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senzadimora
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E-book302 pagine3 ore

senzadimora

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Info su questo ebook

"Senzadimora" è il nome della barca, ma è anche il sogno da realizzare. Un parto prematuro e le relative problematiche mediche sembrano in grado di mettere per sempre la parola fine ai sogni della giovane coppia che però non si lascia scoraggiare più di tanto. Anzi, la consapevolezza di poter perdere la felicità da un momento all'altro sprona l'autore e la moglie ad imbarcarsi - nel vero senso della parola - in dei lunghi periodi sabbatici, sia a bordo della loro vecchia barca a vela, girovagando qua e la quasi tutto il Mediterraneo, ma soprattutto fra le isole Greche, sia con moderni e meno romantici aerei, dimostrando che con un bambino piccolo si può fare (quasi) qualunque cosa. Le vicende si svolgono soprattutto fra le isole della Grecia, non mancano informazioni e consigli su come scegliere ed attrezzare una barca a vela per lunghe permanenze a bordo, ne quelli su come viaggiare e navigare con un bambino che crescendo cambia costantemente le proprie esigenze.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2020
ISBN9788831682831
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    Anteprima del libro

    senzadimora - Fabrizio Badini

    po­sto"

    PREMESSA

        Non ho mai pen­sa­to di scri­ve­re un rac­con­to, tan­to­me­no un li­bro in­te­ro, ma quel lu­ne­dì se­ra, in una Pun­ta Ala fred­da e de­ser­ta, al cal­duc­cio del­la bar­ca, mi so­no sen­ti­to per la pri­ma vol­ta in vi­ta mia di scri­ve­re qual­co­sa. For­se l’ho fat­to per sug­gel­la­re, o co­me uso di­re scher­zan­do con Pa­tri­zia, per sur­ge­la­re quel mo­men­to, quel­la de­ci­sio­ne co­sì dif­fi­ci­le da pren­de­re e co­sì fa­ci­le da ab­ban­do­na­re quan­do si tor­na (let­te­ral­men­te) con i pie­di per ter­ra.

    Poi lo scri­ve­re è di­ven­ta­to par­te del viag­gio. E’ tut­to ve­ro e po­co ro­man­za­to, de­ve ser­vi­re a non di­men­ti­ca­re, ne le stu­pen­de av­ven­tu­re vis­su­te, ne la ra­gio­ne che ci ha fat­to de­ci­de­re di vi­ver­le. È so­prat­tut­to un re­ga­lo a Pie­tro, che da gran­de po­trà leg­ge­re le av­ven­tu­re di cui è sta­to par­te­ci­pe ed in­con­sa­pe­vo­le isti­ga­to­re.

    LA DECISIONE

    È l’ul­ti­mo lu­ne­dì di feb­bra­io, di un in­ver­no par­ti­co­lar­men­te lun­go e fred­do, fi­nal­men­te una gior­na­ta tie­pi­da che fa in­tui­re l'ar­ri­vo del­la pri­ma­ve­ra. Ca­la Vio­li­na è de­ser­ta, sia­mo pla­ci­da­men­te an­co­ra­ti al cen­tro del­la ba­ia con la pop­pa ver­so ter­ra. Da­van­ti ai no­stri oc­chi c'è uno dei più bei pa­no­ra­mi che si pos­sa­no im­ma­gi­na­re, la pi­ne­ta ver­dis­si­ma, il cie­lo az­zur­ro e la do­ra­ta spiag­gia de­ser­ta si ri­flet­to­no nel ma­re im­mo­bi­le co­me uno spec­chio.

        Il bel pa­no­ra­ma rie­sce a di­strar­mi so­lo par­zial­men­te dal li­bro che sto leg­gen­do, Ma­gi­co Egeo è un li­bro/por­to­la­no che par­la del­la Gre­cia e del­le sue iso­le, l’ho let­to già al­tre vol­te, ma ora è di­ver­so, sta scat­tan­do la mol­la, for­se aiu­ta­ta dal­la pre­fa­zio­ne del­la gui­da Lo­ne­ly Pla­net Iso­le del­la Gre­cia che ho let­to ie­ri se­ra pri­ma di ad­dor­men­tar­mi.

