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La concezione dell'immaginario in Jacques Lacan
La concezione dell'immaginario in Jacques Lacan
La concezione dell'immaginario in Jacques Lacan
E-book367 pagine5 ore

La concezione dell'immaginario in Jacques Lacan

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Info su questo ebook

Si tratta di un'analisi dei temi dell'immagine e dell'immaginario nella psicologia classica e nella psicoanalisi, con particolare riferimento alla nozione lacaniana di "immaginario". Il lavoro traccia un quadro delle relazioni che intercorrono tra la nozione di "immaginario" e quelle di "simbolico" e "reale" nel modello lacaniano. È un lavoro risalente al 1982, poco tempo dopo la scomparsa di Lacan, che forse però è ancora in grado di apportare qualche lume a riguardo della concezione lacaniana dell'immaginario e che, soprattutto, permette di lanciare uno sguardo sulla letteratura di quegli anni relativa al grande psicanalista francese e alla psicanalisi in generale.
LinguaItaliano
EditoreGuypub
Data di uscita19 giu 2020
ISBN9788835851585
La concezione dell'immaginario in Jacques Lacan

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    La concezione dell'immaginario in Jacques Lacan - Guido Pagano

    Guido Pagano

    LA CONCEZIONE DELL'IMMAGINARIO IN JACQUES LACAN

    UUID: 52586a75-ad88-4441-92e8-58416cfbb4ea

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

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    Indice dei contenuti

    AVVERTENZA

    I N T R O D U Z I O N E

    CAPITOLO 1 - IMMAGINAZIONE E REALTÀ NELLA PSICOLOGIA CLASSICA E NELLA PSICOANALISI

    1.1. Premessa.

    1.2. I presupposti filosofici delle analisi della psicologia classica.

    1.3. L’immaginazione tra sensibilità e intelletto in Aristotele.

    1.4. Dal razionalismo al realismo ingenuo.

    1.5. Dalla concezione positivistica alla critica fenomenologica della psicologia classica.

    1.6. La concezione sartriana dell’immaginario come nullificazione.

    1.7. Fenomenologia e psicoanalisi.

    Conclusioni

    NOTE AL CAP. 1

    CAPITOLO 2 - IMMAGINAZIONE E REALTÀ PSICHICA NELLA DOTTRINA PSICOANALITICA

    2.1. Le nozioni di fantasia e di fantasma in rapporto al desiderio inconscio e alla pulsione.

    2.2. Fantasma e simbolo in Melanie Klein e in Jacques Lacan.

    NOTE AL CAP. 2

    CAPITOLO 3 - LA CONOSCENZA PARANOICA E L'INTERPRETAZIONE LACANIANA DEL NARCISISMO: DALLA RICERCA DELL'UNITÀ ALLA FRAMMENTAZIONE

