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Soi Tanakan
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E-book258 pagine3 ore

Soi Tanakan

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Info su questo ebook

In una Bangkok dove il dio denaro si sta sempre di più sostituendo a tradizioni e saggezze millenarie, si consuma il dramma dalle tinte forti shakespeariane di Bob, Tommy, Kate, Bee e Noi i quali, pur nella loro profonda diversità umana e spirituale, me sono in atto un perfetto e al tempo stesso bizzarro piano per vendicare la morte del comune amico Jorge, ucciso dai sicari della banca che domina una delle vie della capitale della Tailandia - Soi Tanakan nella lingua locale significa proprio via della banca - e che ha in mano la vita e il destino di molta gente. Ad assisterli nella loro operazione sarà proprio lo spettro di Jorge che, come quello del padre di Amleto, invocherà vendetta del suo folle e innaturale omicidio per avere la pace eterna.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2020
ISBN9788835826453
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    Soi Tanakan - Maurizio Mistretta

    SOI TANAKAN - UN AMLETO ASIATICO

    di Maurizio Mistretta

    Prima edizione: marzo 2020

    Tutti i diritti riservati 2020 BERTONI EDITORE

    Via Giuseppe Di Vittorio 104 - 06073 Chiugiana          

                     Bertoni Editore 

    www.bertonieditore.com

    info@bertonieditore.com          

    È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi 

    mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica se non autorizzata.

    Maurizio Mistretta

    SOI TANAKAN

    Un Amleto asiatico

    PREFAZIONE

    Shakespeare è sempre Shakespeare e l’Amleto sempre l’Amleto, due giganti dell’umanità e del teatro, in qualunque epoca e in qualunque luogo del mondo essi si trovino: anche nel 2020, anche nella lontanissima eppure vicina Thailandia, anche in una città così asiatica e così occidentale come Bangkok, anche in un posto come Soi Tanakan, dove un nuovo idolo che si chiama denaro sta prendendo sempre di più il posto di divinità, saperi e saggezze antichi di millenni. La storia narrata in Soi Tanakan, un Amleto asiatico è semplice, ma allo stesso tempo complessa: è certamente la storia di una vendetta (come lo è l’Amleto di Shakespeare), ma è anche lo spaccato di un mondo, quello thailandese, percorso da moti violenti e immerso in una corsa spasmodica e crudele all’insegna del progresso e della ricchezza. 

    In Soi Tanakan, un Amleto asiatico l’ambiguità, il dubbio, la precarietà e l’incertezza - sentimenti così presenti in tutte le odierne società pervase dal mito dello sviluppo e dell’opulenza - sono sottilmente dominanti in ogni personaggio che si muove, in ogni piccolo evento che accade, in ogni monologo generato, in ogni discorso elaborato: tra essere e sembrare e tra pensare e fare c’è un abisso piccolo, ma immensamente profondo e basta un passo in più o un passo in meno per cadervi e segnare così nel bene e/o nel male il proprio destino.

    La storia della vendetta raccontata in Soi Tanakan, un Amleto asiatico, pur colorandosi di forti e drammatiche tinte noir, erotiche e anche splatter, assume essenzialmente la dimensione di una vera e propria indagine su quelli che sono i fondamenti dell’esistenza umana e sul significato delle singole azioni dell’uomo: essere o non essere, la potente passione per la vita, comunque essa sia e comunque essa vada, il dolore immenso per la morte, l’amore senza preconcetti o conformismi, l’inossidabilità dei legami familiari anche dinanzi a prove difficili, l’amicizia come vincolo sacro e finanche indissolubile, il valore aulico e il senso pregnante dell’onore, l’arroganza e la malvagità del nuovo potere economico e finanziario, la lotta condotta dalla gente di umili natali e di umili condizioni di vita per la difesa del loro diritto alla vita stessa e della loro dignità, patrimonio comune e irrinunciabile di ogni uomo, creatura straordinaria che William Shakespeare nel suo Amleto così definisce:

    Che opera è l’uomo, come nobile nella ragione, come infinito nelle attitudini, nella forma e nel movimento come perfetto e ammirevole, nell’azione come simile a un angelo, nell’intelletto come simile a un dio; la bellezza del mondo; la pietra di paragone degli animali e tuttavia per me che cos’è questa quintessenza di polvere?

