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I Servi di Ir - La Caduta
I Servi di Ir - La Caduta
I Servi di Ir - La Caduta
E-book581 pagine8 ore

I Servi di Ir - La Caduta

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Info su questo ebook


Dopo la terribile battaglia che ha determinato la fine degli Ilghrin, l'ordine magico a cui appartiene, Lyos si risveglia in una grotta. E' debole e frastornato, non sa dove si trova, né come vi sia arrivato, ma sa che non dovrebbe essere lì e non dovrebbe essere vivo.
La sola spiegazione che sembra avere un senso è che Jaspel, il capo dell'ordine, la cui figura stremata negli istanti finali della battaglia è l'ultima immagine rimasta impressa nella sua memoria, abbia consumato tutte le sue energie per proiettarlo in quel luogo, ma per quale ragione? La battaglia è persa e l'Avir, che avevano cercato invano di proteggere, è ormai in mano ai Reyhes, coloro che li hanno traditi ed attaccati; dunque cosa mai poteva aver spinto Jaspel a salvarlo? Cosa aveva visto in quegli ultimi terribili istanti?
Lyos è deciso a scoprirlo, anche se questo significa mettere a repentaglio nuovamente la sua vita per tornare nel solo luogo dove crede possano esserci delle risposte: Hilemen, la fortezza caduta dove si è svolta la battaglia.
 
LinguaItaliano
Data di uscita5 lug 2021
ISBN9791220822084
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    Anteprima del libro

    I Servi di Ir - La Caduta - Federica Prina

    Prologo

    L’oscurità scese improvvisa sul giovane portando via dalla sua mente ogni pensiero, ogni immagine, come fa il vento con la debole fiamma di una candela.

    Circondato dalle tenebre Lyos agì d’istinto: tese di fronte a sé le mani, le palme rivolte verso l’esterno, sussurrando la semplice parola che avrebbe creato un cerchio di luce attorno a lui: Nyal... le tenebre continuarono ad avvolgerlo.

    Ny-al riprovò, questa volta scandendo meglio le sillabe, poi con voce più forte ancora: NYAL! nulla.

    La sua voce cadeva nel vuoto, si perdeva senza che il più tenue bagliore scaturisse dalle sue mani: la sua magia non funzionava. Era lì, poteva sentirla come una presenza nella sua mente, una parte del suo spirito, ma per qualche motivo restava chiusa dentro di lui come imprigionata.

    I suoi occhi spalancati non vedevano nulla, il suo udito fine era pronto a cogliere il più piccolo rumore, ma non c’erano rumori.

    Se inizialmente aveva provato sorpresa, adesso avvertiva l'inquietudine crescere. Si sentiva soffocare fra quelle pareti di tenebra, sommergere dal silenzio che lo circondava, senza poter reagire, inerme di fronte al nulla.

    Fu proprio questo, il senso di impotenza, che fece scattare qualcosa in lui. Una scintilla d’orgoglio e razionalità si accese nel suo animo: non poteva starsene lì, tremante, ad aspettare: doveva reagire. Se non poteva usare la sua magia avrebbe fatto qualcosa di diverso. In fondo stava bene e i suoi piedi poggiavano su un terreno solido; così, calmati i battiti del suo cuore, Lyos cominciò a muoversi nel buio.

    Avanzava a piccoli passi, controllando la solidità, o l’esistenza, del terreno invisibile sul quale poggiava; tutti i sensi allerta pronto a cogliere il minimo cambiamento in quell’oscurità infinita. Sperava di trovare un ostacolo, una parete o altro, che ponesse un limite a quel buio ma l'unica cosa in cui si imbatté fu la delusione. In compenso, i suoi passi divennero sicuri, come se una parte di lui si stesse abituando alla situazione.

    Si convinse di non aver nulla da temere lì, dopotutto egli sembrava essere l’unica forma di vita presente.

    La sua naturale curiosità si sostituì alla paura e il giovane iniziò ad analizzare la situazione con occhi nuovi. Non che ci fosse molto da scoprire: camminava da un tempo imprecisato, in un’ altrettanta imprecisata direzione, immerso in un’oscurità inanimata che possedeva come unica, scomoda e irritante caratteristica quella di bloccare la sua magia.

    Dopo essersi fermato più volte a tastare il terreno, poté aggiungere alle sue conoscenze la convinzione che, come il resto dell’ambiente, anche il suolo presentasse una certa monotonia. Si trattava senza dubbio di terra, una terra piatta, senza sassi, senza crepe, secca e molto polverosa.

    Purtroppo questo non l’aiutava a capire né dove si trovasse, né come vi fosse arrivato e, cosa peggiore, poneva fine alla sua analisi: toglieva alla sua mente quella momentanea occupazione che gli aveva permesso di non concentrarsi troppo sulla situazione in cui versava e su come uscirne.

    Nonostante questi fossero certamente gli interrogativi più importanti, infatti, erano anche quelli per i quali Lyos sapeva di non avere una risposta ed era per questo che aveva cercato di rimandarli.

    Per un poco la cosa aveva funzionato, ma ora egli si rendeva conto di un particolare ancor più terrificante dell'oscurità: si accorse che non erano solo la luce e i suoni a mancare in quel luogo, bensì l'intera sua esistenza. Nonostante i suoi sforzi, infatti, non riusciva a ricordare nulla. Era come se una cortina di tenebra fosse penetrata anche nel suo cervello soffocando qualsiasi ricordo di un momento precedente a quello, se mai c’era stato. Oltre a ignorare dove fosse e perché, egli non ricordava neppure chi fosse.

    Conosceva il proprio nome, Lyos, così come la parola magica per invocare la luce, ma non erano che frammenti microscopici e insignificanti.

    La sua mente era svuotata di qualsiasi altra informazione e la sensazione peggiore era la certezza che, per quanto non potesse richiamarlo alla memoria, esistesse un luogo diverso, una vita diversa che lui aveva vissuto fino a poco prima e che questo mondo stesse da qualche parte, forse appena al di là di quel buio. Una realtà che lo aspettava, una vita con un significato che non era un continuo camminare senza direzione, una vita che avrebbe potuto raggiungere, se solo quei muri di tenebra fossero crollati.