    3.1. Premessa.

    3.2. La teoria della personalità e la psicosi paranoica: il caso di Aimée.

    3.3. Christine e Léa Papin: la cattiva distanza.

    3.4. Il misconoscimento come struttura paranoica della coscienza.

    3.5. La captazione speculare e l' intersoggettività immaginaria.

    3.6. Il narcisismo e l’Io. La duplicazione rappresentativa in Freud e Lacan.

    NOTE AL CAP. 3

    CAPITOLO 4 - L' AL DI LÀ DELLO SPECCHIO: SUBORDINAZIONE DELL'IMMAGINARIO AL SIMBOLICO

    4.1. Anteriorità logica della mediazione simbolica rispetto all' identità immaginaria

    4.2. L'immaginario come occultamento della struttura e funzione dell' Altro nella determinazione del soggetto.

    4.3. La negazione.

    4.4. Logica del significante ed elementi fondamentali della struttura.

    4.5. L'oggetto (a) e la struttura del fantasma.

    NOTE AL CAP. 4

    CAPITOLO 5 - L'INTERPRETAZIONE LACANIANA DELL'EDIPO E LA STRUTTURA DELL'ORDINE INCONSCIO

    5.1. Premessa.

    5.2. L'Edipo come assunzione soggettiva dell'ordine simbolico.

    5.3. Mancanza d'oggetto, fallo e metafora.

    5.4. La significanza.

    5.5. Statuto dell'inconscio.

    5.6. La pulsione e la lettera: genesi e struttura dell'ordine inconscio.

    NOTE AL CAP. 5

    CONCLUSIONI

    NOTE ALLE CONCLUSIONI

    OPERE CONSULTATE

    NOTA SULL'AUTORE

    AVVERTENZA

    Un lavoro che risale al 1982 ma che forse è ancora in grado di apportare qualche lume a riguardo della concezione lacaniana dell'immaginario e che, soprattutto, permette di lanciare uno sguardo sulla letteratura di quegli anni relativa al grande psicanalista francese e alla psicanalisi in generale.

    Guido Pagano

    I N T R O D U Z I O N E

    Ciò cui Freud mirava, la terra promessa che si augurava di raggiungere attraverso un cammino irto di difficoltà, di contraddizioni e di ambiguità, si può riassumere in poche parole: dare uno statuto scientifico alla psicoanalisi. Infatti, spinti dallo scetticismo con cui la scienza ufficiale ha sempre circondato il pensiero psicoanalitico, molti di coloro che si sono avviati sulla strada che egli aveva aperto, si sono trovati invariabilmente impegnati nel tentativo di rispondere coerentemente a quel voto. Ma una scienza, per essere tale, deve innanzi tutto definire rigorosamente il suo oggetto. Cosicché gli psicanalisti hanno dovuto misurarsi con un autentico dilemma: definire l' inoggettivabile, elaborare una teoria dell'inconscio Lacan non si è sottratto a quest'impresa e al paradosso che sembra comportare, tanto che il suo "ritorno a Freud è percorso, dall'inizio alla fine, da un'evidente esigenza di chiarificazione concettuale della psicoanalisi, da un'ansia di rigore epistemologico. Tuttavia, egli è consapevole di non poter fondare una teoria dell'inconscio né sull'oggettivismo naturalistico della psicologia classica né sulla nozione di soggetto propria della filosofia.

    Come è noto Freud fa un grande impiego dei termini di rappresentazione e di immagine. Tuttavia ci si avvede immediatamente che egli è ben lungi dall'intendere questi concetti secondo i criteri della psicologia classica, la quale ne fa delle semplici riproduzioni psichiche di percezioni non più in atto implicate in una meccanica associativa. La teoria freudiana, secondo Lacan, non ha nulla a che vedere con le idee dell'associazionismo fondate sul primato della conoscenza-copia che, come ho tentato di evidenziare nel primo capitolo, domina una gran parte del pensiero psicologico contemporaneo della psicoanalisi. Per la psicoanalisi la rappresentazione nasce da un' intenzionalità soggettiva le cui produzioni non si riferiscono ad una realtà materiale ma ad una realtà psichica. Si tratterà allora forse di collegare la teoria freudiana agli sviluppi del pensiero fenomenologico in cui l'intenzionalità assume un rilievo di primo piano? Mi è parso a questo riguardo interessante considerare, in opposizione al realismo ingenuo della psicologia di ascendenza empirista, la concezione della rappresentazione e dell'immagine elaborata dalla fenomenologia e in special modo da Sartre. Per il fenomenologo l'immagine mentale ha assunto chiaramente i caratteri della spontaneità e della libertà. Essa, tuttavia, non può prescindere dalla coscienza, sia pure una coscienza pre riflessiva le cui caratteristiche intenzionali sono reperite per mezzo di un'intuizione trascendentale che ne illumina l'essenza. L'esistenza di una modalità inconscia della rappresentazione è inaccettabile al pensiero fenomenologico. La rappresentazione non è certamente, per il fenomenologo la copia della cosa; ciò nondimeno essa non può essere concepita al di fuori dell'atto intenzionale mediante cui la coscienza si trascende.