    L’editore

    I

    Quella strana umanità di confine

    Basta che il cielo sia un po’ velato e la notte nei villaggi thailandesi è buia come nessun buio potrebbe esserlo. Se invece il cielo è sgombro da nubi, le stelle e la luna illuminano a giorno, come lampadine che sembrano dover scoppiare da un momento all’altro. Le auto sfrecciano senza tregua sulla strada principale, attraversando villaggi tutti uguali a cui si accede attraverso strade secondarie, le quali appaiono come rigagnoli che si staccano a malincuore da un fiume in piena. Tempi orsono le strade secondarie erano in terra battuta, quasi ad avvertire il viaggiatore che si stava entrando in un terreno rurale ancora non attraversato dalla civiltà. La notte nei villaggi thailandesi inizia al tramonto, calando il sipario su una giornata di fatiche agresti e azioni ripetute in eterno: un rituale fatto di piccole abitudini inamovibili, un placido muoversi, spesso pittorescamente indolente. In quelle zone molti vanno a letto con le galline, come si usa spesso sentir dire anche da queste parti. E non è solo un modo di dire, visto che il gallo rimane sempre la migliore sveglia possibile, poco dopo le cinque di mattina e sicuramente prima delle sei quando inizia ad albeggiare. C’è chi, tuttavia, non va a dormire così presto, sfuggendo così a questo legame atavico con madre natura: sono i commessi dei 7/11, negozietti iperprovvisti di ogni genere di mercanzia aperti tutta la notte. Stessa sorte spetta agli addetti alle pompe di benzina che attendono gli assonnati viandanti avvolti in pesanti giacconi, sempre circondati da bastardini scodinzolanti. C’è anche chi la notte si vuole divertire frequentando i locali notturni, pochi e ancora molto rustici, non certo paragonabili ai super fashion club della capitale. Tra questi la fanno da padrona i Karaoke, luoghi facilmente riconoscibili grazie allo scintillio delle insegne lampeggianti e alla presenza di luccioline in minigonna poste strategicamente in agguato sulla soglia. Le graziose ragazze locali attraggono e non poco, ma né più né meno della voglia del thailandese di dar libero sfogo all’innata passione per il canto. E non importa se le canzoni sembrano tutte uguali e le voci sono quasi tutte stonate o intaccate pesantemente dall’alcol: questi sono elementi assolutamente secondari nella notte thailandese. Addentrandoci bene e prudentemente in essa vi troviamo anche altre tipologie di locali che esaltano un’altra delle passioni più grandi: il gioco d’azzardo. Per dare sfogo a questa passione i thai adorano frequentare promiscue sale biliardo che sovente nascondono vere e proprie bische clandestine. E sono tanti coloro che tentano la sorte. Per molti è soltanto un’emozione da provare ogni tanto, per molti altri, invece, il gioco rappresenta una sfida, un getto di adrenalina pura nei loro corpi scolpiti dal lavoro nei campi, un estremo tentativo di sentirsi vivi.

    È notte molto inoltrata e come in parecchi altri villaggi thailandesi capita di imbattersi in un piazzale che si apre d’incanto davanti alla strada principale. Oggi quel piazzale è pieno di pozzanghere, indizio che la stagione calda è finita e sta facendo spazio a quella delle piogge. Il villaggio in questione ha un nome impronunciabile, ma è vicino alla nota Udon Thani, una delle capitali della vasta regione dell’Isan, sita nel povero nord-est della Thailandia. Il piazzale si inoltra sino a una collinetta buia e misteriosa, leggermente illuminata dalla luce proveniente da un fatiscente edificio a due piani: è una sala biliardo, un luogo per il gioco d’azzardo. Questa sera la bisca è in fermento: nessuno sembra seriamente impegnato nel gioco, come se vi fosse un momento di ricreazione collettiva. La ricreazione ha un nome preciso che spesso risuona accompagnato da epiteti scabrosi: Kate. Kate è lì e, come spesso le succede, ha perso tutto. Proprio tutto.

