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Il viaggio di A - Libro terzo - A in Francia
Il viaggio di A - Libro terzo - A in Francia
Il viaggio di A - Libro terzo - A in Francia
E-book376 pagine5 ore

Il viaggio di A - Libro terzo - A in Francia

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Info su questo ebook

A attraversa il territorio della Francia fino a raggiungere Parigi, dove entra a far parte di un gruppo di giovani per scoprire qualcosa di più sull’organizzazione dei Daimònes che sparge terrore in ogni nazione. Con loro attua un piano capace di risvegliare il cuore dei cittadini di Parigi che accoglieranno l’invito ad agire per fermare la violenza.

Tra i ragazzi e le ragazze del gruppo dei gatti vagabondi e randagi (les chats vagabonds) nasce un sodalizio speciale, un affiatamento molto forte che li spinge a compiere atti coraggiosi, ma saranno costretti anche a sopportare molto dolore nel nome della libertà.

Durante il viaggio, si confronterà con opinioni diverse dalla sua e imparerà l’importanza della geografia della storia, della poesia e delle lingue straniere.

Anche in Francia, A apprenderà quindi saperi importanti per la crescita interiore e si troverà coinvolta in vicende avventurose, affrontando nel finale una sfida sulla torre Eiffel con un uomo spietato, mettendo a rischio la propria vita.

La giovane protagonista partirà poi con una mongolfiera e attraverso la Germania giungerà fino in Italia, per proseguire le ricerche della madre scomparsa.
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2020
ISBN9788831676878
Il viaggio di A - Libro terzo - A in Francia

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    Anteprima del libro

    Il viaggio di A - Libro terzo - A in Francia - Adriano Scarmozzino

    Adriano Scarmozzino

    Il viaggio di

    A

    Libro Terzo

    A in Francia

    Capitolo 1

    Verso Limoges

    A e Louise avevano lasciato la città di Tolosa per dirigersi verso il nord della Francia. Una persistente malinconia stringeva ancora i loro cuori per la sofferta perdita dei loro amici, ma l’istinto le portava ad andare avanti senza arrendersi alle sventure del mondo.

    Attraversarono con il carro lunghe strade sterrate in mezzo ai campi coltivati sotto un cielo grigio, mentre il sole appariva di tanto in tanto in mezzo alle nuvole. Gli occhi di A guardavano con molta curiosità i colori autunnali del paesaggio e fissavano gli alberi e le foglie che oscillavano fragili dai rami.

    Louise cominciò a parlare delle località più accoglienti che avrebbero attraversato.

    «Vedrai che ti piacerà molto la città di Limoges...» disse accennando un quieto sorriso e continuando a descrivere il fascino delle terre francesi.

    A ascoltava con interesse ogni sua parola, conducendo il carro senza troppa fretta. Sapeva che c’era tanta strada da percorrere e non intendeva affaticare inutilmente i cavalli.

    Nel pomeriggio l’aria si raffreddò molto e iniziò a soffiare una brezza gelida. Louise coprì la sua cagnolina Tatì con un lembo della mantellina che aveva indosso.

    Verso sera raggiunsero la locanda Chez Séraphine, tutta dipinta di verde con delle panche e dei tavoli di legno all’esterno nel giardino, dove un’anziana signora intrecciava dei fiori. A tirò le briglie dicendo: «Per questa notte fermiamoci qui a dormire, ho ancora con me qualche moneta».

    Un uomo con i capelli bianchi che si chiamava Antoine andò loro incontro per accoglierle. Le ragazze gli chiesero di mettere il carro al riparo e si fermarono a uno dei tavoli del giardino con un cestino contenente pane, formaggio e frutta. Mangiarono con calma mentre il sole scendeva lento all’orizzonte, irradiando i campi con i suoi lunghi raggi di luce ambrata.

    La mattina seguente ripartirono riposate e questa volta fu Louise a condurre i cavalli, mentre A si mise seduta sul pianale dove si divertì a giocare con la piccola Tatì.

    A un certo punto, A e Louise udirono il suono di una chitarra che un giovane ragazzo stava suonando seduto all’argine del fiume, con il suo cavallo bianco legato ad un albero a poca distanza.

