Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Psicanalisi e interpretazione letteraria
Psicanalisi e interpretazione letteraria
Psicanalisi e interpretazione letteraria
E-book577 pagine8 ore

Psicanalisi e interpretazione letteraria

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Nella prima parte del volume troverete saggio sui rapporti tra psicanalisi e letteratura, corredato da un riferimento ai principali rappresentanti, in Italia, dei metodi critici variamente ispirati alla psicologia del profondo. Esso affronta alle radici il problema di quei rapporti e fornisce le motivazioni del mio modo di interpretare i testi letterari. I saggi leopardiani della seconda parte puntualizzano alcuni importanti aspetti del pensiero del poeta (il sentimentale, il religioso) e analizzano testi specifici, arricchendo con interpretazioni puntuali il mio libro Leopardi. La malinconia. I sondaggi sulla poesia e sul romanzo novecenteschi della terza e quarta parte non obbediscono a una rigida linea metodologica, dal momento che vanno, a seconda dei casi, da un’attenzione maggiore per il vissuto degli autori a una lettura più distaccata degli esiti espressivi. Per me la psicanalisi, infatti, non rappresenta un sistema di regole esplicative, ma un’offerta ermeneutica ad ampio raggio aperta sul mistero dell’inconscio, dell’inconoscibile, dell’altrove.
LinguaItaliano
EditoreJaca Book
Data di uscita11 mag 2021
ISBN9788816802117
Psicanalisi e interpretazione letteraria
Autore

Elio Gioanola

Elio Gioanola è nato a San Salvatore Monferrato (AL) nel 1934. Ha insegnato per trent’anni Letteratura italiana presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Genova. Con Jaca Book ha pubblicato, tra gli altri, i saggi Fenoglio. Il «libro grosso» in frantumi (2017); Manzoni. La prosa del mondo (2015, finalista al Premio Viareggio e vincitore del premio della critica); Montale. L’arte è la forma di vita di chi propriamente non vive (2011); Svevo’s story. Io non sono colui che visse, ma colui che descrissi (2009); Pirandello’s story. La vita o si vive o si scrive (2007); Psicanalisi e interpretazione letteraria (2005, ult. ed. 2017); Carlo Emilio Gadda. Topazi e altre gioie familiari (2004); Cesare Pavese. La realtà. l’altrove, il silenzio (2003); Giovanni Pascoli. Sentimenti filiali di un parricida (2000); Leopardi. La malinconia (1995, nuova ed. 2015), e i romanzi La malattia dell’altrove (2013); Giallo al Dipartimento di Psichiatria (2006); Martino De Nava ha visto la Madonna (2002); Ma l'amore no (2021). Sua anche La letteratura italiana (2016, in due tomi).

Leggi altro di Elio Gioanola

Autori correlati

Correlato a Psicanalisi e interpretazione letteraria

Ebook correlati

Critica letteraria per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Psicanalisi e interpretazione letteraria

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Psicanalisi e interpretazione letteraria - Elio Gioanola

    Parte prima

    PROSPETTIVA TEORICA

    Capitolo primo

    LA CRITICA PSICANALITICA

    La psicanalisi tra teoria delle nevrosi e teoria della cultura

    La psicanalisi è fin dalla sua origine, secondo le definizioni datane dallo stesso padre fondatore, un metodo di indagine dei fenomeni psichici e psicopatologici, un procedimento terapeutico delle nevrosi e una teoria metapsicologica. Soltanto la compresenza delle tre componenti indicate dà vita alla psicanalisi in quanto tale e dunque, all’inverso, nessuna delle componenti può prendere isolatamente il nome di psicanalisi. A maggior ragione la critica letteraria cosiddetta psicanalitica, o freudiana nel caso di dichiarata fedeltà alle teorie del fondatore, che deriva dalla componente meta-psicologica, non è mai psicanalisi, sia pure applicata, ma soltanto, secondo le parole di Giovanni Jervis, «esercitazione di una cultura derivata, a impronta psicanalitica»¹. Certo la psicanalisi è stata sempre, fin dalla scoperta freudiana del complesso di Edipo come motore della dinamica psichica, una teoria delle nevrosi strettamente intrecciata con una teoria della cultura. Di qui la legittimità di un’estensione della medesima alla sfera culturale in senso lato, e ai fenomeni artistici e letterari in senso specifico, ma con l’avvertenza che, in ogni caso, vengono a mancare quegli elementi di controllo che, nella psicanalisi in quanto tale, sono forniti dal metodo d’indagine e dai procedimenti tecnico-terapeutici. Da ciò viene la pura congetturalità delle indagini a impronta psicanalitica applicate alla letteratura e agli altri fenomeni culturali: infatti tali indagini si basano soltanto sull’analogia che, per esempio, un testo poetico presenta con eventi psichici come sogni, fantasie o sintomi. Da ciò viene anche la parzialità delle spiegazioni psicanalitiche, perché il modello di riferimento rimane ancorato ad una visione economico-pulsionale dello psichismo. Se per un verso la psicanalisi dichiara a buon diritto la sua competenza su tutto ciò che è umano, in quanto nulla sfugge alla dinamica profonda del desiderio, per un altro verso trova il suo scacco proprio nell’impossibilità di ridurre tutti i fenomeni culturali alle loro componenti arcaiche. La psicanalisi intende ricondurre tutto sotto la sua prospettiva, ma la prospettiva rimane parziale. Una critica letteraria di impronta psicanalitica, mentre adotta punti di vista e procedure della psicologia del profondo, non può dimenticarne la congetturalità e la parzialità nei confronti dei prodotti di cui si occupa, irriducibili alla pura economicità pulsionale. Se tale critica vuole essere una psicanalisi, o un equivalente della medesima, si condanna ad un duplice fallimento, mancandole insieme i tre requisiti configuranti la psicanalisi in quanto tale e la specificità necessaria ad ogni ermeneutica testuale, che deve rendere conto della qualità unica del testo analizzato.

    Ma se la psicanalisi è insieme una teoria delle nevrosi e una teoria della cultura, per cui non le è estraneo nulla di quanto è umano, non per questo si configura come un’ideologia in grado di fornire spiegazioni su tutto in base ad un preciso quadro concettuale. Se da un lato, infatti, Freud tende al determinismo positivistico, costruendo una specie di meccanica, o di idraulica, della mente, dall’altro con la sua stessa basilare nozione di inconscio scalza ogni possibilità di spiegazione in termini logico-scientifici dei fenomeni psichici. Il padre della psicanalisi si è trovato immediatamente di fronte all’impossibilità di una riduzione dello psichico al biologico e ha avuto a che fare non con problemi di fatto, ma con problemi di senso, per i quali non occorrevano spiegazioni, ma interpretazioni. Come dice Alfred Lorenzer, «il tipo di operazioni caratteristico dell’analisi va designato come un comprendere (Verstehen, non Erklären). La spiegazione entra nel processo conoscitivo che porta all’interpretazione solo in funzione sostitutiva»².

