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Le sabbie di Aether: Volume I
Le sabbie di Aether: Volume I
Le sabbie di Aether: Volume I
E-book332 pagine4 ore

Le sabbie di Aether: Volume I

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Info su questo ebook

In una caverna buia e silenziosa, dove le anime dei defunti che non erano state ancora reincarnate venivano raccolte, una piccola e debole luce decise che era il momento di fuggire da quella desolazione. Con la sua sola forza di volontà, iniziò a strisciare nell’umido suolo della grotta, iniziando a notare altre fiamme. Preso dalla fame, cominciò a mangiare tutta la luce che lo circondava, rafforzandosi sempre di più e iniziando a evadere dal freddo che lo costringeva al suolo.
Quella, fu la nascita di un Teschio Nero, una creatura mitologica che solo le leggende potevano provare a descrivere.
Quando mise piede fuori dalla sua prigionia, il mondo fu destinato al cambiamento.
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2020
ISBN9788835821205
Le sabbie di Aether: Volume I

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    Anteprima del libro

    Le sabbie di Aether - Gabriele Gemignani

    EDITORE

    Le sabbie di Aether

    Volume I

    Atto I

    -Il Santo e il Silente-

    Un grazie a Marta, Sara e Fabiana, che hanno reso possibile questo volume.

    Grazie anche a Riccardo, Massimiliano, Davide, Federico, Alessandro, Daniele e a tutti coloro che mi hanno aiutato e sostenuto. Spero vi possiate divertire.

    Storia: Gabriele Gemignani

    Illustrazioni: Sara Tiribilli

    Prologo

    Al principio, vi era il freddo.

    Una gelante oscurità che si avviluppava attorno a ogni centimetro del suo essere. Non sapeva se fosse il buio stesso a fargli provare tanto freddo, o se invece la colpa ricadesse proprio sul gelo, che era capace di generare quell'ombra infinita e opprimente. L'unica cosa che riconosceva tuttavia era quella sensazione di solitudine, sufficiente a destabilizzare l’equilibrio della sua anima.

    Non riusciva nemmeno a muoversi, tant'è che pensò di essere congelato. Provò comunque a mandare il corpo un po' più avanti, sperando di trovare qualcosa di simile a una luce, un faro nella notte. Le sue speranze cominciarono presto ad affievolirsi, poiché per quanto cercasse di proseguire sulla strada che aveva innanzi, era come se un peso opprimente lo stesse schiacciando al suolo, impedendogli perfino di strisciare.

    Nonostante tutto, il bisogno di evadere da quel freddo era più grande di qualsiasi cosa.

    Per questo motivo strisciò, strisciò e strisciò ancora, come un verme sul suolo bagnato. Finché, finalmente, non iniziò ad avvertire una nuova sensazione.

    Che fosse calore?

    Una luce?

    Un fuoco?

    No, probabilmente era ancor meno di un fiammifero in mezzo al deserto.

    Eppure, la sola presenza di quella fonte di calore riuscì a ridargli vita. Come se fosse un animale in cerca di riparo nel più freddo degli inverni, si mise sotto quella flebile torcia, cercando di riscaldare il corpo ormai vicino a quella che poteva essere definita un'ipotermia.

    Era come venir cullati da una madre dolce e affettuosa, pronta a proteggere la sicurezza del suo infante persino con la sua stessa vita. La prima cosa che provò fu proprio questa: la massima sensazione di sicurezza.

    Quando si fu riscaldato a sufficienza, decise di smettere di strisciare e di alzarsi, per riuscire a ergersi sopra quel buio opprimente.

    Fu solo allora che capì di non essere circondato dall'oscurità, ma bensì da centinaia, no, migliaia di altre fioche luci, che brillavano e ballavano come se stessero alimentando un enorme falò, riempiendo il suolo di ciò che pareva una caverna senza fine.

    Meravigliato da quello spettacolo, l'essere provò a fare il suo primo passo, ma sentendosi ancora le gambe pesanti per poco non finì nuovamente a terra. Era stanco, come se avesse corso per ore senza meta. Sentiva un vuoto dentro di sé, un vuoto che non capiva come colmare.

    Cosa gli mancava?

    Perché il ventre continuava a gridare come se il vento lo stesse squarciando?

    Il gelo stava velocemente impossessandosi di nuovo del suo corpo.