    Il ragazzo aveva i capelli corti e scuri, un bel viso rotondo con il naso affilato e gli occhi chiari. Aveva un’aria spensierata e pizzicava con le dita le corde della sua chitarra con leggiadria.

    «Buongiorno ragazze, dove vi state recando?» chiese il musicista interrompendo il fluire delle sue note.

    «E a te cosa importa?» domandò Louise con tono brusco.

    «Stavo solo cercando di essere educato...» replicò lo sconosciuto.

    «Scusaci, andiamo di fretta...» disse A.

    «Io non so neanche cosa sia la fretta...» replicò il ragazzo. Poi, ritrovando il sorriso si avvicinò con la chitarra tra le mani e togliendosi il cappello dalla testa aggiunse: «Permettete che mi presenti, mi chiamo Candide e sono un artista che si sposta di città in città per offrire un po’ di allegria a chi ne ha bisogno».

    «Grazie mille ma, come ha già detto la mia amica A, noi andiamo di fretta...» disse Louise che sperava di levarsi di torno l’importuno.

    «A suona come un nome interessante. E tu invece come ti chiami?» chiese Candide guardando Louise.

    La risposta della ragazza non fu per nulla gentile: «Insomma, cosa vuoi? Perché non te ne vai per la tua strada?»

    «Infatti sto andando per la mia strada. Ho intenzione di raggiungere la città di Tours dove vive mia sorella...» rispose Candide. E aggiunse: «A me farebbe piacere proseguire una parte del viaggio insieme, ma se per voi è un disturbo...»

    «Anche un fannullone come te ha qualcuno che gli vuole bene?» domandò scorbutica Louise.

    Il giovane aggrottò la fronte e rispose: «Io sono una persona gentile, però davanti a tanta maleducazione non mi pare sia il caso di continuare». Quindi girò le spalle e fece per andarsene.

    A rimproverò benevolmente la sua amica: «Louise, perché lo hai offeso?»

    E subito si rivolse a Candide: «Aspetta, non andare via...»

    Louise capì che aveva esagerato: «E va bene, scusami. Se vuoi, possiamo fare un tratto di strada insieme, purché ti comporti bene e non fai un passo più lungo della gamba».

    «Sarò un damerino di corte e suonerò per voi ogni volta che me lo chiederete...» replicò Candide ritrovando il suo buonumore.

    In realtà, A trovava Candide molto educato e pensò che la sua compagnia sarebbe stata utile per trascorrere qualche momento lieto ascoltando il suo canto e la musica della chitarra.

    Il viaggio proseguì e i giovani iniziarono a conoscersi meglio. Durante il dialogo, A e Louise decisero anche di raccontare i fatti dolorosi accaduti in Spagna.

    Candide espresse il suo cordoglio, ma il suo viso appariva dubbioso, come se non credesse possibile che due signorine così ben vestite avessero potuto partecipare a una battaglia cruenta con tanti morti e feriti contro .

    La sua perplessità si manifestò verso l’ora di pranzo, quando si fermarono a mangiare in una pianura, accanto a un campo di violette. Louise aveva steso sul prato una tovaglia tutta bianca e offrì dei pomodori saporiti che suo padre aveva messo nelle ceste insieme agli altri viveri.

    Mentre Tatì correva senza sosta, cercando di catturare i grilli che saltavano di fiore in fiore, Louise rivelò ancora una volta il dolore provato a causa della malvagità dei Daimònes e non nascose il disprezzo che provava nei loro confronti.

    «Hanno creato un’organizzazione davvero crudele che sta facendo del male a troppe persone» aggiunse A mentre tagliava alcune fette di pane.

    Candide volle allora esprimere con franchezza il proprio pensiero: «Spesso si descrive il mondo come pieno di persone con cattive intenzioni che si mettono d’accordo per fare del male al prossimo, però penso che non sia tutto così vero. Ritengo che l’umanità sia altrettanto piena di bontà. Io, per esempio, ho vagato ramingo per mesi in tutto il sud della Francia. In ogni villaggio sono stato ben accolto, mi è stato sempre offerto generosamente da mangiare e da dormire».

    Louise lo guardò di traverso. Ricordando i volti di René e degli altri amici morti per causa dei Daimònes, non si trattenne: «Tu sei davvero uno sciocco! Non capisci che ci sono giovani che combattono e muoiono, mentre tu te ne vai in giro a strimpellare con la tua stupida chitarra?».

