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Quell'autunno turbolento
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E-book215 pagine2 ore

Quell'autunno turbolento

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Info su questo ebook

Giorgia è una giovane donna un po' pasticciona e molto golosa che lavora come copywriter in un'agenzia pubblicitaria. Suo marito Mattia è responsabile della Narrativa in una libreria ma deve fare i conti con la crisi economica che scoraggia sempre di più i possibili lettori… Intanto Giorgia aspira a diventare direttrice creativa e nella sua agenzia siamo immersi in un mondo stimolante ma quasi sempre sotto pressione, in cui si è alla ricerca di nuove idee creative per clienti sempre più esigenti, con tempi sempre più stretti, ci sono le tensioni tra i colleghi e le giuste aspirazioni di far carriera. Leggetelo e verrete coinvolti dal brio di Giorgia, dalla profondità d'animo di Mattia e dalla simpatia del loro figlio Luigi.
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2020
ISBN9788831671217
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    Anteprima del libro

    Quell'autunno turbolento - Tatiana Asmeret Carlucci

    633/1941.

    PREMESSA

    Con que­sta pre­mes­sa vor­rei rin­gra­zia­re le per­so­ne a me mol­to vi­ci­ne che han­no con­tri­bui­to al­lo svi­lup­po di que­st’ope­ra. Pri­ma di tut­to Da­vi­de mi ha in­co­rag­gia­ta a pro­se­gui­re il mio rac­con­to ini­zia­le (più o me­no il pri­mo ca­pi­to­lo) e co­sì, con il suo ap­pog­gio e col mio en­tu­sia­smo, la sto­ria con­ti­nua­va gior­no do­po gior­no, una pa­gi­na o mez­za pa­gi­na al­la vol­ta, cam­bian­do cer­te par­ti in cor­so di scrit­tu­ra, e qua­si ogni se­ra lui ascol­ta­va, at­ten­to, i bra­ni nuo­vi o mo­di­fi­ca­ti che di vol­ta in vol­ta gli leg­ge­vo, dan­do­mi la sua ap­pro­va­zio­ne.

    Tra le mie ami­che, An­na è sta­ta la pri­ma let­tri­ce dei ca­pi­to­li ini­zia­li, in­sie­me a Vi­ni­cio, e so­no lo­ro gra­ta per le pic­co­le cri­ti­che di cui ho fat­to te­so­ro.

    Clau­dia, gran­de ami­ca di lun­ga da­ta, com­pa­gna del cir­co­lo di let­tu­ra e di mol­te av­ven­tu­re, e Chic­ca, mia ca­ra ami­ca, non­ché com­pa­gna del cir­co­lo di let­tu­ra e di po­me­rig­gi con tè e bi­scot­ti, han­no non so­lo let­to con pia­ce­re e com­men­ta­to l’ope­ra, ma so­no sta­te fon­te di pre­zio­si con­si­gli, sug­ge­ri­men­ti e cri­ti­che co­strut­ti­ve, uti­li per mi­glio­ra­re.

    Gra­zie al mio ama­to Da­vi­de e al­le mie ami­che af­fet­tuo­se.

    Rin­gra­zio an­che Nuc­cia, per il suo cor­so sul ro­man­zo, il rac­con­to e le tec­ni­che nar­ra­ti­ve, Pao­la, per i suoi cor­si Let­te­re ma­gi­che, ma­gi­che let­te­re e Ro­man­zi bre­vi, pas­sio­ni for­ti, e Ter­ry Brooks, che mi ha da­to del­le drit­te con il suo ma­nua­le A vol­te la ma­gia fun­zio­na. Con­si­gli da una vi­ta di scrit­tu­ra.

    In­fi­ne so­no gra­ta a Let­te­re Ani­ma­te e a You­can­print per aver scel­to il mio ro­man­zo. E a te, let­to­re, che stai per im­mer­ger­ti nel­la mia ope­ra.