    Ormai in ginocchio, alzò lo sguardo verso una delle fiamme dal colore blu che splendevano illuminando il suo mondo. Come travolto da un fiume, avvertiva il calore che si propagava nel nulla, e ciò lo rendeva triste. Triste, perché non poteva farlo suo. Senza pensare, colto quasi da un istinto imprescindibile, raccolse fra le mani la fiamma e, con noncuranza, la mise in bocca.

    Subito sentì il calore aumentare, come se quel fuoco apparentemente freddo all'esterno stesse rivoluzionando il corpo stesso. Adesso... Sentiva meno freddo. Era come se si fosse messo un paio di calzini ai piedi.

    Catturato da un'improvvisa euforia, la creatura alzò di nuovo la testa e con essa il ginocchio, riuscendo a rimettersi di nuovo in piedi.

    Ne voleva ancora, doveva averne ancora.

    Non poteva fermarsi di certo lì, altrimenti sarebbe ripiombato nell'oscurità. Ne era più che certo.

    Perciò, solo per la sua sopravvivenza, raccolse un'altra fiamma... E se la mangiò.

    Presto, ai calzini si aggiunsero dei guanti, ai guanti seguirono dei pantaloni e alla fine persino una maglia avvolse il suo petto, facendogli da scudo dalle avversità che lo circondavano. Adesso, si sentiva vivo.

    Senza accorgersene, aveva persino percorso parecchi metri nella foga del suo pasto. Ormai non era nemmeno più certo di dove si fosse risvegliato. Alle sue spalle? Sulla destra?

    Poco importava.

    Ciò che contava era riscaldarsi.

    Fu allora che sentì un suono particolare.

    Anzi, il suo primo suono.

    Una goccia.

    Una goccia caduta dal soffitto della caverna che si era infranta al suolo, andando poco a poco a creare una pozzanghera. Incuriosito dal rumore, avanzò nuovamente, facendosi strada lungo la scia di luci che lo circondava. Arrivato a destinazione, raccolse una delle fiamme e la usò per illuminare lo specchio che si era creato al suolo.

    Finalmente, quell'essere vide il suo volto.

    Uno scheletro nero stava ricambiando il suo sguardo, riscaldato da un fuoco viola diverso dagli altri. Più intenso, eppure più triste. Presto, si rese conto che quel focolare era proprio lui. Tutto ciò che aveva erano luce e ossa.

    Un essere umano qualunque si sarebbe spaventato, per lo meno avrebbe gridato e tastato il suo viso in cerca di risposte. Invece, la sua reazione fu piuttosto noiosa.

    Non gridò, né ci costruì sopra un dramma esistenziale. Semplicemente, senza fiatare, trasse a sé ciò che aveva raccolto e lo mise dentro alla mascella, unendo le due luci in una sola e intensificando quella che aveva dentro di lui.

    Nuove sensazioni iniziarono a fluire attraverso il suo corpo, provocandogli talvolta un senso di leggero solletico, come se delle piume stessero solleticandogli la pelle.

    Pelle?

    Si trovò meravigliato da quell'aggiunta. Uno strato di carne aveva iniziato a crearsi sopra le ossa, dando una vaga forma a quell'idea di essere umano. Perciò, continuò a mangiare e ad assorbire quelle fonti di calore per rafforzarsi e, infine, porre un freno alla sua fame crescente.

    Quando il gelo fu solo un ricordo, la creatura alzò lo sguardo dal mare di fiamme. Guardandosi intorno, iniziò a cercare una via d'uscita da quella prigione, stanco ormai di nutrirsi e desideroso di vedere altra luce.

    Come se la caverna stessa avesse ascoltato la sua preghiera silenziosa, un bagliore proveniente da lontano catturò lo sguardo del neonato.

    ...

    Senza dire nulla, nemmeno un gemito per il sollievo o per la meraviglia, riprese a camminare con gli occhi puntati verso quel nuovo faro. Percorsa ciò che per lui parve un'intera vita, riuscì ad arrivare all'estremità di quella grotta e, attraversando il passaggio creatosi da un'increspatura nella roccia, si trovò di fronte al mondo che lo aveva fatto nascere.

    Una realtà che ancora non conosceva, ma che era curioso di esplorare.

    D'altronde, le leggende narravano che l'avidità del Teschio Nero non conoscesse limiti, arrivando persino a bramare i cieli dove gli Eroi, i Santi e il Divino osservavano quelle terre sicuri che, un giorno, la loro fine sarebbe giunta.

    o

    Libero da quell'assurda prigionia, colui che fino a poco prima era un semplice scheletro si guardò intorno, ammirando la vastità del creato e giudicandone le fattezze. Dopo tutta quell'attesa, dopo quell'enorme desiderio di uscire e di vedere ciò che vi era all'esterno di quella grotta... Ne rimase deluso.