    In effetti la psicanalisi clinica può cominciare solo nel momento in cui il gioco puramente energetico delle forze psichiche affiora in formazioni di senso (linguistiche in senso lato), che diventano così passibili di interpretazione. Quindi già l’analisi clinica, a meno di non diventare ‘selvaggia’ con le sue pretese di spiegazione, costituisce un luogo ermeneutico, analogo a quello progettabile per l’interpretazione di un testo letterario. La prima ammonizione nei confronti di una critica di impianto psicanalitico è già proprio nella vocazione interpretativa della psicanalisi; già al livello clinico-terapeutico essa ha a che vedere con dei ‘testi’, non con delle nude forze. Dunque, non si tratta per tale critica di ridurre la complessità testuale al banale rinvenimento delle componenti psichiche (il solito complesso edipico, e l’angoscia di castrazione e il trauma infantile e così via), ma di mostrare l’azione attiva delle forze soggiacenti nella stoffa espressiva dell’opera, preservandone l’arcaico per non farne un feticcio formale e culturalistico, e rinunciando alle razionalizzazioni in chiave metapsicologica per non farne un mero pretesto di inerti tautologie.

    Nella sua vocazione ad interessarsi di ogni forma espressiva dell’umano, la psicanalisi collega strettamente tra loro manifestazioni direttamente psichiche o psicopatologiche e manifestazioni creative, sogni, fantasie ad occhi aperti, lapsus, motti di spirito, sintomi, miti, opere d’arte e di poesia, credenze religiose, tutto riconducendo alla matrice del desiderio inibito e frustrato. In questo senso Freud ha genialmente contribuito a smascherare la presenza del principio di piacere (o dell’istinto di morte) sotto tutte le razionalizzazioni o idealizzazioni. Malgrado però la riconduzione ad un’unica economia di tutte queste produzioni, Freud ha avuto sempre ben presente la questione del valore, che separa nettamente, per esempio, un sogno da una poesia: se è vero che una poetica è sempre anche un’erotica (già Platone ne aveva più che un sospetto), la prima non è riducibile alla seconda, perché di mezzo c’è il mistero, rimasto tale anche per il grande demistificatore, della creatività. Freud, com’è noto, ha avanzato in proposito il più misterioso dei suoi concetti metapsicologici, quello di sublimazione, che intende designare il processo attraverso cui la libido abbandona le mete sessuali per investire le sue cariche energetiche in prodotti culturali.

    Nel celebre saggio su Leonardo leggiamo: «Dato che il talento e la capacità artistica sono intimamente connessi con la sublimazione, dobbiamo ammettere che anche l’essenza della creazione artistica ci è inaccessibile dal punto di vista della psicoanalisi»³; e poco oltre nel medesimo testo: «Anche se la psicoanalisi non chiarisce il dato dell’artisticità [cioè della creatività] di Leonardo, ce ne rende però comprensibili le manifestazioni e i limiti»⁴. Ciò che una critica di impianto psicanalitico può apprendere, in via preliminare, dalle parole stesse di Freud è la considerazione dell’opera d’arte e letteraria come luogo, insieme, dell’arcaico e del creativo, secondo quella dialettica di «regressive progression», indicata da Ernst Kris⁵, che compromette decisamente un testo con la dinamica del desiderio e dell’inconscio ma che ne fa anche un progetto inedito, autonomo e innovativo. Dice in proposito Paul Ricoeur, riprendendo l’indicazione freudiana dell’omogeneità-differenza tra un puro prodotto psichico come il sogno e l’opera d’arte. «[Le opere d’arte sono creazioni] nella misura in cui non sono semplici proiezioni dei conflitti dell’artista, ma anche l’abbozzo della loro soluzione; in quanto, nel sogno, il travestimento predomina sullo svelamento, il sogno guarda verso l’indietro, verso il passato, verso l’infanzia. Ma in quanto, nell’opera d’arte, prevale lo svelamento, essa è piuttosto il simbolo prospettivo della sintesi personale e dell’avvenire dell’uomo e non solo un sintomo regressivo dei suoi non risolti conflitti […]; mobilitando tutte le nostre infanzie, le nostre arcaicità, incarnandosi nell’onirico, il poetico preserva l’esistenza culturale dell’uomo dal non essere altro che un immenso artificio, un futile ‘artefatto’, un Leviatano senza natura e contro natura»⁶.

    L’inconscio e il simbolismo

    La presupposizione fondamentale della psicanalisi è che alla base di ogni espressione dell’umano, dalla più irriflessa e coatta alla più consapevole e intellettualizzata, agiscano determinazioni inconsce.

    Con Freud l’aggettivo di tradizione romantica ‘inconscio’, indicante attività dello spirito che stanno al di là del dominio della ragione, diventa sostantivo, oggettivandosi in istanza psichica soggiacente all’intero apparato mentale e in grado di condizionare tutte le attività superiori della coscienza (del resto l’inconscio non è soltanto la parte sommersa dell’iceberg e non coincide con l’Es, ma è anche parte costitutiva del Super-io e si infiltra nell’Io stesso, che non è coscienza pura, alternativa e opposta rispetto all’inconscio, ma istanza psichica in perenne rapporto dialettico con quello). Con Freud ogni operazione mentale diventa ‘impura’ e l’arcaico si insinua anche nelle più alte zone della creatività. Con ciò, l’inconscio non è una realtà assoluta, identificabile in sé, ma relativa agli effetti che produce e avvertibile solo nelle manifestazioni espressive da esso alimentate. Bisogna insomma che la forza, cioè i quanta energetici delle pulsioni, diventino senso, cioè fatto espressivo passibile di interpretazione. Perché l’inconscio entri nella cultura, anche nella forma regressiva dell’analisi clinica che ne indaga gli effetti patogeni, deve incontrare qualcosa di esterno ad esso che, pur celandolo, lo manifesti, come succede per i raggi solari, che solo l’attraversamento di un mezzo rende luminosi. Con un termine generico quanto insostituibile questo incrocio di forza e di senso si dice ‘simbolo’ e in tal senso Freud lo ha usato anche nel ristretto campo delle manifestazioni puramente psichiche e psicopatologiche (il sogno, il lapsus, il sintomo nevrotico).