    CAPITOLO PRIMO

    L’ae­reo era ap­pe­na de­col­la­to da Ber­ga­mo, do­po due ore di ri­tar­do per un gua­sto tec­ni­co. Gior­gia ave­va av­vi­sa­to il clien­te e po­sti­ci­pa­to l’ap­pun­ta­men­to. A Lon­dra l’at­ten­de­va la riu­nio­ne al­la Dar­rell Spen­cer: era ben lie­ta di pre­sen­ta­re per­so­nal­men­te la rea­liz­za­zio­ne del pro­get­to del­la sua equi­pe al clien­te, il di­ret­to­re le ave­va da­to que­st’op­por­tu­ni­tà, ma quan­to era emo­zio­na­ta! Cer­cò di ri­las­sar­si, pen­san­do a Mat­tia, al lo­ro bam­bi­no Lui­gi e al gior­no do­po, mer­co­le­dì 12 set­tem­bre, in cui avreb­be­ro fe­steg­gia­to il de­ci­mo an­ni­ver­sa­rio di ma­tri­mo­nio. Ave­va in­ten­zio­ne di com­pra­re il re­ga­lo al suo ado­ra­to ma­ri­to ma­ga­ri pro­prio a Lon­dra, ol­tre a un pen­sie­ri­no per il pic­co­lo Lui­gi, na­tu­ral­men­te: do­po la fa­ti­di­ca riu­nio­ne avreb­be fat­to un sal­to a cu­rio­sa­re da Har­rods. Tor­nan­do con la men­te al li­ti­gio del­la se­ra pri­ma e che le ave­va la­scia­to lo stra­sci­co an­che al mat­ti­no, ri­cor­dò quan­to fos­se con­tra­ria­ta che Mat­tia fos­se co­sì pre­so dal suo vi­deo­gio­co e poi dal­la let­tu­ra, men­tre lei avreb­be vo­lu­to che ascol­tas­se di più il suo fiu­me di pa­ro­le e che la coc­co­las­se co­me al so­li­to, per cui era an­da­ta a let­to ar­rab­bia­ta e te­nen­do poi il mu­so la mat­ti­na do­po. Ora era di­spia­ciu­ta per es­ser­si ir­ri­ta­ta tan­to: per lui il vi­deo­gio­co era un pia­ce­vo­le pas­sa­tem­po, che qual­che vol­ta for­se lo as­sor­bi­va trop­po di­sto­glien­do­lo da lei, ma in fon­do an­che lui ave­va bi­so­gno dei suoi spa­zi per­so­na­li.

    Era­no le do­di­ci e mez­za, all’ar­ri­vo in al­ber­go avreb­be fat­to in tem­po giu­sto a si­ste­mar­si un at­ti­mo, poi­ché la riu­nio­ne era al­le quat­tro pre­ci­se a Ken­sing­ton. Il clien­te era un’im­por­tan­te ca­sa edi­tri­ce in­ter­na­zio­na­le con se­de a Lon­dra e fi­lia­li a New York e a Sid­ney, la qua­le ave­va lan­cia­to sul mer­ca­to il let­to­re di­gi­ta­le Jum­bo e-rea­der, con una strut­tu­ra chia­ra e sem­pli­ce e con tan­to di fun­zio­ne vi­va vo­ce. All’agen­zia Mo­rel­li era sta­ta af­fi­da­ta la cam­pa­gna pub­bli­ci­ta­ria e ora Gior­gia sta­va an­dan­do a pre­sen­tar­la al clien­te, a Mr Spen­cer in per­so­na. In real­tà si oc­cu­pa­va dei te­sti del­le pub­bli­ci­tà, ra­ra­men­te si era re­ca­ta da qual­che clien­te, al­lo­ra per­ché pro­prio lei? Il com­mer­cia­le di ri­fe­ri­men­to, Er­ne­sto, si era im­prov­vi­sa­men­te am­ma­la­to, la sua re­spon­sa­bi­le Na­ta­lia era in fe­rie men­tre il di­ret­to­re crea­ti­vo, Ema­nue­le, era in viag­gio di la­vo­ro all’este­ro, co­sì era toc­ca­to a Gior­gia que­sto com­pi­to, del re­sto, in una pic­co­la dit­ta si fa un po’ di tut­to. Sì, era sta­to un mo­do per met­ter­la al­la pro­va, ma se pen­sa­va che la fir­ma del con­trat­to sa­reb­be di­pe­sa da lei, le ve­ni­va­no qua­si i bri­vi­di!

    Or­di­nò un pa­ni­no ben far­ci­to che le ar­ri­vò im­me­dia­ta­men­te. Ave­va una fa­me paz­ze­sca, ma per ora do­ve­va sta­re leg­ge­ra, si sa­reb­be gu­sta­ta mol­to di più la ce­na in al­ber­go. D’un trat­to si ad­dor­men­tò: so­gnò che il suo pic­co­lo ave­va la feb­bre al­ta e che non riu­sci­va a tor­na­re da lui, poi­ché i vo­li di ri­tor­no era­no tut­ti bloc­ca­ti. Si ri­sve­gliò quan­do la av­vi­sa­ro­no che do­ve­va rial­lac­ciar­si la cin­tu­ra per l’at­ter­rag­gio. Va tut­to be­ne pen­sò.