    Davanti a sé vedeva solo altra oscurità, con un numero indefinito di ombre e strani ornamenti che tappezzavano il terreno. Nonostante riuscisse a intuire il percorso, la sua vista non era così buona da poter distinguere gli oggetti. A dire il vero, non aveva nemmeno la più pallida idea di cosa si parasse di fronte a lui.

    Il silenzio era rotto da centinaia di piccoli, fastidiosi, rumori. L'aria era fresca e umida, tant'è che si ritrovò ben presto a congiungere le braccia nel tentativo di scaldarsi. Quando lo fece, si accorse che qualcosa stava facendo attrito. Non sentiva più le sue lisce e nere ossa, ma una sensazione più morbida e delicata. Guardandosi attentamente, illuminato dalla luce lunare, notò un pallido rivestimento che ricopriva tutto il suo corpo. Non era più fragile e indifeso, adesso era divenuto un essere vivente a tutti gli effetti.

    Si passò la mano sulla guancia, avvertendone il calore, e con l'altra andò a toccarsi la testa, arruffandosi i capelli. Questo improvviso cambiamento mutò il ritmo del suo cuore per la prima volta, facendogli scoprire il vero significato della sorpresa. Guardandosi alle spalle, le tenebre della caverna lo invitarono a proseguire dritto, convincendolo a non tornare sui suoi passi. D'altronde, la sfera bianca che illuminava il cielo era ben più calda ai suoi occhi di tutte le fiamme di cui si era nutrito. Voleva continuare a essere illuminato da quel tepore illusorio, perciò decise di muoversi noncurante di ogni pericolo.

    La terra sotto i suoi piedi era dura e aguzza a causa delle rocce che circondavano la caverna. Alzando lo sguardo alla sua destra, notò il versante della montagna che saliva fino ad altezze ritenute dal suo istinto impraticabili, dunque non vi era modo per lui di passare da lì, non con i piedi così sofferenti. Insicuro nel procedere verso le ombre e tutti quei rumori che lo allarmavano, iniziò intanto a scivolare lungo le rocce fino a raggiungere l'erba a pochi metri della caverna. Una volta messi i piedi in quella distesa verde, l'uomo si sentì più sicuro della sua scelta. Lì era morbido e, in qualche modo, persino umido. Riusciva a camminare perfettamente senza farsi male, per questo motivo cominciò a muovere i suoi primi passi nel mondo a cuor leggero. Quando finalmente arrivò alle prime ombre della foresta, i suoi occhi divennero sottili come lame e, con estrema cautela, avvicinò la mano verso una di loro. Trattenendo il respiro, toccò con un dito il corpo della sagoma, avvertendo la sua solida struttura. Per quanto la toccasse, quella forma oblunga non pareva muoversi. Anzi, non mostrava alcun segno di vita. Dunque, vi si avvicinò ancora di più e la tastò con più attenzione. Era sì molto dura, ma le sue scaglie erano più morbide del previsto. Talmente tanto da staccarsi una volta tirate. Che tipo di creatura era?

    Alzando gli occhi al cielo, notò tante piccole braccia con delle sottilissime forme attaccate a esse. Con una piccola spinta, tese la mano verso una delle braccia e ne raccolse un ornamento. Ne studiò la forma molto simile a quella di una goccia e ne arrivò persino ad annusare l'odore. Non trovandoci niente di strano, se la mise in bocca per mangiarla, proprio come aveva fatto con le fiamme.

    Appena il corpo toccò la sua lingua, l'essere la sputò immediatamente, inorridito dal sapore.

    Questo non è nutrimento.

    Si ritrovò a pensare.

    Come se avesse perso qualsiasi interesse, volse lo sguardo dentro al cuore del percorso, iniziando a distinguere le ombre che, da lontano, gli facevano più paura del dovuto. Con cautela, continuò ad avanzare senza mai guardarsi indietro, accarezzando con il palmo della mano le foglie dei cespugli che gli solleticavano le nude cosce. Fu in quel momento che un rumore stridulo catturò la sua attenzione. Era qualcosa di forte, abbastanza inquietante da provocargli un improvviso brivido lungo il collo. Non capiva il motivo del suo sgomento, ma superando altri alberi vide con i suoi occhi perché il proprio istinto gli aveva suggerito di fare attenzione.