    Lacan è perfettamente concorde con la fenomenologia quando questa afferma che il rapporto con le cose non è passiva recezione di stimoli o incontro con un'essenza metafisica, ma è sempre interno ad un orizzonte di senso. Tuttavia la fenomenologia, privilegiando il rapporto noetico-trascendentale del soggetto con l'essere, non gli sembra adeguata a rendere conto della specificità del soggetto freudiano, la cui intenzionalità, secondo Lacan, è soprattutto un'intenzionalità desiderante. La rappresentazione in Freud, egli sostiene, non è un atto conoscitivo ma una proiezione di desiderio.

    Nel secondo capitolo ho quindi ritenuto opportuno interrogare il concetto di immagine o fantasia nel testo freudiano, seguendone gli sviluppi in rapporto al desiderio e alla pulsione. Mi sono in special modo orientato sul problema della relazione fra rappresentazione pulsionale e oggetto. A questo punto non si è potuto prescindere dal chiamare in causa le prestigiose ricerche di Melanie Klein. Un'autrice che, più di altri, ha sottolineato come la pulsione non abbia un correlato oggettivo reperibile in una qualche realtà effettiva, ma si indirizzi essenzialmente su un oggetto interno, fantasmatico. E' forse lecito sostenere che, per la Klein, la pulsione non sia diversa dalla rappresentazione fantasmatica, coincidendo con questa. E' su questi aspetti che Lacan dirige l'attenzione: l'intenzionalità soggettiva gli appare come elaborazione di rappresentanti o segni che esprimono la struttura del desiderio. Ma se, per Melanie Klein, l'immaginario era costituito da un mondo interiore così vivo da possedere quasi la pregnanza di una realtà, Lacan ne sottolinea essenzialmente il valore logico-formale di rappresentanza.

    Il terzo capitolo ripercorre le tappe fondamentali attraverso cui Lacan perviene, indagando i fenomeni della psicosi paranoica, a formulare la teoria dell'immaginario che sarà alla base dell'interpretazione del narcisismo. Il caso di Aimée, su cui egli elabora la sua tesi di dottorato, gli permette un'osservazione esemplare delle strutture dell'immaginazione paranoica, che si rivela fondata su un'identificazione non riconosciuta con l'altro, con il persecutore. Da questa base Lacan perverrà a riconoscere la struttura fondamentalmente paranoica di ogni conoscenza umana, costituentesi sull'identificazione con il simile e sul misconoscimento. Quella che è nota come la personalità, cioè l'identificazione egoica, non è che un caso della peculiare modalità conoscitiva mediante la quale il soggetto umano struttura psichicamente il proprio corpo. Essa si costituisce, a partire dal primo anno di vita, in conformità ad una proiezione speculare dell'intenzionalità su una forma corporea reperita all'esterno nell'immagine dell'altro. Si tratta di una proiezione visiva volta ad anticipare una padronanza psico-motoria ancora carente e sfasata rispetto alla capacità, già più sviluppata, di strutturazione della visione. L'essenziale di questo moto identificatorio verso una rappresentazione immaginaria di sé è, per Lacan, l'alienazione che ne risulta. Alienazione che egli indicherà come Il prototipo primordiale di una vera e propria captazione nelle maglie di un universo simbolico il cui potere di determinazione sul soggetto è indisponibile ad ogni comprensione cosciente. L'identificazione speculare, a causa del carattere transitivo e confusivo, nasconde al soggetto la sua vera struttura. Giacché egli crede all'immagine in cui è catturato, la ritiene la sua verità non riconoscendone la funzione puramente rappresentativa o significante. L'immaginario lacaniano è il luogo della falsa evidenza, della vanità del riflesso allo specchio, dei miraggi, delle illusioni, della pretesa della coscienza all’autodeterminazione, di tutti i misconoscimenti che costituiscono l'Io come vero e proprio proton pseudos.

    Il quarto capitolo si spinge al di là dello specchio, verso quella che Lacan designa come la verità freudiana: l'inconscio. E' qui che il soggetto riceve la sua vera determinazione nonostante che questo luogo sia l' assolutamente Altro dalla coscienza. Ma perché questo luogo conservi la sua estraneità al pensiero cosciente, rifiutandosi ad ogni compromesso psicologico, bisogna concepirlo come retto da leggi altre da quelle che governano la coscienza: le leggi del significante.