    La paura, il senso di impotenza, la rabbia, l’angoscia, tutte quelle sensazioni che aveva tenuto sotto controllo fino a quel momento, si riversarono su di lui. Simili alla piena di un fiume, si mischiarono nella sua testa lasciandolo completamente inerme, al punto che il giovane si accasciò sul suolo invisibile senza più la forza di muoversi, una nullità nel nulla.

    Sarebbe rimasto lì per sempre, poiché non aveva le energie per salvarsi, per riappropriarsi della sua vita, forse stava fronteggiando la morte. Non avrebbe mai pensato che essa potesse essere così, ma in fondo che importanza poteva avere? Chiunque egli fosse stato, prima di giungere in quel luogo, era stato sconfitto.

    Qualsiasi cosa fosse, quel limbo lo avrebbe imprigionato per sempre. Fu talmente devastato da questa consapevolezza da non accorgersi che in realtà qualcosa stava già avvenendo.

    Dapprima non fu che una chiara sfumatura, quasi invisibile nel buio assoluto, poi, lentamente, il chiarore aumentò, fino ad assumere la forma di una nebbia luminescente, fatta di microscopici filamenti che lenti presero a danzare davanti ai suoi occhi, fissi e vuoti.

    Lyos non parve notarli, ma quando i fili luminosi arrivarono talmente vicino al suo viso da sfiorarlo, egli finalmente si riscosse e balzò in piedi, le pupille vigili e dilatate.

    L’oscurità che l’aveva quasi annientato persisteva ancora alle sue spalle, ma davanti a lui quella strana nebbia argentea sembrava chiamarlo e tracciare come un sentiero. Non poteva vedere dove lo avrebbe condotto,perché la nebbia era fitta e silenziosa, ma non gli importava, quello che contava era ricominciare a muoversi.

    Con cautela si alzò e riprese a camminare in quella strana luce. Si muoveva lentamente temendo che la nebbia svanisse all’improvviso così come era comparsa, rigettandolo nell’oscurità; tuttavia non successe niente del genere, anzi, il chiarore si estese ben presto anche alle sue spalle ricacciando lontano le tenebre di poco prima.

    Il suolo cambiò e si ricoprì di sassi, fra i quali Lyos fu felicemente sorpreso di vedere una parvenza di vegetazione. Era solo un’ erbetta secca, secca, che cresceva in piccoli ciuffi, ma era un indubbio segno di vita.

    Il silenzio era irreale, nondimeno egli era speranzoso, si aspettava di poter alzare gli occhi e scorgere fra la nebbia il pallido disco del sole al quale era forse dovuta quella strana luminosità, ma si sbagliava. Nello stesso momento in cui il terreno sotto i suoi piedi prese a salire, infatti, bagliori innaturali squarciarono le nebbie di fronte a lui.

    Lyos continuò ad avanzare: c'era qualcosa di famigliare in quelle luci.

    I rumori esplosero all’improvviso, facendolo sobbalzare. Sibili, grida e il crepitare delle esplosioni, i suoni lo investirono mentre l’aria si fece pesante e la nebbia divenne fumo.

    Era nel mezzo di una battaglia, eppure continuò ad avanzare, senza cercare un riparo, non poteva, non voleva. Nella sua testa, infatti, ciò che era rimasto latente, sepolto e sbiadito, affiorava ora con nitida violenza. Improvvisamente sapeva dove si trovava, sapeva cos’erano quelle luci, cosa stava accadendo attorno a lui, chi pronunciava quelle strane, terribili, parole e chi dal fumo là davanti rispondeva con altri lampi, con altre disperate parole in una lingua che gli apparteneva nuovamente.

    In quella battaglia si decidevano le sorti del suo mondo. Si trovava sul monte Hirdas, sulla cima, dove il terreno si faceva stranamente pianeggiante prima di balzare prepotentemente verso l’alto in un ammasso di rocce, neve e ghiaccio perenni. Là, ai piedi della cima vera e propria, costruita su uno spuntone roccioso, si trovava la fortezza degl’ilghrin, Hilemen, la sua dimora, sua e di quelli del suo ordine, la costruzione millenaria che adesso era in fiamme.

    Ad attaccare all’alba erano stati i reyhes, i possessori della magia kraòlhen. Essi attaccavano Hilemen con tutta la potenza che erano in grado di evocare, mentre dall’alto delle mura gli ilghrin rispondevano utilizzando la magia seyden, altrettanto devastante.

    Lyos incominciò a correre verso la fortezza ed improvvisamente fu sulle sue mura e il campo di battaglia sotto di lui. Adesso riusciva a scorgere fra il fumo, al di là del muro difensivo, i reyhes lanciare i loro incantesimi, creando le sfere di luce ardente che andavano a colpire i suoi compagni. Altri nemici, più arretrati, mantenevano viva la trama dell'incantesimo che premeva contro le difese magiche della struttura.

    I maghi di Hilemen si difendevano disperatamente, utilizzando la propria magia per contrastare e destabilizzare quella degli avversari, ma sempre più spesso un difensore veniva colpito e gli incaricati di mantenere lo scudo difensivo stavano esaurendo le loro energie. Sulle mura ben presto sarebbero rimasti pochi difensori, maghi non abbastanza forti per contrastare il potere dei capi dell’ordine nemico. Hilemen sarebbe caduta.

    Hilemen è caduta! Il pensiero attraversò la mente del giovane come un lampo: ricordava ora, ricordava tutto! I reyhes erano penetrati nella fortezza perché non tutti i difensori erano sulle mura, alcuni non avevano potuto difendere Hilemen perché dovevano difendere qualcosa di più importante, il motivo stesso per cui i reyhes erano giunti fino a quel luogo.

    La ragione di quella guerra si trovava nella sala più interna della fortezza costruita nel profondo della roccia del monte Hirdas.

    Lyos stesso non era mai stato sulle mura quella mattina perché era nella sala del Consiglio, fra i dodici Nim, i membri più autorevoli e potenti del suo ordine. Era uno di loro, il più giovane.

