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I Kennedy. La dinastia che ha segnato un secolo
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I Kennedy. La dinastia che ha segnato un secolo
E-book731 pagine5 ore

I Kennedy. La dinastia che ha segnato un secolo

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Info su questo ebook

John-John è stato l’ultima vittima – in ordine di tempo – di una lunga serie di tragedie dovute a cause accidentali oppure a omicidi attribuiti a personaggi isolati e senza complici. In tutto il mondo è fiorita una vasta pubblicistica secondo la quale sulla famiglia Kennedy grava, come nelle tragedie greche, una terribile maledizione. L’invidia degli dèi colpirebbe, uno dopo l’altro, i prolifici figli di questo grande clan, di ceppo irlandese cattolico, che dispone di ricchezza, prestigio e carisma, tali da farlo considerare quasi una dinastia reale all’interno degli Stati Uniti. La simpatia e il consenso del pubblico americano e il continuo interesse dei media a livello mondiale dovrebbero naturalmente aprire ai Kennedy l’accesso ai vertici del potere. Ma sembra che alcune forze oscure e potenti temano questa eventualità. Viene ucciso il Presidente John Fitzgerald Kennedy. Viene ucciso Robert Kennedy. Il senatore Ted (scomparso nell’agosto 2009) subisce attentati e incidenti. Nel luglio 1999 John-John muore, vittima di un banale incidente aereo che, tuttavia, come ha voluto sottolineare Arthur Schlesinger, conserva alcuni aspetti inspiegabili e misteriosi. Non vi sono dubbi infatti che tra i suoi futuri obiettivi vi fosse la corsa per la presidenza degli Stati Uniti. L’autore di questo libro si è già occupato a lungo della storia dei Kennedy, con inchieste scritte e filmate, mostrando, con indagini e documenti, gli aspetti meno noti della grande dinastia, i suoi amici e i suoi nemici, il suo influsso sulla politica americana contemporanea.


Gianni Bisiach
(1927-2022) è stato medico, giornalista, regista, premio mondiale della televisione con l’inchiesta sulla mafia Rapporto da Corleone, dalla quale è nata la Commissione Parlamentare Antimafia. Ha realizzato l’inchiesta televisiva La pena di morte nel mondo, con la collaborazione di Robert Kennedy. Ha ottenuto, a pari merito con Federico Fellini e Luchino Visconti, il Premio Internazionale Spoleto Cinema con il film I due Kennedy, nel quale ha denunciato la collusione tra CIA e mafia e ha indicato i nomi dei responsabili dell’assassinio di Dallas, confermati dieci anni dopo dalla Commissione Stokes della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti. Ha realizzato le serie televisive Testimoni oculari, Grandi Battaglie, XX Secolo, La seconda guerra mondiale, Come eravamo: moviola della storia; le rubriche Radio anch’io, Radio anch’io TV e Un minuto di storia. Ha pubblicato diversi libri tra cui Pertini racconta (Premio Saint Vincent) e, per la Newton Compton, I Kennedy. La dinastia che ha segnato un secolo. Il Presidente, edito per la prima volta nel 1990 e adesso pubblicato in edizione riveduta e aggiornata. Ha vinto il Premio Tevere e il Premio Parlamento.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854150515
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    Anteprima del libro

    I Kennedy. La dinastia che ha segnato un secolo - Gianni Bisiach

    9

    Prima edizione ebook: novembre 2012

    © 2012 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-5051-5

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di geco srl

    Gianni Bisiach

    I Kennedy

    La dinastia che ha segnato un secolo

    Introduzione

    Nel mondo di oggi quando si dice «politica» si intende spesso qualcosa di malsano, cioè un’attività dove la prevaricazione e il malaffare costituiscono praticamente la regola.

    Per fortuna questa opinione un po’ manichea viene contraddetta in molte stagioni da esempi luminosi che mantengono viva in noi la fiamma della fiducia.

    Basta ricordare, per esempio, la breve epopea di Kennedy, in America, e la contemporanea presenza di papa Roncalli in Vaticano e di Krusciov a Mosca, che ha permesso di avviare l’uscita dalla guerra fredda e l’apertura di nuovi orizzonti al disarmo e alla pace internazionale.

    Anche John Fitzgerald Kennedy Jr., detto John-John, morto tragicamente in un incidente aereo, aveva ben chiari gli ideali di una politica intesa come un’attività nobile e come impegno morale al servizio dei cittadini del proprio paese e dell’intera comunità internazionale.

    Questi ideali risalgono ai giorni in cui i suoi poverissimi antenati arrivarono a Boston, nel lontano 1848, per sfuggire alla fame e alla carestia che attanagliava l’Irlanda e l’intera Europa.

    Quando il trisnonno Patrick Kennedy sbarca a Boston, deve fare il facchino nel porto e sposa una ragazza irlandese, Bridget Murphy. Patrick morirà di stenti a soli 35 anni.

    L’ultimo dei suoi figli, Patrick Joseph, detto P.J., si impegna nella difesa dei diritti degli emigranti irlandesi che lo eleggono prima deputato e poi senatore dello Stato del Massachusetts.

    Suo figlio Joe, padre del Presidente e nonno di John-John, completa l’emancipazione dalla miseria del porto di Boston e si laurea a Harvard diventando un abile uomo d’affari che affiancherà il presidente Roosevelt finanziandone le campagne elettorali.

    Sua moglie Rose avrà una grande influenza sull’educazione dei figli. Rose Fitzgerald è figlia del potentissimo sindaco di Boston e conosce bene le sofferenze nei quartieri poveri della città. Fervente cattolica, Rose ricorda ai figli che, avendo avuto il privilegio di nascere da una famiglia ricca, essi devono restituire alla comunità, e soprattutto ai più poveri e indifesi, il loro impegno morale e civile. Questi insegnamenti influenzano profondamente tutti i suoi figli. Dal primogenito Joe, pilota volontario nella seconda guerra mondiale, che, in una pericolosa missione, esplode in volo con il suo aereo sopra la Germania; a John, il futuro presidente, che parte volontario per il Pacifico e viene affondato dai giapponesi, riuscendo a salvare a nuoto alcuni marinai.

    Alla fine della seconda guerra mondiale John e Bob Kennedy, e successivamente anche il fratello Ted, entrano in politica.

    Dopo una parentesi oscura in cui essi collaborano con il senatore McCarthy, il «cacciatore di streghe», che è un amico del padre, John e Robert Kennedy si dedicheranno ad iniziative tanto nobili quanto rischiose, come la lotta senza quartiere contro la mafia nei sindacati americani, che inizia nel 1957, con la Commissione del Senato presieduta da John McClellan.

    E continuerà fino all’uccisione del presidente Kennedy a Dallas, nel 1963, e di Robert Kennedy a Los Angeles, durante la sua campagna presidenziale, nel 1968.

    La politica dei fratelli Kennedy, oltre che contro la criminalità organizzata, si sviluppa all’interno degli Stati Uniti in difesa dell’eguaglianza dei diritti dei neri (che provocherà dure reazioni contro Kennedy negli Stati del Sud) e contro gli interessi degli industriali del petrolio e dell’acciaio. All’estero, la politica dei Kennedy si muove in direzione della pace con l’Unione Sovietica, specialmente dopo la crisi dei missili di Cuba, che ha portato il mondo a un passo dalla terza guerra mondiale.