    Se però Freud è costantemente volto verso l’arcaico e coglie nel simbolico quasi esclusivamente gli aspetti regressivi, come ipnotizzato dall’archeologia degli istinti, va detto anche che egli ha sempre rilevato la natura creativa del simbolo, anche nei suoi livelli più bassi. Ciò significa che anche il sogno è passibile di senso e quindi interpretabile, come anche significa che una poesia, in cui la quota di creatività è massima, custodisce l’arcaico, portando in sé le orme del desiderio, dell’istinto di morte, della nevrosi. Il simbolo è il luogo stesso della «regressive progression» di cui parla Kris, secondo una scala discendente-ascendente al cui centro sta il meccanismo della sublimazione: come dice Ricoeur, dove c’è simbolo c’è insieme archeologia e teleologia. Di qui viene, originariamente, la legittimazione di un’ermeneutica letteraria a impianto psicanalitico, perché si tratta di interpretare testi nell’attiva compresenza di arcaico e creativo, con tutta la consapevolezza dell’irriducibilità di un testo al suo arcaico, ma anche dell’impossibilità di prescindere da questo arcaico, a partire dal quale il testo si è costituito. Il displuvio segnato nel campo del simbolico dai processi sublimanti separa un luogo crepuscolare di segni non comunicativi, occultanti, coatti, da un luogo illuminato di segni partecipabili, rivelativi, coscientemente rimaneggiati.

    Dire simbolo è come dire linguaggio, anche se non tutto il simbolico è linguistico in senso stretto e non tutto il linguaggio è simbolico (ma lo è certamente tutto il linguaggio letterario). È senza dubbio linguaggio quello del sogno, che pure è il fenomeno più vicino al nudo desiderio: già nel suo farsi notturno, il sogno parla, ma poi, soprattutto, trova la sua esistenza esterna solo traducendosi in racconto per cui, come diceva Freud, l’analista non è mai di fronte ad un sogno in quanto tale, ma alla sua traduzione in parole. Ovviamente si tratta di un linguaggio in cui, proprio per la stretta vicinanza all’inconscio, il travestimento è massimo, fino a renderne incomprensibile il senso. Com’è noto, Freud indica le modalità con cui il desiderio inconscio si manifesta nascondendosi, o si nasconde manifestandosi, sintetizzandole nei due procedimenti dello spostamento e della condensazione. È molto indicativo il fatto che sia stato un linguista come Benveniste a vedere in questi due procedimenti le due figure fondamentali della retorica, metafora e metonimia⁷. La retorica è codificazione del parlare figurato, cioè del linguaggio non puramente comunicativo, che dice altro rispetto ai significati di superficie. Dire linguaggio simbolico è lo stesso che dire linguaggio retorico, perché siamo nell’ambito di ciò che in termini freudiani è la sovradeterminazione, cioè il sovraccarico di senso che si addensa attorno all’espressione. Naturalmente si dice retorica in senso ampio, non come semplice repertorio di luoghi figurati, ma come matrice di rapporti espressivi nuovi e inediti. Nell’Interpretazione dei sogni Freud compila anche un regesto di simboli onirici in qualche modo fossili, che legano certe figure a certi significati (la casa che significa la madre, la nudità che rinvia all’esibizionismo e così via): sono i «sogni tipici» che configurano una retorica come repertorio di loci communes. In questo senso, sul registro dell’inconscio, tali sogni corrispondono alla simbolica d’uso sul registro della comunicabilità sociale, cioè agli stereotipi del linguaggio comune o all’ornato tradizionale del linguaggio poetico ripetitivo. Ma già anche il simbolismo onirico ha una sua creatività: spostamento e condensazione sono in grado di configurare situazioni inedite, la cui interpretazione può portare alla ricostruzione di storie nevrotiche individuatissime. Tanto più alta diventa l’originalità del linguaggio simbolico quanto più la spinta delle pulsioni incontra le risorse sublimanti del talento, fino alle creazioni generose della poesia. In ogni caso, quale che sia il livello di manifestazione, il simbolico stabilisce il nesso inconscio-linguaggio.

    L’inconscio e il linguaggio

    A questo punto cominciano i problemi che dividono gli interpreti del freudismo, e per conseguenza i teorici e critici della letteratura che si rifanno alla psicanalisi. Infatti, a dirimere la questione dei rapporti tra inconscio e linguaggio, occorre stabilire preliminarmente cosa s’intenda per inconscio, ed è qui che gli interpreti, variamente appoggiandosi alle oscillazioni del pensiero di Freud in proposito, sono andati in direzioni diverse. Ha cominciato Gustav Jung, com’è noto, a offrire sul tema dell’inconscio una visione alternativa rispetto a quella del fondatore, arrivando di conseguenza, come brevemente si vedrà sotto, a una diversissima impostazione dei rapporti tra inconscio e produzione culturale. Per restare nell’ambito del freudismo (al quale si rifà la gran parte della critica psicanalitica, soprattutto italiana), c’è una netta differenziazione tra gli interpreti di impostazione storicistica e quelli di impostazione ‘irrazionalistica’. I primi infatti sono portati a pensare all’inconscio in termini di pura formazione reattiva, cioè come il deposito del materiale andato sommerso per opera della rimozione, i secondi come l’‘altro’ in assoluto, non esauribile nei suoi contenuti rimossi. Nel primo caso, l’inconscio è un prodotto della storia privata e sociale ed è fatto di materiale culturalmente strutturato, quindi è già, in senso lato, linguaggio, dal momento che tutto ciò che è culturale non può darsi se non in termini linguistici. Nel secondo caso, l’inconscio è un’istanza psichica anteriore ad ogni determinazione storica, anche se si riempie di contenuti storicamente deposti e non può essere colto se non per gli effetti storicamente analizzabili che produce, quindi non è tutto linguisticamente organizzato. Insomma, se l’inconscio è il rimosso, allora è anche linguaggio; se non è solo il rimosso, allora non è solo linguaggio.

