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A United Kingdom. L'amore che ha cambiato la storia
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E-book672 pagine8 ore

A United Kingdom. L'amore che ha cambiato la storia

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Info su questo ebook

Tratto da un'incredibile storia vera

Londra, 1947.
Seretse Khama è salito al trono del Protettorato britannico del Bechuanaland (il futuro Stato del Botswana) a soli quattro anni, anche se la reggenza del Paese è affidata allo zio Tshekedi. Dopo aver terminato gli studi superiori a Oxford si trasferisce a Londra per svolgere il praticantato come avvocato, e lì conosce Ruth Williams, giovane impiegata londinese. È amore a prima vista e i due giovani decidono di sposarsi, ma la prospettiva del matrimonio misto genera scandalo presso i capi delle tribù del Bechuanaland – all’epoca erano state appena avviate in Sudafrica le politiche dell’apartheid. Comincia così una guerra a colpi di pregiudizi e potere tra le autorità locali, il governo della regina e il piccolo Protettorato britannico del Bechuanaland. Dopo il matrimonio, celebrato contro il volere di tutti, Seretse e sua moglie vengono condannati all’esilio. La tenacia dei due giovani sposi, il loro amore e il desiderio di giustizia renderanno la loro storia un commovente manifesto romantico, uno dei più struggenti della storia dei diritti civili di tutti i tempi.

Da questa storia vera è stato tratto il film con la candidata all’Oscar® Rosamund Pike

Un amore che ha sfidato tradizione, pregiudizi e potere e ha cambiato la storia.

«Una scrittura elegante… Williams ha fatto un lavoro da maestro.»
The Guardian

«Incredibilmente emozionante. »
Telegraph

«Un libro splendido. »
The Spectator
Susan Williams
È una storica e autrice di numerosi saggi. È cresciuta in Zambia e ha lavorato in Gran Bretagna, Zimbabwe e Canada. È Senior Fellow presso la School of Advanced Studies dell’Università di Londra.
LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2017
ISBN9788822704726
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    Anteprima del libro

    A United Kingdom. L'amore che ha cambiato la storia - Susan Williams

    482

    Titolo originale: Colour Bar

    Original English language edition first published by PenguinBooks Ltd, London

    Text copyright © Susan Williams 2007

    The author has asserted her moral rights

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Adriana Altavilla

    Prima edizione ebook: gennaio 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-0472-6

    Realizzazione a cura di The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    www.newtoncompton.com

    Susan Williams

    A United Kingdom

    Un’incredibile storia vera

    Newton Compton editori

    Per Gervase

    Lettera di Nelson Mandela al presidente Ketumile Masire in occasione della morte di Sir Seretse Khama

    Robben Island

    Mio presidente,

    l’African National Congress del Sudafrica deve averle inviato un messaggio di condoglianze in seguito alla morte di Sir Seretse Khama, un messaggio che esprimeva il cordoglio di tutti i nostri membri, dentro e fuori dalla prigione. Tuttavia ritengo opportuno aggiungere un messaggio personale per via del rapporto speciale che ci ha accomunati all’epoca in cui eravamo a Wits e della stima e ammirazione che ho nutrito per lui sin da allora. A causa delle particolari circostanze in cui mi trovo al momento, però, questo messaggio non è riuscito a raggiungervi prima.

    Sir Seretse è stato un leader capace e ampiamente stimato e la sua morte ha rappresentato una perdita non solo per la sua famiglia e la sua gente, ma per l’Africa intera. Come primo presidente della Repubblica indipendente del Botswana, la sua memoria resterà per molto tempo illuminata dalla devozione e dalla competenza con cui ha servito il suo Paese e la sua gente e dalla statura politica che ha dimostrato nelle questioni internazionali. Sotto la sua guida il contributo del Botswana alla Organisation of African Unity e ai Front Line States è stato inestimabile. Senza tale contributo i problemi del Sudafrica sarebbero stati ancora più difficili da risolvere.

    Per il popolo del Sudafrica il Botswana indipendente è diventato una seconda casa, in grado di offrire un porto sicuro a coloro che fuggono dalla persecuzione politica. Le sue tragedie sono le nostre tragedie. È per questo motivo che la morte di Sir Seretse ci ha colpiti in modo speciale e ne avvertiamo così tanto la mancanza. Ed è inoltre con questo spirito che inviamo le nostre condoglianze a Lady Khama e famiglia, al governo e al popolo del Botswana.

    Fortunatamente il Botswana è ricco di uomini visionari e di talento, in grado di colmare il vuoto lasciato da Sir Seretse, e il suo mantello si è ora posato sulle spalle di un uomo altrettanto capace e rispettato. Nel porle le mie più sentite congratulazioni in suo onore, vorrei anche augurarle salute e successo nel continuare a migliorare le condizioni di vita della popolazione.

    È degno di nota vedere come in Africa, così come in altre colonie di questo continente, uomini senza alcun tipo di esperienza nel modo in cui oggi opera il governo riescano a guidare Stati moderni con tale successo e a placare, persino eliminare del tutto, alcuni dei mali del colonialismo a così poco tempo dal raggiungimento dell’indipendenza. I dati attualmente in nostro possesso indicano che in Africa sono stati fatti incoraggianti progressi. Sono felice di notare che questa tendenza è particolarmente evidente nel vostro Paese e che ora possiate aspirare a un futuro di prosperità e felicità.

    Per concludere, vorrei ribadire quanto già dichiarato e cioè che il Botswana è per noi una seconda casa. Molto prima dei conflitti politici che hanno sconvolto il Sudafrica sin dai primi anni Sessanta, e prima che iniziasse l’esodo dei perseguitati dal nostro Paese, il Botswana e la maggioranza oppressa erano già uniti da un forte legame storico. Questi conflitti hanno considerevolmente rafforzato tali legami e la consapevolezza di godere del solido sostegno e buon augurio del popolo del Botswana è motivo di forte ispirazione nella nostra lotta per scacciare il governo della minoranza. I miei più sentiti auguri al suo governo, al suo popolo e alla famiglia. Pula!!!

    Nelson Mandela

    (luglio 1980)

    Lettera riprodotta per gentile concessione dell’ufficio di Mr Nelson Mandela e della biblioteca dell’Università di Fort Hare (Fonte: documenti Oliver Tamboo, archivi dell’African National Congress, biblioteca dell’Università di Fort Hare).