    Una vol­ta en­tra­ta nel­la sua ca­me­ra in al­ber­go, an­co­ra scos­sa dall’in­cu­bo, chia­mò l’asi­lo: il bim­bo sta­va be­no­ne, co­me quel­la mat­ti­na pre­sto, e sta­va dor­men­do. Poi chia­mò suo ma­ri­to sul cel­lu­la­re:

    «Ciao, te­so­ro, so­no ap­pe­na ar­ri­va­ta.»

    «Amo­re, fi­nal­men­te! Tut­to okay?»

    «Sì, a par­te il ri­tar­do di due ore del vo­lo, l’in­cu­bo che ho avu­to men­tre mi so­no ad­dor­men­ta­ta in ae­reo e il do­ver­mi ora pre­ci­pi­ta­re al­la riu­nio­ne.»

    «Hai avu­to un in­cu­bo?»

    «Sì, ho so­gna­to che Lui­gi ave­va la feb­bre al­ta ed ero pre­oc­cu­pa­ta. Pen­sa che ho ap­pe­na chia­ma­to l’asi­lo per sa­pe­re se stes­se be­ne.»

    «È tut­to a po­sto. Stai tran­quil­la. Per la riu­nio­ne e per tut­to il re­sto.»

    «Scu­sa­mi per sta­mat­ti­na e ie­ri se­ra, pur­trop­po ero co­sì ner­vo­sa...»

    «Non pre­oc­cu­par­ti, ho ca­pi­to che eri mol­to agi­ta­ta per il viag­gio e per tut­to quel­lo che ti aspet­ta­va. Poi non ve­do l’ora di sa­pe­re co­me è an­da­ta.»

    «Ora mi pre­pa­ro. Ciao te­so­ro, a più tar­di!»

    «Ciao, a più tar­di.»

    Per for­tu­na l’al­ber­go era vi­ci­no al­la Dar­rell Spen­cer ed era pro­prio vi­ci­nis­si­mo ad Har­rods. Ci ave­va mes­so tan­to ad ar­ri­va­re, tra ae­reo e tre­no, con­si­de­ran­do il ri­tar­do del vo­lo, ma al­la fi­ne, in­cre­di­bil­men­te, ce l’ave­va fat­ta. Pec­ca­to non po­ter­si ri­po­sa­re un po’, ma l’im­por­tan­te era ar­ri­va­re in tem­po al­la riu­nio­ne. Si ri­mi­se la giac­ca, in­dos­sa­va gon­na e tail­leur, af­fer­rò la car­tel­la, con­trol­lò se c’era tut­to: sì era tut­to in or­di­ne ed era ora di an­da­re.

    Ar­ri­vò dal clien­te in an­ti­ci­po di die­ci mi­nu­ti, l’ac­col­se una sor­ri­den­te re­cep­tio­ni­st, che la fe­ce ac­co­mo­da­re in una sa­let­ta d’at­te­sa adia­cen­te. Si sen­ti­va piut­to­sto ner­vo­sa, an­che se cer­ca­va a tut­ti i co­sti di re­sta­re cal­ma.

    «Buon­gior­no si­gno­ra Ma­ra­no!»

    En­trò il si­gnor Spen­cer, un uo­mo im­po­nen­te e dal pas­so ve­lo­ce, che le strin­se ener­gi­ca­men­te la ma­no.

    «De­si­de­ra un tè? O un caf­fè?»

    «Sì, gra­zie, un caf­fè de­caf­fei­na­to.»

    «Ades­so glie­lo fac­cio por­ta­re. Ha fat­to un buon viag­gio?»

    «Il vo­lo ha avu­to un bel po’ di ri­tar­do, ma ora fi­nal­men­te so­no qui.»

    «Be­nis­si­mo. Tra cin­que mi­nu­ti co­min­cia­mo a sa­li­re in sa­la con­fe­ren­ze do­ve pre­sto ci rag­giun­ge­ran­no gli al­tri.»

    Co­sì, do­po che si fu gu­sta­ta il suo caf­fè, in com­pa­gnia del si­gnor Spen­cer, sa­li­ro­no al pia­no di so­pra, do­ve nell’im­men­sa sa­la con­fe­ren­ze gli al­tri era­no già pron­ti. Tra va­rie stret­te di ma­no, Gior­gia si sen­tì sem­pre più agi­ta­ta.