    Notoriamente è stato Jacques Lacan ad approfondire, anche in termini filosofici, tale questione e a diventare un termine di riferimento ineludibile, e polemico, circa il rapporto inconscio-linguaggio, di fondamentale interesse per i letterati di ispirazione psicanalitica. Lacan infatti, riprendendo le indicazioni di Benveniste sui meccanismi onirici dello spostamento e della condensazione, arriva alla costruzione di una vera e propria retorica dell’inconscio, retta sui due assi cartesiani del sintagma e del paradigma⁸. Per questo, molto semplificando, si dice comunemente che Lacan concepisca l’inconscio strutturato come un linguaggio. Se è vero che le cose stanno così, non per questo la concezione lacaniana dell’identità inconscio-linguaggio è di marca storicistica, tanto che gli storicisti la contestano fortemente, come fa, per esempio, Franco Rella: «Se il lavoro dell’inconscio può essere colto soltanto attraverso l’analisi delle formazioni significanti storicamente determinate, non è perché, come dice Lacan, il linguaggio sia la condizione dell’inconscio, una sorta di primum ontologico, ma perché, piuttosto, tra linguaggio e inconscio esiste un rapporto dialettico»⁹. L’inconscio è linguaggio, ma nel senso di un Logos anteriore ad ogni determinazione e al di fuori dei processi rimotivi, linguaggio dell’essere che si rivela attraverso la retorica inconscia. Anche se poi non è vero che Lacan esclude un al di là del linguaggio, perché, in uno dei suoi celebri seminari¹⁰, elabora il concetto di Cosa (das Ding), che è l’oggetto inappropriabile del desiderio originario, non definibile attraverso il linguaggio perché precede il simbolico-paterno: è ciò che Julia Kristeva definisce come «il reale ribelle alla significazione, il polo di attrazione e di repulsione, dimora della sessualit໹¹, che passa nel linguaggio simbolico, e specificamente in quello poetico, come sovrasenso non semantico, realizzato attraverso gli elementi prosodici, ritmo, tonalità, effetti sonori.

    Più conforme all’impostazione di Freud medesimo sembra l’opinione di quanti considerano l’inconscio non come un linguaggio, ma come motore energetico che spinge verso il linguaggio, nel senso quasi aristotelico di una potenza che si fa atto, ma che non si esaurisce nell’atto in cui trova realizzazione. In effetti l’ipotesi freudiana è quella di un inconscio come energia, pulsioni, stimoli interni (Trieb), oltre che come rappresentanze (Vorstellung), per cui c’è un desiderio di per sé non simbolizzabile, in quanto pura potenzialità energetica, che tende a farsi segno, ad essere pronunciato. Così Ricoeur sintetizza il tema, che è centrale nelle sue riflessioni sul freudismo: «La psicoanalisi è la conoscenza al margine di ciò che si presenta nell’emotività e non passa nella rappresentazione, è il desiderio in quanto desiderio. L’irriducibilità del punto di vista economico a una semplice topica delle rappresentazioni attesta che l’inconscio non è profondamente linguaggio, ma solo spinta verso il linguaggio»¹².

    Un importante contributo sul tema basilare dell’inconscio, e dei rapporti di questo con il linguaggio, è fornito da Ignacio Matte Blanco con l’ampio e rigoroso studio L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica¹³, che ha avuto molta influenza sulla critica letteraria di impianto psicanalitico. Il libro intende privilegiare l’inconscio come struttura assai più che come contenuto costituito dal rimosso, quindi ricusa il tentativo di Lacan di identificare il mondo dell’inconscio con le modalità del simbolico. Più freudiano di Freud, Matte Blanco estremizza la nozione di inconscio come mondo alternativo, in cui non valgono le categorie della coscienza, quelle di spazio, tempo e causalità. Tali categorie costituiscono il fondamento della razionalità o della logica asimmetrica, mentre quella dell’inconscio è una logica simmetrica (per la prima, se A è padre di B, non può valere il contrario, mentre per la seconda la proposizione è reversibile, per cui, appunto, gli insiemi combinatori diventano infiniti). Quanto al rapporto col linguaggio, ecco le parole dell’autore, che ricordano da vicino quelle di Ricoeur in proposito: « Il linguaggio, che è lo strumento sviluppato dalla natura per identificare con precisione sempre maggiore tutte le sottigliezze della realtà interna ed esterna, è inconcepibile senza un uso estensivo di relazioni asimmetriche. L’emozione perciò [desiderio, pulsione, Trieb], in quanto simmetria, non può di per sé avere linguaggio. Ma proprio in quanto, essendo non-misurabile, è la matrice del misurabile, l’emozione è anche la matrice del linguaggio»¹⁴; e anche: «Ci troviamo di fronte all’impossibilità di ridurre l’essere simmetrico a linguaggio»¹⁵. Ovviamente nulla dell’«essere simmetrico» (così è ridefinito l’inconscio) può essere detto se non in termini asimmetrici, cioè di linguaggio razionale, ma c’è linguaggio e linguaggio, a seconda del livello di immersione in uno dei due mondi della bi-logica, per cui un trattato di matematica è tutto asimmetrico e una poesia, con tutto che è scritta con parole, può avere una struttura altamente simmetrica. «Tutta l’attività artistica», conclude Matte Blanco in proposito, «è il risultato di un leggere all’interno dell’essere simmetrico». In sostanza, l’inconscio è l’esatto opposto del linguaggio, ma ne è anche condizione necessaria e lo infiltra della propria logica alternativa, tanto più quanto più ne incarna simbolicamente le istanze e i caratteri (nel sogno, nel motto di spirito, nell’opera d’arte).

    Era necessario fare un quadro sintetico dei rapporti inconscio-simbolico-linguaggio perché, come si vedrà, la critica psicanalitica presenta orientamenti molto diversi a seconda che privilegi di quei rapporti la faccia rivolta verso l’arcaico del desiderio, delle pulsioni, delle nevrosi o quella rivolta verso le razionalizzazioni, sia di tipo storicistico che di tipo strutturalistico-semiologico.

    Psicanalisi e letteratura: c’è un’estetica freudiana?