    La battaglia svanì all’improvviso ed egli si ritrovò seduto al suo posto nella grande sala circolare. Poco distanti da lui, seduti su alti sedili di legno intagliato, stavano gli altri membri del Consiglio. Sul volto di ognuno di loro il mago poteva leggere le stesse emozioni che in quel momento agitavano il suo animo: preoccupazione, tensione, rabbia, sconcerto e timore. Solo Jaspel, il più anziano, appariva stranamente calmo e concentrato; con ogni probabilità stava raccogliendo le forze per prepararsi allo scontro che, tutti loro sapevano, avrebbero dovuto affrontare di lì a poco.

    Gli sguardi dei Nim erano diretti in un'unica direzione: verso il centro della sala dove, poggiato su un anello d’argento scurito dal tempo, si trovava un globo di un materiale indefinito, trasparente come vetro ma resistente più del diamante. All’interno di questa sfera vorticavano colori, tutte le sfumature e nessuna; non vi era prevalenza di alcuna tinta, così come non era possibile definire la materia stessa che vorticava: essa era acqua, polvere finissima, fiamma incandescente e aria allo stesso tempo e contemporaneamente era qualcosa di diverso.

    Pura magia, qualcuno l’aveva chiamata, altri avevano preferito Ir, forza vitale, ma il vero nome dell’oggetto e della forza che vi era racchiusa era un altro e proveniva da tempi lontanissimi in cui gli incantatori parlavano un’altra lingua e altre popolazioni abitavano il mondo. Nella loro perduta lingua quell’oggetto era chiamato Avir.

    Le sue origini erano sconosciute e misteriose per la maggior parte delle genti del Saygron, ma ilghrin e reyhes custodivano una leggenda nella quale era contenuta la verità sull’Avir e il motivo stesso della loro esistenza.

    Secondo questa leggenda, quando il mondo era molto giovane, sulla terra erano vissuti uomini dotati di grandi poteri, i Thairy, coloro che per primi scelsero di porre la loro magia al servizio degli esseri viventi. Il compito che questi uomini grandi e saggi si assunsero fu gravoso poiché il mondo era giovane e le forze che lo muovevano erano potenti e selvagge. La natura dell'universo era dominata dal caos e i repentini stravolgimenti naturali minacciavano la sopravvivenza delle specie che lo abitavano. Di fronte a tali forze, persino i poteri dei Thairy sembravano non bastare, così, nella speranza di aumentare le proprie possibilità, essi cominciarono a riunirsi in confraternite e cercarono di trovare un modo per migliorare il controllo che la loro magia poteva esercitare sugli elementi.

    Per molto tempo i loro sforzi andarono sprecati fino a quando, in un fanciullo di nome Eriagel, la magia di Ir si manifestò con straordinaria forza e crebbe insieme a lui, rendendolo il più potente fra i Thairy.

    Eriagel li riunì tutti e sotto la sua guida essi riuscirono a creare un incantesimo potentissimo grazie al quale imprigionarono parte dell'energia dell'universo in una sfera che chiamarono Avir.

    Attraverso l'Avir la forza di Ir venne addomesticata e blandita, le catastrofi bloccate e la sopravvivenza del Saygron garantita.

    I Thairy assolsero la propria missione, ma contemporaneamente crearono qualcosa di inaspettato, originando un mutamento imprevisto nella forma stessa della magia.

    I Thairy si resero presto conto di come l’Avir fosse solo in parte ciò che Eriagel aveva progettato e di come la natura più profonda del suo immenso potere costituisse un mistero che essi non erano più in grado di svelare.

    Il compito che trasmisero ai loro successori fu quindi quello di vegliare sulla loro creazione, di studiarla e cercare di comprendere ciò che la loro antica magia non poteva più interpretare.

    Il trascorrere del tempo portò alla nascita di nuove forme di magia, molto diverse e generalmente incompatibili fra loro, ma nonostante ciò, i seguaci dei diversi ordini, mantennero buoni rapporti. Essi si riconoscevano nel compito comune di custodi della forza racchiusa nell’Avir, dalla quale ogni altra magia sembrava discendere.

    I reyhes e gli ilghrin erano gli ultimi discendenti degli antichi custodi, noti anche come Servi di Ir, e per secoli avevano custodito l’Avir a turno perché, sebbene le conoscenze a riguardo non fossero complete, era teoria condivisa e certa che la magia della sfera risentisse dell'influsso di entrambe le emanazioni magiche, come se il potere racchiuso al suo interno dovesse essere mantenuto in equilibrio.

    Quando l’Avir era in possesso di uno dei due ordini il capo supremo dell’ordine, chiamato Mediatore, entrava in contatto con esso ed esso assorbiva parte della sua magia, rinforzandosi e mantenendosi attivo. Aiutato dai membri del Consiglio, il Mediatore poteva influire sul flusso di Ir, la trama della magia che pervadeva l'intero universo.

    Ma sebbene l'energia di Ir scorresse in ogni singola particella della materia, esistevano dei luoghi in cui la magia sembrava affiorare in superficie ed era per questo motivo che ilghrin e reyhes non dimoravano assieme. I due ordini scelsero di erigere le proprie dimore laddove gli effetti della magia krahòlen e della magia seyden erano più potenti e, poiché la magia dell'Avir non doveva appartenere a nessuno luogo in particolare, decisero che fosse la sfera ad essere trasportata da un luogo all'altro, ogni quarto d’anno [1] .

    Lo scambio si era sempre svolto pacificamente, fino al momento in cui alcuni reyhes cominciarono a sostenere che vi fosse la possibilità di governare l’Avir senza l’aiuto degl’ilghrin.

    Si trattava di un gruppo minoritario, rappresentato all'interno del Consiglio da un solo esponente, un umano di nome Kierfen.

    Tali teorie preoccuparono gli ilghrin, ma ricevettero anche una fredda accoglienza da parte di Sadeel, il Mediatore reyhes. Questi riteneva impossibile quanto sostenuto da Kierfen, ed era fermamente convinto che le cose dovessero continuare come sempre, per salvaguardare l'equilibrio e la pace fra i due ordini.

    Era la volontà di Sadeel a reggere l'intero Consiglio e la sua ferma opposizione continuò a rendere possibile il passaggio dell’Avir da un ordine all’altro nonostante le insistenze di Kierfen e il progressivo peggioramento dei rapporti fra ilghrin e reyhes.

    Tuttavia egli era molto anziano, e per quanto la sua mente fosse ancora lucida e acuta, la sua salute era diventata fragile.