    E ar­ri­vò il mo­men­to fa­ti­di­co.

    «Buon­gior­no a tut­ti. So­no qui per pre­sen­tar­vi lo spot rea­liz­za­to dall’agen­zia Mo­rel­li, do­po un in­con­tro e va­rie vi­deo­chia­ma­te col si­gnor Spen­cer e la sua as­si­sten­te: ci sia­mo ba­sa­ti sul­le lo­ro li­nee gui­da cer­can­do di crea­re un mes­sag­gio mol­to con­vin­cen­te. Be­ne, ma ora la­scia­mo la pa­ro­la al fil­ma­to, poi ci sa­rà tut­to il tem­po di com­men­tar­lo.»

    In­se­rì la chia­vet­ta e av­viò il fi­le che con­te­ne­va. Sol­tan­to che… nel sa­lo­ne in pe­nom­bra ap­par­ve­ro le im­ma­gi­ni di Lui­gi men­tre gio­ca­va con le sue co­stru­zio­ni!

    Ave­va gi­ra­to quel vi­deo qual­che gior­no pri­ma e l’ave­va tra­sfe­ri­to su chia­vet­ta per pas­sar­lo an­che a sua suo­ce­ra. Si­cu­ra­men­te sa­rà sta­ta col­pa sua, si dis­se tra sé e sé.

    Beh, da par­te di Gior­gia era sta­ta una gros­sa di­stra­zio­ne, ma che co­sa ci po­te­va fa­re se le due USB era­no en­tram­be ne­re e pra­ti­ca­men­te iden­ti­che?

    Lo stop­pò im­me­dia­ta­men­te e sor­ri­se per sdram­ma­tiz­za­re, poi cer­cò di for­ni­re una spie­ga­zio­ne plau­si­bi­le: «Co­me avre­te ca­pi­to non è il vi­deo giu­sto. Scu­sa­te, ci dev’es­se­re sta­to un er­ro­re, era il vi­deo di mio fi­glio. Ri­me­dio su­bi­to, so­lo qual­che mi­nu­to. A pro­po­si­to, in­tan­to vor­rei sot­to­li­nea­re la fun­zio­ne in­no­va­ti­va che può ave­re il Jum­bo già nel­la let­tu­ra in­fan­ti­le, per la sua sem­pli­ci­tà e pra­ti­ci­tà d’uso in un pub­bli­co spes­so già al­fa­be­tiz­za­to dal pun­to di vi­sta in­for­ma­ti­co. È un di­spo­si­ti­vo per­fet­to an­che per i li­bri il­lu­stra­ti e per que­sto ab­bia­mo po­sto in pri­mo pia­no l’in­ci­pit del­le Av­ven­tu­re di Tom Saw­yer col di­to che pas­sa al­la scher­ma­ta suc­ces­si­va il­lu­stra­ta e poi am­plian­do il cam­po l’im­ma­gi­ne di un bam­bi­no che leg­ge l’e-book sul Jum­bo.»

    «Tut­to ciò è mol­to in­te­res­san­te» in­ter­ven­ne il si­gnor Kent, il re­spon­sa­bi­le mar­ke­ting, dal­la pri­ma fi­la, con la sua aria tal­men­te spor­ti­va che sem­bra­va ap­pe­na sce­so dal suo mo­to­sca­fo. «Ma quan­do ce lo mo­stre­rà?»

    «Il pri­ma pos­si­bi­le!» ri­spo­se lei, sor­ri­den­do, per stem­pe­ra­re la ten­sio­ne. «In­tan­to chia­mo il mio uf­fi­cio per ri­sol­ve­re l’ac­ca­du­to. Vi chie­do so­lo qual­che mi­nu­to di pa­zien­za.»

    Un mor­mo­rio di stu­po­re si fe­ce sen­ti­re, men­tre usci­va dall’au­la per chia­ma­re la sua se­gre­ta­ria, l’uni­ca che po­tes­se aiu­tar­la evi­tan­do che si sca­te­nas­se un pan­de­mo­nio. La­sciò squil­la­re il te­le­fo­no, tre, quat­tro, cin­que vol­te, e poi an­co­ra, spe­ran­do con tre­pi­da­zio­ne che ri­spon­des­se. Ri­spo­se in­ve­ce Ma­ri­ka, la re­cep­tio­ni­st, che le dis­se, con la sua vo­ce squil­lan­te: «Pao­la è dal si­gnor Mo­rel­li, ti fac­cio ri­chia­ma­re?»

