La Terra sfregiata: Conversazioni su vero e falso ambientalismo
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Anteprima del libro
La Terra sfregiata - Luca Mercalli
instagram.com/edizionigruppoabele
Il libro
La pandemia è solo una delle manifestazioni di un cambiamento epocale prodotto nel mondo dall’azione dell’uomo. Sollecitato da Daniele Pepino, Luca Mercalli ci guida in un viaggio tra mutamenti climatici e disastri ambientali, negazionismi irresponsabili e falsi ambientalismi, grandi opere e consumi senza fine. La conclusione è chiara: una crescita infinita non è possibile in un mondo finito e, senza una svolta radicale e immediata nelle politiche e nei comportamenti individuali, non c’è futuro per la nostra sopravvivenza sul pianeta.
Gli autori
Luca Mercalli è un meteorologo, climatologo e divulgatore scientifico. Presiede la Società Meteorologica Italiana, dirige la rivista Nimbus e si occupa in particolare di ricerca sulla storia del clima e dei ghiacciai delle Alpi. Tra i suoi ultimi libri: Il clima che cambia (Rizzoli, 2019) e Non c’è più tempo. Come reagire agli allarmi ambientali (Einaudi, 2020).
Daniele Pepino vive in Alta Val di Susa, dove si occupa delle edizioni Tabor. È autore di Escartoun, la Federazione delle libertà. Itinerari di autonomia, eresia e resistenza nelle Alpi occidentali (con Walter Ferrari, Tabor, 2013). Per Edizioni Gruppo Abele è autore con Serge Latouche di Fine corsa. Intervista su crisi e decrescita (2013).
Indice
Nota dell’editore
I. Eventi estremi
II. Sottovalutazioni e inadeguatezze
III. Non se ne esce da soli
IV. Vero e falso ambientalismo
V. Decrescere o razionalizzare?
VI. Politica e movimenti
VII. Progresso e sapere scientifico
Nota dell’editore
L’insostenibilità ecologica della corsa verso una crescita infinita in un mondo dalle risorse limitate è un dato acquisito da almeno mezzo secolo (è del 1972 il Rapporto sui limiti della crescita del Club di Roma voluto da Aurelio Peccei, pietra miliare al riguardo anche da un punto di vista accademico
). Ma le conferenze e gli accordi internazionali che si sono susseguiti in questi cinquant’anni non hanno impedito il peggioramento dello stato di salute del pianeta. Il modello capitalistico produce danni ambientali enormi e, insieme, ingiustizie sociali e disuguaglianze crescenti. Ma il pensiero dominante si dimostra incapace finanche di immaginare alternative.
Eppure i segnali che vengono dalla natura e da ogni angolo del modo (cambiamenti climatici, inquinamento ambientale, innalzamento dei mari, ritiro dei ghiacciai, incendi, alluvioni eccetera) sono univoci e sempre più allarmanti. La stessa pandemia che, in questo 2020, ha colpito milioni di donne e uomini, ha a che fare, nella sua origine o quantomeno nella sua diffusione, con le alterazioni ambientali in atto. Ormai non ci sono dubbi: se si continua così, senza una svolta radicale e immediata nelle politiche e nei comportamenti individuali, questo mondo è destinato a implodere.
La necessità di una inversione di tendenza ha trovato voce nelle parole dure e autorevoli del papa di Roma (che, nell’enciclica Laudato si’, ha denunciato la devastazione ambientale e il connesso sfruttamento come violazioni del comandamento che impone di «non uccidere») e nel grido accorato di una ragazzina svedese ai potenti del mondo («Come osate?! Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote») che ha dato vita a uno dei più rilevanti movimenti del nuovo millennio. Ma, intanto, lo scempio della natura e le connesse ingiustizie sociali continuano senza sosta, talora ammantati di ambientalismo da salotto.
Che fare dunque? E come farlo? Sono interrogativi, alla ricerca di risposte, che percorrono questa conversazione tra un climatologo da sempre presente nel dibattito pubblico e un militante No Tav impegnato nella pratica di rapporti sociali e forme di vita alternativi al pensiero dominante.
giugno 2020
L’intervista che segue è stata realizzata a Torino nel gennaio 2020 e successivamente integrata nel maggio 2020. Le domande di Daniele Pepino sono riportate in corsivo, le risposte di Luca Mercalli in tondo. Le note sono del curatore.
I. Eventi estremi
L’epidemia del coronavirus domina la scena. Dunque incominciamo da qui: come si intreccia la pandemia con gli equilibri/squilibri prodotti dall’attuale relazione uomo/natura? Che cosa ci dice del nostro modo di rapportarci con l’ambiente in cui viviamo?
Ti rispondo ponendomi e ponendoti a mia volta una domanda: il coronavirus segna il ritorno di una natura matrigna, da combattere a suon di tecnologia per tornare appena possibile a dominarla? O non è piuttosto l’ennesimo avvertimento di uno squilibrio ecologico globale? Se si legge l’avvincente saggio Spillover di David Quammen, uscito nel 2014 per Adelphi, sembra proprio che l’emergere di nuovi virus aggressivi sia dovuto alla sempre più invasiva attività umana nei territori residuali della vita selvatica. I virus albergano in serbatoi naturali, in genere animali selvatici nel cuore delle foreste più o meno intatte. Più gli uomini, per motivi di sfruttamento agricolo, minerario, forestale, urbanistico, si insinuano in quelle regioni e vengono accidentalmente a contatto con gorilla, scimpanzé, pipistrelli, più aumenta la probabilità che un virus animale possa compiere il temutissimo salto di specie, o spillover, diventando patogeno e trasmissibile anche per noi. Ed eccoci così alla pressione ambientale: con il crescere della popolazione mondiale e con l’avida ricerca di cibo e materie prime che caratterizza le comunità umane, il disturbo e l’appropriazione fuori controllo di quanto resta della vita spontanea del pianeta diviene una nuova fonte di rischio sanitario. È quanto riportato anche nell’articolo Sustainable development must account for pandemic risk (Lo sviluppo sostenibile deve considerare anche il rischio pandemia) comparso in febbraio sui Proceedings of the National Academy of Sciences a firma di Moreno Di Marco e altri diciassette colleghi operanti tra Italia, Stati Uniti e Australia. Le loro conclusioni sono che «gli ecosistemi intatti possono giocare un importante ruolo di regolazione delle malattie mantenendone le dinamiche naturali nella vita selvatica e riducendo la probabilità di contatto e la trasmissione del patogeno tra gli esseri umani e il bestiame da allevamento». Si rimarca qui il concetto di "One World, One Health", ovvero un solo mondo, una sola salute, che deve vedere un approccio integrato di ricerca, di azione e di legislazione tra esseri umani, animali e ambiente. Se l’ambiente è malato ci ammaleremo anche noi.
E qui entrano in campo, o almeno dovrebbero, i suggerimenti e le indicazioni che possiamo trarre dalla crisi in corso. Quali sono, secondo te, i più importanti?