    Sull’uccisione del presidente Kennedy a Dallas esistono testimonianze e documenti ufficiali relativi al coinvolgimento di alcuni settori della CIA e dell’FBI, di cubani anticastristi e dei petrolieri, delle strutture criminali di Cosa Nostra, contro le quali si è accanito Robert Kennedy con l’inchiesta del Senato, soprattutto nel settembre 1963.

    Dopo l’uccisione di Robert Kennedy nel 1968, anche se i futuri presidenti realizzeranno tutte le politiche avviate da John Fitzgerald Kennedy, dall’eguaglianza ai neri, allo sbarco dell’uomo sulla Luna, alla pace con l’Unione Sovietica e con la Cina, graveranno sulla famiglia Kennedy gravi pressioni e minacce che impediranno a Ted Kennedy e ad altri membri della famiglia di puntare alla Casa Bianca.

    Anche i documenti del kgb, consegnati da Eltsin a Clinton nel giugno di quest’anno, credo possano fornire un interessante contributo all’analisi dei fatti, e in particolare delle tragedie che hanno riguardato la famiglia Kennedy dagli anni ’60 ad oggi.

    Nel mio film I due Kennedy (1969) e nel libro Il Presidente (1991) ho documentato molto prima di Oliver Stone, i rapporti della CIA con la mafia e ne ho avuto autorevole conferma dai vertici della CIA e di Cosa Nostra.

    Il direttore della CIA all’epoca dell’affare Watergate, William Colby, è venuto a Roma per presentare il mio libro. Con lui ho avuto questo scambio di battute in diretta sul tg2, la sera del 18 marzo 1991:

    BISIACH: Qui ci sono vari documenti, che dopo il 1974 sono diventati di libera pubblicazione, della CIA e dell’FBI. Il signor Colby è stato agente della CIA a Roma negli anni ’50. E dopo Roma, è andato nel Vietnam e nel Vietnam Kennedy ha sbagliato, cioè ha cominciato lui la guerra nel Vietnam inviando molti gruppi di «consiglieri» ed i consigli sono venuti probabilmente dalla CIA e dai militari. Anche qui Colby che era nel Vietnam forse ci può dire qualcosa.

    COLBY: Il presidente Kennedy, su cui Bisiach ha scritto questo bel libro, effettivamente ha compiuto un grosso errore nel Vietnam, non ha scelto una strategia in maniera netta, ha lasciato che i militari dominassero il campo delle scelte strategiche, ritenendo al tempo stesso che una guerra popolare dovesse essere combattuta a livello di popolo e non a livello di truppe, però oscillava. Alcuni dei suoi consiglieri non erano contenti del regime autocratico del presidente Diem, altri sostenevano che sarebbe stato opportuno sostituirlo e alla fine il Presidente ha seguito quest’ultima strada, sostituire il presidente Diem. Questo è stato il più grosso errore compiuto in Vietnam. Perché se non si fosse seguita quella linea il presidente Diem avrebbe o vinto la guerra popolare o avrebbe fallito. Quindi la guerra si sarebbe conclusa nel ’65 invece che nel ’75 .

    BISIACH: L’altro punto è Dallas e la morte del Presidente. Ecco, a Dallas noi che cosa abbiamo? La CIA fu coinvolta in tre modi: primo ci sono i gangster Sam Giancana e John Roselli che quando vengono chiamati a testimoniare alla Commissione Church nel 1975 contro la CIA vengono uccisi tutti e due. Tutti e due erano stati utilizzati per operazioni della CIA contro Castro e tutti e due erano coinvolti contro Kennedy. È quello che John Roselli nella prima udienza in Senato (prima della seconda udienza è stato ucciso) ha detto che l’operazione contro Castro era stata «rovesciata» contro Kennedy a Dallas. Due altri motivi potevano esserci secondo alcuni: uno che Allen Dulles Direttore della CIA, cacciato via da Kennedy avrebbe voluto vendicarsi; il secondo è che Oswald, l’assassino presunto, di Kennedy, era stato in Russia ed era considerato un filo-russo, un comunista, ma era controllato dalla CIA come dimostrano i documenti. L’uomo che ha ucciso Oswald, Jack Ruby, era collegato anche lui con il trasporto in aereo di armi a Cuba. Io vorrei chiedere al signor Colby se la CIA era collegata con Dallas, con l’assassinio di Kennedy.

    COLBY: Io ho analizzato con grande attenzione questa questione, cioè degli eventuali legami della CIA con la morte del nostro Presidente. La risposta che posso darle è no, non abbiamo avuto nessun collegamento diretto. Con tutto rispetto dell’ottimo libro di Bisiach, questo è un tema che è ancora aperto in America, un tema che affascina l’America, sul come e perché è stato ucciso il presidente Kennedy. E vi sono molte teorie su diversi scenari di cospirazione. Tutte queste teorie hanno una certa sembianza di verità. Ma io so che la CIA non ha avuto nessun legame. Però Bisiach ha ragione nel dire che noi avevamo dei rapporti con la mafia. Questo è stato un nostro terribile errore. Effettivamente è vero, Bisiach ha ragione di affermarlo.

    BISIACH: Questo è un riconoscimento straordinario del quale io ringrazio l’ex Direttore della CIA. Vorrei ringraziare il signor Colby per il riconoscimento che ha dato alla mia teoria della collaborazione della CIA con la mafia. Io l’ho sostenuto per primo fin dal 1963 in discreta solitudine. Da lui ho avuto adesso un autorevole riconoscimento. Riconoscimento che precedentemente avevo avuto anche dal Congresso degli Stati Uniti, dalla Commissione Stokes, nel 1979.

    William Colby accettò, due anni dopo, il mio invito di tornare in Italia per partecipare a un mio servizio di TV7, in cui raccontò come pagava le organizzazioni anticomuniste italiane negli anni ’50, e a un servizio speciale del TG1 sulle connessioni fra servizi segreti e terrorismo.

    Nel luglio 1995 accettò di tornare a Roma per una grande inchiesta sullo spionaggio mondiale che io avevo proposto e che poi il TG1 decise di non realizzare.

    Il 29 aprile 1996 Colby morì rovesciandosi con la sua barca a vela sul fiume Potomac, a Washington, davanti a casa sua. Si parlò di un incidente, ma la moglie di Colby, Sally, è convinta che lo abbiano ucciso.

    Il boss di Chicago, l’erede di Al Capone, Sam Giancana, che, nel 1969, io ho accusato di complicità con la CIA nel progetto di uccidere Fidel Castro e anche nell’assassinio di Kennedy a Dallas, venne ucciso con otto colpi di pistola alla testa, nella cucina della sua casa di Chicago quando la Commissione Church lo convocò per testimoniare davanti al Senato di Washington, il 19 giugno 1975, in occasione dello scandalo Watergate. Così Sam Giancana fu messo a tacere per sempre.

    Il nipote del boss, Sam Giancana Jr., è venuto a Roma per partecipare a una mia inchiesta per Speciale TG1 e ha confermato quanto il suo omonimo zio gli aveva detto, dopo la visione del mio film, e cioè di aver avuto rapporti con la CIA e la Casa Bianca per uccidere Fidel Castro. Di aver frequentato Marilyn Monroe e Judith Campbell Exner, nello stesso periodo in cui la frequentavano il presidente Kennedy e Frank Sinatra, e di aver agito di concerto con la famiglia di Cosa Nostra di New Orleans, capeggiata da Calogero Minacori (alias Carlos Marcello) per uccidere Kennedy a Dallas e, successivamente, per assassinare Lee Harvey Oswald, il presunto assassino di Kennedy. Oswald venne ucciso da Jack Ruby, proprietario di una catena di night-club a Dallas, che proveniva da Chicago ed era un uomo di Giancana, come ha confermato Sam Giancana Jr. nella mia trasmissione.