    Affiancato a un ruscello, a pochi metri dall’acqua, una creatura imponente si muoveva nell’ombra, con la testa rivolta verso il basso. Sotto le zampe di quell’enorme matassa di peli neri, vi era un esile animale della foresta, con lunghe zampe sottili e un pelo raso. Con gli occhi vitrei, l’animale venne sventrato brutalmente dalla belva, che si adoperò a scegliere le parti più gustose.

    Il ragazzo era troppo lontano per poter vedere nel dettaglio cosa stesse succedendo. Il suo istinto gli diceva di scappare, ma qualcosa dentro di sé lo spinse a muovere le gambe in avanti. Non sarebbe tornato sui suoi passi, no, avrebbe continuato. Ormai a pochi metri dal mostro, si accorse finalmente delle sue fattezze. Con un folto pelo bruno, la belva aveva quattro possenti zampe larghe quanto il busto dell’uomo. Le sue fauci erano enormi, abbastanza da mangiare la testa di una persona in un sol boccone. Gli occhi brillavano nel buio di una luce gialla, ma era troppo concentrato sulla sua preda perché potesse accorgersi del visitatore.

    A quel punto, il neonato aveva capito. Si stava nutrendo, era così che gli esseri viventi ottenevano l’energia per poter vivere.

    Ne aveva bisogno anche lui.

    Lo voleva, lo desiderava.

    Spinto da questi pensieri, l’uomo fece un altro passo avanti, entrando di fatto nel territorio della belva. Adesso essa non stava più trangugiando la sua vittima, ma aveva gli enormi occhi gialli puntati sul ragazzo. Un suono gutturale uscì dalla sua gola, facendogli vibrare persino le orecchie. Senza esitazione, i due si guardarono intensamente negli occhi, analizzandosi a vicenda.

    Immobile e teso, l’uomo stava cercando di capire se gli fosse permesso di avvicinarsi di più.

    Dall’altro lato, la bestia finì di masticare il suo boccone, inghiottì e abbassò di nuovo la testa, ignorando il nuovo arrivato.

    Compresa la situazione, senza esitare, anche l’uomo si unì al banchetto. Si avvicinò alla carcassa e afferrò con una mano le interiora che erano rimaste. Quando se le mise in bocca, una sensazione viscida e tutt’altro che piacevole inondò il suo palato, costringendolo a sputare immediatamente ciò che aveva appena conquistato.

    Con suo grande stupore, portò le dita sulle labbra, accorgendosi solo in quel momento del terribile odore che proveniva dalle viscere dell’animale. Senza pensare, si gettò di faccia nel ruscello, aprendo la bocca e bevendone l’acqua decisamente troppo fredda per i suoi gusti.

    Uuugh con il raschiare della sua gola, emise il suo primo suono.

    Disgusto puro.

    Non poteva nutrirsi in quel modo.

    Per un attimo, considerò persino di tornare in quella grotta scura… Ma no, non poteva tornare indietro, aveva troppo paura di finire di nuovo rinchiuso. E a tal proposito, la temperatura scese ulteriormente, e lo sentì anche grazie al suo essersi bagnato.

    Finito il suo pasto, il mostro si allontanò dal fetore della preda, trovando uno spazio d’erba particolarmente comodo. Il vento che soffiava sopra il pelo della belva non sembrava turbarlo, per questo un’idea malsana balenò per la testa dell’umano.

    ...

    Silenziosamente, si affiancò all’animale e tastò il suo manto. Con un lieve sorriso, senza nemmeno capire il motivo per quell’espressione, si accovacciò cercando di coprirsi la pelle nuda per riscaldarsi al meglio. E, con sua grande soddisfazione, funzionò.

    All’improvviso, si sentì stanco e a suo agio, protetto ironicamente da quel mostro tanto pericoloso quanto assetato di sangue. Non aveva pensato al pericolo che stava correndo, non era abituato a temere per la propria vita o a capire le intenzioni altrui.

    D’altronde, era appena nato, e come tale era dotato del dono della curiosità…

    E dell’ingenuità.

    Capitolo 1

    Pellegrinaggio.

    Così lo chiamavano gli alti prelati del sud e dell’ovest. Un viaggio per tutto il regno che aveva come obiettivo la crescita personale e spirituale del Santo. Un viaggio avvolto nella fede, orientato a benedire il territorio e gli abitanti dei vari villaggi fedeli alla corona. Questo almeno nella parte di continente che si ricopre con gli stendardi dell’impero di Devotia. La fazione più grande, il contingente più potente, la civiltà più santa...