    A vide l’amica alzarsi ed allontanarsi irritata e non sapeva bene cosa fare.

    Candide ci tenne però a ribadire le proprie idee: «Non si può giudicare la vita sociale in maniera infantile: da un lato uomini e donne assolutamente buoni o innocenti, e dall’altro dei gruppi che pensano solo a far del male. Sono dispiaciuto che sia accaduto un fatto malvagio, ma non per questo dipingo una metà del mondo con il colore tutto bianco l’altra metà con l’inchiostro nero. E nessuno si deve offendere se io guardo l’esistenza con serenità e valuto ogni cosa con maggiore equilibrio».

    Louise aveva raggiunto la sua cagnolina Tatì e l’aveva stretta tra le braccia. Si era messa in disparte e l’accarezzava teneramente, cercando di ritrovare la calma e per distrarsi sussurrava a bassa voce parole affettuose.

    A era rimasta accanto a Candide e, pur non sentendosi offesa dalle sue parole, riteneva che il giovane avesse torto; quindi cercò di spiegarglielo: «Quando vivevo nel mio villaggio, mia madre e mio padre mi coccolavano e la mia sorellina giocava insieme a me con allegria. A quel tempo, il male era per me completamente sconosciuto e non avrei potuto in alcun modo descrivere cosa fosse esattamente o attribuirgli una forma. Adesso però ho capito che la violenza esiste e ha sempre un volto, anche quando si nasconde dietro una maschera. Ed è per me chiaro adesso che il male opera sempre attraverso una mente che lo guida e delle braccia che agiscono senza scrupoli. E per quanto mi sia difficile spiegare come possa essere possibile, penso ci sia anche una qualche legge di natura per cui alla fine siamo proprio noi persone più ingenue a diventare vittime di quel male così come avviene per alcune specie di pacifici animali cacciate dai loro predatori. Proprio perché ignari del male e del suo agire, non conosciamo i malefici trucchi che lo caratterizzano e la maschera sempre diversa che lo nasconde. Per questo si prende facilmente gioco di noi e delle nostre vite».

    La ragazza guardò fisso negli occhi il giovane e volle ancora aggiungere dell’altro: «In Spagna, Louise ed io abbiamo visto uccidere a colpi di cannone un numero inimmaginabile di persone e adesso sappiamo bene che il male non è un’invenzione della fantasia, ma una falce tagliente che recide i fiori innocenti di un prato, impedendo loro di sbocciare e di essere illuminati dai raggi del sole».

    Candide avrebbe voluto proseguire la discussione e ribattere ancora, ma aveva udito la voce di A tremare e i suoi occhi perdersi nel vuoto come se stessero rivivendo i momenti di terrore già vissuti. Per questo preferì non dire altro e per quel giorno non disturbò neppure Louise. Decise di restare in disparte, convinto ormai che il suo sguardo ottimista verso il mondo non poteva trovare uno specchio nelle vite delle due ragazze che stavano soffrendo per ferite ancora recenti e assai dolorose.

    Nelle giornate successive, Louise evitò quasi sempre di rivolgere la parola a Candide. Per tutto il tempo si preoccupava di condurre il carro ripetendo continuamente che non vedeva l’ora di arrivare a destinazione.

    A rimase spesso sdraiata sul pianale del carro a giocare con l’allegra Tatì che si era affezionato alla nuova compagna di giochi.

    Candide li stava a guardare in sella al suo cavallo che rimaneva sempre dietro il carro e seguiva la direzione indicata da Louise.

    Durante i momenti di pausa, A si avvicinava al giovane per scambiare qualche parola.

    Uno di quei pomeriggi, si fermarono a un abbeveratoio che si trovava nei pressi di un piccolo villaggio per far dissetare i cavalli. Candide intanto si andò a sedere sotto un albero, dove poggiò la chitarra al tronco e si sdraiò a terra rimanendo a riposare con un fiore in bocca, con il suo cavallo bianco immobile a poca distanza.

    Poco dopo, vide arrivare le ragazze e notò che A era alta come Louise, ma aveva un viso più vitale, con le gote rosse e gli occhi pieni d’innocente freschezza.