    Il giovane Giancana voleva anche aiutarmi a far uscire in America una traduzione del mio libro. Ma dopo alcuni mesi è scomparso e di lui non si sono avute più notizie.

    La stessa Judith Campbell ha testimoniato, in una mia inchiesta di TV7, di essere stata contemporaneamente amica dei boss Sam Giancana e Johnny Roselli e del presidente Kennedy e di essere stata una specie di postina fra i due, portando messaggi da e per la Casa Bianca, riguardanti progetti per uccidere Fidel Castro.

    Attraverso le indagini per il film I due Kennedy sono stato il primo a scoprire la posizione centrale, nella congiura di Dallas per uccidere Kennedy, che ha avuto Calogero Minacori, alias Carlos Marcello, fino ad allora praticamente ignorato da tutti. Me lo ha confermato il biografo di Minacori, John H. Davis, che tra l’altro è un cugino di Jacqueline Kennedy, con la lettera che pubblichiamo in originale a pagina 57 delle foto di questo libro.

    Il più importante collaboratore di Kennedy alla Casa Bianca, Arthur M. Schlesinger Jr., fu – insieme all’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti – il presentatore del mio libro Il Presidente in un affollatissimo pomeriggio del 1991 al Grand Hotel di Roma.

    Schlesinger, che è stato anche il biografo ufficiale di Kennedy con il libro I mille giorni di JFK, confermò autorevolmente quanto era uscito dalle mie inchieste fin dai tempi del mio film I due Kennedy.

    In quell’occasione Schlesinger ha affermato testualmente: «Sono molto lieto di partecipare alla diffusione del libro di Gianni Bisiach per il contributo che questo dà alla storia».

    Schlesinger ha così continuato: «Per quanto riguarda i tentativi di assassinare Castro, la questione chiaramente si è posta. Ma questi tentativi sono avvenuti molto tempo prima che Kennedy divenisse presidente. Il gangster Johnny Roselli ed altri erano stati già assunti dalla CIA nel 1960 e fatti alloggiare in alberghi a Miami tre mesi prima che Kennedy vincesse le elezioni, prima che iniziasse il suo mandato presidenziale. Quindi questo appartiene ancora alla amministrazione di Eisenhower. Per quanto riguarda l’iniziativa della CIA di uccidere Castro, queste azioni sono avvenute sotto la presidenza di Eisenhower e sono continuate sotto la presidenza Kennedy ed anche attraverso la presidenza Johnson. Nonostante l’accuratezza con la quale sono state condotte le indagini della Commissione Church, è stato impossibile veramente definire con certezza se i tre presidenti avessero autorizzato queste azioni o se addirittura sapessero che la CIA aveva queste mire.

    Ogni Paese che ha a che fare con un servizio di intelligence sa benissimo che questi organismi tendono anche ad avere idee proprie che portano avanti, che attuano senza informarne le autorità preposte ai controlli. Questo è avvenuto ed avviene in Gran Bretagna, in Francia, in Israele, in Unione Sovietica, e (chi lo sa) potrebbe anche accadere in Italia».

    In altre parole Schlesinger, che nella seconda guerra mondiale è stato ufficiale dello spionaggio americano (che allora si chiamava o.s.s.) coinvolge con Kennedy anche gli altri due presidenti Eisenhower e Johnson.

    Naturalmente indagando su due organizzazioni pericolose e potenti a livello mondiale, anche se così diverse fra loro, come la CIA e Cosa Nostra, io non ho ricevuto solo sorrisi e mazzi di fiori. Ma se anche ho dovuto pagare un prezzo a livello professionale, ho avuto però l’opportunità di conoscere molte connessioni e zone oscure della grande politica. Dopo l’uccisione del Presidente, incontrai varie volte il fratello Robert Kennedy e mi colpì la sua riluttanza, anzi il suo rifiuto totale a parlare di ciò che era accaduto a Dallas.

    Mi sembrò di capire che aveva paura di essere anche lui minacciato. Tanto più che in altri campi è stato sempre con me molto aperto e generoso. Fin dal 1964 Robert Kennedy, prima come ministro della Giustizia e poi come senatore dello Stato di New York, mi aiutò a realizzare le mie inchieste televisive in America (in particolare quella sulla pena di morte, che consentì, addirittura, di salvare la vita al condannato Dovie Carl Mathis, alla vigilia dell’esecuzione nella camera a gas di San Quintino). Robert Kennedy, prima che lo uccidessero a Los Angeles, mi aiutò anche a far emigrare negli Stati Uniti, insieme alla sua famiglia, il giovane autista haitiano Roche Maignan che era stato perseguitato per anni dal dittatore François Duvalier, e che aveva collaborato alla mia inchiesta di TV7 sul regime sanguinario di Haiti. In questa operazione si prodigò il giornalista Premio Pulitzer Ed Guthman, braccio destro di Bob. E proprio lui, Robert Kennedy, fu il più vicino e fidato collaboratore di suo fratello Jack, il Presidente, e fu abbattuto a colpi di pistola quando si profilava, anche per lui, la conquista della Casa Bianca, che gli avrebbe consentito di accedere agli archivi segreti e di conoscere molte verità nascoste.

    La politica è l’arte del possibile: i cambi di cavallo, l’ipocrisia e la menzogna sono spesso inevitabili regole del gioco.

    Tutti i Kennedy, da John e Bob a Ted e i nipoti, hanno vissuto la loro vita fra enormi contraddizioni, e per lealtà verso la mia coscienza e verso i miei lettori io non voglio nascondere né attenuare nulla di ciò che di negativo essi hanno fatto nella loro vita pubblica e privata.

    Non lo faccio da nemico.

    In genere i libri si scrivono pro o contro qualcuno.

    Io preferisco stare dalla parte della verità, anche quando è imbarazzante o deludente delle nostre aspettative.

    Quello che all’inizio doveva essere solo un aggiornamento del precedente libro Il Presidente, nel momento della drammatica morte di John-John, crescendo è diventato un altro libro che riguarda l’intera famiglia, fino agli attuali pronipoti, e perciò l’ho intitolato I Kennedy.

    Naturalmente la descrizione di un’epoca nasce da un’infinità di notizie e di testimonianze che spesso si contraddicono.

    Ma, nonostante tutte le loro continue contraddizioni e anche con gli scandali, che però hanno riguardato soprattutto l’ultima generazione, nessuno può negare che i Kennedy abbiano legato profondamente il loro destino alla storia di un’epoca, gettandosi nella mischia, determinando talvolta con terribili decisioni il corso degli eventi, rinunciando alla tranquillità e ai privilegi della loro ricchezza. E pagando anche con la vita il coraggio di partecipare direttamente alle violente contrapposizioni che hanno coinvolto molti milioni di uomini, figli di questo sanguinoso, straordinario ventesimo secolo.

    Gianni Bisiach

    PARTE PRIMA

    Un figlio chiamato John-John

    Scheda personale di John-John

    L'ultimo giorno di vita

    Vediamo come il giovane Kennedy ha vissuto le ultime convulse 24 ore della sua vita.