    Molti uomini la circondano sorridenti come un branco di iene davanti a una facile preda. La tengono ferma con le loro rozze braccia tatuate. Lei è seduta su un tavolino con le gambe aperte. Un ragazzaccio sporco, con una cicatrice che gli allunga la bocca quasi sino all’orecchio, la sta penetrando. C’è grande animazione e si sentono molte voci scandite e ripetute, come un mantra diabolico. Una di esse dice: «Tocca a me ora! Ha perso anche da me e voglio la mia parte».

    Il ragazzaccio si sposta a malincuore e fa posto a un altro che la infilza come uno dei tanti polli che girano senza sosta negli spiedi proprio davanti alla bisca. È la fatidica e, spesso, fatale colazione thai a base di pollo e insalata di papaya: somtam e kaya! Il ragazzaccio spodestato non è contento. 

    È stato fermato sul più bello e cerca la mano della bella Kate per una pugnetta di consolazione. 

    Un cinese grasso e sudato si avvicina alla donna e cerca di baciarla. Anche lui vuole la sua parte, ma forse non ha vinto abbastanza e sembra accontentarsi di un bacio. Altri aspettano pazientemente il loro turno, tastandosi le parti basse come mucche stanche in fase di mungitura.

    La litania di una canzone dell’Isan accompagna quel desolante gang bang asiatico e la musica sembra il suo perfetto corollario: allegra nella sua melodia, triste come la morte nelle parole. Il nuovo penetratore sta quasi per giungere alla fine del suo percorso e spinge con sempre maggiore forza. Gli altri partner improvvisati iniziano a incitarlo, nella segreta speranza che finisca presto e che dia spazio anche a loro. Kate emette strani gemiti, difficili da interpretare. Sembrano quasi di piacere e questo ovviamente facilita le cose. Del resto ha perso e sta solo pagando il prezzo di aver sfidato la Dea Fortuna. Kate lo sa. Mai mii penrai pensa. 

    Nessun problema. Si sente una voce maschile: «Allora puttana, sei pronta per farti scopare dai farang a Bangkok?»

    La donna non risponde e continua a gemere. Il secondo ragazzo ha un orgasmo che sancisce con un urlo liberatorio, schioccando un bacio ironico sulla fronte di Kate. «Non ho bisogno della ricevuta cara! Siamo pari ora!» dice una seconda voce maschile. Un altro uomo prende il suo posto, ma prima la gira di schiena e inizia a penetrarla da dietro. Kate lascia fare e non fa molto caso alle tante voci che rimbalzano tra una nota e l’altra della canzone. Pensa solo che la canzone le piace davvero tanto ed è un peccato averla sprecata così. «Scusa cara, ma i debiti vanno pagati, subito!» dice una terza voce sempre maschile.

    Kate da vicino sembra una bambina cresciuta. E in quel momento non sembra neppure essere lì con la testa, con quella capacità che hanno i bambini di assentarsi dal mondo reale e vivere soltanto nel loro mondo. Non è lì perché c’è già stata e ha già sentito abbastanza male la prima volta. Ora spera solo che si sazino alla svelta quelle bestie e poi, domani mattina, prenderà il suo bambino e tornerà a Bangkok. Non le piace Bangkok, ma almeno là c’è qualcuno che l’aspetta e che potrebbe sorprenderla. Non ha più molte illusioni, a dire il vero, neppure quella di divenire ricca. Chiude gli occhi e vorrebbe addormentarsi lì per dimenticare la vita. La campagna thailandese è piena di giovani come Kate: donne e uomini che, per una ragione o un’altra, dovranno uscire dal meccanismo agreste ed entrare nella macchina metropolitana. I criteri di selezione e uscita dipendono e mutano a seconda dell’attività che il giovane intraprenderà nella metropoli. Se sei destinato al mercato della prostituzione, devi essere attraente. E Kate lo è, senza ombra di dubbio.