    Il Protettorato del Bechuanaland e i Paesi vicini negli anni Cinquanta

    (con date dell’indipendenza e i nomi post-indipendenza)

    A united kingdom

    Parte prima

    La casa di Khama

    1

    Dall’Africa alla Gran Bretagna devastata dalla guerra

    Nel settembre 1945 uno studente ventiquattrenne di nome Seretse Khama giunse in Inghilterra dal suo Paese, una colonia britannica in Africa. La vittoria sul Giappone era stata festeggiata il mese prima e la Gran Bretagna finalmente usciva dal trauma del secondo conflitto mondiale. Ma gli effetti della guerra erano visibili ovunque, nei volti afflitti delle persone e tra le macerie degli edifici bombardati. Tutto appariva grigio e triste. Era un Paese molto diverso dal suo: il Protettorato britannico di Bechuanaland, nel sud dell’Africa, a diecimila chilometri di distanza. Laggiù, a casa, un’arida boscaglia si estendeva a perdita d’occhio e il sole brillava caldo nel cielo azzurro.

    Seretse era venuto a studiare legge all’Università di Oxford. Alto e con le gambe lunghe, dalla corporatura solida e l’aria intelligente, era l’erede al trono dei Bangwato, la più grande nazione nel Bechuanaland. Suo zio, Tshekedi Khama, che era alla guida dei Bangwato in qualità di principe reggente, lo stava educando con scrupolo al suo futuro ruolo di kgosi e già da tempo accarezzava l’idea di far studiare a Seretse legge in Gran Bretagna; la giurisprudenza europea, pensava, lo avrebbe aiutato a gestire l’amministrazione coloniale da una posizione privilegiata¹. Voleva inoltre tenere Seretse lontano dalla segregazione razziale e dalle diseguaglianze del sud dell’Africa che avevano amareggiato il nipote. «Avevo assunto un certo atteggiamento nei confronti di una certa razza, se così posso dire, ossia la razza bianca», avrebbe detto Seretse anni dopo. «Li detestavo fortemente perché pensavo che loro detestassero me. Immagino che per alcuni di loro fosse così». Tutti i bianchi gli sembravano crudeli e ingiusti e sentiva di «non avere alcuna fiducia in nessuno di loro», aveva detto a suo zio. «Quindi», gli aveva risposto Tshekedi, «a maggior ragione devi andare in Inghilterra a completare i tuoi studi»².

    Seretse aveva già ricevuto un’ottima istruzione. Aveva frequentato le migliori scuole per africans del Sudafrica: l’Adams College, una scuola della missione vicino Durban; il Lovedale College guidato da missionari di Alice, Capo Est; il Tiger Kloof di Vryburg, che non era molto distante dal confine con il Bechuanaland ed era diretto dalla Missionary Society di Londra. In tutte queste scuole si era distinto sia come studente che come persona. Dopo aver finito le superiori era andato alla Fort Hare Native University, vicino Lovedale, ad Alice, l’unica università per neri del Sudafrica. Lì aveva seguito corsi di diritto indigeno, amministrazione indigena, diritto romano-olandese, storia, inglese e setswana, laureandosi nel 1944. Quegli anni a Fort Hare furono molto formativi. L’università era un punto di riferimento per l’élite intellettuale di neri sudafricani nonché «un faro per gli studiosi di tutta l’Africa meridionale, centrale e orientale», come scrisse Nelson Mandela, anche lui studente a Fort Hare. Qui erano stati educati molti dei futuri leader del continente africano; non solo Seretse e Mandela, ma anche Oliver Tambo, Julius Nyerere, Kenneth Kaunda, Herbert Chitepo, Desmond Tutu, Robert Mugabe e tanti altri³. Qui i dibattiti sull’ingiustizia sociale e il futuro della regione erano frequenti e accalorati.

    Dopo Fort Hare, Seretse si iscrisse alla facoltà di legge dell’Università di Witwatersrand a Johannesburg⁴. Lì iniziò a frequentare Mandela, anche lui studente di legge, che in seguito riferì del «rapporto speciale che ci ha accomunati all’epoca in cui eravamo a Wits e la stima e ammirazione che ho nutrito per lui sin da allora»⁵. Seretse divenne anche grande amico di Joshua Nkomo, che non era studente a Wits ma risiedeva in uno degli alloggi universitari⁶. Seretse, Mandela e Nkomo frequentavano il ristorante Blue Lagoon di Johannesburg, dove si mescolavano ad altri laureati di Fort Hare, incluso Oliver Tambo⁷.

    Essere uno studente a Wits era difficile e spiacevole sotto molti aspetti. C’era solo un piccolo gruppo di studenti neri e a costoro non era consentito utilizzare i campi sportivi, i campi da tennis o la piscina, inoltre erano trattati con disprezzo da alcuni docenti bianchi. Mandela riferì di diverse umiliazioni: quando si sedeva a un tavolo della biblioteca della facoltà di legge, qualche studente bianco si spostava; se andava al bar con degli studenti bianchi, venivano esclusi perché erano in compagnia di un kaffir⁸. Ma, aggiunse Mandela, incontrò anche studenti come Joe Slovo e Ruth First e venne introdotto a nuove e stimolanti idee sul futuro del Sudafrica:

    Wits mi aprì un mondo nuovo, un mondo di idee e dottrine politiche. Ero in mezzo a intellettuali bianchi e indiani della mia generazione, giovani che avrebbero formato l’avanguardia dei più importanti movimenti politici degli anni successivi. Scoprii per la prima volta persone della mia età che sostenevano fermamente la lotta per la liberazione ed erano pronte, nonostante la loro posizione privilegiata, a sacrificarsi per la causa degli oppressi⁹.

    Ma mentre Mandela rimase a Wits per completare il suo corso di studi, Seretse lasciò ben presto l’Africa per recarsi in Gran Bretagna. Nel freddo dell’autunno inglese, giunse a Oxford per iniziare il primo trimestre, diventando uno studente del Balliol College. Il suo piano di studi iniziale comprendeva diritto più un corso combinato di politica ed economia: avrebbe sostenuto esami per entrambi i corsi che lo avrebbero portato al conseguimento della laurea¹⁰. Fece un’ottima prima impressione sul suo consulente accademico, Sir Reginald Coupland, Beit Professor di storia coloniale. «Ho visto Seretse Khama», scrisse Coupland subito dopo l’arrivo del giovane. «Davvero un ottimo elemento!»¹¹.