    La letteratura (e l’arte in generale) ha avuto sempre un grande fascino per Freud, che ha indicato nei poeti dei precursori intuitivi di tante scoperte psicanalitiche: «I poeti», leggiamo ne Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di Wilhelm Jensen, «sono alleati preziosi, e la loro testimonianza deve essere presa in attenta considerazione, giacché essi sono soliti sapere una quantità di cose fra cielo e terra che la nostra filosofia nemmeno sospetta. Particolarmente nelle conoscenze dello spirito essi sorpassano di gran lunga noi comuni mortali, poiché attingono a fonti che non sono ancora state aperte alla scienza»¹⁶. Il fascino della letteratura, al di là dei valori estetici che pure Freud apprezza adeguatamente, consiste nel fatto che essa attinge largamente a quella zona dell’irrazionale, dell’emotivo, dell’arcaico, dell’inconscio insomma, che è il campo d’indagine della psicologia del profondo. Per Freud, come dice Jean Starobinski, «la parola poetica si situa nell’intervallo che separa lo scienziato da questa natura enigmatica le cui pulsioni vanno decifrate»¹⁷. Sono proprio quelle «fonti che non sono ancora state aperte alla scienza» a costituire il campo d’indagine della psicanalisi, e la poesia dunque fornisce, con la sua intuitiva sapienza in tale campo, un suggestivo materiale d’indagine. In tal modo, si capisce, ne va della qualità specifica del letterario, che tende ad essere sottoposto ad una lettura insieme contenutistica e positivo-razionale, con la riduzione a pura materia prima. Notoriamente è questa l’obiezione fondamentale che viene rivolta a Freud e al freudismo ‘doc’, comprovabile del resto con le parole dello stesso padre della psicanalisi: «Ho notato spesso che il contenuto di un’opera d’arte esercita su di me un’attrazione più forte che non le sue qualità formali e tecniche, alle quali invece l’artista attribuisce un valore primario»¹⁸. E in ogni caso, tutti i lavori dedicati specificamente da Freud all’arte e alla letteratura, dalla Gradiva al Leonardo, dal Mosè di Michelangelo al Poeta e la fantasia, dal Dostoevskij e il parricidio al Perturbante, eludono quasi completamente i problemi tecnico-formali e puntano sui contenuti psicologicamente rilevanti, adibiti per lo più per l’analisi della psicologia dell’autore. Ne viene un’inevitabile riduzione dell’opera alla biografia, sia pure una biografia interiore, ricca di penetranti indicazioni. Mario Lavagetto, autore dell’importante e provvedutissimo volume Freud la letteratura e altro, così sintetizza la cosa: «La capacità esplicativa della psicanalisi resta, per Freud, rigorosamente circoscritta alla ‘materia del contenuto’ e solo in alcuni casi sembra estendersi, ma con molte cautele, alla ‘forma del contenuto’»¹⁹. Anche se poi il medesimo autore, considerando l’efficacia interpretativa e la suggestione propriamente narrativa delle analisi freudiane, aggiunge: «È possibile sostenere, senza ripensamenti o perplessità, che le spiegazioni genetiche, in quanto tali, non hanno nulla da dirci sull’opera d’arte e sulla sua più intima, più segreta specificità? Ed è proprio certo che una simile spiegazione ci dica (o tenti in ogni caso di dirci) qualcosa solo sulle origini di un tema, e non anche sulla concreta, effettiva struttura formale?»²⁰.

    Dunque Freud si serve della letteratura per farne il campo della sua scienza psicologica, spingendosi fino alla sua riduzione a sintomo, ma nello stesso tempo ne subisce il fascino fino a fare dei poeti i veri competenti della materia inconscia. Si aggiunga il fatto che il padre della psicanalisi, nel ricondurre il problema dell’arte e della letteratura alla scienza che va elaborando, ha nel contempo fatto di questa scienza una forma di letteratura, per la ricchezza metaforica di cui si avvale e per la grande sapienza narrativa, quella che fa della sua saggistica, e soprattutto dei ‘casi clinici’, dei racconti estremamente suggestivi; e non solo per la bellezza della prosa, ma per la capacità del racconto di costruire un senso («Sento io stesso un’impressione curiosa per il fatto che le storie cliniche che scrivo si leggono come novelle»)²¹. Come ha indicato Ricoeur, Freud ha sempre di fronte a sé dei ‘testi’, anche quando ha a che fare con sogni e sintomi, e il suo lavoro di decostruzione e ricostruzione, mirante alla ricerca di un significato sotto quelle formazioni testuali, è implicitamente ricco di indicazioni per un’ermeneutica anche strettamente letteraria. Se, per un verso, proprio nei saggi specificamente dedicati all’arte e alla letteratura, Freud è un cattivo esempio di riduzionismo biografico-psicologistico, per un altro verso, nel complesso della sua opera, è ricchissimo di stimoli ermeneutici, un vero maestro dell’interpretazione. Non bisogna dimenticare che, nei confronti dei suoi troppo zelanti discepoli, tentati di stabilire con faciloneria diretti rapporti tra l’inconscio e le forme culturali, soprattutto quelle letterarie, Freud era di una severità assoluta. Anche nell’introduzione al celebre libro di Marie Bonaparte su Edgar Allan Poe²², Freud è prudentissimo circa le possibilità della riconduzione di un’opera al vissuto biografico dell’autore. E nel Discorso nella casa natale di Goethe a Francoforte leggiamo: «Anche la migliore e la più completa delle biografie non potrebbe rispondere alle due domande che sembrano le sole degne di essere chiarite. Non spiegherebbe l’enigma del dono meraviglioso che contraddistingue l’artista e non potrebbe aiutarci a comprendere meglio il valore delle sue opere e l’effetto che esse esercitano»²³.

    Insomma, c’è di mezzo il «dono meraviglioso» del talento, per il quale soltanto si dà il valore delle opere, e il talento non è analizzabile. Siamo ancora nel campo tanto problematico quanto ricco di prospettive della sublimazione, su cui forse la critica letteraria di impianto freudiano ha troppo sorvolato: «Dato che il talento e la capacità artistica sono intimamente connessi con la sublimazione, dobbiamo ammettere che anche l’essenza della creazione artistica è inaccessibile dal punto di vista della psicanalisi». Presentandosi del resto i processi sublimanti come una spesa non libidica della libido, comunque l’opera d’arte rimane sempre carica del desiderio e dell’arcaico rispetto a cui è una creativa e originale struttura prospettica. Di qui la legittimità di un’esplorazione delle zone buie del vissuto, che impedisce ogni facile incantamento idealistico e ogni presunzione culturalistica. Dietro e dentro l’opera c’è sempre la presenza di un conflitto pulsionale, di un desiderio inibito e deviato, di una sofferenza (to pathei mathos, come bene sapevano gli antichi). Su questa base è autorizzatissima un’ermeneutica letteraria rigorosamente freudiana, senza inibizioni e remore nei confronti dell’arcaico e anche del patologico, dal momento che assume l’al di là del linguaggio come presupposto di ogni linguaggio, anche il più creativo, pur nella piena consapevolezza che l’opera si costituisce in peculiarità irriducibile di strutture e di forme. Tra un limite inferiore segnato dalla dinamica inconscia e uno superiore segnato dall’originalità creativa, tra un’analitica ‘bassa’ dei sintomi e un’esplorazione ‘alta’ dei simboli, si apre un orizzonte tutto coerentemente predisposto all’interpretazione.

    Non c’è dunque un’estetica freudiana in senso proprio, perché Freud ha lasciato ai competenti lo spazio che si apre oltre i processi della sublimazione, assorbito e affascinato dai problemi sorgenti dall’abisso dell’inconscio, che è la sua primaria e fondamentale scoperta. Un’estetica è però estrapolabile dalle opere in cui meno direttamente si è occupato di arte e poesia. In effetti i teorici e critici della letteratura hanno prevalentemente puntato la loro attenzione sulle opere in cui le formazioni espressive collegate all’inconscio sono analizzate nel loro funzionamento linguistico, come nell’Interpretazione dei sogni (1900), o nella loro funzione comunicativa, come ne Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1905). Francesco Orlando, che fa di questo libro il punto di riferimento essenziale per il suo lavoro critico, dice: «Con [questa] nuova opera sistematica [Freud] compì il passo dal non-comunicante al comunicante; dal non necessariamente verbale al verbale; da ciò che trova un suo testo solo retrospettivamente, nel metalinguaggio delle parole (il racconto del sogno, la ricostruzione del lapsus, la descrizione del sintomo), a ciò che ha nel linguaggio il suo testo esclusivo, originale e, a volerlo fissare, stabile»²⁴.