    D'al­tron­de, do­po aver let­to quel­le po­che ri­ghe la mol­la ad un ap­pas­sio­na­to di ma­re e di ve­la de­ve scat­ta­re per for­za. Pen­sa­re di po­ter na­vi­ga­re fra mil­le­quat­tro­cen­to tra iso­le ed iso­let­te per lo più po­si­zio­na­te ad una di­stan­za mas­si­ma di un’ora di ve­la l’una dall’al­tra, di cui sol­tan­to una pic­co­la par­te (cir­ca cen­to­set­tan­ta di­ce la gui­da) so­no abi­ta­te, è un ri­chia­mo a cui dif­fi­cil­men­te si può re­si­ste­re.

      Si al­za un po’ di sci­roc­co, è ora di an­da­re. Su le ve­le, par­tia­mo di bo­li­na, que­sta è an­che la pri­ma bo­li­na di Pie­tro, no­stro fi­glio, che è qua­si na­to in bar­ca (let­te­ral­men­te), ma per va­rie vi­cis­si­tu­di­ni ha og­gi a qua­si sei me­si, il suo ve­ro bat­te­si­mo del ma­re.

    A di­re la ve­ri­tà lui una du­ra bo­li­na l'ha già fat­ta -an­zi l'ab­bia­mo fat­ta in­sie­me- è sta­ta una na­vi­ga­zio­ne im­pe­gna­ti­va che ci ha cam­bia­to la vi­ta... ma co­min­cia­mo dall'ini­zio, o non ci ca­pi­re­mo più nien­te!

        Pri­ma di tut­to, da­to che pas­so co­stan­te­men­te dal me al noi, c’è da chia­ri­re, che in bar­ca, co­sì co­me nel­la vi­ta del re­sto, io e Pa­tri­zia (mia mo­glie), sia­mo sem­pre as­sie­me. Stes­so la­vo­ro, stes­si ora­ri e stes­si hob­by.  Na­tu­ral­men­te an­che al­la pas­sio­ne per la ve­la sia­mo ap­pro­da­ti in­sie­me. Qual­che an­no con una bar­chet­ta a mo­to­re di ve­tro­re­si­na di po­co più di due me­tri, se­gui­ta da un gom­mo­ne Cal­le­ga­ri che sta­va bel­lo gon­fio mez­za gior­na­ta, nel 1993 co­me re­ga­lo di noz­ze ci sia­mo com­pra­ti un Mar­shal 80. Un su­per­gom­mo­ne di ben quat­tro me­tri e ot­tan­ta cen­ti­me­tri che ci sia­mo trai­na­ti fi­no ad Ischia do­ve ab­bia­mo pas­sa­to una lu­na di mie­le non pro­prio tra­di­zio­na­le.

    Do­po qual­che an­no di week end con gom­mo­ne al se­gui­to, con il qua­le ab­bia­mo gi­ra­to le co­ste di mez­za Ita­lia fa­cen­do an­che del cam­ping nau­ti­co, co­min­cia­va­mo a da­re se­gni di stan­chez­za e  nel con­tem­po au­men­ta­va il de­si­de­rio di ave­re una ve­ra ca­sa gal­leg­gian­te.

    One­sta­men­te non ave­va­mo le idee mol­to chia­re, ma co­me spes­so ac­ca­de, da co­sa vie­ne co­sa, ed ina­spet­ta­ta­men­te in una do­me­ni­ca di bo­nac­cia che ci ve­de­va ste­si a pren­de­re il so­le al­la de­ri­va a tre o quat­tro mi­glia al lar­go nel gol­fo di Fol­lo­ni­ca, men­tre pen­sa­va­mo so­prat­tut­to ad una pic­co­la bar­ca a mo­to­re ca­bi­na­ta e car­rel­la­bi­le, ec­co la svol­ta. Al­zo la te­sta in­cu­rio­si­to da un fru­scio e ve­do un ca­bi­na­to a ve­la sci­vo­la­re len­to e si­len­zio­so ver­so di noi,  pro­ba­bil­men­te at­trat­to dal no­stro gom­mo­ne al­la de­ri­va sen­za equi­pag­gio vi­si­bi­le... BOOM, IL­LU­MI­NA­ZIO­NE, que­sto si che è vi­ve­re il ma­re, in si­len­zio e sen­za fret­ta di ar­ri­va­re da qual­che par­te!