    Ma Seretse ebbe dei problemi ad ambientarsi. Gli studenti britannici non mostrarono alcun interesse a conoscerlo e gli studenti africani erano pressoché inesistenti. Nel 1945 c’erano circa settecentocinquanta studenti africani nel Regno Unito, ma la maggior parte di loro si trovava nelle università di Edimburgo (dove Julius Nyerere studiava storia), Aberdeen e Londra, oppure all’Inns of Court di Londra¹². «Il primo trimestre mi sentii affranto», ricordò in seguito Seretse. «Pensavo che tutti mi detestassero perché nessuno mi parlava o mostrava alcun interesse nei miei confronti; credetti fosse un altro modo per dimostrarmi che non ero il benvenuto»¹³. Questo isolamento era particolarmente doloroso perché lui era sempre stato popolare tra i suoi compagni; a Fort Hare era considerato un ragazzo simpatico e alla mano, sebbene fosse un membro importante della famiglia reale. «Non si comportava come qualcuno destinato a diventare un sovrano», commentò un suo compagno di studi. «Era semplicemente uno studente come tutti gli altri; questa era una delle cose che mi piacevano di lui. Non imponeva mai la sua personalità sugli altri»¹⁴.

    In Gran Bretagna Seretse sentiva, inoltre, di essere sempre identificato con il colore della sua pelle: le persone non lo vedevano come uno studente del Bechuanaland, ma come un uomo di colore o un negro¹⁵. In genere gli inglesi lo scambiavano per un americano o un caraibico. Ma, a parte il colore della pelle, aveva ben poco in comune con i soldati americani o i caraibici venuti in Inghilterra a cercare lavoro. Il suo ambiente familiare e le sue esperienze erano quelle di un principe ereditario destinato sin dalla nascita a un’esistenza privilegiata.

    Il numero delle persone di colore in Gran Bretagna nell’immediato dopoguerra era piuttosto ridotto, meno dello 0,02 per cento della popolazione, e costoro vivevano principalmente a Londra o nelle principali città portuali di Liverpool, Bristol e Cardiff¹⁶. Ufficialmente non vi era alcuna segregazione razziale, ma ai neri presenti in Gran Bretagna spesso venivano negati lavoro e alloggio. Essi inoltre si trovavano ad affrontare pregiudizi razziali nei loro contatti quotidiani con la gente, sui trasporti pubblici e al ristorante. Uno studente nigeriano notò che

    in treno, se entro per primo in una carrozza, pochissime persone entreranno nella stessa carrozza se possono trovare posto in un’altra. Nei caffè, pochissimi si siedono accanto a una persona di colore, a meno che non la conoscano personalmente. Al cinema alcuni chiedevano cosa ci facessi lì poiché erano sicuri che non capissi il film.

    Anche gli studenti di provenienza asiatica e mediterranea subivano lo stesso tipo di pregiudizio. Uno studente indiano del Kenya lamentava il fatto che, mentre stava viaggiando in metropolitana con una ragazza inglese, due uomini dissero ad alta voce: «Questi maledetti stranieri vengono qui a rovinare le nostre ragazze». Un altro indiano dell’Africa orientale osservava il modo in cui il pregiudizio razziale veniva appreso:

    Viene insegnato ai bambini, instillato nelle loro menti, ma non è naturale in loro. Mi trovavo in ospedale per la rimozione delle tonsille e siccome non c’erano letti, mi misero al reparto pediatrico; uno dei bambini mi disse: «Signore, sei stato tanto tempo sotto il sole?».¹⁷

    «Sì, sei penalizzato se hai la pelle scura e non passa quasi mai giorno senza che questo ti venga fatto notare», osservava Learie Constantine, il leggendario giocatore di cricket di Trinidad, trasferitosi in Gran Bretagna nel 1929 e impiegato come assistente sociale per la gestione dei caraibici che arrivavano per lavorare. Nel 1944 Constantine aveva denunciato gli Imperial Hotels di Londra per avergli negato l’accesso ed era riuscito a vincere la causa per discriminazione¹⁸. «È un caso di segregazione razziale?», domandava il settimanale britannico «Picture Post». La risposta a questa domanda, si sosteneva, era un sonoro sì. Veniva riportato il caso di un uomo di Liverpool che era vissuto in cinque Paesi europei ed era stato un prigioniero di guerra britannico in Germania, ma non aveva mai visto un luogo in Europa dove la gente di colore venisse trattata con un tale ingiustificato disprezzo come in Gran Bretagna, dai gestori di ristoranti agli affittuari di alloggi, dai datori di lavoro, dai colleghi e persino dai passanti¹⁹.

    La questione della segregazione razziale era salita alla ribalta con l’arrivo in Gran Bretagna dei soldati americani. Alla fine del 1942 c’erano circa centosettantamila uomini americani, di cui dodicimila erano neri e rigidamente segregati. Le truppe americane di bianchi si arrabbiavano molto se trovavano soldati neri in luoghi di svago, soprattutto se in compagnia di ragazze bianche. Dietro pressione del commando americano, il segretario di Stato britannico per la Guerra chiese al Gabinetto di applicare una politica che spingesse l’esercito ad adottare la stessa attitudine delle autorità statunitensi nei confronti delle truppe americane di colore. Ma alcuni membri del Gabinetto si opposero fermamente a questo piano. Si stabilì che il personale dovesse rispettare l’atteggiamento americano ma senza adottarlo, poiché non ci sarebbe stata alcuna segregazione in Gran Bretagna²⁰.

    Negli anni della guerra la segregazione razziale tra i soldati britannici era stata meno marcata. L’esercito aveva modificato il regolamento, così da permettere a coloro che non erano di pura discendenza europea di avere incarichi da ufficiale²¹. C’era inoltre la sensazione che tutti stessero combattendo contro un nemico comune, cosa che creava un sentimento cameratesco tra neri e bianchi. Sentimento che però non si trasferì nella vita civile, una volta restaurata la pace²².