    È giovedì sera, 15 luglio 1999, e John esce dal suo ufficio di direttore della rivista «George» per correre allo Yankee Stadium dove gli hanno riservato un posto nel box vicino alla panchina dei «New Yorkers» che giocano contro gli «Atlanta Braves» nel campionato di base-ball. Fa caldo e John veste una polo bianca e sta succhiando un ghiacciolo al limone.

    Lancia un’occhiata alla telecamera che lo inquadra e i telespettatori notano che sorride meno del solito. Il suo problema è il deficit della rivista «George» che forse dovrà chiudere per difficoltà economiche. Insomma il giornale va male: domattina avrà un incontro con gli altri responsabili per decidere il futuro della pubblicazione.

    E domani sera partirà in volo per Hyannis Port per il grande week-end del matrimonio di sua cugina Rory, l’ultimogenita di Bob Kennedy, che è nata cinque mesi dopo l’uccisione di suo padre.

    All’uscita dello stadio le guardie del corpo di John-John cercano di bloccare i tifosi che gli chiedono l’autografo. Ma uno riesce a raggiungerlo e gli grida: «Mia sorella mi ammazza se non mi dai questo autografo». Lui mette la firma su un pezzo di programma e poi si avvia all’uscita zoppicando.

    Sei settimane fa si era fratturato la caviglia destra durante una pericolosa discesa col parapendio e il gesso gliel’hanno tolto solo quella mattina. La notte, secondo alcune fonti, John non la trascorre a casa, ma all’Hotel Stanhope di New York, per continuare a discutere con i soci sul futuro della rivista «George».

    Venerdì 16 luglio 1999: è l’ultimo giorno della sua vita. La mattina John arriva negli uffici di «George» appoggiandosi a un bastone.

    Incontra il suo socio Jack Klinger, nominato da poco presidente della società editrice Hachette-Filipacchi.

    Alla fine della riunione, i due si dichiarano «moderatamente ottimisti» sulle future potenzialità della rivista. Tradotto in chiaro: la situazione non è buona.

    Quel venerdì pomeriggio, alle 16.05, John scrive un biglietto di condoglianze per e-mail al suo vecchio amico Perry Barrow, cui è morta la madre: «Credo di poter capire quello che provi perché non dimenticherò mai quanto ho sofferto io quando è capitato a me».

    Alla stessa ora sua moglie, Carolyn Bessette, sta comperando da Sacks, in Fifth Avenue, l’abito da indossare al matrimonio che avverrà domani mattina.

    La sfortuna si manifesta anche con un fatto nuovo: se John-John avesse al suo fianco Jay Biederman, il pilota istruttore che di solito vola con lui e che la settimana scorsa l’ha accompagnato in un volo fino a Toronto, le cose sarebbero andate meglio.

    Biederman aveva programmato di partire con Kennedy anche in questo giovedì 16 luglio.

    Ma all’improvviso cambia idea e decide di andare in Svizzera per il week-end con la famiglia. La moglie che non lo vede da tempo non sente ragioni: Jay deve raggiungerla.

    E John-John piloterà da solo l’aereo. Non ci pensa nemmeno a rinunciare a quel volo.

    La sorella di Carolyn, Lauren Bessette, sta concludendo il suo lavoro come tutti i giorni presso la banca di investimenti, di cui è vice-presidente Morgan Stanley. Lauren, alla fine del lavoro, raggiunge a piedi Kennedy nella redazione di «George» che si trova a pochi isolati di distanza, per poi procedere con lui verso l’aeroporto della contea Fairfield nel New Jersey, con la sua Hyundai bianca decappottabile.

    È stato detto che Lauren è arrivata in ritardo all’appuntamento con John. È stato invece verificato che la ragazza ha finito il suo lavoro alle 18 ed è arrivata da John alle 18.30. E i redattori di «George» che erano presenti dicono che né lei, né Kennedy sembravano preoccupati per il ritardo.

    Quando Lauren lascia il suo ufficio, i colleghi notano che porta con sé una valigia nera, la stessa che poi sarà trovata gonfia d’acqua e di sabbia sulla spiaggia di Martha’s Vineyard, dopo la tragedia.

    Di solito Kennedy non impiega più di 40 minuti di macchina, dal suo ufficio all’aeroporto. Ma in quella sera di week-end, con il traffico particolarmente intenso, deve allungare il percorso dal West-Side di Manhattan attraverso il Lincoln Tunnel, cioè il passaggio sotto il fiume Hudson, per arrivare nel New Jersey. E John-John non riesce ad arrivare ad Essex, alla stazione di benzina Sonoco, prima della 20.10. Il gestore, Jack Tabibian dice che Kennedy di solito arriva fra le 5 e le 7 del pomeriggio. Ma quella sera non si dimostra preoccupato del ritardo e del tramonto del sole ormai vicino.

    Veste una leggera maglietta, una T-shirt grigia. Al cassiere etiopico, Mesfin Ghebreegziaber, che gli chiede notizie della gamba, John dice che va meglio. Secondo il solito, John-John compera una banana e una bottiglia d’acqua minerale. Mentre esce dà un’occhiata ai titoli dei giornali esposti accanto alla porta. Poi sale sulla sua Hyundai e la guida dentro l’aeroporto, dall’altro lato della strada.

    Il volo nella notte

    Quando, con la sua auto, John lascia la stazione di servizio Sonoco e attraversa la strada per entrare all’aeroporto Fairfield di Essex nel New Jersey, sono lo 20.26, che è esattamente l’ora del tramonto del sole.

    Alle 20.30 arriva anche la moglie di John, Carolyn Bessette, che guida la sua auto nera munita di radiotelefono. È leggermente in ritardo.

    Con l’approssimarsi del buio, si è condensata sull’aeroporto una sottile nebbiolina, quella che gli americani chiamano haze e che poco prima ha convinto un esperto pilota locale, Kyle Bailey, a cancellare il suo volo previsto in partenza da Essex, perché non riusciva a vedere la cima di una montagna lì vicino.

    Ma John Kennedy non sembra preoccuparsi della nebbia e della notte che ormai sta scendendo. Il suo volo prevede due atterraggi: il primo sull’isola di Martha’s Vineyard per far scendere Lauren Bessette, sorella di sua moglie, che deve fermarsi lì, nella villa lasciata in eredità da Jackie a John-John e Caroline, per passare il week-end con Bobby Shriver, un produttore cinematografico e televisivo, cugino di John e figlio di Eunice Kennedy: i due fanno coppia fissa e c’è già chi prevede un secondo matrimonio Kennedy-Bessette.

    Il secondo atterraggio è a Hyannis Port, meta finale del viaggio.

    John non ha fatto un piano di volo e quindi non lo ha comunicato al centro di controllo aereo.

    Lauren Lawrence, una columnist di punta di «George», psicologa, aveva pubblicato un libro, uscito proprio la settimana prima dell’incidente, dove diceva che John era un uomo «che non esita a esporsi, anzi è animato da un costante e violentissimo desiderio di cimentarsi con il rischio, a riprova del fatto che non è mai riuscito a superare il trauma della perdita del padre, al quale in fondo aspira continuamente a congiungersi».

    Sui giornali di tutto il mondo e sulle edizioni straordinarie dei settimanali si leggono notizie contraddittorie su chi abbia voluto intraprendere quel volo in condizioni tanto pericolose.

    Se lo aveva deciso John, contro la volontà della moglie, o la moglie contro la volontà di John. O se era stato lui a decidere di portare la cognata Lauren su quella maledetta isola di Martha’s Vineyard oppure se glielo aveva imposto la moglie per favorire il matrimonio della sorella con un altro Kennedy.