    La se­ra stes­sa ci ve­de im­pe­gnan­ti nel­la ri­cer­ca di un li­bro di ve­la, ne tro­via­mo due, un ma­nua­le di ve­la in una ban­ca­rel­la di vo­lu­mi a me­tà prez­zo, che di­ven­te­rà la no­stra bib­bia, e un li­bro di un na­vi­ga­to­re fran­ce­se, un cer­to Ber­nard Moi­tes­sier, in una li­bre­ria. Nel gi­ro di un me­se a La lun­ga rot­ta si so­no ag­giun­ti tut­ti gli al­tri scrit­ti di que­sto ma­ri­na­io un po’ paz­zo, che con i suoi rac­con­ti ha fat­to so­gna­re in­te­re ge­ne­ra­zio­ni di ve­li­sti.

    FINALMENTE VELA

    Ini­zia co­sì il pel­le­gri­nag­gio nei por­ti di To­sca­na e Li­gu­ria al­la ri­cer­ca del­la pri­ma bar­ca. Noi non ne sap­pia­mo nien­te,  non ab­bia­mo nem­me­no ami­ci che ne ca­pi­sca­no qual­co­sa. De­ci­dia­mo che co­mun­que do­vrà es­se­re pic­co­la e po­co co­sto­sa, per im­pa­ra­re e ca­pi­re se la ve­la fa ve­ra­men­te per noi.

    In bre­ve di­ven­tia­mo ar­ma­to­ri di un bel­lis­si­mo Car­te­four 681, bar­chet­ta in ve­tro­re­si­na de­gli an­ni 70 in cui si cu­ci­na stan­do in gi­noc­chio... e co­me dis­se Pa­tri­zia quan­do la com­pram­mo c'è pu­re il la­vel­lo!

    Da qui' in poi cam­bia ra­di­cal­men­te la no­stra vi­ta, che sia esta­te o in­ver­no, che pio­va o ci sia il so­le, non ci in­te­res­sa, il sa­ba­to se­ra ap­pe­na chiu­so il ne­go­zio, si par­te, la mac­chi­na è già ca­ri­ca, de­sti­na­zio­ne Pun­ta Ala, tut­to il re­sto non con­ta, l'uni­ca co­sa ve­ra­men­te im­por­tan­te è es­se­re in bar­ca.

    Nel gi­ro di po­chi me­si, il fi­do Car­te­four è so­sti­tui­to da un Co­met 850, ma non du­ra mol­to nean­che quel­lo, nel gi­ro di un al­tro an­no sia­mo ar­ma­to­ri di un Grand So­leil 343, la no­stra bar­ca dei so­gni, an­zi, la bar­ca che non osa­va­mo nem­me­no so­gna­re, d'al­tron­de sia­mo an­co­ra gio­va­nis­si­mi, io ho 28 an­ni, Pa­tri­zia sol­tan­to 23.

    Men­tre il bro­ker ci fa­ce­va ve­de­re la bar­ca, di­ce­va che se­con­do lui per noi sa­reb­be sta­ta la bar­ca idea­le, bel­la e mol­to com­mer­cia­le, per­fet­ta per qual­che an­no per poi cam­biar­la con una più gran­de... noi gli da­va­mo ra­gio­ne, ma pen­sa­va­mo: -Bi­so­gna es­se­re paz­zi per ven­de­re una bar­ca co­sì! Non la ven­de­re­mo mai!- Ma, ave­va ra­gio­ne lui, so­no pas­sa­ti di­ver­si an­ni, la scel­ta è sta­ta mol­to ra­gio­na­ta, la bar­ca at­tua­le (for­se quel­la de­fi­ni­ti­va, ma ab­bia­mo ca­pi­to che è dif­fi­ci­le es­ser­ne si­cu­ri) è una bar­ca mi­ti­ca, fa par­te di quel­le bar­che che han­no con­tri­bui­to al­la sto­ria nau­ti­ca ita­lia­na, un ve­ro pu­ro­san­gue che ha fat­to, e con­ti­nua a far so­gna­re mol­tis­si­mi ap­pas­sio­na­ti. Nel 2001 sia­mo di­ven­ta­ti ar­ma­to­ri un Grand so­leil 39.