    Da tutto l’Impero erano giunti uomini per combattere a fianco degli alleati in Europa ed Estremo Oriente. Tra loro c’erano circa diecimila uomini dello stesso Paese di Seretse, il Protettorato del Bechuanaland, che avevano servito nel Corpo pionieri ausiliari africani²³. Seretse assisté alla parata della vittoria di Londra nel 1946, quando alcuni veterani del Bechuanaland marciarono per le strade della città²⁴. Vennero celebrati con gioia dagli spettatori britannici, ma immediatamente dimenticati. Seretse non capiva come mai gli inglesi, così orgogliosi del proprio Impero, non avessero mai sentito parlare del Bechuanaland e non fossero a conoscenza del contributo che questo Paese aveva dato alla guerra²⁵. Era furioso per il fatto che uomini considerati uguali in guerra e di fronte alla morte non fossero più visti come tali nella vita politica ed economica delle colonie al termine del conflitto. Si trattava di un sentimento presente in tutti i territori britannici dell’Africa e fu un fattore che contribuì allo scoppio delle sommosse che agitarono le città della Costa d’Oro nel febbraio 1948 e della rivolta dei Mau Mau in Kenya nei primi anni Cinquanta²⁶.

    Un veterano del Protettorato che parlò con Seretse alla parata della vittoria notò come questi sembrasse non essere a suo agio con gli inglesi. Mi disse: «Gli inglesi amano mostrarti solo il loro lato migliore ma nascondono povertà e miseria»²⁷. Ciò che non poteva essere nascosto, però, era l’austerità della vita quotidiana e il razionamento di cibo e vestiti; persino il razionamento del pane fu introdotto per la prima volta dal Ministero del cibo nel luglio 1946²⁸. «Continuo a provare una grande nostalgia di casa», scriveva Seretse a suo zio. «Forse questa è una delle ragioni, oltre alla carenza di cibo, per cui sto perdendo peso così rapidamente»²⁹. Alcuni inglesi si mostrarono amichevoli, tra questi, i membri della London Missionary Society, l’organizzazione congregazionalista che dominava la vita religiosa della Bangwato Reserve. Il dottor Roger Pilkington, uno dei dirigenti della lms, in possesso di un dottorato in genetica conseguito al Magdalene College di Cambridge, si interessò particolarmente a Seretse e lo invitò diverse volte a restare con lui e la moglie. Ma Seretse era solo.

    Durante il secondo trimestre al Balliol, Seretse iniziò a sentirsi meglio. Divenne amico di John Zimmerman, un altro studente che, come lui, era considerato un outsider in quanto ebreo³⁰. Seretse fu anche accettato sui campi da gioco. Era un grande sportivo e un ottimo giocatore, caratteristiche che lo avevano contraddistinto durante la sua carriera scolastica e universitaria in Sudafrica e che gli avevano fatto guadagnare soprannomi quali salterello, mitragliatrice, e C to C (da Capo a Cairo)³¹. Queste doti lo rendevano un elemento prezioso a Oxford. «Per qualche ragione», scrisse anni dopo, «mi chiesero se giocavo a rugby in Sudafrica, e io risposi di sì. Fui scelto per gli allenamenti. Poi giocai per la squadra del college e in seguito divenni anche pugile, sempre per il college»³². Fu «un’ala trequarti inarrestabile» per la squadra di rugby, come riferì un appassionato di questo sport che frequentava il Balliol³³. Seretse stava cominciando a entrare a far parte della vita sociale universitaria. «Lo apprezzavamo come persona», dichiarò il rettore del college; «era un membro riconosciuto e lavorava molto bene»³⁴.

    Mentre studiava a Oxford, Seretse si iscrisse all’Inner Temple di Londra, quale parte del suo percorso di studi per accedere alla professione forense³⁵. Era determinato a diventare avvocato; il Bechuanaland non disponeva di un solo professionista legale e pertanto aveva un disperato bisogno di avvocati. Suo zio Tshekedi confidava nell’aiuto di un avvocato bianco di Città del Capo, Douglas Buchanan. Tshekedi stesso aveva studiato legge a Fort Hare prima di essere richiamato nel Bechuanaland nel 1926 per assumere il ruolo di reggente. Ma i piani di Seretse incontrarono un ostacolo inaspettato nella primavera del 1946. Poco prima del termine del suo primo anno a Oxford, gli fu comunicato che non aveva i requisiti per sostenere gli esami di giurisprudenza in quanto non aveva seguito i corsi di latino. Prima di arrivare a Oxford gli era stato assicurato che il corso di diritto romano-olandese frequentato a Wits sarebbe stato equivalente. Ora però scopriva che l’esonero era valido solo se avesse svolto il servizio militare. Fu costretto ad abbandonare gli esami di legge e quindi non poté sostenere nemmeno quelli di economia e politica. A questo punto si dedicò con ancor maggior attaccamento ai suoi studi per diventare procuratore legale. «So bene che Oxford è un’università prestigiosa», ammise con suo zio. Ma sostenne con forza che questo prestigio non lo avrebbe aiutato, «se non posso fare ciò per cui sono venuto qui, ovvero studiare in maniera adeguata»³⁶.

    Seretse trascorse l’estate del 1946 nel Northumberland, lavorando come volontario in una cascina. Questo lenì parte della sua nostalgia di casa: la terra e gli animali erano il fulcro della vita nel Bechuanaland. Seretse era l’erede di parecchie migliaia di capi di bestiame ed era quindi interessato ad apprendere i diversi metodi di allevamento. «Si alza alle cinque e lavora duro», fece notare Pilkington con ammirazione³⁷.

    Dopo l’estate Seretse tornò al Balliol. Ma nella primavera del 1947 iniziò a sentirsi frustrato per via degli ostacoli che gli venivano frapposti dall’università. Decise di abbandonare Oxford e di concentrare invece le proprie energie sugli esami da avvocato all’Inner Temple. I membri dell’università esercitavano su di lui delle pressioni affinché restasse. «Vi sono dei vantaggi sociali e intellettuali nella vita universitaria di Oxford», sosteneva Sir Reginald Coupland, «che non possono essere ottenuti nel caotico ambiente londinese»³⁸. Ma era venuto a Londra a studiare legge, argomentava Seretse, e non semplicemente per provare l’avventura di essere uno studente di Oxford. A questo punto aveva già completato cinque trimestri nella prestigiosa università, quasi due anni³⁹. Era giunto il momento di partire per Londra.