    Una comune alba bangkokkina

    C’è chi dice che la Thailandia non è Bangkok e che Bangkok non è la Thailandia. Niente di più vero se la si guarda con gli occhi di uno spettatore neutrale e poco informato. Forse sarebbe meglio dire che la Thailandia ha un bubbone malefico e bellissimo che si chiama Bangkok e Bangkok è quel letamaio indefinito e luccicante con tante piccole Thailandie incastonate. Bangkok si alza ogni mattina senza essere andata mai a dormire, come un sonnambulo indaffarato tra mille cose da fare e che, con certezza, non finirà neppure quel giorno. E neppure il successivo. Bangkok è un mondo a sé, difficile, interculturale, caldo, afoso, tormentato dai monsoni. Illuminato, sempre. Una prigione insomma, dove non si sta per niente male. 

    A Bangkok c’è un virus che probabilmente è globalizzato, ma qui sembra particolarmente libero e aggressivo. Questo virus ha infettato le verdi campagne thailandesi, che si ostinano a ostentare la loro intima bellezza, il candore di una vita sociale semplice e condivisa. Questo virus che accomuna i due mondi è la voglia di denaro, di un’esistenza ricca e sfarzosa. Il resto è povero corollario, eccezione che conferma la regola. Orde di giovani reclutate dal dio denaro si trasferiscono dalle campagne nella grande metropoli e divengono spesso preda della ricerca spasmodica di un’esistenza di rilievo che, però, per i più si tramuta in una life style prostitution. E poco importa se questo sogno lo abbia la contadinella piacente che si dà lo smalto alle unghie dei piedi nel suo fatiscente cesso. Nel suo cesso alla turca essa sogna a occhi aperti e vede solo un futuro diverso, non più illuminato da freddi neon dove festeggiano allegri sciami di insetti di ogni tipo e specie. Essa vede solo belle luci soffuse che illuminano i suoi prossimi incontri romantici. Quando alza gli occhi ammira soffitti di legno intarsiati, là dove, immancabile, c’è l’eterno eternit. Anche se non lo sa, essa si comporta in maniera non molto differente dalla sua coetanea in carriera, appena laureatasi a pieni voti in una delle più agognate università thailandesi. Sembra già essersi dimenticata del valore della cultura, mentre siede in un lussuoso club di Ekkamai, sondando il terreno per possibili colpi grossi. Ed entrambe non sono così diverse dal ragazzetto belloccio che sfila a braccetto con il suo ricco farang. Dipende solo dalla lotteria della vita: dove sei nato, chi sono i tuoi genitori e come sei stato educato. Insomma dipende da quanto culo hai avuto già prima di nascere. Nessuno di loro si sente come merce in vendita: del resto la prostituzione è illegale in Thailandia. Ognuno insegue il sogno comune di uno splendido life style da sfoggiare su Facebook o Instagram. E nessuno è immune da questo virus, tanto meno la vasta popolazione composta da immigrati ed espatriati che si adeguano più o meno agli usi e ai costumi locali. Dando, se è possibile, il peggio di sé. Del resto Bangkok è una megalopoli asiatica che si estende come un’onda concentrica di cento chilometri di diametro, sfiorando il golfo del Siam al suo estremo sud e perdendosi in accecanti scenari tropicali per tutti i suoi restanti punti cardinali: una città pressoché indefinibile e indecifrabile che oscilla tra l’ostentazione di una megalopoli del futuro e il perpetuare dei riti antichi importati dalle aree rurali. 