    Tuttavia, l’importanza di tale rito è praticamente infinitesimale in quel territorio, visto che di fatto non c’è assolutamente niente da purificare. La terra è rigogliosa e la popolazione non presenta i segni di maledizioni evidenti, solo malattie comuni demonizzate come stregonerie. Dall’altra parte, nel versante nord del continente, il piccolo regno ribelle di Artesia convive da generazioni con il miasma di quelle terre, prodotto dai daemon che infestano gli anfratti più bui del reame. Per questo motivo, il pellegrinaggio dei Santi è di vitale importanza su quel suolo, in modo che l’effetto dei daemon venga limitato e, dove possibile, dissolto completamente.

    Con il peso di questa responsabilità, il giovane ma integerrimo Atan Blaise stava cercando di masticare la sua carota, tentando di dimenticare il fatto che non aveva mangiato altro per almeno tre giorni. Come se non fosse abbastanza, un tremendo acquazzone aveva fermato la traversata nella Foresta dei Sogni, bloccando lui e i suoi accompagnatori in un clima tutt’altro che sereno.

    Quanto dovremo andare avanti così? domandò ad alta voce, grattandosi la rossa peluria incolta sul viso Non vediamo un villaggio da almeno una settimana, siamo sicuri di star procedendo nella giusta direzione?

    Sua Santità, il villaggio di Mhell è appena fuori dalla foresta, Lord Ramil sicuramente ci concederà provviste e-- il frate che fungeva da suo assistente si fermò, zittito dal brusco movimento del polso di Atan.

    Non mi interessa avere carne per cena - anche se sarebbe quantomeno gradito - ciò che vorrei evitare è di fare incontri… Spiacevoli. La foresta è nota per le sue bestie pericolose, e sebbene alcune di loro siano figlie del nostro Dio, altre sono sicuramente la prole della Landa dei Cristalli. Non voglio mettere nessuno di voi in pericolo, né tantomeno voglio ritardare ulteriormente il pellegrinaggio...

    Attorno al fuoco, coperti dalle rovine di un santuario abbandonato da secoli, la comitiva di Atan contava ben diciotto persone, delle quali almeno sei erano armate e disposte a dare la vita per lui. Del resto, quasi ogni suo compagno era un devoto cittadino di Artesia, dunque ognuno di loro aveva una famiglia da proteggere, degli amici da rivedere. Cosa che non sarebbe successa, se il Santo non avesse completato il suo viaggio. Tra gli altri compagni di viaggio, due medici si prendevano costantemente cura di ognuno di loro, monitorando lo stato di salute dei viaggiatori e fornendo rimedi alquanto efficaci. L’unico che non aveva famiglia ad Artesia era Hitner, un medico dell’isola Zalmastra inviato dal Cancelliere stesso come dono di pace. Era un uomo particolarmente magro con degli spessi occhiali da vista neri, una calvizie sempre più notabile e una borsa piena di strani congegni che avevano reso loro la vita estremamente più facile. D’altronde, Zalmastra era la parte di mondo più evoluta a livello tecnologico, seppur si trovasse su un’isola all’estremo nord. Più in là vi erano solo la Torre Nera e la Landa di Cristalli settentrionale, ma nessuno osava avvicinarsi a quei luoghi. Tra i vari frati sempre con il cappuccio alzato e i cavalieri perennemente in armatura vi era Lora, un capitano di ventura che aveva smesso di cacciare i daemon per dedicarsi alla scorta dei Santi. Lora era un uomo semplice, sognava di avere una bella villa e un sacco di donne a cui poter concedere la propria virtù. I sogni però si riallacciavano spesso alla vita reale, e quando capì di non poter vivere solo per il suo guadagno personale decise di onorare il suo giuramento: proteggere il reame.

    Non particolarmente alto, con capelli radi neri e una pelle olivastra, il capitano aveva superato da poco la quarantina, ma non sentiva nemmeno lontanamente il peso degli anni. I suoi occhi color nocciola scrutavano ogni dettaglio del suo avversario, aiutandolo a predirne i movimenti e i possibili attacchi. Era un combattente degno di nota, ma purtroppo la caratteristica della sua anima, quella che gli zalmastri chiamano In non era abbastanza potente per farlo gareggiare ad alti livelli. Non vi era trucco né inganno, né tanto meno stupide formule magiche. La forza degli uomini giaceva nella loro anima, e nella loro caratteristica. Lora poteva avvolgere una o più parti del suo corpo con uno strato viscido che lubrificava la sua pelle e i suoi vestiti, permettendogli di scivolare elegantemente durante i duelli o di far slittare gli oggetti contundenti senza che arrecassero danno. Benché non suoni poi tanto male, era un In abbastanza comune e privo di particolare efficacia. Perciò, Lora continuava nervosamente a guardarsi intorno, per niente felice di affrontare banditi e mostri.