    LA BOLINA DI PIETRO

    Ho pro­va­to e ri­pro­va­to a de­scri­ve­re il gior­no del­la na­sci­ta, ma ri­schia di di­ven­ta­re un rac­con­to lun­go e com­pli­ca­to. Per far­la bre­ve, il di­ciot­to di ago­sto, quin­di qua­si tre me­si pri­ma del pre­vi­sto, na­sce Pie­tro, per nes­sun mo­ti­vo lo­gi­co a par­te il fat­to che da qual­che set­ti­ma­na si era già po­si­zio­na­to a te­sta in giù.

    Per una se­rie di for­tu­na­te coin­ci­den­ze na­sce a Pe­ru­gia e non a Gros­se­to, ma co­mun­que ci tro­va tal­men­te im­pre­pa­ra­ti che in sa­la tra­va­glio al mo­men­to del par­to ab­bia­mo an­co­ra ad­dos­so le ma­gliet­te con il no­me del­la bar­ca, le in­fra­di­to ai pie­di, ed io ad­di­rit­tu­ra gli oc­chia­li da so­le sul­la te­sta!

        I pri­mi due me­si so­no sta­ti tre­men­di, so­prat­tut­to i pri­mi qua­ran­ta gior­ni che Pie­tro ha pas­sa­to in in­cu­ba­tri­ce, sen­za che ne io ne Pa­tri­zia lo aves­si­mo mai po­tu­to pren­de­re in brac­cio. La pa­ro­la più in­co­rag­gian­te dei pri­mi quin­di­ci gior­ni è sta­ta per og­gi se l'è ca­va­ta, le peg­gio­ri, tan­te, ave­va­no a che fa­re con in­fe­zio­ni, dif­fi­col­tà re­spi­ra­to­rie ed al­tre pos­si­bi­li pro­ble­ma­ti­che al­lo svi­lup­po de­gli or­ga­ni.

    È du­ran­te que­ste se­ra­te pas­sa­te in ospe­da­le, ad aspet­ta­re la pos­si­bi­li­tà di ve­de­re Pie­tro an­che sol­tan­to die­ci mi­nu­ti, che nel­la mia men­te im­ma­gi­ni di vi­ta vis­su­ta e vi­ta fu­tu­ra si in­trec­cia­no e crea­no sce­na­ri idil­lia­ci o pes­si­mi... la men­te va­ga e tan­te ne­ces­si­tà ri­te­nu­te in­di­spen­sa­bi­li di­ven­ta­no inu­ti­li, men­tre al­tri va­lo­ri, che tan­te vol­te dia­mo per scon­ta­ti, ri­schia­no di sfug­gir­ci.

      Sem­bra che stia par­lan­do del­la sa­lu­te, ma no, quel­la bi­so­gna dar­la per scon­ta­ta per for­za, sen­za di lei tut­to il re­sto è im­pos­si­bi­le o ad­di­rit­tu­ra inu­ti­le, il ve­ro te­so­ro che spes­so sper­pe­ria­mo è il tem­po, sa­cri­fi­ca­to al dio la­vo­ro e ai dei con­su­mi­smo, o ad­di­rit­tu­ra ac­cu­mu­lo.

        Non è che io mi vo­glia de­fi­ni­re un ac­cu­mu­la­to­re, un con­su­mi­sta, ne tan­to­me­no un su­per­la­vo­ra­to­re, ma nel­la vi­ta si sa, tut­to è re­la­ti­vo.  Fac­cia­mo una bel­lis­si­ma vi­ta, va­ria ed in­te­res­san­te, an­che se per con­ci­lia­re la­vo­ro e di­ver­ti­men­to sia­mo sem­pre  in cor­sa con­tro il tem­po. I so­gni, quel­li ve­ri, li ab­bia­mo la­scia­ti per quan­do sa­re­mo più gran­di...  Ma, ed è un ma ma­iu­sco­lo, sem­bra sem­pre di ave­re un tem­po in­fi­ni­to da­van­ti a noi quan­do si sta be­ne e non ci so­no nu­bi all'oriz­zon­te. Pur­trop­po que­sta sto­ria ci sta fa­cen­do ca­pi­re che tut­to può com­pli­car­si, o peg­gio fi­ni­re da un mo­men­to all'al­tro.