    Se assumiamo il principio della «regressive progression» come criterio di fondo per l’impianto di una possibile estetica di derivazione freudiana, dobbiamo tenere ugualmente aperta la possibilità di scendere fino alle zone buie delle pulsioni, dei sintomi e delle nevrosi, come di salire fino ai più cerebrali e consapevoli giochi espressivi. È certo che Freud ha tenuto, nei suoi saggi in tema di arte e letteratura, la prima direzione, com’è certo però che ha anche indicato, con la frattura posta tra l’arcaico fantasmatico-sintomatico e il simbolico creativo, la possibilità di un’ermeneutica psicanalitica tutta volta allo specifico artistico e poetico. Non si deve forse «fare Io là dov’era Es?». Questo vale anche per chi si occupa di arte e letteratura ricorrendo alla psicanalisi, ma con l’avvertenza che Es deve restare anche là dove Io sembra offrire le sue più sublimi prestazioni. Se, infatti, ne va dell’inconscio, e quindi la simbolica creativa si fa del tutto trasparente, ne va anche dell’arte e della poesia. Nelle discussioni della Società psicoanalitica di Vienna, diceva Alfred Adler: «Lo spirito creatore sarebbe inibito se troppe cose divenissero coscienti». E Otto Rank, ispiratore del concetto di ‘perturbante’ e acuto interprete della tematica artistica del doppio: «L’arte morirebbe se l’inconscio divenisse conscio»²⁵. Del resto Freud che, come dice Starobinski, accompagna l’ottimismo epistemologico, razionalistico e positivistico, con una metafisica pessimistica, esclude ogni possibilità di colonizzare integralmente l’inconscio (di prosciugare lo Zuidersee): per questo l’analisi è interminabile, come l’ermeneutica letteraria che alla psicologia del profondo si ispira.

    Sviluppi post-freudiani del rapporto psicanalisi-letteratura

    La deriva freudiana verso il ‘regressivo’ trova opposizioni all’interno stesso del movimento psicanalitico, a cominciare da quella del ‘secessionista’ Carl Gustav Jung, che non accetta a nessun conto l’idea dell’opera artistico-letteraria come formazione di compromesso, al pari di un sogno o di un sintomo nevrotico. Polemicamente lo psicologo svizzero, non tenendo conto del concetto di sublimazione e della compresenza nel simbolo di una prospettica creativa accanto ad un’ineliminabile archeologia, accusa Freud di essere soltanto curioso degli scantinati dell’edificio meraviglioso dell’arte, riducendo il simbolico al sintomatico: «Se si spiega un’opera d’arte nello stesso modo con cui si spiega una nevrosi, si può concludere che l’opera d’arte è una nevrosi, o la nevrosi un’opera d’arte»²⁶. Ma inevitabilmente il problema coinvolge il concetto di inconscio, che in Jung diventa qualcosa di assolutamente diverso rispetto alle indicazioni freudiane, che ne fanno il luogo d’incrocio del naturale e del culturale, della forza e del senso, dell’istinto e del rimosso. L’«inconscio collettivo» di Jung non ha a che vedere col rimosso individuale, è impulso verso la cultura, depositario degli archetipi immaginativi universali, ispiratore dei miti, dei simboli, delle credenze: un inconscio dunque che assomiglia molto allo Spirito idealistico, senza più tracce del selvaggio regressivo e desiderante. Quindi, niente conflittualità patogena e formazione di compromesso nell’opera d’arte, ma attingimento fecondo delle sorgenti immaginative per la costruzione di opere ricche di invenzioni sempre positive (e per contro le opere che attingono al rimosso individuale portano le stigmate negative delle nevrosi dei loro autori).

    Certo la rimonta spiritualistica junghiana ha propiziato la nascita di un’estetica psicanalitica alternativa rispetto a quella di derivazione freudiana, ma si deve dire che le prospettive demistificanti di Freud, sostenute da un lucidissimo rigore concettuale, hanno avuto molta più fortuna delle confuse alchimie misticheggianti di Jung. Del resto la rassegna dei temi archetipici e simbolici che il junghismo propone alla critica, se ha dato frutti anche cospicui, non apre prospettive metodologiche efficaci, risultando statica, ripetitiva, tautologica. I migliori risultati in questa direzione sono stati ottenuti da Gaston Bachelard, che ha individuato nell’attività mitico-poetica, e anche onirica, suggestive trafile tematiche legate ai grandi archetipi del fuoco, dell’acqua, dell’aria, dello spazio²⁷. Con più precisi obiettivi letterari segue tale linea lato sensu junghiana, interessata cioè alla tematica del profondo, Jean-Pierre Richard, in opere come Littérature et sensation (1954), Poésie et profondeur (1955), L’univers imaginaire de Mallarmé (1961). È una linea che mostra i suoi limiti proprio per l’esauribilità quantitativa del materiale esplorato, che in effetti può essere rimescolato in tante maniere ma rimane sempre lo stesso: se infatti l’inconscio è ‘pieno’, le sue figure sono limitate e la visita al sottosuolo gradevolmente cerimoniale. Un repertorio interessante di questa combinatoria di archetipi e simboli è quello offerto da Gilbert Durand, in Le strutture antropologiche dell’immaginario, dove significativamente si dice, contro la concezione freudiana dell’inconscio: «Il simbolismo sorpassa di molto nella sua ricchezza il sottile settore del rimosso e non si riduce agli oggetti resi tabù dalla censura. La psicanalisi deve liberarsi dall’ossessione della rimozione, perché esiste […] tutto un simbolismo indipendente dalla rimozione»²⁸.