    Lyos era appena entrato nel Consiglio degli ilghrin quando la notizia della morte di Sadeel aveva raggiunto le porte di Hilemen e la commozione per la sua dipartita si era mischiata ai timori per la sua successione.

    Gli ilghrin assisterono impotenti all'ascesa di Kierfen, che forte dell'aiuto di alcuni fra i più giovani esponenti dell'ordine, conquistò la guida del nuovo Consiglio. Il dialogo con gli ilghrin, nelle mani dei quali in quel momento si trovava l’Avir, si interruppe bruscamente mentre al sicuro nella loro fortezza, i reyhes cominciavano a prepararsi.

    Non ebbero bisogno né di radunare un esercito, né di lanciare un ultimatum: al primo provvedeva la loro magia e al secondo era preferibile l’effetto sorpresa. Si radunarono ai piedi del monte Hirdas durante la notte e attaccarono all’alba. Era il decimo giorno del sesto mese dell’anno 2520, mancavano due mesi allo scadere del secondo quarto d’ anno.

    Così, mentre i loro compagni si battevano sulle mura, i dodici Nim riuniti nella sala del Consiglio ad Hilemen attendevano in silenzio. Di fronte a loro l’Avir sembrava risplendere con una luce diversa dal solito. Qualcosa stava accadendo al suo interno, si poteva leggerlo negli occhi di Jaspel, nelle rughe profonde che solcavano il suo volto.

    Forse, pensò Lyos, nel momento in cui il suo ordine veniva lentamente spazzato via, l’Avir stava preparandosi al cambiamento, a continuare senza la magia ilghrin, come già doveva essere accaduto nei secoli passati, quando altri ordini erano scomparsi e la magia del mondo era cambiata.

    Eppure tutto il suo spirito si ribellava a questa idea, semplicemente non poteva essere così. Jaspel era il capo degl’ilghrin, il Mediatore e se lui li aveva riuniti per difendere l’Avir, se aveva deciso di sacrificare a questo scopo tutto il suo ordine, significava che questo era esattamente ciò che andava fatto.

    Quello che i reyhes stavano facendo metteva a repentaglio la vita di tutti. Essi non avrebbero mai potuto avere il controllo totale, era una follia e sarebbe cessata in quella sala, dove loro sarebbero giunti stremati e i Nim li avrebbero distrutti senza difficoltà.

    Un rumore improvviso proveniente dall’esterno interruppe i pensieri del giovane mago: era giunto il momento, le ultime difese erano crollate, i reyhes erano a pochi metri dall’ingresso.

    I dodici consiglieri si alzarono contemporaneamente e, senza che una parola passasse fra di loro, presero posizione. Ruthen e Kayla davanti alla porta, Zaver e Jerch più arretrati, vicino al cerchio di colonne costruite attorno ai seggi. Lyos e gli altri erano schierati a semicerchio dietro all’Avir mentre Jaspel, solo, si ergeva davanti all’oggetto magico.

    Il tumulto fuori dalla sala aumentò ancora e improvvisamente la porta si aprì. Cinque ilghrin si pararono davanti all’ingresso, le vesti stracciate e bruciate, i volti graffiati e rigati di sangue. Si reggevano a mala pena in piedi, mentre dietro di loro i maghi reyhes avanzavano per ricacciarli oltre la porta.

    I difensori diedero un ultimo sguardo all’interno della sala poi si voltarono raccogliendo le loro forze per lanciare ancora una volta i loro incantesimi, decisi a bloccare l’ingresso ai nemici. La magia brillò sulle loro dita scagliandosi come un fulmine sugli avversari. Due di essi caddero, ma la reazione degli altri fu immediata: una vampata di fuoco avvolse gli ilghrin che tentarono la difesa innalzando una barriera magica. Le loro forze non bastarono che per pochi attimi e prima ancora che Ruthen e Kayla potessero intervenire, i loro corpi giacevano davanti all’ingresso.

    I reyhes irruppero nella sala e la grande porta si chiuse con un boato alle loro spalle: la trappola era scattata.

    Dal suo posto Lyos osservò ad uno ad uno i volti dei suoi nemici e provò soddisfazione nel vedere due di loro tentare inutilmente di sciogliere l'incantesimo che sigillava l'ingresso.

    Dalle loro vesti e dai loro volti sapeva che si trattava di Sirt, i potenti membri del consiglio, ma i loro sforzi non avrebbero sortito alcun effetto. Era stato Jaspel stesso ad ideare l'incantesimo per sigillare la porta ed esso era semplicemente troppo complesso per essere sciolto in così poco tempo.

    Dal centro del gruppo, una voce si levò imperiosa ad interrompere l'inutile tentativo, poi Kierfen avanzò e fissò il suo sguardo infuocato su Jaspel.

    Vi era una punta di ammirazione in esso, tuttavia il sorriso sprezzante che rivolse al mediatore, non lasciava alcun dubbio sulle sue intenzioni.

    Dal canto suo, Jaspel ricambiò lo sguardo, impassibile. Non temeva nessuno di loro, la sua magia era potente ed esplose attorno ai reyhes come emanata dalle pareti stesse.

    Il raggio crepitante che si liberò dalla mano di Kierfen fu deviato verso il soffitto senza che l'ilghrin battesse ciglio, poi le voci di tutti i presenti si levarono assieme fondendosi in un' orrenda cacofonia.

    Mentre Sirt e Nim attaccavano contemporaneamente, racchiusi in uno spazio di pochi crit [2], le pareti della sala presero a vibrare, quasi potessero crollare da un momento all’altro.

    I Sirt avevano creduto di poter contare sul numero, ma l'incantesimo dei Nim li aveva tagliati fuori dal resto dei compagni, costringendoli a dar fondo alle proprie energie già provate dalla battaglia. Tuttavia i reyhes godevano di un indubbio vantaggio determinato dalla lunga preparazione per quello scontro. A differenza degli ilghrin, che non avevano avuto scelta, infatti, i Sirt avevano studiato a lungo per padroneggiare la propria magia modellandola su scopi completamente diversi da quelli per la quale era sempre stata usata. I loro incantesimi erano dotati di un potenziale devastante ed erano formulati per infrangere le difese degli avversari con precisione.