    «Quanti anni hai?» chiese Candide senza far cadere il fiore che aveva tra le labbra.

    «Ne devo compiere diciassette» rispose A.

    «Perché hai deciso di venire in cerca di tua madre?» chiese subito dopo Candide con un tono di voce gentile, con il solo fine di soddisfare una sua curiosità.

    «Che domanda! Perché la ama ed è legata a lei da un vincolo di sangue» affermò Louise con voce infastidita trovando superflua la richiesta.

    «Questo lo so già da me, tutti nel mondo hanno un legame naturale con i propri genitori. E già conosco il motivo alla base della sua decisione che è la scomparsa improvvisa della madre, ma io intendo dire un’altra cosa...» ribatté Candide.

    Quindi si rivolse nuovamente verso A e garbatamente chiese: «Sapresti dirmi che cosa ti ha spinto a partire? A quale forza non hai potuto resistere tanto da spingerti ad allontanarti dalla tua casa?».

    Louise, che ormai sbuffava per qualunque cosa dicesse Candide, scosse la testa e si soffiò il naso con un fazzoletto bianco su cui era ricamato un piccolo tulipano rosso.

    A invece, dopo aver annuito un paio di volte con la testa, affermò: «Penso di sapere cosa tu intenda dire Candide, e ti rispondo. Dopo la scomparsa di mia madre, nella mia testa c’era una gran confusione, un groviglio di pensieri disordinati e sul mio petto si era posata un’ombra che quasi m’impediva di respirare; quindi sono partita perché avevo bisogno di capire, per cercare di dipanare quel filo intrecciato dentro di me e per trovare la luce capace di sgombrare una volta per sempre l’oscurità che rabbuia il mio cuore».

    Louise aveva ascoltato le parole di A e trovò molto profonda quella risposta che le confermava quanto fosse matura la sua giovane amica.

    «Ho capito» affermò Candide. Poi, senza aggiungere altro, afferrò la sua chitarra e iniziò a cantare alcune strofe di una canzone che aveva scritto lui stesso:

    «La joie de vivre en France

    est comme une légère dance:

    sur les ailes de mon bon cœur

    je m’envole tout la nuit,

    sur le villes grandes et petits.

    Simplement je vive en grand seigneur...

    Et devant la lune pleine e brillant

    mon souris est toujours charmant!» ¹

    A gradì molto il motivo di quella canzone e provò a ripeterla insieme a Candide che l’aiutò a pronunciare in modo corretto le parole nella lingua francese.

    Poco dopo, Louise si rivolse a loro dicendo solamente: «È ora di ripartire...»

    Candide si alzò senza fretta e tornò tranquillamente in sella al suo cavallo. Lungo la strada, continuò a parlare con A raccontandole di tutte le città in cui era stato e del successo avuto con i suoi spettacoli improvvisati per strada.

    Louise, nell’ascoltare quel giovane così vanitoso che non faceva altro che complimentarsi con se stesso, diventava sempre più insofferente nei suoi confronti. Avrebbe voluto dirgli di tenere chiusa quella bocca da cui usciva solo un fumo evanescente e fatuo, ma frenò la sua lingua per non dispiacere A.

    Non appena raggiunsero la città di Limoges, Louise tirò un sospiro di sollievo perché avevano percorso più di metà strada prima di raggiungere Blois e soprattutto perché sapeva che la città di Tours cominciava a farsi più vicina, dove finalmente si sarebbero separati da Candide.

    Limoges era una località molto piacevole e accogliente, quindi A propose ai suoi amici di fermarsi un giorno per riposare.

    A Candide sembrò una buona idea: «Sono d’accordo, abbiamo percorso tanta strada e ci meritiamo di dormire in un letto morbido».

    «Vorrei mangiare anche un piatto caldo» aggiunse A mettendosi una mano sullo stomaco.

    Louise avrebbe preferito proseguire, ma per non scontentare nessuno acconsentì: «Va bene, ma solo per questa notte».

    Una volta raggiunte le vie del centro, A e Louise andarono a cercare una locanda, lasciando il loro carro in una piazza.

    «Lasciate pure tutto qua, ci penso io...» disse Candide andandosi a sedersi agli scalini di una chiesa, dove subito iniziò a suonare una delle sue canzoni attirando l’attenzione dei passanti.