    Per Lacan l'analisi dell'inconscio è anzitutto analisi di un oggetto linguistico. Ma l'unico modo di concepire un linguaggio inconscio è quello di sradicarlo dal dominio del significato, categoria, questa, troppo in sospetto di essere inseparabile dal pensiero cosciente. Così Lacan ipotizza una macchina logica fondata sulla combinatoria della pura e semplice materialità del significante. Si tratta di una zona del linguaggio estranea al pensiero, qualcosa che determina il soggetto senza tuttavia situarsi in esso, un centro esterno al discorso dell'Io.

    A strutturare questa zona inconscia sono i meccanismi di sostituzione e combinazione che lavorano la fisico-sensorialità del significante, seguendo percorsi e istituendo reticoli indipendenti da ogni riferimento al significato. Gli effetti di senso sono prodotti dal puro gioco letterale, dal cortocircuito di determinazioni multiple, che non saprebbero ancorarsi ad una significazione univoca, poiché il loro motore è una mancanza di referenza indotta della struttura stessa del linguaggio che uccide la cosa nel nominarla. Mancanza che si eternizza in una circolarità tautologica, facendosi desiderio insaziabile e ripetitivamente insistente nelle lacune del discorso conscio. Ritroviamo cosi la coazione a ripetere, i ritorni dissociativi del rimosso, le formazioni di compromesso del sintomo, del sogno, dell'atto mancato, le astuzie dell'inconscio nel condensare e nello spostare (che Lacan traduce linguisticamente come effetti metaforici e metonimici: il tutto sospeso alla causalità strutturale del linguaggio, alla logica del significante. Allora tutte le categorie freudiane vanno riviste alla luce di questa radicale interpretazione linguistica. Intorno alla barra che, nella costruzione lacaniana, spezza irrimediabilmente il segno saussuriano, si articolano: l'Edipo e la rimozione, mediante i quali si attua l'assunzione soggettiva della mancanza e si istituisce il dominio separato dell'inconscio; la pulsione, interpretata come istante di fissazione della lettera o circuito logico del taglio significante; l'oggetto, che diventa punto di dissolvenza, scarto fatto di nulla, vuoto eternamente ricoperto dal fantasma; il fallo, significante per eccellenza della mancanza, elemento astratto, puro differenziale che articola l'ordine del linguaggio, giunzione paradossale dell'alternativa binaria. Questo raffronto con le categorie freudiane è quanto ho cercato di istituire nel quinto capitolo.

    In conclusione era d’obbligo una piccola rassegna critica, specificatamente psicoanalitica, che toccasse alcune posizioni chiave della teoria lacaniana: l'esclusione dell'affettività, la liquidazione del significato, l'eccessiva centralità dell'ordine linguistico rispetto ad altre strutture sociali. Per quanto riguarda questi punti mi sono affidato alle critiche di Green, Fornari e Lorenzer. Infine, sebbene disconosciute dall'autore, non potevano passare sotto silenzio le risonanze filosofiche dell'interpretazione lacaniana. Mi sono valso a questo proposito delle interessanti osservazioni di Francioni e di Galati, che non posso non condividere. Alcune osservazioni personali sono state inserite riguardo ai rapporti fra il pensiero lacaniano e l'ermeneutica heideggeriana, prima di passare a considerare brevemente la strategia discorsiva di Lacan, sulla base dell'originale lettura proposta da Nancy e Lacoue-Labarthe.

    CAPITOLO 1 - IMMAGINAZIONE E REALTÀ NELLA PSICOLOGIA CLASSICA E NELLA PSICOANALISI

    1.1. Premessa.

    E' indispensabile, in una qualsiasi trattazione intorno alla teoria lacaniana dell’immaginario, tenere conto della stretta articolazione esistente tra questa nozione e quelle di simbolico e di reale.