        Sia­mo sta­ti mol­to for­tu­na­ti, pia­no pia­no la bur­ra­sca e pas­sa­ta, il ven­to ha co­min­cia­to a gi­ra­re dal­la par­te giu­sta, il no­stro ma­ri­na­ret­to ha co­min­cia­to a rea­gi­re be­ne, e fi­nal­men­te, fra mil­le pau­re lo ab­bia­mo por­ta­to a ca­sa. Mil­le pau­re, per­ché  ci ave­va­no av­ver­ti­to che i pri­mi me­si sa­reb­be sta­to de­li­ca­tis­si­mo, ed un sem­pli­ce raf­fred­do­re po­te­va di­ven­ta­re un ve­ro pro­ble­ma... poi tan­to per com­pli­ca­re le co­se ol­tre a quel­la clas­si­ca, era an­che l'an­no dell'in­fluen­za sui­na.

        Quan­do ce lo han­no con­se­gna­to co­me rac­co­man­da­zio­ni par­ti­co­la­ri i bra­vis­si­mi dot­to­ri dell' uni­tà di te­ra­pia in­ten­si­va neo­na­ta­le dell'ospe­da­le di Pe­ru­gia ci han­no det­to: Me­no gen­te ve­de me­glio è, non por­ta­te­lo in luo­ghi af­fol­la­ti, se è pos­si­bi­le aria aper­ta a vo­lon­tà, tut­to il re­sto ver­rà da so­lo.

    Do­po i pri­mi quin­di­ci gior­ni a ca­sa, abi­tua­ti al rit­mo che il pu­po im­po­ne­va, spro­na­ti dal­la vo­glia di cam­bia­re aria, ma so­prat­tut­to dal­la ne­ces­si­tà di te­ne­re al­la lar­ga ami­ci e pa­ren­ti che ben­ché av­ver­ti­ti si pre­sen­ta­va­no al­la por­ta di ca­sa, non sen­za un po' di ap­pren­sio­ne, sia­mo par­ti­ti per un week end a Pun­ta Ala.  L' Idea si è su­bi­to ri­ve­la­ta gran­dio­sa, or­mai è qua­si no­vem­bre, il cli­ma an­co­ra mol­to gra­de­vo­le, gli ami­ci ri­spet­to­si del no­stro iso­la­men­to ma al­lo stes­so tem­po pre­sen­ti per ri­por­tar­ci al­la vi­ta e far­ci com­pa­gnia nel­le lun­ghe pas­seg­gia­te in que­sto in­can­te­vo­le por­to e nei suoi din­tor­ni... Fat­to sta', che da quel pri­mo week end un po' da paz­zi, non ne ab­bia­mo più sal­ta­to nem­me­no uno, la bar­ca è sta­ta la nour­sey di Pie­tro per tre not­ti a set­ti­ma­na, an­che se tut­to sem­bra­va me­no che una bar­ca... con il ta­vo­lo da car­teg­gio in­va­so da pan­no­li­ni e de­ci­ne di sca­to­le di me­di­ci­na­li.

    IL MOMENTO GIUSTO

      Sen­za­di­mo­ra,  il no­me del­la no­stra bar­ca, la di­ce lun­ga, non pen­so ci sia­no dub­bi sul­le in­ten­zio­ni, a ben quat­tro bar­che ab­bia­mo mes­so que­sto no­me, sem­pre aspet­tan­do la bar­ca giu­sta, ed il mo­men­to giu­sto...

          La ve­ri­tà in fin dei con­ti è che ogni bar­ca, ogni mo­men­to, sa­reb­be quel­lo giu­sto per par­ti­re, ma, co­me ho già scrit­to, mol­to spes­so i so­gni di que­sto ti­po ven­go­no ri­man­da­ti, po­sti­ci­pa­ti, ac­can­to­na­ti, in at­te­sa di un mo­men­to mi­glio­re, in par­te for­se per­ché  so­no trop­po gran­dio­si, (o for­se ce li in­ven­tia­mo trop­po gran­dio­si per ave­re una scu­sa per ri­man­dar­li).

        Spes­so si aspet­ta di ave­re più sol­di da par­te, quel­la si­cu­rez­za eco­no­mi­ca che ci per­met­te­reb­be di par­ti­re in tran­quil­li­tà, ma è mol­to fa­ci­le per­de­re la via se­gna­ta. Se si è bra­vi (e for­tu­na­ti) si gua­da­gna sem­pre più... ed è dif­fi­ci­le mol­la­re tut­to... se in­ve­ce si gua­da­gna me­no ci si pre­oc­cu­pa per il fu­tu­ro... e si ri­man­da la par­ten­za.