    Sono d’accordo con il Santo, affermò il cavaliere questa pioggia non ci voleva, ma la villa del Lord non è lontana. Se le nuvole ci faranno un favore, saremo da lui in poche ore. Comunque, devo dire di essere sorpreso, Atan.

    Sorpreso?

    Pensavo che sotto a quei capelli arancioni e quegli occhi verdi ci fosse solo un bamboccione, invece inizio a capire perché ti chiamano ‘Santo’.

    Non lo chiamano Santo solo per questo!

    Suvvia, non ti scaldare sogghignò, osservando il frate che si era alzato di scatto lo so che i Santi sono benedetti dalla grazia di Dio. Quando sarà grande e pacioccone, salirà nella Landa dei Santi e si avvicinerà ancora di più al divino. Lo so, è un onore, ma è un onore che non ci tengo a condividere. Non lo invidio per niente. Ci vuole forza per intraprendere questo viaggio, e non parlo del pellegrinaggio...

    Forza? il frate era sempre più confuso.

    Jeremy, chiamò il cavaliere che stava nutrendo i cavalli tu rinunceresti alle belle donne di Longram per avvicinarti a Dio?

    Dipende, signore rispose con un sorriso malizioso.

    Dipende da cosa? domandò Atan, incuriosito dalla reazione del cavaliere.

    Se ha due tette più grosse di quelle della mia ex moglie ci posso anche stare.

    Blasfemo! sbraitò il frate.

    Mi trovi d’accordo, Rico Lora batté la mano sulla spalla del frate che genere di uomo predilige i seni di una signora a un morbido ma tonico paio di chiappe?

    I cavalieri e persino alcuni frati risero a quella battuta, sotto gli occhi imperterriti di Rico.

    Attento disse, abbassando il suo cappuccio e mostrando un tondo viso pallido segnato dal tempo, con una folta barba bianca a coprire le rughe dell’espressione irritata che stava presentando a Lora sai bene quanto me che Dio esiste, ci osserva e ci giudica.

    Ooh, che Dio esista è un fatto, non un’opinione. Sul fatto che ci osservi potrei dubitare, temo abbia cose più importanti da fare che guardare la mia calvizie avanzare.

    Finirai all’inferno!

    Beh, caro vecchio frate, pure tu ci finirai. Tutti noi ci finiremo! alzò le braccia al cielo, sogghignando oh, certo, tranne lui... indicò Atan lui andrà avanti e noi resteremo intrappolati in questo ciclo senza senso!

    ... sentendosi stranamente in colpa, Atan si massaggiò il braccio e guardò per terra, evitando di aggiungere commenti.

    Ma se non fosse per lui, per quelli della sua risma, mia sorella e mia madre sarebbero belle che morte continuò Lora, annuendo solennemente e passando una tazza di birra al frate quindi, brindiamo! Alla bontà dei Santi, alla grazia di Dio e al culo della regina! Possa essa sfornare altre principesse in grado di salvare il mio sedere rugoso e proteggere il regno dalla dannazione!

    I cavalieri alzarono i loro calici, così fece anche Rico, seppur scuotendo la testa per il diniego di quelle parole tanto offensive.

    La corporatura di Atan era entrata nella sua fase adulta, le sue spalle erano larghe e aveva superato largamente il metro e ottanta d’altezza. Tuttavia, l’alcol non riusciva a sopportarlo, persino quello con la più misera gradazione. Che fosse per via del suo essere Santo? Non lo sapeva, nessuno era mai stato così caparbio da chiedere a un Santo il suo rapporto con gli alcolici. Per questo, al primo sorso di birra fece una faccia stizzita e posò il bicchiere, tornando a bere dalla sua borraccia.

    Fu in quel momento che un fulmine saettò a diversi metri da loro, andando a illuminare l’inquietante figura che si era parata all’entrata delle rovine.

    Più basso di Atan di qualche centimetro, un giovane uomo era fermo, in piedi, completamente bagnato e totalmente nudo. Gli occhi color ghiaccio erano come spiritati, osservavano qualsiasi cosa intorno a lui nel tentativo di studiare ogni elemento nelle vicinanze. I capelli color vinaccia si erano appiattiti a causa della

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