    Tuttavia, prima di passare all'analisi della funzione logica assegnata, da Lacan, all’immaginario e di considerarne la relazione con le altre dimensioni della struttura, tenteremo di mettere a fuoco la problematica sottesa alle nozioni di immagine e di immaginazione nella psicologia classica, porremo quindi, a confronto tale problematica con l'elaborazione psicoanalitica del concetto di immagine, per capire quali intuizioni spingano Lacan a ritenerle radicalmente differenti.

    A questo fine, evitando di soffermarci sulle particolarità di ogni posizione teorica, occorrerà delineare rapidamente il filo conduttore, il presupposto fondamentale che sorregge la riflessione sull'immagine come rappresentazione mentale, dall'associazionismo alla fenomenologia. E' chiaro che l'attenzione sarà, in massima parte, diretta sul contributo originale che la teoria lacaniana apporta al tema dell'immaginazione, attraverso un'esegesi interpretativa dei meccanismi freudiani ed in special modo del concetto di Vorstellung (rappresentazione).

    La radicale svolta epistemologica, il ribaltamento concettuale, che Lacan legge nella scoperta freudiana, sono centrali nel determinare il mutamento di prospettiva che si impone allo studio psicoanalitico della rappresentazione. Mettendo in questione le implicite ed ingenue premesse filosofiche su cui poggiava il sapere scientifico di stampo positivistico, il campo epistemologico aperto da Freud (nonostante l'aspetto scientistico di molti suoi concetti) costituisce, secondo Lacan, una vera e propria frattura rivoluzionaria. Attingendo a piene mani (talvolta fino alla distorsione) ai modelli concettuali dello strutturalismo, dell'etnologia, della linguistica, della logica e della teoria dei giochi, l'esegesi lacaniana del testo di Freud intende restituirne la grande novità rispetto alla tradizione razionalistico-metafisica del pensiero occidentale. Infatti il concetto di immaginario non si pone semplicemente come un'ulteriore teoria dell'immaginazione, ma mette in questione il modo stesso di concepire l'uomo e le forme di sapere che, da più di un secolo, lo hanno costituito come oggetto.

    La psicologia, proprio nel momento in cui si costituisce come scienza sperimentale e positiva, si impedisce, sostiene Lacan, la comprensione del soggetto umano, confinandolo in un mondo reificato di formule neurofisiologiche o riducendolo all'evidenza di un pensiero puro, entità metafisica il cui rapporto con il dato sensibile è fonte di problemi irrisolvibili. Il progetto lacaniano di ritornare al nucleo più vero della dottrina di Freud, coincide con un rifiuto della reintroduzione nella psicoanalisi di categorie appartenenti alla psicologia prefreudiana.

    Vedremo infatti che, proprio sul terreno della immaginazione, si fa palese la debolezza formale delle analisi della psicologia scolastica, le quali portano ad obiettivare il soggetto, inserendolo in un contesto concettuale ibrido, costruito in base ai paradigmi teorici della fisica e della biologia .

    Se troviamo ancora, nella teoria psicoanalitica, dei residui meccanicistici e sostanzialistici, non sono, a detta di Lacan, che supporti di cui Freud non poté fare a meno di servirsi in mancanza di nuovi modelli concettuali.

    La verità della psicoanalisi deve essere intesa al di là delle apparenti riduzioni a cui Freud fu costretto, le quali, se mal interpretate, rischiano di occultare il carattere innovativo della dottrina. Ci sembra giusto, dunque, collocare la concezione del l'immaginario nel più generale progetto lacaniano di fondare un'epistemologia del soggetto, prendendo le mosse da quell'istanza critica e sovversiva, che egli oppone allo scientismo razionalistico, a partire dalle argomentazioni husserliane della Krisis e dall'esistenzialismo heideggeriano nella sua prospettiva ontologica.

    1.2. I presupposti filosofici delle analisi della psicologia classica.

    Nella misura in cui si svincola dall'immediatezza dell'istante e dalla fatticità del dato, rapportandosi al mondo nei modi della memoria e dell'anticipazione, la coscienza immaginativa partecipa al processo di conoscenza della realtà, ma, nello stesso tempo si emancipa rispetto dalla sensibilità, per spingersi talvolta fino agli ambiti della finzione, del gioco, dell'invenzione artistica o della fascinazione onirica.