    Anche su questo retroscena sarà probabilmente difficile (e forse inutile) cercare una verità definitiva.

    Il «Washington Post» accusa i medici di avergli tolto il gesso dalla caviglia  troppo presto.

    John e le due ragazze si arrampicano sull’aereo, caricano le valigie con gli abiti per la festa di nozze, si sistemano sui sedili. Lui siede davanti, le due ragazze affiancate dietro di lui.

    Alle 20.38 di quel giovedì 16 luglio 1999, 12 minuti esatti dopo il tramonto, la torre di controllo di Essex dà il via libera al decollo e le ruote del «Piper Saratoga ii» rullano e si staccano dal suolo.

    Il decollo avviene in modo regolare per cui si deve ritenere che la caviglia dolorante di Kennedy non gli impedisca di manovrare correttamente i pedali del piccolo aereo.

    Pur essendo munito di un apparecchio radio rice-trasmittente, con la cuffia a due auricolari e un microfono posto davanti alla bocca, non risulta che in tutto il viaggio John abbia mai effettuato alcun collegamento radio, neanche al momento del dramma finale.

    Dopo il decollo, l’aereo lascia la costa del Connecticut, attraversa il fiume Hudson verso la lunga e sottile striscia di terra di Long Island, fino all’estremo dell’isola, dove si trova la cittadina di Montauk, nota anche perché nei suoi ristoranti si mangiano le migliori aragoste del mondo.

    Mancando i contatti radio, il suo tragitto viene monitorato solo dai tracciati radar.

    Kennedy naviga a vista mentre l’aereo sale fino a 1700 metri, la normale altitudine di crociera per i piccoli aerei Piper. Alla sua sinistra John vede, nel buio della notte, le luci delle città costiere del Connecticut: Bridgeport, New Haven, New London.

    La conversazione all’interno dell’aereo è resa difficile dal forte rumore del motore monoelica. I tre si possono parlare usando l’interfonico (cuffia e microfono) di cui sono equipaggiati. Ma non esiste alcuna registrazione di queste eventuali conversazioni perché su questi piccoli aerei non esiste la scatola nera. E non sappiamo nemmeno se, durante l’ora di volo dal decollo al momento della catastrofe, le due ragazze hanno usato gli spot luminosi e i tavolinetti davanti a loro per leggere qualche giornale o un libro.

    La notte è senza luna, anzi ce n’è solo una sottilissima falce che ben presto viene coperta, come d’altronde le stelle, da una nebbia sempre più fitta e fastidiosa.

    La nebbia si estende su tutta la costa del New England e molti piloti che stanno volando in quella zona chiedono il permesso al centro di controllo, via radio, di atterrare subito in aeroporti alternativi.

    John Kennedy continua a non utilizzare la radio, conosce molto bene la zona ed è sicuro di farcela con i punti di riferimento visivi.

    Superata la punta nord di Long Island, John può vedere soltanto, alla sua sinistra, le luci di Westerly, nel Rhode Island. E alla fine davanti a lui c’è soltanto il buio dell’oceano.

    John Kennedy ha preso il brevetto di pilota da appena 15 mesi, ed è abilitato soltanto al volo a vista e non a quello strumentale.

    Lynn Houston, una istruttrice di volo di 45 anni, ha accompagnato nel 1998 John Jr. in un volo verso l’isola di Catalina, in California, e lo ha giudicato un buon pilota, con una guida molto dolce, buon coordinamento dei movimenti, prudenza e umiltà.

    Lui avrebbe dovuto controllare la strumentazione di bordo che comprende:

    1. l’indicatore di velocità: che aumenta quando l’aereo scende o precipita a vite, e diminuisce quando l’aereo sale;

    2. l’orizzonte artificiale: che è azionato da un giroscopio e aiuta il pilota a capire la posizione delle ali e a distinguere l’alto dal basso;

    3. l’altimetro: che si muove in senso antiorario se l’aereo scende, in senso orario se l’aereo sale;

    4. turn and bank: centrando la pallina bianca e il livello delle alette sottili il pilota è sicuro che l’aereo non sta girando;

    5. giroscopio direzionale: è uno strumento di navigazione e direzione vitale per determinare la posizione dell’aereo;

    6. indicatore di velocità verticale: misura la velocità dei movimenti in alto e in basso.

    Lui avrebbe dovuto controllare con calma questi 6 strumenti.

    Ma noi diciamo tutto questo stando seduti comodamente a casa nostra, mentre lui si trovava in una situazione di emergenza, lottando contro le frazioni di secondo, circondato dal buio assoluto e, forse, cercando di calmare le due donne.

    Conferma l’istruttrice di pilotaggio californiana Lynn Houston: «John si trova a una ventina di chilometri da Martha’s Vineyard e cerca un riferimento visivo. Ma è notte e non si vede più l’orizzonte. Il cielo e il mare si confondono in una specie di buco nero. Si produce allora nell’uomo una specie di disorientamento spaziale. C’è una disfunzione dell’orecchio interno che confonde i sensi: il pilota crede che l’aereo stia salendo mentre in realtà sta scendendo. In questo caso l’unica cosa da fare è fidarsi solo degli strumenti di bordo e in particolare dell’altimetro, dell’orizzonte artificiale e dell’indicatore di velocità. Questi strumenti John li conosceva, ma li usava poco, perché era titolare solo di una patente di volo a vista.

    Un errore di pilotaggio su un aereo così leggero può provocare una perdita di controllo immediata e ciò spiegherebbe la caduta rapidissima confermata dal radar».

    Questo dice l’istruttrice Lynn Houston che, avendo volato con John Jr., ne aveva apprezzato le doti di sicurezza ed affidabilità. E altrettanto dicevano altri piloti privati come David Andrews che ha confermato: «...John era perfettamente qualificato per volare. Io credo che si è trovato in un vortice e ha perso il controllo».

    Ricostruiamo adesso le successive fasi dell’incidente attraverso i tracciati dei radar.

    La caduta

    Non disponendo di registrazioni di messaggi radio, seguiamo i tempi successivi della caduta attraverso i dati che sono stati forniti dal NTSB (National  Transportation Safety Board americano):

    Ore 21.34’

    L’aereo sta viaggiando regolarmente a 300 chilometri l’ora all’altezza di 1700 metri, ma improvvisamente comincia a scendere.

    Ore 21.30’

    In 5 minuti l’aereo è sceso di mille metri. Si trova a 32 chilometri dall’aeroporto di Martha’s Vineyard. L’aereo gira a destra, poi sale da 700 a 800 metri di altitudine. Dopo aver mantenuto l’altitudine a 800 metri per circa un minuto, l’aereo gira nuovamente a destra e comincia a scendere. Kennedy punta la sua attenzione sull’altimetro. Vedendo che sta scendendo, un pilota poco esperto del volo strumentale tende immediatamente a tirare in su la leva dell’aereo senza livellare le ali. Perdendo la cognizione di ciò che è in alto e ciò che è in basso, non solo la prua può tendere all’ingiù ma, girando le ali dell’aereo, si entra in una spirale verso il basso dalla quale è quasi impossibile uscire.

    Forse John è convinto che, come in altre occasioni precedenti, scendendo di quota, bucherà la nebbia e avvisterà le luci dell’aeroporto di Vineyard, che è la sua tappa intermedia.