      Noi sia­mo pro­prio in una di que­ste si­tua­zio­ni,  il ne­go­zio di ot­ti­ca che ab­bia­mo aper­to una ven­ti­na di an­ni fa sta dan­do ora i mi­glio­ri frut­ti, In vent'an­ni non sia­mo cre­sciu­ti so­lo ana­gra­fi­ca­men­te, (che già co­mun­que ci da quell'aspet­to e quel­la si­cu­rez­za che sol­tan­to l'età può dar­ti), ma so­prat­tut­to pro­fes­sio­nal­men­te. Ab­bia­mo pro­ba­bil­men­te rag­giun­to quel giu­sto com­pro­mes­so fra men­ta­li­tà gio­va­ne, aper­ta al­le mo­de del mo­men­to, ed espe­rien­za, fon­da­men­ta­le per ri­sol­ve­re pro­ble­mi tec­ni­ci e psi­co­lo­gi­ci che si in­con­tra­no con­ti­nua­men­te nel­la no­stra pro­fes­sio­ne. In­som­ma, tut­to ci por­te­reb­be a ti­ra­re al­tri die­ci an­ni, per poi ti­ra­re i re­mi in bar­ca... ed al­za­re le ve­le!

    Ma im­ma­gi­no già co­me an­dreb­be a fi­ni­re, fra die­ci an­ni sa­rem­mo qua a fa­re le so­li­te con­si­de­ra­zio­ni, a pen­sa­re a co­me sia­mo bra­vi, che ab­bia­mo l'età mi­glio­re ect ect... E ci ri­tro­ve­re­mo a ri­man­da­re di al­tri cin­que o die­ci an­ni la par­ten­za, fi­no a che o sa­rem­mo trop­po vec­chi per de­si­de­ra­re di par­ti­re, o peg­gio, qual­che pro­ble­ma se­rio ci im­pe­di­reb­be non sol­tan­to di par­ti­re, ma an­che di so­gna­re.

    Un ami­ca che ha mol­la­to tut­to di­ce che non è co­rag­gio­so fa­re cer­te scel­te di vi­ta, il ve­ro co­rag­gio se­con­do lei è con­ti­nua­re la vi­ta di tut­ti i gior­ni, stres­sa­ti dal la­vo­ro e da­gli im­pe­gni quo­ti­dia­ni che si ac­cu­mu­la­no uno sull'al­tro.

    For­se nel suo ca­so è ve­ro, ma non cer­ta­men­te nel no­stro. Ab­bia­mo un la­vo­ro che ci da sod­di­sfa­zio­ne e ci la­scia ab­bon­dan­te tem­po li­be­ro, vi­via­mo in una cit­ta­di­na tran­quil­la, do­ve par­ten­do a pie­di da ca­sa, in cin­que mi­nu­ti pos­sia­mo es­se­re in cen­tro o in aper­ta cam­pa­gna e pas­sia­mo tut­ti i week end in bar­ca, che è or­meg­gia­ta in un po­sto in­can­te­vo­le, in de­fi­ni­ti­va non vo­glia­mo scap­pa­re da nul­la, vo­glia­mo sol­tan­to vi­ve­re un so­gno, il no­stro so­gno!

    Ma la co­sa fon­da­men­ta­le, il ful­cro di tut­to, è che lo vo­glia­mo vi­ve­re dav­ve­ro, su­bi­to, pri­ma che cam­bia­mo idea o che la vi­ta ci ri­ser­vi qual­che brut­ta sor­pre­sa.

        Pie­tro è sta­to la mol­la, la fion­da che ci ha lan­cia­to in que­sta in­cre­di­bi­le av­ven­tu­ra. Lui che ad un cer­to mo­men­to con la sua na­sci­ta pre­ma­tu­ra, e con tut­ti i po­ten­zia­li pro­ble­mi ad es­sa col­le­ga­ti ha mes­so in dub­bio non sol­tan­to la rea­liz­za­zio­ne di un so­gno ma so­prat­tut­to la fe­li­ci­tà stes­sa dell'in­te­ra fa­mi­glia, ci ha spin­to a pren­de­re quel­la de­ci­sio­ne che da tan­to ri­man­da­va­mo.