    Dopo il primo attacco Ruthen e Kayla furono costretti ad indietreggiare per cercare creare un fronte più compatto assieme a Zaver e Jerch.

    Decisi ad impedire che gli ilrghin potessero ricompattarsi attorno all'Avir, i reyhes si divisero a loro volta cercando di impegnare i due gruppi in combattimenti separati.

    Lo scontro crebbe di intensità. Gli ilrghin combattevano come una sola entità, coordinando i loro attacchi con estrema precisione, tuttavia, proprio quando la loro magia sembrava destinata ad avere la meglio, accadde l'imprevedibile. Nell'aria satura di incantesimi magia krahòlen e seyden si unirono, generando proiettili di magia mista che senza alcun controllo iniziarono a rimbalzare contro le pareti della stanza colpendo e devastando qualsiasi cosa si trovasse sulla loro traiettoria . Le difese magiche erette dagli incantatori divennero inutili di fronte alla minaccia originata da quell'imprevedibile fusione.

    Colpito da una scarica di questo tipo Zaver cadde a terra e i Sirt approfittarono del vantaggio per colpire là, dove lo scudo difensivo degli ilghrin aveva inaspettatamente ceduto.

    La battaglia divenne uno scontro senza quartiere, dove la sopravvivenza di ognuno dipendeva dalla fortuna non meno che dalla forza e dalla padronanza del proprio potere.

    Lyos si trovò a fronteggiare Neda, una donna del Kraam e una maga più anziana ed esperta di lui, mentre Kierfen a un passo di distanza, sconfiggeva Jerch e si apprestava a finire Ruthen.

    Inutilmente Gerith, uno dei Nim, liberatosi del suo avversario, accorse in aiuto del compagno: Kierfen aveva già portato a termine il suo scopo ed era pronto a proseguire l’opera con lui o con chiunque altro si fosse parato sulla sua strada.

    Le voci, le luci e le scariche di energia saturarono la sala, rendendo impossibile orientarsi fra le colonne e i frammenti di legno degli scranni che andavano in pezzi. Corpi giacevano a terra, ma mentre lottava per la vita, Lyos non era in grado di comprendere quanti fossero i caduti di entrambe le parti.

    Nella luce abbagliante di un lampo azzurrognolo, riconobbe Kayla, schiacciata contro una delle colonne, mentre cercava di difendersi dall'attacco congiunto di due sirt. Corse in suo aiuto, raccogliendo la magia sulle dita, tuttavia prima che essa potesse staccarsi dalle sue mani, un globo di energia incontrollata lo colpì alle spalle distruggendo la sua barriera difensiva.

    Ustionato e tramortito, rotolò a terra e con la vista confusa dal dolore vide altre due figure lottare a pochi passi da lui: Jaspel e Kierfen.

    Il Mediatore ilghrin si ergeva davanti all’Avir ma la sua barriera difensiva non esisteva più.

    Lyos cercò di muoversi ma le gambe non lo ressero. Nello stesso istante l’attacco di Kierfen andò a segno. Jaspel non riuscì a deviare il colpo e la scarica lo colpì, spingendolo contro l’Avir. Appoggiandosi ad esso il Mediatore riuscì faticosamente a non cadere e lentamente si raddrizzò fino a fissare il suo nemico negli occhi.

    Kierfen non nascose un moto di rabbia, ma non fu che un attimo: sapeva fin troppo bene che Jaspel non era in grado di difendersi oltre. Il suo prossimo colpo sarebbe stato l’ultimo.

    Il fuoco magico iniziò ad accumularsi fra le sue dita mentre davanti a lui anche Jaspel, senza staccarsi dall’Avir, chiamava a raccolta le poche forze rimastegli.

    Lyos era a terra, a un passo dalla scena: poteva aiutare Jaspel, doveva aiutare Jaspel! In qualche modo riuscì ad alzarsi e ad invocare la sua magia perché ricreasse una barriera protettiva, poi con un ultimo sforzo, si lanciò in avanti.

    Kierfen liberò la sua magia, contemporaneamente a Jaspel, nello stesso momento in cui Lyos finiva sulla loro traiettoria.

    L'ilghrin sentì improvvisamente freddo, un freddo insopportabile, poi il calore intenso del fuoco che lo bruciava in un ardente agonia e infine la luce, una luce fortissima, lo avvolse. Scintille multicolore rotearono davanti e intorno a lui, ma la luce era troppo abbagliante. Lyos chiuse gli occhi, sentì il suo corpo cadere e poi tutto fu nuovamente tenebra.

    * * *

    Attraverso una fessura sul soffitto un sottile raggio di sole penetrò l'oscurità e colpì gli occhi dell’uomo che giaceva sul pavimento di pietra.

    Infastidito dalla luce, egli sbatté le palpebre e faticosamente si voltò su un fianco; si sentiva debole e frastornato, la testa gli doleva e quel semplice movimento gli causò un capogiro abbastanza forte da costringerlo a chiudere nuovamente gli occhi. Quando si riebbe, si guardò attorno: pareti di pietra scura lo avvolgevano da ogni lato, mentre, sopra di lui, il soffitto, di quella che pareva essere una grotta naturale, s’inarcava creando una cupola quasi perfetta, al centro della quale, una piccola apertura lasciava entrare la luce del sole.

    Una morsa ghiacciata si strinse attorno al suo stomaco mentre l’immagine di Jaspel in piedi, appoggiato all’Avir, lo riportava bruscamente alla realtà.

    Lyos si alzò di scatto, o almeno era questa la sua intenzione perché le forze non gli bastarono ed egli ricadde privo di sensi.

    L'uomo che attendeva sonnecchiando sulla soglia, sobbalzò per lo spavento e subito gli fu accanto.

    Si chiamava Darben e da due giorni lo vegliava, senza allontanarsi mai e per due giorni il mago era rimasto immobile nel centro della grotta. Se non fosse stato per il lieve alzarsi e abbassarsi del petto al ritmo del respiro, Darben non avrebbe esitato a definirlo morto e invece, per un attimo che si era appisolato, quello che per lui era uno sconosciuto non solo si era risvegliato, ma aveva anche rischiato di fracassarsi la testa. L'uomo era felice di essere arrivato in tempo perché se al mago fosse capitato qualcosa, per lui sarebbero stati guai seri: Kairined l’avrebbe di certo dannato.