    Nelle filosofie razionalistiche, su cui si fonda lo spirito scientifico moderno, l'immaginazione si trova generalmente ricondotta alla facoltà di riprodurre psichicamente l'impressione materiale; mentre, all'interno della tradizione che va dal neoplatonismo al romanticismo, è per lo più intesa come rivelazione dell'essere ed elevazione verso il sublime, non specchio del mondo dato ma espressione dell'ineffabile. A questa perpetua oscillazione tra una funzione gregaria della razionalità discorsiva ed una modalità di accesso ad una verità più profonda di quella razionale, si è aggiunta, sostiene Vattimo, una concezione, caratteristica della cultura del novecento, secondo cui l'immaginazione:

    non necessariamente corrisponde, con le sue invenzioni, a una più profonda sostanza delle cose. Se un discorso di maggior verità ancora si fa a proposito dell'immaginazione, esso è per lo più legato al fatto che l'attività immaginativa appare più vera in quanto espressione più completa del soggetto (1).

    Nella nostra epoca il ricorso all'immaginazione non è mobilitato da un impulso metafisico, ma si presenta come rivendicazione dell'interesse per questi aspetti della soggettività (il corpo, i sentimenti, le inclinazioni, i fantasmi dell'inconscio) che la ragione tecnico-scientifica ha spesso relegato nell'insignificante.

    Non è nostra intenzione ripercorrere le vicissitudini del concetto di immaginazione mediante una ricostruzione storiografica, poiché non lo riteniamo pertinente con il nostro proposito di riferirci all’ambito della psicologia scientifica. Ci limiteremo, quindi, all'analisi più schematica possibile di alcuni autori, presso i quali si evidenzia l'impostazione filosofica, che costituisce la base su cui si fondano gran parte delle teorie psicologiche più o meno contemporanee alla psicoanalisi.

    1.3. L’immaginazione tra sensibilità e intelletto in Aristotele.

    Coincidente con la memoria, l'immaginazione o phantasia si presenta, nella dottrina aristotelica, in posizione intermedia tra l'apparenza sensibile e il concetto. Essa è dotata della facoltà di conservare nell'anima una traccia della sensazione quando questa non è più in atto. Non si tratta, tuttavia, di una mera registrazione o ripetizione come nella metafora assai nota del sigillo sulla tavoletta di cera, bensì di una attività che ha in se un rudimentale principio organizzativo. Analogamente ai sensi che, per Aristotele, possiedono già una certa capacità di conformarsi alle cose, l'immaginazione:

    non conserva solo le tracce di ciò che è stato percepito ma, sempre secondo una sorta di legge di inerzia, continua a muoversi in un determinato modo conformandosi secondo certe forme, anche quando l'oggetto che ha stimolato questo movimento non è più presente (2) .

    La fantasia non si limita alla sola recezione ma comporta una funzione attiva nel costituire il percepito. Essa collega le sensazioni specifiche di ogni senso agli oggetti particolari cui sono inerenti tramite nessi associativi. Come fa notare Vattimo, le leggi in base alle quali si compie il gioco associativo non sono diverse da quelle formulate dalla psicologia moderna: somiglianza, contrarietà, e contiguità. La mobilità e la relativa indipendenza dal dato sensoriale chiariscono la ragione per cui, qualora non più temperata dalla presenza attuale della sensazione e dell'intelletto (come nel sonno, nella malattia o sotto l'influsso delle passioni), la facoltà immaginativa tende ad agire in modo sregolato generando ogni sorta di inganno. Nel suo funzionamento corretto, l'immaginazione-memoria ha un ruolo basilare nell'elaborazione del concetto; l'immagine è, secondo Aristotele, indispensabile al pensiero; essa costituisce, mediante il lavoro dell'associazione, una sorta di universale sensibile che funge da sostegno all'atto intellettuale.