    LE SETTIMANE SEMISABBATICHE

        Ma tor­nia­mo a qual­che an­no in­die­tro, quan­do Pie­tro - co­me gli di­cia­mo quan­do gli rac­con­tia­mo di co­se suc­ces­se an­che tan­ti an­ni pri­ma che na­sces­se - era an­co­ra nel­la pan­cia del­la mam­ma.

        Do­po i pri­mi an­ni di fan­ta­sti­che ve­leg­gia­te fra ar­ci­pe­la­go To­sca­no, Cor­si­ca, Sar­de­gna, Pon­za, Pal­ma­ro­la e Ven­to­te­ne, è ar­ri­va­to il mo­men­to in cui an­che que­sti che so­no co­mu­ne­men­te ri­co­no­sciu­ti fra i luo­ghi più bel­li al mon­do han­no ini­zia­to a stan­car­ci.  È du­ro am­met­te­re di es­ser­ci stan­ca­ti di luo­ghi co­sì bel­li ed af­fa­sci­nan­ti, sem­bra di vo­ler fa­re gli snob o i fi­ghet­ti a tut­ti i co­sti. Pen­so a chi non ci co­no­sce e si ri­tro­va suo mal­gra­do a leg­ge­re que­ste ri­ghe. Se fos­si io al po­sto del let­to­re,  mi im­ma­gi­ne­rei lo scrit­to­re stan­co del­la Sar­de­gna, uno con la bar­bet­ta da cal­cia­to­re, il si­ga­ro pe­ren­ne­men­te fra le di­ta, a sen­ten­zia­re con la r mo­scia e la pro­nuncia stra­sci­ca­ta:  la co­v­sta sme­ral­da ov­mai è di­ven­ta­ta in­vi­vi­bi­le! Po­vn­za?!?! Ohh cie­lo, no! tvop­pi Vo­ma­ni!!!

        Nien­te di tut­to que­sto per ca­ri­tà, fra l'al­tro ab­bia­mo sem­pre vis­su­to le cro­cie­re al di fuo­ri del pe­rio­do ago­stia­no, go­den­do­ci tut­te le iso­le al me­glio. È sol­tan­to lo spi­ri­to in­do­mi­to del viag­gia­to­re che ci spin­ge sem­pre a cer­ca­re nuo­vi oriz­zon­ti, nuo­vi ma­ri da sol­ca­re, nuo­vi sti­mo­li per gli oc­chi e per la men­te.

      Il so­gno a quel tem­po era­no le Eo­lie, co­ni vul­ca­ni­ci ru­di ed iso­la­ti, ad una di­stan­za ta­le dal­la To­sca­na che ci avreb­be im­pe­di­to di rag­giun­ger­le ve­leg­gian­do in ar­mo­nia con gli ele­men­ti e so­prat­tut­to di go­der­ce­le con la tran­quil­li­tà e la ri­las­sa­tez­za che cer­ti luo­ghi me­ri­ta­no. Avrem­mo po­tu­to tra­sfe­ri­re la bar­ca in an­ti­ci­po e de­di­ca­re le due set­ti­ma­ne di fe­rie in­te­ra­men­te al­le iso­le, ma sce­gliem­mo una de­ci­sio­ne più dra­sti­ca e ab­ba­stan­za fan­ta­sio­sa.

        Era­va­mo in quel pe­rio­do im­pe­gna­ti nel­la ri­strut­tu­ra­zio­ne di un ca­sa­le in cam­pa­gna, con il dub­bio tut­te le set­ti­ma­ne se sta­re a se­gui­re i la­vo­ri o an­da­re in bar­ca, con il ri­sul­ta­to che se era­va­mo in bar­ca pen­sa­va­mo ai la­vo­ri, se era­va­mo in cam­pa­gna pen­sa­va­mo al­la bar­ca! La ri­strut­tu­ra­zio­ne era im­pe­gna­ti­va, la se­guì ed ese­guì (af­fian­can­do sta­bil­men­te l'im­pre­sa co­strut­tri­ce) per­so­nal­men­te, ed una gio­va­ne ra­gaz­za af­fian­cò Pa­tri­zia nel­la ge­stio­ne del ne­go­zio.