    Era stata lei ad ordinargli di lasciare il suo villaggio, di recarsi nel bosco fino alla Collina Cava e di vegliare sull’uomo che avrebbe trovato nell’interno della collina stessa. Kairined era la Veggente, la persona più autorevole del villaggio, i suoi ordini valevano più della parola di Terop, l’anziano capo tribù. L’incarico che era stato affidato a Darben, ne era un esempio. La notte che l’aveva svegliato, infatti, Kairined aveva chiaramente espresso il desiderio che tutta la faccenda rimanesse segreta e rientrava pienamente nei suoi poteri lasciarne all’oscuro anche l’anziano capo.

    Sulle prime Darben non si era posto domande: la Veggente sa cose che altri non sanno e la sue ragioni, per quanto incomprensibili, non vanno mai discusse; in seguito però mentre camminava avvolto nel freddo del mattino, fra i boschi diretto alla Collina, non aveva potuto far a meno di riflettere sul suo incarico e il fatto che dovesse rimanere segreto gli era parso strano. Tutto quello che doveva fare era andare alla grotta dove avrebbe trovato un uomo, aiutarlo se ce ne fosse stato bisogno e, nel caso che gli avesse chiesto qualcosa, fare ciò che voleva. Non gli sembrava una gran missione, avrebbe potuto svolgerla anche una fanciulla eppure Kairined aveva mandato lui, un guerriero, e aveva preteso il segreto, non capiva. Se quell’uomo fosse stato pericoloso la Veggente l’avrebbe di certo avvertito, invece non l’aveva fatto, insistendo molto sulla segretezza, per quale motivo?

    Avrebbe voluto avere maggiori informazioni, ma dal momento che era impensabile tornare indietro e disobbedire così al volere della Veggente, Darben aveva continuato a camminare verso la collina.

    Alla vista dell’uomo, le cose gli erano parse più chiare anche se non del tutto rassicuranti. L’uomo che era stato mandato ad incontrare era un teryo, un mago, nella lingua comune. Questo poteva spiegare la segretezza: non capitava tutti i giorni di trovare un teryo quasi morto nella grotta della Collina Cava. Nelle terre della sua tribù circolavano per lo più mercanti e mercenari di scorta alle carovane, quello che Darben conosceva riguardo ai maghi era uno strano miscuglio di leggende, verità e superstizioni. Le tribù del Shuoi, infatti, si tenevano il più lontano possibile dai maghi, temendo maledizioni o calamità e fra i Peinak, ai quali apparteneva Darben, circolavano pareri contrastanti. I pochi guerrieri che li avevano incontrati ne parlavano con rispetto e timore narrando di poteri incredibili capaci sia di guarire che di distruggere. A volte i loro racconti sembravano favole, a volte erano più che credibili, in ogni caso da essi Darben aveva imparato a considerare i maghi gente imprevedibile con la quale era tendenzialmente meglio non avere a che fare.

    Per questi motivi, nei due giorni trascorsi, aveva cercato di occuparsi del mago senza tuttavia avvicinarglisi troppo; più precisamente si era limitato ad accertarsi che fosse vivo, al caldo durante la notte e che ci fossero sempre acqua e cibo pronti qualora si fosse svegliato.

    Il volto pallido e graffiato del teryo, le vesti strappate e bruciate, facevano pensare a uno scontro eppure nella grotta non erano visibili segni di lotta. Se il mago si era trascinato fin lì, non aveva lasciato alcuna traccia, così come non vi erano tracce dell’essere che doveva averlo ridotto in quello stato.

    L'uomo sembrava comparso dal nulla e questo non faceva altro che accrescere nel guerriero la convinzione che fosse meglio aspettare, perché qualsiasi cosa gli fosse capitata, era di certo un mistero al di fuori della portata di un peinak.

    Se il mago non si fosse improvvisamente destato quella mattina, Darben avrebbe continuato a vegliare in paziente attesa, uscendo solo per procurarsi cibo, acqua e legna per il fuoco. Se il teryo non avesse rischiato di fracassarsi il cranio, il guerriero non si sarebbe nemmeno azzardato a toccarlo.

    Tuttavia adesso Darben era seriamente preoccupato: le condizioni dell’uomo parevano peggiorate. Il suo volto era divenuto estremamente pallido, mentre il respiro si era fatto più affrettato.

    Dato che non era un guaritore e non aveva la minima esperienza in materia, il peinak fece l’unica cosa che gli venne in mente e provò a bagnare con l’acqua il volto del teryo, ma l'uomo pareva scivolato in un sonno agitato e ogni tentativo di riscuoterlo si rivelò inutile.

    Nelle ore seguenti Darben non poté far altro che ascoltare impotente il mormorio sommesso del mago. Quelle parole, di cui non capiva il senso, erano i soli suoni che interrompevano il silenzio nella grotta. Inutilmente l'uomo cercò di convincersi che quello stato di incoscienza potesse essere meglio dell’immobilità dei giorni precedenti, ma il passare del tempo non faceva che aumentare la sua ansia.

    Stava cominciando a considerare seriamente l’idea di trasportare il mago fino al suo villaggio, quando improvvisamente questi sembrò riacquistare la calma. Il suo respiro tornò regolare, il volto riprese colore e pochi attimi dopo il teryo aprì gli occhi, fissando sul guerriero uno sguardo indagatore e stupito allo stesso tempo.

    Senza sapere cosa fare, Darben rimase in attesa.

    Seduto accanto a lui, con un’aria che Lyos non avrebbe saputo giudicare se spaurita o sollevata, c'era quello strano sconosciuto. Non diceva niente, non si muoveva e lo guardava come aspettandosi qualcosa. Era un uomo abbastanza alto, fisico statuario, probabilmente si trattava di un guerriero. Vestiva una specie di corta tunica di pelle senza maniche e sotto a questa, che in piedi avrebbe dovuto arrivargli fino a metà coscia, portava calzoni lunghi dello stesso materiale. Poco distante da lui, in un fodero di cuoio di quelli che si assicuravano sulla schiena, c’era una grossa spada dall’impugnatura d’acciaio e osso. Lo sconosciuto sembrava piuttosto giovane, poco più che ventenne, con il viso incorniciato da un incolta barba rossiccia, non molto lunga, e due occhi azzurri che si muovevano inquieti. Se non fosse stata un’ idea troppo assurda, Lyos avrebbe pensato a un guerriero delle tribù che vivevano a nord del Shuoi, ma non poteva essere: Hilemen era a centinaia di fert [3] dal lago Shuoi e dalle terre circostanti.