    Ore 21.40’ 20"

    Dopo aver girato nuovamente a destra, l’aereo scende a 670 metri e poi continua a cadere a una velocità di 150 metri al secondo, dieci volte la massima velocità di discesa consentita dalle strutture dell’aereo.

    Ore 21.40’ 29"

    L’aereo precipita a 490 metri.

    Ore 21.40’ 34"

    È l’ultimo contatto registrato dal radar e indica una posizione a 14 chilometri a sud-ovest di Martha’s Vineyard. L’altezza è di 35 metri. L’aereo può trovarsi fuori controllo in una «spirale della morte» (Graveyard Spiral).

    Ormai l’aereo sta precipitando verso la superficie dell’oceano che al momento dell’impatto risulterà dura come l’asfalto. La morte a questa velocità è istantanea per tutti e tre gli occupanti dell’aereo.

    Poi il Saratoga disintegrato scende sul fondo dell’oceano, a circa 35 metri di profondità.

    L'allarme

    Il piccolo aeroporto di Martha’s Vineyard, formato da poche modestissime costruzioni e da una corta pista d’asfalto, è praticamente deserto quella sera. C’è solo un guardiano, il ventunenne Alan Budd, al quale si avvicina una coppia di amici di Lauren Bessette, per dirgli che l’aereo con cui doveva arrivare la ragazza è in ritardo e loro sono preoccupati.

    Sono le 22.05 e Budd telefona all’ufficio della faa di Bridgeport nel Connecticut, e chiede se hanno notizie dell’aereo di Kennedy. Ma gli rispondono che queste non sono informazioni che si possono dare per telefono.

    Intanto l’autista, che attende John e Carolyn a Hyannis Port, avverte la famiglia del ritardo.

    Il senatore Ted Kennedy, preoccupato perché l’aereo non è arrivato, vuole assicurarsi che il nipote sia veramente partito e telefona al suo appartamento nel quartiere Tribeca di New York.¹

    Gli risponde un amico di John, che ha l’aria condizionata rotta, e perciò John gli ha prestato il proprio appartamento. E questo amico conferma che John è partito.

    Soltanto alle 22.15 i Kennedy telefonano alla Guardia costiera, che avvia la ricerca dell’aeroplano scomparso.

    Le imbarcazioni che pattugliano la zona cominciano a setacciare il tratto d’oceano al largo di Long Island.

    Sabato 17 luglio 1999

    Le ricerche si intensificano alle prime luci dell’alba con la partecipazione di unità della Marina, della Guardia costiera e di jet dell’Aeronautica.

    La Casa Bianca annuncia di «pregare per le famiglie delle persone scomparse». Bill Clinton telefona alla famiglia Kennedy la sua solidarietà e chiede di essere «costantemente informato».

    Le televisioni cominciano a dare le prime notizie.

    Sabato 17, alle ore 13 ora locale (le 19 ora italiana), un rottame d’aereo viene avvistato al largo della costa.

    La CNN comunica che a sud di Martha’s Vineyard è stata recuperata una valigia nera con il nome di Lauren Bessette.

    In Italia la prima notizia della probabile tragedia viene data dai telegiornali della sera.

    ¹TRI.BE.CA., significa 'Triangle Below Canal Street'. Si trova verso la punta di Manhattan che guarda la Statua della Libertà. Triangolo sotto Canal Street è appunto uno spazio triangolare sotto quella grande strada, Canal Street, che taglia Manhattan e divide il Quartiere Cinese dal Quartiere Italiano.

    La prima notizia

    È sabato, è il 17 luglio, e io sono a casa mia per visionare alcune videocassette per RAISAT.

    Alle 17.45 mi telefona il direttore del TG1 Giulio Borrelli: «Caro Gianni, sembra sia morto John-John Kennedy. È caduto col suo aereo di notte mentre andava a Hyannis Port con la moglie e la cognata per il matrimonio di una cugina. Te la senti di fare un pezzo, anche in video, per il TG1 delle 20, su di lui e sulle tante tragedie della famiglia?»

    «Sì».

    «Allora vieni subito e porta il materiale».

    Il materiale naturalmente non lo trovo, nella confusione della mia casa. Poi cerco meglio ed escono due lunghi blocchi video di circa un’ora l’uno, e alcuni libri dove c’è praticamente tutto quello che serve. Mi rendo conto che la mattina non mi sono fatto la barba: rapidamente mi rado, mi faccio una doccia e indosso l’abito blu di circostanza.

    Intanto si sono fatte le 18.30.

    In garage la mia macchina è bloccata da tre altre auto, in qualche modo riesco ad uscire e imbocco la via Flaminia per Saxa Rubra. Fa un gran caldo e si suda. C’è il traffico del week-end che mi rallenta. Ne approfitto per riordinare le idee per il minuto o due che il tg concede per qualsiasi notizia.

    Alle 19.10 arrivo al TG1 da Borrelli, che è in corridoio in maniche di camicia, e vuole che io scriva subito il testo. Lo scarabocchio su un foglio di carta e glielo leggo: «Bob Kennedy diceva: Le disgrazie non finiscono mai, i Kennedy nemmeno. 2 agosto 1943: il futuro presidente John Kennedy viene affondato dai giapponesi e porta in salvo a nuoto 3 marinai, due dei quali gravemente feriti. 2 agosto 1944: il fratello maggiore di John Kennedy, Joe Jr., che il padre voleva destinare alla Casa Bianca, viene abbattuto col suo aereo durante un’azione di guerra sulla Germania. Anche la sorella Kathleen Kennedy, rimasta vedova di guerra del marchese Billy Hartington, muore in un incidente aereo. Nel novembre 1960 Kennedy viene eletto presidente e pochi giorni dopo nasce il figlio John-John, che qui vediamo col padre alla vigilia di Dallas. Al funerale John-John commuoverà tutta l’America con questo saluto militare. Nel 1968 anche Robert Kennedy sarà ucciso a Los Angeles. Con l’incidente di oggi John-John Kennedy va ad aggiungersi a questa serie sfortunata. Ricordiamolo con queste immagini insieme al suo amato papà».

    Borrelli dice che va bene e mi affida al vice-direttore Romano Tamberlich, che mi accompagna in studio. Arrivo trascinando il mio fardello di libri e cassette. La regista nell’interfonico mi grida: «Sei troppo sudato». Le dico: «Allarga l’immagine». Sono davanti a uno schermo con Kennedy che sorride a John-John.  Registro il commento e poi Tamberlich mi veicola nella saletta di montaggio.

    Sono le 19.40 e fra 20 minuti si va in onda.

    Il montatore, Massimo Branchesi,  è un vecchio amico col quale abbiamo lavorato spesso nel corso degli anni. Gli chiedo: «Come stai?». Il vice-direttore Raffaele Genah taglia corto, guardando l’orologio: «Dai, che non ce la facciamo!».

    Incominciamo a montare mettendo in fila le immagini sul testo: Bob Kennedy, John Kennedy affondato dai giapponesi, la famiglia al completo; Dallas, John-John che saluta militarmente la bara del padre. Perdiamo del tempo perché fra un’immagine e l’altra dobbiamo girare a velocità vertiginosa decine di minuti di filmato, avanti e indietro sulle cassette che ho portato.

    A questo punto parte la sigla del TG1 delle 20.

    Lamberto Sposini dà la notizia della tragedia e manda una parte dell’ultima intervista con John-John.