    La nuova casa di Seretse nella capitale era Nutford House, un ostello per studenti provenienti dalle colonie gestito dall’Ufficio coloniale, non lontano da Marble Arch, nel West End⁴⁰. Un grigio edificio basso di mattoni che non aveva nulla dello splendore di Oxford; il suo piccolo giardino era delle dimensioni di un fazzoletto in confronto ai parchi di Balliol. Ma dopo Oxford, Nutford House era un paradiso. Non appena varcò la soglia, incontrò altri giovani africani o provenienti da tutte le colonie dell’Impero. Tra questi c’erano Abubakar Tafawa Balewa, futuro primo ministro della Federazione Nigeriana; Veerasamy Ringadoo, primo presidente di Mauritius; Forbes Burnham, futuro presidente della Guyana, e Milton Cato, primo ministro di Saint Vincent⁴¹.

    Uno dei residenti di Nutford House era il suo vecchio amico Charles Njonjo, un kenyano che era stato con lui a Fort Hare e ora si era iscritto alla Middle Temple. I due giovani alloggiavano in stanze attigue e trascorrevano insieme il tempo libero. Due volte a settimana cucinavano insieme ad altri due giovani provenienti dall’India che insegnarono a Seretse ad apprezzare il curry, che avrebbe amato per il resto della propria vita. Tshekedi non era generoso col denaro che inviava al nipote, ma quando arrivavano i soldi dal Bechuanaland i quattro si recavano senza indugio a un ristorante indiano⁴². Seretse e Charles erano spesso invitati nel nord di Londra a casa di John Zimmerman, l’amico di Seretse dei tempi del Balliol. La madre di John cucinava per loro pasti abbondanti e il suo affetto materno contrastava gli sguardi severi che la gente rivolgeva loro per strada⁴³.

    Un altro caro amico a Nutford House era Harry Nkumbula, proveniente dal nord della Rhodesia (Zambia), un giovane «massiccio e molto forzuto»⁴⁴ che studiava economia alla London School of Economics e che avrebbe in seguito avuto un ruolo importante nella politica del suo Paese⁴⁵. Seretse conobbe anche persone provenienti dalle colonie che non erano studenti, come il dottor Hastings Banda da Nyasaland (Malawi), che esercitava la professione medica a Willesden, Londra, e sarebbe poi diventato il primo presidente del proprio Paese. Nel 1949 Banda e Nkumbula collaborarono alla realizzazione di un importante documento che criticava il progetto del governo Attlee volto a creare una Federazione della Rhodesia meridionale, Rhodesia settentrionale e Nyasaland. Questo progetto fu aspramente osteggiato dalla popolazione africana poiché avrebbe esteso a tutta la regione le ineguaglianze e la segregazione razziale della Rhodesia meridionale⁴⁶.

    L’Inner Temple era un’istituzione elitaria che ricordava un po’ Oxford, ma si trovava nel cuore di Londra, solo a pochi attimi dalla vivace atmosfera metropolitana di Fleet Street. Seretse era piuttosto popolare e spesso si rilassava con gli altri studenti in un pub chiamato The Feathers⁴⁷. Rispetto a Oxford, qui si sentiva meno solo: un quarto degli studenti africani presenti nel Regno Unito studiava legge e molti di essi si trovavano all’Inns of Court di Londra⁴⁸. Negli anni a venire molti avrebbero assunto ruoli di spicco nei rispettivi Paesi, compreso Charles Njonjo, che sarebbe diventato il primo Attorney General del Kenya indipendente. Joe Appiah, studente presso il Middle Temple, era un componente della famiglia dei Re Ashanti della Costa d’Oro (Ghana) e già da tempo un attivista politico. Uomo minuto e con delle lenti spesse, era dotato di un’acuta mente giuridica e di una personalità estroversa⁴⁹ e lui e Seretse divennero rapidamente buoni amici.

    Ad Appiah era stato offerto un posto all’Università di Cambridge, ma lui preferì non andarci perché si sentiva galvanizzato dalla vita politica africana a Londra⁵⁰. Sin dalla lontana metà degli anni Trenta, sottolineò lo scrittore trinidadiano C.L.R. James, vi era sempre stato un folto gruppo di importanti personalità di colore a Londra: Paul Robeson, l’attore e cantante americano; Jomo Kenyatta, l’attivista kenyota che visse sedici anni in Gran Bretagna e sarebbe poi diventato il primo presidente del Kenya indipendente; George Padmore, un trinidadiano che divenne una figura chiave del movimento nazionalista africano; Amy Garvey, un’attivista afroamericana, vedova di Marcus Garvey. «Alcuni di noi», scrisse C.L.R. James, «stavano diventando molto attivi politicamente, ma non su questioni inerenti la razza, bensì sull’indipendenza delle colonie»⁵¹. I diversi studenti dell’Africa occidentale residenti nel Regno Unito a cavallo delle due guerre avevano fondato nel 1925 a Camden Square, nel nord di Londra, la West African Students Union. Nel 1935 Paul Robeson era il patrocinatore della wasu. L’organizzazione offriva servizi e alloggio agli studenti ed era un centro vivace di discussione sul futuro dell’Africa⁵². Nel 1942 la wasu chiese l’immediato autogoverno interno per le colonie britanniche dell’Africa occidentale e la completa indipendenza nel giro di cinque anni⁵³. Joe Appiah era un membro attivo dell’organizzazione, e ne diventò prima vicepresidente e poi presidente, alla fine degli anni ’40⁵⁴.

    La questione dell’autogoverno divenne ancora più impellente dopo la seconda guerra mondiale. «Abbiamo lottato contro il fascismo, il nemico dell’umanità», scrisse un soldato della Costa d’Oro che aveva combattuto a Burma, «affinché tutti, bianchi o neri, civilizzati e non civilizzati, liberi o schiavi, potessero avere il diritto di godere dei privilegi e delle ricompense della natura»⁵⁵. Vi era una fiducia diffusa nella Carta Atlantica firmata da Roosevelt e Churchill nel 1941, che faceva riferimento al diritto di tutti i popoli di scegliere la forma di governo sotto cui vivere. L’indipendenza dell’India e quella del Pakistan nel 1947 sembravano in linea con questi sviluppi. Per la generazione che aveva combattuto la guerra, in Gran Bretagna e nel suo Impero, vi era la speranza che si potesse davvero rendere il mondo un posto migliore.