    A Bangkok c’è una via speciale che riassume ciò. Il suo nome è Soi Tanakan. Soi Tanakan respira l’aria del mare perché è ubicata vicino al porto. Essa si sviluppa in un intricato dedalo di viuzze hardcore popolate da un’umanità che vive alla giornata, ma sempre rispettosa, o quasi, di quello che il destino le ha assegnato. Soi Tanakan è la prima periferia di una grande città, con il suo grande magazzino scintillante di luci, pullulato di merci, commesse sorridenti e immagini che promettono una vita signorile per tutti. Che questo sia un palese inganno lo si legge negli occhi dei bambini tenuti per mano da poveri cristi che hanno gli occhi simili ai cani randagi che gli gironzolano intorno e senza meta, azzuffandosi per qualche rifiuto ammassato vicino al consueto canale putrescente. In Soi Tanakan spesso vivono esseri umani che sovente parlano a bassa voce esplodendo in sonore risate ed evitando di dirsi cose importanti perché la vita, per loro, è solo in quel momento e non vale certo la pena di renderla ancora più penosa. Di fatto Soi Tanakan non è il vero nome della nostra via. Il suo vero nome è Soi Phrakanong in onore a qualche asceta buddista che un tempo aveva vissuto in qualche Soi Tanakan qualsiasi e che poi si è stancato di quel fatuo brillare preferendo il luccicare autentico delle grosse stelle nel silenzio di qualche tempio immerso nella natura. Tanankan in thailandese significa banca e il nuovo nome nasce dal fatto che tutti sanno che quella via è proprietà esclusiva di una banca locale, nota per essere spietatamente aggressiva. 

    Bob

    È l’alba e i neon pubblici e privati che colorano la via di un verdolino sporco si stanno spegnendo. La luce del giorno appare d’incanto. A dispetto dell’ora mattutina molte persone stano già animando la strada. Un mendicante senza gambe striscia sorridendo verso casa. Dalla sua espressione soddisfatta sembra aver avuto una buona nottata di elemosina. Un vecchietto in canottiera sta portando a mano la sua bicicletta. Due transessuali vestiti a festa sgambettano esageratamente mettendo in mostra le lunghe gambe. Ridono scompostamente delle loro avventure notturne: i fumi dell’alcool non sono ancora evaporati del tutto. Un monaco incrocia i loro sguardi che, per un istante, si fanno seri e rispettosi. Questi si fermano davanti al monaco e portano le mani giunte a coprire i loro bei visi in segno di rispettoso saluto. Il monaco continua a guardarli con un’aria di strana incertezza. Dopo pochi secondi abbassa la sua testa e rivolge il suo sguardo a terra, dove alcune vecchiette stanno attendendolo inginocchiate con le loro generose offerte mattutine. Esse porgono le offerte a un assistente del monaco, il quale le immerge in una larga borsa color arancione che tiene a tracolla, mentre il monaco medesimo inizia a cantilenare una preghiera buddista.

    Molti uccelli cinguettano rumorosamente facendo da corollario a un fuggi fuggi generale di scoiattoli in perfetto equilibrio su grossi fili elettrici. Un operaio issato a districarne qualche matassa li contempla sorridente. È presto, ma di solito Soi Tanakan si popola rapidamente e oggi sembra anche più velocemente del solito.

    Improvvisamente si apre la porta di un locale a luci rosse dal quale viene lanciato un uomo, come in un qualsiasi film americano che si rispetti. Il tipo cade a terra sonoramente. I suoi lanciatori, probabilmente proprietari e impiegati del locale, ridono sulla porta. L’uomo si chiama Bob ed è un cliente di lungo corso. Dal trattamento subito non sembra proprio essere un cliente a cui il locale paia affezionato particolarmente, ma i thailandesi che lavorano in quel business sono più legati ad altre cose. Bob è un espatriato di lungo corso o, forse, sarebbe meglio dire un immigrato di lusso, non appartenendo a quella categoria di impiegati inviati da un’azienda straniera nella propria filiale thailandese. Come per molti la sua storia con la Thailandia avrebbe potuto iniziare così, per peggiorare poi col passare degli anni. In realtà la storia di Bob è molto più complessa. Egli è un cittadino italiano con un passato difficile. Abbandonato dai genitori all’età di tre anni, fu affidato a un’altra famiglia locale. Bob era tuttavia un ragazzo difficile e ai primi sintomi di ribellione la nuova famiglia iniziò a trascurarlo sino ad abbandonarlo per una seconda volta. Il cinese, come veniva scherzosamente chiamato dai compagni di classe, mantenne il suo cognome anche quando entrò nel tunnel della droga. Nel suo status di tossicodipendente iniziò, a quel punto, un via vai senza fine tra carceri, case famiglia, centri di recupero, insomma, un po’ tutto

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