    «Sì, mi rac­co­man­do, è ur­gen­te!» pun­tua­liz­zò con to­no an­sio­so.

    E men­tal­men­te con­ti­nuò: Ipo­tiz­zan­do che Pao­la ab­bia con­ser­va­to in una sua car­tel­la il fi­le, al­lo­ra riu­sci­rei a far­la fran­ca, al­tri­men­ti do­vrei sco­mo­da­re la di­re­zio­ne e pos­so già im­ma­gi­na­re che la­va­ta di te­sta ne se­gui­reb­be dal si­gnor Mo­rel­li, con tan­to di sham­poo e mes­sa in pie­ga! Ma in­tan­to ve­dia­mo di ca­var­ce­la in qual­che mo­do e di non far per­de­re all’agen­zia un af­fa­re co­los­sa­le.

    Do­ve­va rien­tra­re, cer­can­do den­tro di sé il co­rag­gio di af­fron­ta­re il suo udi­to­rio. Un re­spi­ro pro­fon­do e…

    «Si­gno­ri, mi in­vie­ran­no pre­sto il vi­deo, nel frat­tem­po vi il­lu­stre­rò la no­stra cam­pa­gna…»

    «Ci ac­con­ten­te­re­mo che ce la il­lu­stri sen­za im­ma­gi­ni» in­ter­ven­ne il si­gnor Spen­cer, grat­tan­do­si la bar­ba gri­gia.

    «Sì, cer­to, vi de­scri­ve­rò a pa­ro­le quel­lo che ab­bia­mo rea­liz­za­to.»

    «Non vor­rem­mo per­der tem­po» pro­se­guì il si­gnor Spen­cer, «spe­ro che rie­sca a ri­sol­ve­re pre­sto il di­sgui­do.»

    «Dar­rell, so­no co­se che ca­pi­ta­no» escla­mò il si­gnor Kent. «Non ve­di che è già ab­ba­stan­za in ten­sio­ne la si­gno­ra? Piut­to­sto ascol­tia­mo quel­lo che ha da rac­con­tar­ci…»

    For­za, Gior­gia, non vor­rai but­tar via in un so­lo istan­te tut­ti i tuoi sfor­zi e i tuoi slan­ci crea­ti­vi! si dis­se, cer­can­do la grin­ta per rie­mer­ge­re da quel pan­ta­no, in­co­rag­gia­ta da quell’ul­ti­mo in­ter­ven­to. Si av­vi­ci­nò al­la la­va­gna, aven­do in­tui­to che for­se sa­reb­be sta­to uti­le aiu­tar­si gra­fi­ca­men­te, e pro­cla­mò: «Lo slo­gan è Jum­bo, il let­to­re per vo­la­re sul­le ali del­la fan­ta­sia, e c’è il du­pli­ce ri­fe­ri­men­to al­la tec­no­lo­gia avan­za­ta del di­spo­si­ti­vo e al­la pos­si­bi­li­tà di viag­gia­re con l’im­ma­gi­na­zio­ne tra­mi­te la let­tu­ra. La fun­zio­ne di vi­va vo­ce è sta­ta en­fa­tiz­za­ta…»

    In quell’istan­te squil­lò il suo cel­lu­la­re. «Un at­ti­mo so­lo» dis­se al suo pub­bli­co e ri­spo­se: «Pron­to! Pao­la, sei tu! Ascol­ta, mi ser­ve ur­gen­te­men­te il fil­ma­to del Jum­bo e-rea­der, c’è sta­to un er­ro­re, ora non ho tem­po di spie­gar­ti, ne hai una co­pia?»

    «Cer­to, l’ho sal­va­to sul mio com­pu­ter! Sa­pe­vo che sa­reb­be ser­vi­to te­ner­ne una co­pia. Te lo man­do su­bi­to.»

    «Gra­zie mil­le! Sei un an­ge­lo!»

    Co­me pro­mes­so glie­lo in­viò in un bat­ti­ba­le­no. Gior­gia cer­cò di tem­po­reg­gia­re nei po­chi mi­nu­ti ne­ces­sa­ri per ri­ce­ver­lo, poi escla­mò: «Ec­co qua. Ora ci sia­mo.»

