. Il vociare era così forte che hai chiuso i libri e hai deciso di uscire da casa con l’esultanza dei neuroni schiavizzati e i sindacati inneggianti alla vittoria.
Ti manca il sapore di una donna e ti lasci andare all’idea di alleggerire il cervello con una miscela di alcool e sesso. In centro troverai gli amici, scolerai qualche birra e con un po’ di fortuna rimorchierai una ragazza da imbrattare col tuo seme.
Al quinto rosso una macchina tra quelle in coda alza i fari due volte. È un po’ indietro e aumenti il passo per raggiungerla. Il conducente accende la luce dell’abitacolo e ti fa cenno di avvicinarti con la mano destra.
Sei titubante, di solito guardano tutti avanti e fanno finta di non vederti: hanno la prima ingranata, il piede che preme a fondo la frizione e gli occhi fissi al semaforo in attesa che la luce verde si accenda; poi partono come al via di un gran premio di formula uno e si dileguano nel traffico. Sei trattato allo stesso modo dei venditori di rose e dei lavavetri che come te restano appesi a un semaforo nella speranza che qualcuno gli sganci un euro.
Di solito ti caricano i ragazzi giovani, spesso alla guida di utilitarie scalcagnate che non hanno l’aria di poter percorrere tanti chilometri. Questa volta si è fermato qualcuno che guida un’Audi, non distingui il modello ma vedi che è lunga, nera e la carrozzeria luccica sotto i lampioni. Quando la raggiungi ti accorgi che l’uomo alla guida avrà una quarantina d’anni e indossa una giacca nera e una cravatta rossa sopra una camicia bianca. Tu hai addosso un paio di jeans e una felpa nera col cappuccio dietro le spalle e capisci subito che non avete niente in comune.
Allunghi la mano destra verso la portiera, infili quattro dita nella maniglia e apri la porta: – Va in centro?
– Sì, svelto sali che è verde.
Non chiedi altro, è stato troppo risoluto per lasciare spazio ad altri dubbi e l’alternativa a quel passaggio è un tempo indefinito in attesa che passi qualcun altro che non teme gli autostoppisti. Monti in macchina, chiudi la porta e allacci la cintura mentre la vettura parte di scatto e ti spinge all’indietro.
– Io vado in corso Moncalieri, – dice l’uomo: – Tu dove vai?
– Ho degli amici che mi aspettano in centro, mi lasci pure dove le va meglio.
È ben rasato e i capelli corti brizzolati sono pettinati all’indietro e immobilizzati dal gel. Ha tutta l’aria di essere un rappresentante: pensi che possa vendere farmaci, articoli per aziende aereospaziali o un prodotto miracoloso per la pelle. Ma potrebbe anche fare l’operaio alla Fiat e andare in giro a fare il figo per rimorchiare.
– Mi fermo a prendere le sigarette, – dice l’uomo parcheggiando davanti a un bar. Spegne la macchina, scende, chiude la portiera e cammina tenendo i lembi della giacca contro il petto con la mano sinistra. Arrivato alla porta del locale torna indietro e si avvicina al tuo finestrino. Cerchi il tasto per abbassare il vetro ma non lo trovi e apri la porta per sentire cosa vuole.
– Hai fretta o beviamo un caffè?
– Andiamo.
Mentre scendi dall’auto lui è già entrato nel bar: ti infastidisci; decidi di farlo aspettare e accendi una sigaretta. Lo guardi dalla vetrata mentre parla col barista che appoggia due bicchieri sul bancone e si gira a prendere una bottiglia sul ripiano accanto alla macchina del caffè. Poco dopo, il tuo autista ti raggiunge con la sigaretta penzoloni in bocca e due bicchieri di whisky tra le mani. Te ne porge uno con un ghigno degno della Monna Lisa, alzi il bicchiere per brindare ma lui ha già ingurgitato il suo. Lo imiti mentre lo osservi tornare dentro al bar: hai la gola in fiamme, tossisci, e quando sputi a terra ti pare che la saliva possa sciogliere l’asfalto e attizzare un incendio.
Torna fuori e ti porge un altro bicchiere: lo afferri e ti guardi intorno in cerca di un posto dove appoggiare quello vuoto; non ci sono tavolini e lo lasci a terra vicino alla vetrina. Appena si libera una mano, accende la sigaretta che gli ciondola tra le labbra, prende una lunga boccata e la soffia in aria come a voler svuotare completamente i polmoni.
– Che lavoro fai? – chiedi.
– Faccio l’assicuratore.
– Qui a Torino?
– Sì, sono titolare di quattro agenzie che lavorano in ambiti diversi.
– Cioè?
– Macchine, vita, casa, assicuro qualunque cosa abbia un valore più o meno grande.
–