    Al termine del conflitto la Gran Bretagna aveva legami diretti con quattordici Stati, per una popolazione totale di cinquantasei milioni di persone. Per gli studenti africani residenti a Londra, nel cuore politico dell’Impero, l’idea che fosse giunto il momento di cambiare fu rafforzata dalla vittoria del Partito laburista nel luglio 1945. Personaggi chiave del Fabian Colonial Bureau, che non avevano fatto mistero delle loro simpatie per le aspirazioni dei territori coloniali, ora si trovavano al governo⁵⁶. Ma la wasu e altre organizzazioni di studenti africani rimasero ben presto deluse dal mancato rispetto del governo laburista per le promesse fatte. «Non sono preparato a sacrificare l’Impero britannico», annunciò Aneurin Bevan alla Camera dei Comuni nel febbraio 1946, «perché so che se l’Impero britannico si sgretolasse il tenore di vita dei nostri elettori peggiorerebbe in maniera considerevole»⁵⁷.

    Solo pochi mesi prima dell’arrivo di Seretse nel Regno Unito, Kwame Nkrumah, futuro presidente del Ghana, si era iscritto all’Università di Londra per un dottorato ed era pertanto stato ammesso come studente dal Gray’s Inn. Ormai trentenne, aveva studiato a lungo negli Stati Uniti dove era stato molto coinvolto dalla politica afroamericana. Giunto a Londra, aderì alla wasu e, insieme a Amy Garvey e W.E.B. Du Bois, l’attivista politico afroamericano, si adoperò per organizzare il Quinto congresso panafricano di Manchester nell’ottobre 1945. Questo Congresso approvò delle risoluzioni che chiedevano la fine della segregazione razziale in Gran Bretagna e l’indipendenza delle colonie: «Affermiamo il diritto di tutti i popoli delle colonie a essere padroni del proprio destino. Tutte le colonie devono essere libere dal controllo imperialista straniero, sia esso politico o economico»⁵⁸.

    A una riunione del Congresso tenuta dal sindaco di Manchester, la sala era decorata con bandiere di Haiti, Liberia ed Etiopia e con una cartina dell’Africa⁵⁹. Tra i delegati presenti al Congresso vi erano Hastins Banda e Jomo Kenyatta. «Ciò che è necessario fare», asserì Kenyatta al termine del suo discorso,

    è ottenere l’indipendenza politica. Se ci riusciamo saremo in grado di ottenere il resto. Crediamo che la discriminazione razziale debba finire, così che la gente possa poi godere del diritto di cittadinanza, che rappresenta il desiderio di ogni abitante dell’Africa orientale. L’autogoverno dovrà essere il nostro obiettivo.⁶⁰

    Anni dopo, Nkrumah dichiarò che il Congresso panafricano aveva rappresentato un momento di svolta del panafricanismo, segnando il passaggio da una fase passiva a una attiva e «aveva portato al risveglio di una coscienza politica africana. Divenne, di fatto, un movimento dell’Africa per gli africani»⁶¹.

    Sebbene durante il Congresso panafricano Seretse Khama si trovasse a Oxford, è probabile che ne ne conoscesse l’esistenza e, senza dubbio, l’importanza. Ma anche se il Congresso di Manchester del 1945 gli era sfuggito, gli obiettivi e le idee che lo caratterizzarono lo avrebbero coinvolto una volta trasferitosi a Londra, grazie all’amicizia con gli studenti presenti a Nutford House e Inns of Court e a uomini come il dottor Banda. «Ormai», scrisse Nkrumah nella sua autobiografia, «la coscienza politica degli studenti africani si era sollevata, soprattutto a Londra, e ogni volta che si incontravano non parlavano d’altro che di politica nazionalista e movimenti di liberazione coloniale»⁶². Seretse apparteneva a una generazione unica di giovani africani destinati a guidare i propri Paesi verso la libertà dall’imperialismo e dal pregiudizio di razza. Alcuni di questi futuri leader erano stati suoi compagni di studio e amici a Fort Hare e Wits, altri divennero i suoi nuovi amici a Londra.

    ¹ Margaret Bourke-White a Bill, s.d.,

    sul (us), mb-w

    , scatola 25.

    ² Discorso di Sir Seretse Khama al ricevimento di Stato, Blantyre, primo anniversario della Repubblica del Malawi, 5 luglio 1967,

    becm

    .

    ³ Sampson, Mandela, pp. 21-5; Mandela, Long Walk to Freedom, p. 44.

    ⁴ Parsons, Henderson e Tlou, Seretse Khama, p. 59.

    ⁵ Mandela a MaSire, s.d. (luglio 1980),

    anc

    , Oliver Tambo Papers.

    ⁶ Nkomo, The Story of My Life, p. 35.

    ⁷ Parsons, Henderson e Tlou, Seretse Khama, p. 59.

    ⁸ Sampson, Mandela, pp. 34-5.

    ⁹ Mandela, Long Walk to Freedom, pp. 105-6.

    ¹⁰ Informazioni fornite da Anna Sander, curatrice archivi e manoscritti di Lonsdale, Balliol College, Oxford.

    ¹¹ Coupland a Buchanan, 25 ottobre 1945,

    bnars

    , S 169/15/1.

    ¹² Keith, African Students in Great Britain, pp. 65-6; Kirk-Greene, Doubly Elite, in Killingray (ed.), Africans in Britain, pp. 221-2.

    ¹³ Discorso di Sir Seretse Khama al ricevimento di Stato, Blantyre, primo anniversario della Repubblica del Malawi, 5 luglio 1967,

    becm

    .

    ¹⁴ Commento di Lancelot Gama, citato in Callinicos, Oliver Tambo, pp. 108-9.

    ¹⁵ Muriel Sanderson all’autrice, 28 luglio 2003.

    ¹⁶ Abrams, The Population of Great Britain, p. 21; Flint, Scandal at the Bristol Hotel, p. 75; Banton, The Coloured Quarter, pp. 66-8. Banton asserisce l’impossibilità di conoscere sia il numero totale delle persone di colore presenti all’epoca in Gran Bretagna, sia come fossero distribuite nel Paese; la cifra qui fornita è pertanto una stima basata su calcoli effettuati da Flint e da Banton.

    ¹⁷ Pianificazione politica ed economica, Colonial Students in Britain, pp. 85-6.

    ¹⁸ Constantine, Colour Bar, pp. 25-6.

    ¹⁹ «Picture Post», 2 luglio 1949.

    ²⁰ Flint, Scandal at the Bristol Hotel, pp. 77-8.