    E il vi­deo pub­bli­ci­ta­rio par­tì, se­gui­to dal suo pun­tua­le, pre­ci­so e ac­cat­ti­van­te com­men­to. Era de­col­la­ta, non c’era più trac­cia dell’agi­ta­zio­ne di pri­ma e l’er­ro­re era sta­to pre­sto di­men­ti­ca­to!

    Il si­gnor Spen­cer do­po la riu­nio­ne la con­vo­cò nel suo uf­fi­cio. Ades­so sì che era di nuo­vo emo­zio­na­ta, la no­stra Gior­gia!

    «Si­gno­ra Ma­ra­no, ec­co­ci al pun­to de­ci­si­vo. De­vo am­met­te­re che mi ha stu­pi­to per co­me è riu­sci­ta a trar­si d’im­pac­cio fa­cil­men­te e con di­sin­vol­tu­ra da un er­ro­re che ha fat­to sor­ri­de­re tut­ti. Com­pli­men­ti per la pre­sen­ta­zio­ne e con som­mo pia­ce­re le con­fer­mo che la vo­stra cam­pa­gna pub­bli­ci­ta­ria del Jum­bo e-rea­der è ot­ti­ma e fir­me­rò per il lan­cio sul mer­ca­to!» E ap­po­se la sua fir­ma sul con­trat­to.

    «Gra­zie» mor­mo­rò lei, con gli oc­chi che le bril­la­va­no.

    «Do­mat­ti­na ri­ve­dia­mo tut­ti i det­ta­gli.»

    Uscen­do avreb­be vo­lu­to ur­la­re ai quat­tro ven­ti la sua sod­di­sfa­zio­ne, poi pen­sò im­me­dia­ta­men­te: Ed ora la gran­de mis­sio­ne re­ga­lo! Har­rods, ar­ri­vo!

    Per pri­ma co­sa un sal­to al pia­no sot­ter­ra­neo con tut­te le lec­cor­nie, che am­mi­rò sol­tan­to, con l’ac­quo­li­na in boc­ca, poi sa­lì guar­dan­do­si in­tor­no: ave­va tan­te idee, do­ve­va de­ci­der­si; ar­ri­vò al re­par­to dell’ab­bi­glia­men­to da uo­mo e lì ri­ma­se in­can­ta­ta da una ca­mi­cia blu di co­to­ne con i bot­ton­ci­ni gri­gi. Com’era bel­la! Scor­se il car­tel­li­no del prez­zo: ac­ci­pic­chia, le sem­bra­va esor­bi­tan­te. Ma una com­mes­sa le si av­vi­ci­nò e le dis­se: «Si­gno­ra, quel­la ca­mi­cia è in sal­do. Non ab­bia­mo an­co­ra at­tac­ca­to il car­tel­li­no. So­no gli ul­ti­mi ca­pi del­la vec­chia col­le­zio­ne. È ec­ce­zio­nal­men­te scon­ta­ta del qua­ran­ta per cen­to.»

    «Wow! Al­lo­ra la pren­do! Me la può in­car­ta­re, per fa­vo­re?»

    «Cer­to.»

    Poi vi­de un or­sac­chiot­to di Win­nie Pooh per il suo bim­bo, e pre­gu­sta­va già la sua espres­sio­ne di gio­ia, co­sì lo com­prò sen­za esi­ta­zio­ne. Tor­nò all’al­ber­go, fie­ra del con­trat­to e dei suoi ac­qui­sti. Che gior­na­ta in­ten­sa e ric­ca! E pen­san­do tre­pi­dan­te all’in­do­ma­ni, aspet­tan­do so­lo il mo­men­to di ri­ve­de­re Mat­tia e il suo pic­co­lo omet­to, si ad­dor­men­tò bea­ta.

    «Amo­re, ben­tor­na­ta!» l’ac­col­se il ma­ri­to la se­ra do­po, ab­brac­cian­do­la, quan­do Gior­gia rien­trò a ca­sa. Men­tre ce­na­va­no, le dis­se: «Chis­sà co­me sei stan­ca per il viag­gio.»

    «Eh, sì, so­no ab­ba­stan­za di­strut­ta.» E do­po un at­ti­mo: «È fan­ta­sti­co, han­no ap­pro­va­to la no­stra pub­bli­ci­tà! Non ci pos­so cre­de­re, no­no­stan­te lo scam­bio del­le chia­vet­te!»

    «Ne in­ven­ti sem­pre una! Ma rac­con­ta­mi be­ne per fi­lo e per se­gno.»

    Co­sì

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