    Tamberlich e Genah dicono: «Basta, non si fa più in tempo. Mandiamo quello che hai già montato».

    Garantisco che stiamo finendo. Aggiungo l’uccisione di Bob poi John-John che gioca col padre. L’ultima, struggente, inquadratura del piccolo John-John che arranca sulla scaletta dell’aereo davanti al padre presidente, la montiamo mentre Lamberto Sposini comincia già a lanciare il nostro servizio. Il montatore Massimo Branchesi rapidamente lo rimette in testa e la regia lo manda in onda direttamente dalla nostra moviola. L’abbiamo terminato all’ultimo secondo. Adesso abbiamo il tempo di commuoverci anche noi, insieme a milioni di telespettatori, per la morte di questo povero ragazzo e delle due donne che erano con lui sul suo piccolo aereo.

    Le ricerche

    I giornali di tutto il mondo sono pieni di titoli a caratteri cubitali: «Precipitato in mare l’aereo di John-John». «L’uomo più sexy del mondo voleva raggiungere il potere». «Muore giovane chi è caro agli dèi». «La sfortuna continua a perseguitare il clan dei Kennedy».

    Gli inviati di giornali e televisioni arrivano a centinaia sui luoghi del disastro.

    Dopo la valigia di Lauren Bessette, trovata dai bagnanti dell’isola di Martha’s Vineyard poco lontano dalla villa di Jackie, le onde dell’oceano portano a riva anche un poggia-testa, una ruota, altri frammenti dell’aereo.

    Martha’s Vineyard ha preso il nome dal vigneto della figlia del primo proprietario di quest’isola che offre uno stupendo panorama verdeggiante con lunghe spiagge bianche e un villaggio tranquillo.

    Si trova a poca distanza da Cape Cod, dove, a Hyannis Port, si affollano i figli e i nipoti del clan Kennedy. Forse proprio per stare un po’ lontana da quella famiglia troppo chiassosa Jackie Kennedy comperò qui un grande terreno per costruirvi una sua casa.

    Qui Jackie trovò un po’ di serenità dopo la morte del marito. Qui non c’erano fotografi. Lei e i figli potevano andare al mare, al ristorante o al cinema senza essere disturbati e vestendosi come capitava.

    Dopo la morte della madre, John Jr. è venuto qui spesso per trascorrere ore felici con Daryl Hannah e, successivamente, insieme al suo grande amore, Carolyn Bessette, che poi è diventata sua moglie.

    Negli ultimi anni anche il presidente Clinton frequenta l’isola, come tanti giornalisti, cantanti, scrittori.

    Il primo a scoprirla, negli anni ’50, fu William Styron, l’autore del romanzo La storia di Sofia. Lo seguì Katherine Graham, la zarina del «Washington Post» e il grande intervistatore Mike Wallace.

    Negli anni ’80 arrivano l’attore John Belushi che morirà qui e i cantanti James Taylor e Carly Simon.

    Bill Clinton fu ospitato la prima volta nell’isola nel 1993 dall’ex ministro della Difesa Robert Mac Manara.

    Tre anni fa, nell’estate 1996, William Styron ospitò lo scrittore messicano Carlos Fuente, il Nobel per la letteratura Gabriel García Márquez e lo stesso Bill Clinton, per una cena a quattro di cui si parlò a lungo. Da allora Bill, Hillary e Chelsea Clinton sono tornati nell’isola ogni estate. Anche l’anno scorso quando, in pieno scandalo Lewinsky, gli abitanti dell’isola vollero accogliere la famiglia presidenziale all’aeroporto con un grande applauso di solidarietà.

    A Hyannis Port, dove il matrimonio di Rory Kennedy viene subito rinviato, c’è anche Ethel, la settantenne vedova di Robert Kennedy, che si reca sul molo con i figli e i nipoti per vedere se dal mare può venire qualche notizia. Zia Ethel cerca di infondere coraggio a tutti ed esce anche in perlustrazione con un motoscafo.

    Un portavoce della famiglia, Brian O’Connor, comunica alla stampa che «i Kennedy sperano e aspettano».

    Col passare delle ore le speranze che i tre possano essere ritrovati vivi si riducono sempre più, perché l’acqua dell’oceano è gelida e infestata dai pescicani. Ma da John Jr. ci si può aspettare di tutto.

    I suoi amici ricordano, per esempio, che, essendo John un fuoriclasse in quasi tutti gli sport, si divertiva anche a fare degli scherzi. Una volta, mentre gli altri stavano chiacchierando sulla spiaggia, JFK Jr. si tuffò in mare, e con potenti bracciate si allontanò tanto che nessuno riusciva più a vederlo. Passò mezz’ora e non vedendolo tornare, gli amici stavano già per avvertire la Guardia costiera, quando all’improvviso John-John sbucò dalle onde, ma molto lontano da dove loro si trovavano. Fece una gran risata e li prese in giro per la loro preoccupazione. In mare lui aveva fatto un largo giro, nuotando per parecchi chilometri, grazie al suo straordinario allenamento fisico.

    Perciò i parenti non si rassegnano, anche se le ore passano, sperano che John-John sbuchi improvvisamente da qualche parte.

    Sul pontile della spiaggia di Philbin, nell’isola di Martha’s Vineyard, anche Rory Kennedy, 31 anni, col fidanzato Mark Bailey, che dovevano sposarsi proprio oggi, 17 luglio 1999, attendono notizie dalle motovedette impegnate nelle ricerche del Piper Saratoga.

    Questa zona della costa si chiama Gay Head, con un fondale molto sabbioso che supera i 30 metri di profondità. Le ricerche si concentrano in quest’area perché è qui che un villeggiante venuto da Boston ha recuperato la valigetta nera con la scritta «Lauren Bessette, vice-president».

    Nelle ore successive vengono pescati numerosi frammenti del relitto: due sedili, tappetini e brandelli di isolamento, un flacone di pillole con il nome di Carolyn Kennedy sull’etichetta. Ma nei primi due giorni di ricerche non si riesce a trovare alcuna traccia dei tre corpi e della fusoliera dell’aereo, anche scandagliando i fondali con i sonar.

    A Hyannis Port i Kennedy fanno celebrare una messa sotto il tendone bianco che doveva accogliere i trecento invitati al matrimonio. Si prega perché un miracolo possa riportare in salvo John e le due ragazze. A Greenwich, nel Connecticut, pregano Ann e William, genitori divorziati di Carolyn, e Lisa Ann, sorella gemella di Lauren.

    A New York, davanti all’appartamento di John-John, nel quartiere Tribeca, i newyorchesi portano montagne di fiori.

    19 luglio

    L’ammiraglio della Guardia costiera Richard Larrabee gela le residue speranze dichiarando che, dato il tempo trascorso dalla scomparsa del «Piper Saratoga ii hp» dagli schermi del radar, i tre devono ormai considerarsi morti.

    La temperatura dell’acqua dell’oceano non permette la sopravvivenza per oltre 12 ore, e il Piper non era attrezzato per un’emergenza in mare: a bordo mancavano giubbotti salvagente, canotti di salvataggio, razzi di segnalazione.

    Si cerca ora di recuperare i corpi delle vittime e i resti dell’aereo.

    Le ricerche sono condotte dalla noa (National Oceanographic Administration), con le due navi Rude e White, e da due navi (la Willow e la Sanibel) della Guardia costiera.

    Dalla Virginia è in arrivo l’unità della Marina Grasp dotata di strumentazioni per la ricerca di relitti e di unità sottomarine senza pilota per scandagliare il fondo dell’oceano.