    ²¹ Ibid., p. 76.

    ²² Caryl Phillips, To Ricky with love, «Guardian Review», 23 luglio 2005.

    ²³ Morton e Ramsay, Birth of Botswana, pp. 102-9; Robins, White Queen in Africa, p. 21.

    ²⁴ Bent, Ten Thousand Men of Africa, p. 99.

    ²⁵ Muriel Sanderson all’autrice, 28 luglio 2003.

    ²⁶ Adi, West Africans in Britain, pp. 137-8; Anderson, Histories of the Hanged, pp. 36-7.

    ²⁷ Gabolebye Dinti Marobele a Head, in Head, Serowe, pp. 97-8.

    ²⁸ Zweiniger-Bargielowska, Austerity in Britain, pp. 214-15.

    ²⁹ Seretse a Tshekedi, 5 dicembre 1945,

    bnars

    , S 169/15/1.

    ³⁰ Parsons, Henderson e Tlou, Seretse Khama, p.65.

    ³¹ Ibid., p. 47.

    ³² Discorso di Sir Seretse Khama al ricevimento di Stato, Blantyre, primo anniversario della Repubblica del Malawi, 5 luglio 1967,

    becm

    .

    ³³ J.E.C. Hill a Seretse Khama, 27 febbraio 1976,

    bca

    , dossier Khama S. (1945).

    ³⁴ Lord Lindsay of Birker a A. Sillery, 3 maggio 1948,

    bca

    , dossier Khama S. (1945).

    ³⁵ Registro delle iscrizioni per Seretse Khama, 1945-6, Inner Temple Archives.

    ³⁶ Seretse a Tshekedi, 14 giugno 1946,

    bnars

    , S 169/15/1.

    ³⁷ Pilkington a Chirgwin, 15 luglio 1946,

    soas, cwm/lms

    , AF/37.

    ³⁸ Coupland a Buchanan, 25 luglio 1946,

    bnars

    , S 169/15/1.

    ³⁹ A.D. Lindsay, Master, Handshaking Notes on Seretse Khama, Hilary Term, 1947,

    bca

    , Studies & Discipline 8.

    ⁴⁰ Charles Njonjo all’autrice, 12 marzo 2004.

    ⁴¹ Gladstone Mills, Prefazione a Braithwaite, Colonial West Indian Students in Britain, p. viii.

    ⁴² Charles Njonjo all’autrice, 12 marzo 2004.

    ⁴³ Ibid., 6 gennaio 2005.

    ⁴⁴ Stonehouse, Prohibited Immigrant, p. 14.

    ⁴⁵ Discorso di Sir Seretse Khama al ricevimento di Stato, Blantyre, primo anniversario della Repubblica del Malawi, 5 luglio 1967,

    becm

    .

    ⁴⁶ Oxford Dictionary of National Biography: Harry Nkumbula.

    ⁴⁷ Gerard Noel all’autrice, 11 luglio 2005.

    ⁴⁸ Keith, African Students in Great Britain, pp. 65-6.

    ⁴⁹ «The Times», 14 luglio 1990.

    ⁵⁰ Appiah, Joe Appiah: The Authobiography of an African Patriot, p. 150.

    ⁵¹ C.L.R. James, Africans and Afro-Cribbeans: A Personal View (1984), in Procter (ed.), Writing Black Britain, pp. 61-2.

    ⁵² Keith, African Students in Great Britain, p. 70.

    ⁵³ Murray-Brown, Kenyatta, p. 218.

    ⁵⁴ Olusanya, The West African Students’ Union, p. 107.

    ⁵⁵ Citato in Adi, West Africans in Britain, p. 120.

    ⁵⁶ Nwauwa, Imperialism, Academe and Nationalism, p. 171.

    ⁵⁷ Hansard, 21 febbraio 1946.

    ⁵⁸ Padmore, History of the Pan-African Congress, 2° ed., p.i.

    ⁵⁹ Padmore, Colonial… and Coloured Unity, p. 29.

    ⁶⁰ Citato in Murray-Brown, Kenyatta, p. 220.

    ⁶¹ Citato in Adi, West Africans in Britain, p. 128.

    ⁶² The Autobiogaphy of Kwame Nkrumah, p. 47.

    2

    Coppia perfetta

    Una sera del giugno 1947, dopo una festa danzante alla Nutford House di Londra, Seretse si precipitò a cercare Charles Njonjo. Con grande trepidazione annunciò all’amico che si era innamorato: «Ho incontrato una ragazza e credo tu debba conoscerla!». Poi aggiunse: «Mi piacerebbe che diventasse mia moglie». Charles era sconcertato. Come ebbe a ricordare in seguito, Seretse non era tipo da dichiarazioni a effetto: si trattava chiaramente di qualcosa di serio⁶³.

    La giovane donna che Seretse aveva conosciuto si chiamava Ruth Williams. Era ospite di un evento organizzato per gli studenti; un ricevimento della direzione, seguito da una cena formale e da un ballo. Vi era stata condotta dalla sorella maggiore, Muriel, una congregazionalista associata alla London Missionary Society che aiutava a organizzare attività sociali per gli studenti africani. Muriel non vedeva l’ora di far incontrare Ruth e Seretse perché era convinta che avessero molto in comune: avevano entrambi un gran senso dell’umorismo e adoravano ascoltare il jazz⁶⁴. Ruth, però, non notò niente di particolare in Seretse. «Vidi un ragazzo africano alto e robusto, sorridente e con dei denti bellissimi, spalle larghe e molto educato», avrebbe detto in seguito. «Devo ammettere che in questo primo incontro mi sembrò simile a gran parte degli studenti africani che mia sorella mi presentò quella sera»⁶⁵.

    Ma Seretse fu immediatamente attratto da Ruth⁶⁶. La ventitreenne Ruth Williams non era particolarmente bella, ma attraente ed elegante; quando camminava per la strada si voltavano a guardarla. Magra e in forma, aveva una corporatura sottile, quasi ossuta. I suoi capelli biondo rame mettevano in risalto la carnagione chiara, pallida e lentigginosa. I suoi occhi erano particolari: sebbene apparissero a prima vista tutti e due verdi, uno era per metà castano. Cresciuta a Londra, lavorava come impiegata di fiducia nella City, nel dipartimento attività estere di un’importante sede della Lloyd’s assicurazioni. Sebbene provenisse da una comune famiglia della classe media, apparteneva a una nuova generazione di giovani donne capaci, che avevano svolto un servizio attivo durante la guerra e possedevano idee fresche e moderne.