    Nonostante tutto l'immaginazione non può competere con l'efficacia conoscitiva dell'intelletto agente, il solo che, non essendo invischiato nelle apparenze del sensibile in virtù della sua separatezza, sia in grado di afferrare l'intima essenza del reale. La fantasia, dunque, è ancora troppo vicina al polo materiale e, pur essendo necessaria, rimane decisamente subordinata al disegno dell'intelligenza. E' decisamente interessante quanto afferma Starobinsky a proposito della posizione ambigua dell'immaginazione :

    facoltà intermedia tra il sentire e il pensare, l'immagine (secondo la comune teoria classica) non possiede l'evidenza della sensazione diretta, né la coerenza logica del ragionamento astratto in quanto il suo campo è il parere e non l’ essere. La sua posizione intermedia fa sì che essa non sia un punto di partenza effettivo né un punto di approdo legittimo: seconda e derivata rispetto alla sensazione essa precede l'attività dell'intelligenza che deve riprenderla sotto il proprio controllo. L'immaginato non ha la consistenza ontologica dell'oggetto percepito né quella dell'essenza ideale: per l'uomo che voglia esercitare pienamente tutte le sue facoltà, l'immaginazione è un passaggio, un'operazione transitoria (3) .

    La facoltà immaginativa presenta, dunque, in Aristotele, due aspetti :

    Essa assume una funzione adattiva. In quanto inizio di conoscenza del reale, costituisce una prima appropriazione significativa del mondo. Sotto questo punto di vista è sia riproduttiva che organizzativa. Tuttavia, in molti casi

    manifesta una sorta di autonomia, di spontaneità folle che produce associazioni incoerenti ed estranee alle leggi della razionalità. Nell'isolamento del sonno o dietro la spinta delle passioni, sembra esprimere una interiorità popolata da forme che sfuggono alla cognizione e alla volontà del soggetto.

    In quanto momento del processo conoscitivo (seppure allo stato di abbozzo), Aristotele privilegia senz'altro il primo aspetto. Questo sarà la base sulla quale le filosofie razionalistiche, interessate alla fondazione del metodo scientifico, elaboreranno la nozione di immaginazione. Esse tenderanno sempre più ad escludere il secondo aspetto, considerandolo un incomprensibile epifenomeno e, all'interno del primo, saranno portate a riferire l'immaginazione al versante materiale dell'inerzia e della passività, in opposizione all'idealità del concetto.

    1.4. Dal razionalismo al realismo ingenuo.

    Nel 1936, Sartre, indagando sull'atteggiamento filosofico sotteso agli studi psicologici relativi al fenomeno immaginativo, ne rinveniva i presupposti fondamentali in quattro grandi metafisici: Descartes, Spinoza, Leibniz e Hume. Nonostante i disaccordi teoretici sul problema della relazione che intrattiene con il pensiero, l'immagine conserva, presso questi filosofi, una identica struttura. Essa è concepita come la permanenza inerziale di un'eccitazione antecedente, una sorta di persistenza affievolita dell’impressione sensoriale. La sua caratteristica di sensibile degradato, di reviviscenza debole del percepito, ne fa una copia dell'oggetto che, di questo, possiede nello psichismo lo stesso modo di esistenza.

    In Descartes l'immagine è separata dall'intelletto e posta fra le realtà corporee:

    l'immagine è una cosa corporea, è il prodotto dell'azione dei corpi esterni sul nostro proprio corpo tramite i sensi e i nervi. Materia e coscienza si escludono a vicenda e l'immagine, essendo localizzata materialmente in qualche parte del cervello, non potrebbe essere animata di coscienza. E' un oggetto, alla stessa stregua degli oggetti esterni, è esattamente il limite dell'esteriorità. (4)

    Soltanto l'intervento dell'intelletto può trasformare l'impressione materiale in coscienza di immagine, ed esso solo permette di decidere la corrispondenza fra queste attività meccaniche, le immagini, che appartengono come gli altri corpi, al mondo delle cose dubitabili (5) e la realtà esistente. Tuttavia l'immagine, pur non essendo niente di più che un movimento cerebrale, sembra dotata della capacità di far sorgere le idee, il cui rapporto con la realtà corporea dell'individuo rimane però non pienamente comprensibile, ma attestato, in qualche modo, da un sentimento non ingannevole fondato sulla finalità divina.