    Continuando a fissarlo, l’uomo si mosse lentamente e con estrema cautela tese verso verso di lui una ciotola di legno contenente dell’acqua. Non appena Lyos la prese, ritirò velocemente la mano, come temesse di toccarlo.

    Prima di bere, l’ilghrin sfiorò la superficie dell’acqua accertandosi della sua purezza, poi bevve avidamente, senza tuttavia distogliere lo sguardo dallo sconosciuto.

    " Lai ertì? gli chiese posando a terra il contenitore ormai vuoto. L'altro lo fissò confuso. Lyos ripeté la domanda parlando più forte poi, non ottenendo risposta, ripeté la domanda nella lingua comune Chi sei?"

    Darben…signore…Darben della tribù dei Peinak

    Lyos era allibito: i Peinak erano effettivamente una tribù del Shuoi, ma se come credeva, tutto questo era opera dei reyhes, cosa mai poteva aver a che fare con loro un guerriero peinak?

    Chi ti manda? chiese sospettoso.

    Darben rispose titubante Kairined, signore, la Veggente.

    Lyos non conosceva quel nome, ma sapeva che la Veggente era una figura presente in quasi tutte le tribù che abitavano la foresta di Frenthuil, purtroppo questo non lo aiutava a trovare una spiegazione.

    E’ lei che mi ha portato qui?

    "No. Kairined ha visto e ha mandato me a cercarti quassù."

    Quassù?

    Alla Collina Cava… Darben non riusciva a capire: aveva creduto che fosse stato il mago a chiamare la Veggente attraverso la visione, ma a quanto pareva questi sembrava all’oscuro quanto lui.

    Il mago era ancor più confuso: la Collina Cava era nel cuore della foresta di Frenthuil, come poteva esservi arrivato? Era possibile che il guerriero mentisse?

    Sei portatore di qualche messaggio? C’è un particolare motivo per cui Kairined ha inviato proprio te? chiese.

    Non conosco le motivazioni della Veggente. Non ho alcun messaggio. Dovevo solo venire quassù e trovare l’uomo nella grotta e aspettare e fare ciò che mi avrebbe detto…

    Così mi hai trovato...Darben

    Darben fece un cenno d’assenso col capo Ho atteso per due giorni che ti svegliassi. Ho sperato che Kairined mi inviasse altre istruzioni, ma nessun altro è venuto

    Mentre il guerriero raccontava, il mago controllava la veridicità di ogni parola: invisibili filamenti di potere leggevano la mente dell’uomo totalmente inconsapevole. Attraverso i ricordi di Darben, Lyos vide il volto della veggente, la foresta, la collina e se stesso sdraiato sul pavimento della grotta; tutto vero, tutto come l'uomo stava dicendo.

    Ma se Darben non mentiva, Lyos aveva bisogno di riflettere, di pensare con calma a una spiegazione, a un nesso fra la battaglia e il momento presente.

    Potresti lasciarmi solo qualche istante?chiese

    L’uomo asserì con fin troppo entusiasmo, appoggiò una borraccia piena d’acqua sul pavimento e uscì.

    Non appena se ne fu andato, Lyos si alzò molto lentamente e mosse alcuni passi per andarsi a sedere più comodamente con la schiena appoggiata contro la parete della grotta.

    La sua mente era piena di pensieri ed immagini e ora finalmente avrebbe potuto provare a riordinarli, a distinguere fra sogno e realtà. Non era una cosa semplice, persino per un mago come lui. Dovette fare appello a tutte le sue conoscenze per cercare di formulare una teoria, anche se questa lasciava spazio a molti dubbi. L’oscurità in cui aveva vagato tanto a lungo doveva essere stato un sogno, così come la visione del campo di battaglia di Hilemen, ma l’attacco, la lotta nella sala del Consiglio, quella era realtà. Dal momento in cui si era trovato nella sala, seduto fra i suoi compagni, infatti, il sogno o la visione, era finito e il ricordo ne aveva preso il posto. Lyos aveva vissuto la stessa esperienza due volte, senza rendersene conto. Tuttavia quello che gli era successo era diverso dal semplice ricordare, non solo perché realtà e ricordo si erano susseguiti quasi senza interruzione, era diverso perché lui ora era in quella grotta ed era vivo.

    Come ciò fosse possibile non sapeva spiegarselo: come poteva essere sopravvissuto? Come poteva trovarsi lì? Sapeva di essere a centinaia di fert da Hilemen, probabilmente a non più di due giorni dalla battaglia. Non ci era arrivato con le sue gambe, questo era certo, né tanto meno con la sua magia, a meno che non avesse acquisito il potere di utilizzarla anche mentre si trovava in stato di incoscienza. Pensare che qualcuno l’avesse portato lì gli pareva un'idea impossibile. Innanzitutto, la distanza era troppa e poi chi mai avrebbe potuto trasportarlo? I suoi compagni, infatti, dovevano essere morti, probabilmente tutti e i rehyes non sarebbero stati disposti a lasciare che eventuali superstiti vagassero per le terre del Saygron. No, anche se si fosse sbagliato, se da quella terribile mattina fossero trascorsi più di due giorni, nessuno comunque avrebbe potuto portarlo fin lì. La spiegazione doveva essere un’altra.

    Lasciò che la sua mente ripercorresse ancora una volta gli ultimi momenti della battaglia, in cerca di un particolare che gli fosse sfuggito, di qualcosa che prima non aveva ricordato e che potesse fargli capire cosa fosse realmente accaduto e come.