    Qualche giorno dopo Ruth tornò a Nutford House insieme a Muriel. Seretse aveva desiderato rivederla e fu felice quando lei si fermò a chiacchierare con lui. Da quel momento Ruth cominciò a farsi vedere regolarmente. A Nutford vi erano delle regole molto severe riguardo alle visitatrici cui era consentito entrare solo in poche stanze pubbliche, con grande disappunto di alcuni studenti⁶⁷. Ma Seretse e Ruth erano felicissimi di starsene seduti insieme nella sala comune o in giardino, intenti a conoscersi meglio. Passarono almeno tre mesi, ricordò in seguito Seretse, «prima che osassi chiedere a Ruth un appuntamento, ma a quel punto non sapevo neanche come avrebbe reagito alla mia proposta». Aveva comprato due biglietti per un concerto nel West End di Londra, quello degli Ink Spots, un gruppo blues-jazz di neri americani⁶⁸. Ma si sentiva molto nervoso a chiederle di uscire. Un giorno dell’agosto 1947, raccontò Ruth,

    Seretse mi telefonò in ufficio. «Mi farebbe un grande onore questa sera?», domandò.

    «Certo, se posso», risposi allegra – ormai lui aveva cominciato davvero a piacermi –, «e quale sarebbe questo grande onore, signore?».

    Seretse disse prontamente: «Ho due biglietti per gli Ink Spots… Ne… ne posso prendere tre se desidera che sua sorella venga con noi».

    «Sono felice di venire… senza mia sorella», replicai.

    Così andammo a sentire gli Ink Spots. Fu la nostra prima uscita insieme⁶⁹.

    Dopo questo primo appuntamento Seretse e Ruth iniziarono a passare sempre più tempo insieme. Lui le raccontò della vita in Bechuanaland e lei gli parlò degli anni della guerra. La loro amicizia sbocciò gradualmente finché non divennero una coppia fissa. Ruth guardava Seretse giocare a calcio ma si rifiutava di assistere ai suoi incontri di pugilato, che considerava brutali; lui la accompagnava a pattinare sul ghiaccio, sebbene gli riuscisse difficile apprezzare il pattinaggio. Presto ebbero il loro ritrovo preferito per il caffè e quando Seretse superava un esame chiamava immediatamente Ruth per dirglielo⁷⁰. Lui era molto impegnato a studiare per diventare avvocato e lei era orgogliosa dei suoi successi; alla fine del 1947 aveva superato diritto civile, diritto contrattuale, diritto romano-olandese e diritto romano, prevedendo di superare l’anno seguente gli esami finali di diritto costituzionale e diritto penale⁷¹.

    Ma il crescente piacere reciproco per questa relazione era offuscato da un certo timore poiché Ruth non aveva confessato ai suoi genitori che stava frequentando un ragazzo africano. Sapeva che suo padre non vedeva di buon occhio le relazioni tra bianchi e neri; quando Muriel aveva iniziato a lavorare con gli studenti africani, le aveva detto di non aver nulla da obiettare purché non avesse portato a casa uno di loro⁷². Quando alla fine Ruth si decise a dire ai suoi genitori di Seretse, fu un disastro: suo padre le ordinò di smettere di vederlo altrimenti l’avrebbe cacciata di casa⁷³. L’atmosfera si fece tesa e sua madre, «sempre allegra, vivace e amorevole, diventava cupa ogni volta che sapeva che stavo per uscire con Seretse, sebbene non fosse così ostile come mio padre»⁷⁴.

    Ormai Seretse non aveva più alcun dubbio sul fatto che Ruth fosse la donna con cui voleva passare il resto della sua vita. Decise che doveva dirle quello che provava, ossia che l’amava e voleva che diventasse sua moglie⁷⁵. Una sera, mentre erano seduti nella sala comune a Nutford House, lui si voltò verso di lei e le chiese: «Ruth, pensi di potermi amare?», ma lei non rispose. «Non ce ne fu bisogno», disse Seretse in seguito. «La luce nei suoi occhi azzurro cielo e il sorriso sul suo volto dicevano tutto ciò che volevo sapere». Le chiese di sposarlo e lei disse di sì. Uscirono a festeggiare in un piccolo ristorantino di Soho e poi lui le diede il primo bacio. «Alla fine ci eravamo dichiarati, dopo quasi un anno di incontri e uscite in segreto»⁷⁶.

    Ma le coppie miste, come ben presto scoprirono, dovevano affrontare ostacoli enormi. Uno di questi era la ricerca di un appartamento in cui vivere una volta sposati. In una Londra distrutta dalla guerra, era difficile per qualsiasi coppia trovare un alloggio in affitto. Ma se un componente della coppia era nero, risultava quasi impossibile:

    Eravamo tormentati da padroni di casa che, pur avendo appartamenti disponibili, ci sbattevano la porta in faccia quando chiedevamo di vederli. Al mattino buttavamo giù una lista di case libere trovate negli annunci, saltavamo su un taxi e iniziavamo il giro. Tutte le volte ci dicevano che il posto era appena stato affittato.

    Ma se per caso telefonavano al proprietario immediatamente dopo, fingendo di essere qualcun altro, si sentivano dire che l’appartamento era ancora disponibile⁷⁷. Erano stati rifiutati solo a causa del colore della pelle di Seretse. Alla fine riuscirono a trovare un minuscolo appartamento a Notting Hill Gate: una stanza con un cucinino al numero 10 di Campden Hill Gardens, all’ultimo piano di un edificio vittoriano alto e grigio. Seretse vi si trasferì immediatamente.

    A pochi passi di distanza si trovava la chiesa anglicana di St George, a Campden Hill. Seretse andò a incontrare il vecchio vicario, il reverendo Leonard Patterson. Gli chiese se poteva sposarli e il giorno del matrimonio fu fissato per sabato 2 ottobre. Ma quando Ruth comunicò ai genitori la notizia ne rimasero sconvolti e suo padre disse che non voleva avere più niente a che fare con lei⁷⁸. Sua madre, affranta, la implorò di ripensarci, ma Ruth non aveva intenzione di rinunciare a Seretse. Ora, però, sarebbe dovuta restare alla larga da suo padre. Quando finiva di lavorare,

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