        Si pro­gram­ma dun­que un an­no in­te­ro con la bar­ca al sud, nel nuo­vo Ma­ri­na di Tro­pea, con l'im­pe­gno mo­ra­le di pas­sar­ci una set­ti­ma­na al me­se, tut­ti i me­si, sia d'esta­te che d'in­ver­no. Le bat­tez­zam­mo le set­ti­ma­ne sab­ba­ti­che, sul­la car­ta sem­bra­va sem­pli­ce as­sen­tar­ci per cin­que gior­ni la­vo­ra­ti­vi ogni tan­to, e nel­la real­tà, (co­me sco­pri­re­mo suc­ce­de sem­pre), è sta­to an­co­ra più fa­ci­le di quel­lo che cre­de­va­mo! Se­re­na, la no­stra col­la­bo­ra­tri­ce rie­sce a man­da­re avan­ti il la­vo­ro di rou­ti­ne e ci pren­de ap­pun­ta­men­ti per la set­ti­ma­na se­guen­te. In ef­fet­ti il la­vo­ro e la ri­strut­tu­ra­zio­ne  scor­ro­no re­go­la­ri, e al­la fi­ne dei con­ti sia­mo riu­sci­ti a fa­re una set­ti­ma­na in bar­ca (che con i due week end di­ven­ta­no no­ve gior­ni) cir­ca ogni tren­ta gior­ni di la­vo­ro.

      L'espe­rien­za si è di­mo­stra­ta in­cre­di­bil­men­te per­fet­ta, in li­nea di mas­si­ma par­ti­va­mo per la Ca­la­bria con pre­vi­sio­ni di tem­po buo­no, cer­to era una gran sfac­chi­na­ta, o una not­ta­ta in­te­ra sul­le sco­mo­de cuc­cet­te di un tre­no o sul co­mo­do se­di­le - ma con l'ob­bli­go di sta­re sve­gli gui­dan­do per ot­to­cen­to chi­lo­me­tri - del­la no­stra au­to. Co­mun­que sce­glie­va­mo ar­ri­va­va­mo stanchi ma fe­li­ci del­le nuo­ve espe­rien­ze vis­su­te e co­sa non pre­ven­ti­va­ta, del­le splen­di­de ami­ci­zie na­te fra i pon­ti­li del pic­co­lo ma­ri­na.

      Già vi­ve­re Tro­pea e quel­la par­te di Ca­la­bria in tut­ti i pe­rio­di dell'an­no sa­reb­be sta­ta un espe­rien­za in­cre­di­bil­men­te ap­pa­gan­te, ma e sta­to sol­tan­to l'ape­ri­ti­vo. Una qua­ran­ta­cin­qui­na di not­ti le ab­bia­mo pas­sa­te all'an­co­ra nel­le va­rie ba­ie del­le Eo­lie. Dai pri­mi ba­gni dell'an­no a me­tà apri­le, quan­do a Vul­ca­no an­co­ra non è aper­ta nem­me­no la bi­gliet­te­ria per ac­ce­de­re al­la va­sca ter­ma­le, all'escur­sio­ne gui­da­ta in ci­ma al cra­te­re di Strom­bo­li (la no­stra iso­la pre­fe­ri­ta) i pri­mi di no­vem­bre, quan­do l'ac­qua del ma­re era an­co­ra sui ven­ti­cin­que gra­di, ed il ba­gno non era sol­tan­to per di­re l'ho fat­to, ma una ve­ra ne­ces­si­tà di re­fri­ge­rio!

      Sem­bra­va aves­si­mo sco­per­to l'uo­vo di co­lom­bo, ol­tre die­ci set­ti­ma­ne all'an­no di va­can­za a go­der­ci po­sti sco­no­sciu­ti, pen­sa­va­mo che avrem­mo po­tu­to du­ra­re an­ni a quel rit­mo. In­ve­ce, il mo­to­re del Sen­za­di­mo­ra ne­ces­si­ta­va di una cu­ra ra­di­ca­le ed il can­tie­re scel­to per la so­sti­tu­zio­ne era in To­sca­na.  Poi so­sti­tui­to il mo­to­re, pron­ti per ri­par­ti­re al­la vol­ta del­la Si­ci­lia,  sco­prim­mo di es­se­re

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