    In modo ancora più energico, Spinoza considera il mondo immaginativo assolutamente illusorio e sviante rispetto all'organo della conoscenza vera che è l’intelletto. Fintanto che l'anima è contaminata dalle affezioni esteriori (corporee) percepisce in modo confuso e delirante. Il pensiero può conoscere l'intima essenza delle cose e la propria vera determinazione, solo a partire dalla pura necessità logica :

    Dico espressamente che di sé, del suo corpo e dei corpi esterni la mente non ha conoscenza adeguata, ma solo confusa, tutte le volte che percepisce le cose secondo il comune ordine della natura, cioè tutte le volte che è determinata a contemplare questo o quello esternamente, dal fortuito incontro con le cose, e non quelle volte che è determinata internamente. (6)

    Anche per Descartes è la chiarezza intellettuale ad illuminarci sulla realtà o la fallacia dell'immagine (soggetta al dubbio), in quanto solo il pensiero puro, distinto dal corpo, è l'indubitabile. Ma la certezza scientifica, la verità del metodo, devono fondarsi su di una garanzia di corrispondenza con il reale fornita esclusivamente da Dio. In Spinoza, invece, il criterio di verificazione esula da una siffatta garanzia ritenuta una proiezione mistificante. Egli ritiene che la verità sia tale intrinsecamente, non potendo aver rapporto con l'esteriorità che, come tale, è illusione e non sostanza estesa. L'immaginazione si risolve nel puro riflesso condizionato (7), pura concatenazione delle affezioni del corpo, mentre il ragionamento veridico concatena i pensieri secondo una necessità interna. Se però in Descartes la relazione tra immagine e pensiero è piuttosto forzata, e non riesce ad emancipare la prima dalla sua localizzazione negli spiriti animali, presso Spinoza, alla fine, essa partecipa dell'essere (seppure in forma degradata), in quanto la sua dimensione estensiva è pur sempre, oltre al pensiero, un attributo della causa assoluta, della Sostanza Divina.

    Leibniz tenta in modo più esplicito di restituire all'immagine un potere conoscitivo, una partecipazione al mondo intelligibile, assimilandola ad un pensiero confuso, ancora opaco, che contiene le idee chiare a livello potenziale, in uno stato di incoscienza che solo l'appercezione razionale può illuminare. Così facendo, sostiene Sartre, egli agisce conformemente alla dottrina metafisica delle verità di diritto, per cui ogni contingenza umana deve appartenere ad una dimensione di necessità nella mente divina, ma, come fatto psicologico, anche Leibniz considera l'immagine alla stessa stregua di un oggetto empirico, immerso nella medesima opacità della materia.

    Hume, radicalizzando lo scetticismo insito nell'empirismo lockiano, nel tentativo di eliminare la sostanzialità della res cogitans, riduce tutto il pensiero al dato psicologico, e fa del mondo empirico dell'immagine l'unico ambito in cui agisce la mente umana.

    Nella mente esistono solo impressioni e copie di queste impressioni, che sono le idee e che si conservano in essa con una specie di inerzia... Le immagini sono collegate mediante relazioni di contiguità e di somiglianza che agiscono come forze date; si riuniscono secondo attrazioni per metà meccaniche e per metà magiche. La somiglianza di certe immagini ci permette di attribuire ad esse un nome comune che ci porta a credere alla esistenza dell'idea generale corrispondente benché solo l'insieme delle immagini sia reale ed esista in potenza nel nome. (8)

    La teoria empirista della conoscenza attribuisce all'immagine la stessa natura della percezione e ne fa, di conseguenza, un'impressione elementare, puramente passiva, proveniente ai sensi dall'esterno, deposito inerte di una modificazione sensoriale. La permanenza puntuale della sensazione al di là della presenza attuale dell'oggetto percepito, quella che Sarte definisce specie di inerzia (non a caso è utilizzato un termine della meccanica), è un prototipo della facoltà rappresentativa del fenomeno della memo ria, ma rimane avvolta nell'automatismo dell'impressione materiale. All'atomismo

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