    Alle famiglie Kennedy e Bessette sono giunti messaggi di condoglianze dagli ex presidenti americani Ford, Carter, Reagan e Bush, e da molti capi di Stato stranieri.

    Il timore è che l’intera verità sull’incidente non si possa conoscere mai. Il presidente dell’Agenzia Federale per la sicurezza dei voli, la ntsp, Jim Hall, promette un’inchiesta che potrà durare anche sei mesi. Ma dichiara che i rottami dell’aereo e i cadaveri forse non riusciranno a fornire l’esatta descrizione di quanto è accaduto nei 15 terribili secondi prima della fine di John e delle due passeggere dell’aereo.

    Intanto bianchi e neri lo piangono a New York e continuano a lasciare fiori e poesie davanti alla sua casa. Il presidente Clinton ordina che si faccia di tutto per recuperare i corpi delle tre vittime e i resti dell’aereo in modo da individuare ogni possibile causa dell’incidente. Tra l’altro alcuni giornali cominciano a parlare della possibilità di un attentato.

    A una giornalista di «George», Lauren Lawrence, viene attribuita una dichiarazione secondo cui «John aveva il terrore di essere ucciso». Il portavoce della Casa Bianca, Joe Lockhart, afferma che Clinton si è assunto la responsabilità delle spese per l’eccezionale dispiegamento di mezzi nell’operazione «per il contributo che i Kennedy hanno dato a questo Paese e per i lutti che hanno sopportato».

    Lunedì 19 luglio, pomeriggio

    Si intensificano le ricerche nell’area di circa un miglio quadrato di fronte alla spiaggia di Philbin, a Martha’s Vineyard. Perlustrano l’oceano 35 pattuglie della Guardia costiera e circa 50 imbarcazioni di volontari. Quattro elicotteri sorvolano la zona con 15 aerei leggeri civili e militari per monitorare le spiagge e il terreno circostante.

    Entrano in azione i mezzi di ricerca utilizzati, tre anni prima, per il recupero dell’aereo della TWA precipitato proprio in quest’area, al largo di Long Island, il 17 luglio 1996.

    L’Uss Grasp è una nave della Marina americana dotata di robot Rov (Remotely  Operated Vehicle) che sono minisommergibili telecomandati in grado di perlustrare gli abissi oceanici fino a 6000 metri di profondità e di riprendere immagini in movimento con una telecamera e immagini fisse con una macchina fotografica speciale.

    A bordo della nave vi sono 20 sommozzatori dotati di apparecchiature che possono effettuare ricerche fino a 60 metri di profondità. Accanto a loro agiscono le due navi oceanografiche della noa, la Rude e la White, per effettuare anche ricerche con il radar.

    La sera di martedì 20 luglio, in uno special della Entertainment Tonight, si discute a lungo del testamento di John. Si fanno i conti in tasca al giovane, il cui corpo non è stato nemmeno ancora ritrovato. Il suo patrimonio sarebbe di 150 milioni di dollari (circa 300 miliardi di lire), che andranno alla sorella Caroline e ai suoi figli Rose, Tatiana e John Junior. Vi saranno anche lasciti generosi per le due associazioni di beneficenza per gli handicappati e i senza-tetto, cui John contribuiva da anni.

    Questo programma televisivo indigna alcuni familiari di John che decidono di celebrare i funerali in forma privata.

    Martedì 20  luglio

    Alle 23.30 della notte, finalmente la nave Grasp con uno dei sottomarini Rov munito di sonar e di telecamera individua il relitto dell’aereo.

    Mercoledì 21 luglio

    Alle 2.10 nell’aereo sul fondo dell’oceano, al suo posto di guida con la cintura allacciata, i subacquei avvistano John.

    Queste immagini non vengono rese pubbliche.

    Il Rov è un minisottomarino comandato dalla superficie e dispone di una telecamera che invia le immagini sulla nave.

    Le due donne verranno trovate più tardi, verso le 16 del pomeriggio (le 22 ora italiana) in due punti diversi del fondale: probabilmente sono state sbalzate fuori al momento dell’impatto dell’aereo con l’acqua.

    Il lavoro dei sub è reso difficile dalla temperatura gelida dell’acqua che consente turni di immersione di soli 15 minuti. Anche lo stress psicologico dei sommozzatori, alla vista dei cadaveri, è molto forte.

    Caroline, sorella di John è l’ultima rimasta della famiglia del Presidente.  Dopo aver appreso del ritrovamento di John, ha fatto, come nella giornata precedente, una breve passeggiata in bicicletta col marito, senza rivolgere la parola ai curiosi e ai giornalisti radunati di fronte alla sua casa di Bridge-Hampton, a Long Island.

    Alle 13, ora locale, un elicottero della Guardia costiera ha portato il senatore Ted Kennedy insieme al nipote, deputato Patrick Kennedy, a Martha’s Vineyard. Di lì hanno preso una lancia della Marina e si sono recati sulla nave appoggio Grasp per il triste rito del riconoscimento dei cadaveri, portando con sé anche una borsa di vestiti per ricomporre la salma di John.

    Ted è impietrito dal dolore.

    Dopo l’autopsia il corpo di John sarà cremato e le ceneri sparse nell’oceano secondo la sua volontà. Forse saranno cremate anche le due ragazze; per questo si attende la decisione della loro famiglia.

    Ted Kennedy ha chiesto per telefono al segretario della Difesa, William Cohen, che la Marina conceda una nave per spargere in mare le ceneri delle vittime della tragedia. La Marina concede la nave tenendo conto che il presidente Kennedy è stato un eroe della seconda guerra mondiale.

    Quando le tre salme vengono portate a terra per essere sottoposte all’autopsia, le foto d’agenzia mostrano il volto di Ted affranto e si vedono i giovani, Ted Kennedy Jr., Douglas Kennedy, Patrick Kennedy e Maxwell Kennedy, che aiutano a trasportare la bara del cugino e quelle delle due ragazze.

    Il relitto dell’aereo e i tre corpi vengono trasportati alla base militare di Bourne, a 30 chilometri da Hyannisport. Il Piper verrà ricomposto in un grande hangar di Bourne e, secondo la legge, l’autopsia verrà effettuata nell’infermeria della base.

    La Chiesa cattolica ha deciso di non proibire più la cremazione dal 1964, cioè dagli anni del pontificato di Paolo vi.

    L’incenerimento è un antico cerimoniale che ha congiunto gli eroi di Omero in un abbraccio con la natura.

    Fu cremato il poeta Shelley, morto nel mare di Lerici.

    La cremazione fu cara ai liberi pensatori e ai fratelli massoni del Risorgimento.

    Garibaldi voleva che le sue ceneri venissero sparse sul mare, a Caprera, in direzione dell’Italia, ma poi fu sepolto nell’isola.

    Antonio Gramsci fu cremato, come ricorda una poesia di Pasolini, e sepolto a Roma, nel cimitero degli inglesi, presso la Piramide Cestia.

    Vollero essere cremati Luchino Visconti, Renato Guttuso e Claudio Villa, che rivendicò il suo diritto di ateo «a sbarazzarsi degli ultimi baluardi del Cristianesimo».

    Più recentemente furono cremati Gianni Versace, Mia Martini, Fabrizio de André, Giorgio Strehler, Moana Pozzi ed Helenio Herrera.

    Il regista Nicholas Rey, la

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