    Ma è all’interno del freudismo medesimo che si assiste allo spostamento del rapporto psicanalisi-letteratura (e arte) dalla zona dei processi primari inconsci, verso cui tendono le analisi specifiche di Freud, a quella dei processi secondari del preconscio e dell’Io. Fin dagli anni Trenta, per esempio, Ernst Kris, studiando le differenze tra le opere di artisti psicotici e quelle degli artisti creativi, tende a una revisione delle teorie freudiane nel senso di una maggiore attenzione alle componenti consce dell’operare artistico, e quindi all’autonomia dell’opera rispetto ai determinismi nevrotico-inconsci. Se l’opera rimane pur sempre in comunicazione coi processi dell’Es, «tutti questi processi sono controllati dall’Io e il grado di completezza della neutralizzazione è proporzionale al grado di autonomia dell’Io»²⁹. Se la lotta per la soddisfazione degli impulsi appare, nell’opera, troppo evidente, ciò pregiudica la riuscita artistica della medesima, e l’artista si aliena anche l’approvazione del pubblico, che vuole bensì essere accontentato quanto alle esigenze del desiderio, ma entro i limiti della riuscita formale, socialmente partecipabile (Freud, ne Il poeta e la fantasia, lega l’approvazione del pubblico alla vicinanza dell’opera al gioco e alle fantasie infantili, con la conseguenza che sono proprio gli scrittori mediocri ad avere più successo). La linea tenuta da Kris può essere sintetizzata in queste sue parole: «La funzione integratrice dell’Io comprende la possibilità di una regressione autocontrollata e consente l’abbinamento della più audace attività intellettuale all’esperienza della recettività passiva»³⁰. Ancora di più accentua questo spostamento verso i controlli dell’Io sulle istanze pulsionali e nevrotiche Ernst Gombrich, che si considera un allievo di Kris e, nelle sue ricerche sull’arte figurativa, contempera la critica psicanalitica con quella sociologica, ancora più ‘addomesticando’ le componenti inconsce dell’attività artistica con l’aria della storia. Gombrich inoltre evidenzia significativamente la scelta preferenziale di Kris per il Motto di spirito, in cui l’attenzione di Freud è sui procedimenti linguistici e sul padroneggiamento formale in vista delle finalità comunicative: «Questo modello [del motto di spirito] indubbiamente ha due grandi meriti che devono imporlo all’attenzione dello storico e del critico d’arte. Esso spiega l’importanza sia del mezzo [espressivo] che della capacità di padroneggiarlo: due elementi vitali che a volte vengono trascurati in un’applicazione meno cauta delle idee psicanalitiche dell’arte»³¹.

    Di mezzo c’è sempre la concezione dell’inconscio, dal momento che le teorie psicanalitiche dell’arte e della letteratura prendono diverse direzioni a seconda se tendano a privilegiare le funzioni del processo primario o quelle, invece, del processo secondario, centrato sull’Io e sulla coscienza. Storicamente, è stata la seconda direzione a prendere decisamente il sopravvento, in concomitanza con le revisioni della teoria freudiana proposte soprattutto dalla psicanalisi americana, diventata sempre più esplicitamente una psicanalisi dell’Io, o del Sé (Modell, Kohut, Eagle, Fairbairn, G.S. Mein). Si può avere un’idea della cosa citando le parole di Morris Eagle, che si riferisce alla teoria del Sé di Kohut, nella quale c’è «un rifiuto totale della teoria freudiana delle pulsioni e l’affermazione pura e semplice che alla fin fine i temi di base dello sviluppo e della patologia non hanno prevalentemente a che vedere col conflitto tra desideri istintuali, Io e Super-io, ma con lo sviluppo di un sé intatto e coesivo, caratterizzato da un chiaro senso d’identità, dalla capacità di esprimere i propri talenti, le proprie ambizioni e aspirazioni, dalla formazione di interessi, valori, ideali e obiettivi, dalla capacità di rapportarsi agli altri nel mondo»³². Siamo, insomma, alla pratica eliminazione dell’inconscio, che diventa una delle funzioni dell’Io tutta versata nelle relazioni oggettuali; ma senza inconscio, non c’è più nemmeno psicanalisi. Si arriva infatti, per questa via, alla demolizione anche teoretica dell’edificio freudiano perpetrata da Adolf Grünbaum, previa indicazione dell’inconsistenza del concetto di inconscio: «Confluire nell’inconscio occulti, misteriosi poteri di intrusione nelle azioni coscienti significa soltanto conferire alla fallacia causale un titolo onorifico»³³.

    Riferendosi a queste correnti americane, Giovanni Jervis parla di un vero e proprio tentativo di castrare la psicanalisi delle sue radici biologico-istintuali, e così aggiunge: «È difficile abbandonare la teoria delle pulsioni senza sbarazzarsi al tempo stesso dell’atteggiamento di Freud in merito alla natura della mente umana»³⁴. In effetti l’irriducibilità dell’inconscio a qualsiasi addomesticamento culturale è la condizione prima per tutta la teorizzazione psicanalitica: «L’idea freudiana dell’inconscio, con tutta la pregnanza e la drammaticità che la caratterizza, si lega strettamente all’ipotesi che il fondamento biologico della vita psichica non sia mai riassorbibile nella descrizione che di esso possono dare la coscienza e la cultura»³⁵. Matte Blanco ha vigorosamente difeso la centralità del concetto d’inconscio nella teoria freudiana, ipostatizzandone, come si è già accennato, l’autonomia e alterità ontologiche: «La fondamentale scoperta di Freud […] è quella di un mondo – che sfortunatamente chiamò l’inconscio – retto da leggi completamente diverse da quelle da cui è retto il mondo cosciente. Egli non fu il primo a parlare dell’inconscio, su cui molto già si sapeva, ma fu il primo a fare la fondamentale scoperta di questo strano ‘regno dell’illogico’ sottomesso, malgrado il suo essere illogico, a determinate leggi che scoprì con un colpo straordinario di genio»³⁶.

    Anche l’equazione inconscio = rimosso ha contribuito alla considerazione dell’arte e della letteratura come attività sganciate dalle intrusioni del processo primario e dalle patologie nevrotiche. Per Freud, come appare dall’accennata distinzione di Trieb e Vorstellung, tutto ciò che è rimosso è inconscio, ma non tutto ciò che è inconscio è rimosso, c’è un’oltranza vuota, puramente energetica, non riducibile a figure, simboli, linguaggio. Per Matte Blanco è questo vuoto, questo ‘infinito’, il vero inconscio, l’«essere simmetrico», e «l’essere simmetrico non può mai, in sé, diventare asimmetrico e quindi non può mai entrare nella coscienza umana. In altre parole, non si può rendere conscio l’inconscio. Quel che, invece, possiamo fare, è diventare (asimmetricamente) consci (consapevoli) di alcuni aspetti dell’essere simmetrico»³⁷. Una critica che rifiuti ogni tipo di immersione nell’alterità dell’inconscio, non tenendo conto delle pressioni della forza sotto la misurabilità ‘asimmetrica’ dei segni, rischia di concepire l’opera, per usare un’espressione di Starobinski, come il «prodotto dell’immacolata concezione»³⁸. Ciò non significa invito all’ineffabilità, perché se il dinamismo inconscio non è in sé misurabile, sono misurabili i suoi effetti nel tessuto espressivo dell’opera. Se, invece, l’inconscio è solo il rimosso, allora all’inizio non c’è il vuoto, ma la storia, e le figure non sono più rappresentanze degli istinti ma solo materiale mondano censurato dal Super-io e non tollerato dalla coscienza.