    Il ricordo era estremamente vivido, come se la scena si svolgesse in quella stessa grotta. Davanti ai suoi occhi rivide nuovamente Jaspel colpito dalla magia di Kierfen, spinto indietro contro l’Avir, lo vide rialzarsi a fatica appoggiandosi alla sfera che riluceva in uno strano modo, rivide l’espressione sicura di Kierfen mentre si apprestava a finire il suo avversario. Era in quel momento che lui si era lanciato fra i due ed era stato colpito dalla magia di entrambi, ricordava la sensazione, la luce e poi più nulla. In quel momento si fermavano i suoi ricordi, in quel momento doveva essere svenuto. Eppure questo non era logico: quel momento avrebbe dovuto essere quello della sua morte. Kierfen e Jaspel, infatti, erano i maghi più potenti del Saygron ed entrambi avevano liberato la loro energia per distruggere l’avversario: anche se indeboliti dalla battaglia, la forza di ognuno sarebbe bastata ad uccidere chiunque. Ma allora cosa ci faceva lì? Cosa era intervenuto a salvarlo? Cosa c’era al di là di quella luce abbagliante e multicolore che rappresentava il suo ultimo istante di consapevolezza? Stava quasi impazzendo nel tentativo di capire, di ricordare, quando improvvisamente la risposta fu lì, semplice e incredibile allo stesso tempo: la luce, la luce oltre alla quale non c’era più nulla, ecco cosa l’aveva salvato; ma non era luce, era magia, una magia molto più antica e potente di quella scatenata dai due mediatori, una piccolissima parte del potere primordiale scaturita dall’Avir stesso.

    Era un’ipotesi incredibile anche per un ilghrin, ma adesso ricordava perfettamente la strana luminosità che in quegli ultimi istanti scaturiva dalla sfera, l’aveva notata anche nel caos dello scontro: l’Avir brillava intensamente, una luce strana, tutti i colori e nessuno, come la luce che l’aveva inglobato.

    Dunque era stato salvato dall’Avir, da una scarica di potere che l’aveva avvolto e protetto e che poteva benissimo averlo proiettato fino a lì. Certo una cosa del genere non era mai accaduta, tuttavia Lyos ricordava perfettamente Jaspel barcollante e appoggiato alla sfera. Egli era il Mediatore e come tale avrebbe potuto attingere alla forza di Ir attraverso quel semplice contatto. Avrebbe potuto dirigere la magia su di lui e trasportarlo altrove.

    Lyos guardò verso l’esterno della grotta dove in controluce si stagliava l’alta figura del guerriero. Adesso era certo che fosse stato Jaspel a salvarlo, ma non riusciva a capire perché. Perché proprio lui? Perché inviarlo in un luogo tanto lontano? E cosa c’entravano i peinak in tutto questo?

    Aveva bisogno di altre risposte ed era fin troppo chiaro che non le avrebbe trovate in quella grotta. Il guerriero stava eseguendo gli ordini della Veggente, dunque era con lei che doveva parlare, ma se fosse stata una trappola?

    Mentre il mago rifletteva, Darben attendeva impaziente. Si sentiva uno stupido per come si era comportato, balbettando incoerentemente come un bambino sorpreso a fare qualcosa di proibito. Lui, che tanti avrebbero lodato per il coraggio dimostrato nella caccia e nelle battaglie, aveva tentennato intimorito da un uomo solo e ferito... ma, demoni delle tenebre, era un teryo! Kairined avrebbe dovuto avvertirlo, avrebbe dovuto dargli istruzioni più precise. I teryo erano gente da trattare con cautela, soprattutto quelli che comparivano all’improvviso.

    I teryo sono come vento: non sai quali nubi porteranno. Questo era ciò che aveva sempre sentito dire, ma cosa succedeva se il vento soffiava proprio nella tua direzione? Darben non poteva fare a meno di chiederselo e l’unica cosa che lo rassicurava era la certezza che Kairined non avrebbe mai messo in pericolo il suo popolo.

    Un insistente brontolio proveniente dal suo stomaco interruppe le sue riflessioni. A giudicare dalla posizione del sole la mattina era trascorsa interamente e lui era a digiuno dalla sera precedente. Non sapeva se i maghi si nutrissero d’aria o se preferissero i cibi tradizionali, quello che era certo era che lui aveva un impellente bisogno di mettere qualcosa di molto concreto sotto i denti, ma il cibo e le sue armi erano rimasti nella grotta: ora era uno stupido affamato.

    Una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare : Ho deciso che dovrai accompagnarmi fino al tuo villaggio.

    Il mago era comparso all’improvviso, silenzioso come un gatto e l'aveva colto alla sprovvista. Ciononostante Darben cercò di dissimulare la sorpresa e parlare con scioltezza

    E' una strada lunga, servono forze.

    Sì, e cibo schermandosi gli occhi con una mano Lyos guardò il cielo Due giorni di digiuno sono più che sufficienti

    Ho qualcosa nella sacca suggerì il guerriero.

    Lyos asserì Andrà bene, tu hai mangiato?

    La domanda colse Darben alla sprovvista: aveva fame, ovvio, ma davvero il mago voleva condividere il pasto con lui? Non aveva nemmeno un po' di timore?

    Esitò e il teryo gli sorrise E' il tuo cibo, mi sembra scortese non condividerlo

    Darben sussultò: ora gli leggeva nella mente? Forse, nondimeno Kairined gli aveva ordinato di assecondarlo

    L'ho preso per te, ma ho un po' di fame ammise riluttante.

    Il mago si scostò, invitandolo a precederlo all'interno.

    Il pranzo che li attendeva era piuttosto semplice poiché Darben, non ritenendo opportuno uscire a caccia fino a che il mago non si fosse svegliato, era rimasto nei pressi della grotta ed aveva fatto incetta dei frutti degli arbusti che crescevano lungo il fianco della collina. I peinak li chiamavano liver ed erano simili a pesche, solo un po' più piccoli e molto energetici.

    Ne aveva colti una decina che sparirono in poco tempo.

    Mentre mangiavano nessuno dei due parlò. Lyos, consapevole dello sguardo del peinak fisso su di sé, finse di ignorarlo. Gli sembrava giusto lasciare che il guerriero lo osservasse. La sua presenza, infatti, doveva essere uno strano mistero per un cacciatore della foresta.

    Darben, dal canto suo, non si lasciò sfuggire l'occasione e fra un boccone e l'altro lo osservò con attenzione, sorprendendosi del cambiamento intervenuto.

    Il teryo doveva aver

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