    Originale è l’impostazione data al rapporto psicanalisi-letteratura dalla cosiddetta scuola inglese di Melanie Klein e Hanna Segal. La Klein, che ha anticipato le fasi della sessualità infantile ai primi mesi di vita, insistendo sulla grande proliferazione delle fantasie ad essa collegate nelle posizioni schizo-paranoide e depressiva, lega le potenzialità inventive dello scrittore e del poeta alla ricchezza delle fantasie inconsce originarie. Nella posizione depressiva dominano le fantasie di distruzione e perdita dell’oggetto amato-odiato, con forte sviluppo del senso di colpa e del lutto malinconico, per cui si tende a superare questa condizione con atti di riparazione; l’artista è colui che è in grado di superare tale condizione potenzialmente nevrotico-psicotica con la creazione di oggetti che riparano la perdita originaria e ricostruiscono l’oggetto interiore danneggiato e colpito dall’abbandono (Proust diventa per questa scuola l’esempio più pertinente di geniale ricreazione del mondo perduto, con la soppressione della realtà esteriore per potere integralmente ricostituire il mondo interno). C’è dunque un filo diretto che collega la creatività poetica al fantasmatico primitivo, la cui esuberanza è promessa di talento, ammesso che tale esuberanza trovi modo di liberarsi dai vincoli della posizione depressiva e non getti nelle ansie nevrotiche che portano alla malattia. Come si vede, la Klein mette in contatto diretto la zona del fantasmatico inconscio con quella dell’inventività artistica, ricorrendo al concetto freudiano di sublimazione, ma in qualche modo inverte la direzione riduzionalistica che porta dall’arte alle componenti psichiche, cosicché l’artista non è il nevrotico (e l’opera non è nevrosi), secondo le accuse junghiane a Freud, ma colui che dalla malattia potenziale ha saputo ricavare stimoli creativi, risalendo dal sintomatico al simbolico. Certo manca in tale quadro ogni considerazione relativa alla specificità del lavoro artistico-letterario, ma non è agli psicanalisti di mestiere che si può chiedere attenzione a questi aspetti. Una maggiore sensibilità in questo senso, sempre nell’ambito delle indicazioni kleiniane, mostra Janine Chasseguet-Smirgel, specificamente interessata al problema della creatività artistica e poetica: per questa studiosa nell’atto creativo non è in questione tanto la riparazione dell’oggetto, ma del soggetto medesimo, che a partire dai deficit originari, potenzialmente nevrotico-psicotici, recupera la propria integrità attraverso l’opera. In tal modo si libera l’attività creativa dalla dipendenza esterna dall’oggetto e la si impianta sulle risorse autonome della sublimazione, che opera a partire dal fantasmatico individuale, assicurando così anche l’originalità irripetibile di ogni esperienza artistica. C’è davvero uno ‘stile psichico’, perché l’artista è colui che ha dominato la propria nevrosi ma ne reca le impronte, facendo dell’opera una memoria delle proprie vicende interiori e una forma di risarcimento terapeutico contro le insorgenze patogene³⁹.

    Se le fantasie arcaiche si impiantano su strutture di fondo estremamente semplici e generali, compongono però un cinematografo molto personalizzato, e ciò spiega, secondo la Klein, l’assoluta diversità che due artisti presentano nel descrivere lo stesso soggetto, dal momento che ognuno proietta in ciò che riproduce il proprio mondo interno. Siamo dunque all’estremità opposta rispetto a quella tenuta da Jung, caratterizzata da una mitografia tipicizzante e di carattere universale. Un critico letterario che mostra di tenere stretto conto delle indicazioni kleiniane in questo senso è Charles Mauron, che in Dalle metafore ossessive al mito personale⁴⁰, fonda la sua «psicocritica» a partire dalla rete di associazioni e figure ritornanti, che costituiscono nella superficie dei costrutti consapevolmente edificati dal poeta o dallo scrittore momenti di affioramento dei fattori inconsci, per cui «la psychocritique travaille sur les mêmes oeuvres que la critique historique, mais non sur les mêmes matériaux. Elle doit d’abord dégager des textes les structures incoscientes qui constituent ses objects propres»⁴¹. La rete delle figure ossessive porta alla individuazione di un mito personale, che non è da identificare con la nevrosi dell’artista ma ne è, in qualche modo, la faccia sublimata e culturalizzata: «Siamo condotti dallo studio totalmente empirico delle reti associative, all’ipotesi d’una situazione drammatica interna, personale, incessantemente modificata per reazione agli avvenimenti interni o esterni, ma persistente e riconoscibile. A questa situazione daremo il nome di mito personale». A questo punto, diventano utili anche le indicazioni esterne all’opera, atte a convalidare sul piano biografico il quadro che si è costruito.

    La critica psicanalitica in Italia

    Ha ragione Michel David a parlare di «antipsicologismo sistematico della critica» letteraria italiana, e non è certo solo quella che «si richiama a Croce»⁴² a nutrire simili idiosincrasie. David, ancora negli anni Sessanta, ha offerto una straordinaria mappa delle presenze freudiane nella nostra cultura novecentesca⁴³, sia come registrazione minuziosissima di tali presenze nella letteratura più o meno specialistica, nella stampa periodica, nelle opere di poeti e scrittori, sia come indicazione di fonti ispirative per molti autori (Svevo, Saba, Savinio, Gadda ecc.), sia come offerta di possibili percorsi interpretativi in chiave psicanalitica. Una mappa che finisce per essere più quella dell’antifreudismo che del freudismo, dal momento che la psicanalisi ha incontrato nella nostra cultura, in contemporanea e in successione, il fuoco di sbarramento dell’idealismo, del fascismo, del cattolicesimo e del marxismo. Ci voleva uno studioso francese per un lavoro del genere, abituato a «sentir parlare di rimozione, di transfert e di sessualità infantile perfino dai professori di liceo più timidi […] e a considerare Freud come una tappa obbligatoria della meditazione umanistica moderna»⁴⁴. Non per nulla quel libro capitale non fu degnato di attenzione da nessuna rivista letteraria nostrana (ma l’ostracismo dell’italianistica per tutto ciò che riguarda il rapporto psicanalisi-letteratura è durato ancora a lungo ed anche oggi è tutt’altro che estinto: non è certo un caso che i migliori critici di indirizzo psicanalitico siano dei francesisti, come Stefano Agosti o Francesco Orlando). Prima lo storicismo idealistico e marxiano, poi il purismo strutturalistico-semiologico hanno creato altissimi sospetti nei confronti delle componenti psicologiche ma,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1