    Quando più tardi le ragazze ritornarono, trovarono Candide ad attenderli in piedi davanti al carretto, con due cappelli in mano.

    «Questi sono un omaggio per voi, li ho comprati con le monete che le persone generose di Limoges mi hanno voluto donare». Poi rivolse lo sguardo verso Louise e aggiunse: «Con questo gesto mi voglio anche scusare se ho detto qualcosa che ti ha ferito, ti assicuro che non era mia intenzione offenderti...».

    Così dicendo consegnò un cappello di colore blu a Louise e ne posò delicatamente un altro bianco, decorato con un nastro rosso, sulla testa di A.

    «Che gentile, mi piace tantissimo!» esclamò A sorpresa.

    «Grazie per il pensiero...» disse Louise prendendo in mano il suo cappello, senza però indossarlo.

    Raggiunsero insieme la locanda chiamata Il fiore azzurro, dove mangiarono delle fette di carne cotta sulla brace e un ottimo purè di patate.

    La piccola Tatì se ne rimase per tutto il tempo sotto il tavolo a rosicchiare un osso, nascosta sotto la lunga tovaglia da cui si vedeva fuoriuscire solo la coda che continuò a scodinzolare senza sosta.

    «La cena la offro io...» disse appena finito di mangiare Candide, a cui era rimasto ancora qualche soldo. Poi se ne andò a dormire nella sua camera, fiero di essere riuscito ancora una volta a viver lieto grazie alla sua passione per il canto.

    Non appena furono in camera, A prese tra le mani il cappello di colore bianco che aveva ricevuto in regalo e si rivolse a Louise dicendo: «Forse sei troppo severa con Candide, in fondo non ha fatto nulla di male. Sicuramente la pensa diversamente da noi su tante cose, ma è tanto educato e non ti nego che mi piace stare con lui a conversare oppure ad ascoltarlo mentre canta le sue canzoni».

    «Ho visto che hai ben accolto la sua amicizia e forse hai ragione tu. Devo ammettere che non è un cattivo ragazzo e anch’io ho gradito il suo gesto di volerci regalare un cappello. Scusami, ma tu sai bene quello che abbiamo passato e non ce la faccio a superare il dramma della morte di René e di tutti gli altri amici. Io non riesco a ritrovare il sorriso, proprio non riesco...»

    A comprendeva bene il suo stato d’animo e andò a dare un bacio sulla guancia all’amica: «Dormiamo adesso e non pensiamo più a nulla, lasciamo riposare la mente e il cuore...»

    Louise prese tra le braccia la sua Tatì e chiuse gli occhi con la speranza di potersi svegliare il mattino seguente con l’animo più sereno.

    A si addormentò facilmente con il motivetto della canzone di Candide che ancora le suonava in testa: «La joie de vivre en France est comme une légère dance...»

    Al loro risveglio li attendeva una pioggerellina che però non fece mutare l’intenzione di Louise di partire. I tre amici si trovarono presto lungo una via sterrata in mezzo ai campi, dove pascolavano grosse mucche immobili e indifferenti al loro passaggio.

    Louise procedeva il più celermente possibile e, salvo una breve pausa per il pranzo, andò avanti fino al tardo pomeriggio, quando la pioggia si fece molto intensa. Allora andarono a chiedere a un fattore di poter dormire nel fienile situato dietro la sua casa e fu così passarono la notte al riparo.

    Il giorno seguente le redini furono ancora una volta prese in mano da A, che condusse il carro con la dovuta prudenza perché, pur avendo smesso di piovere, una densa nebbia limitava la visibilità e non si riusciva a scrutare la strada a più di qualche metro dal muso dei cavalli.

    Louise era seduta al fianco di A , tenendo come d’abitudine la sua cagnolina sulle gambe, mentre Candide stava sul suo cavallo poco distante ed era più taciturno del solito.

    Una volta superato un vecchio mulino, raggiunsero un bivio in cui le linee di due strade s’intersecavano formando una croce, quando A fermò improvvisamente il carro.

    «Perché ti fermi?» chiese Candide.

    «Voi non sentite questo rumore di ruote che si fa sempre più forte?» chiese a sua volta A tendendo l’orecchio.

    «È vero, sta arrivando qualcuno...» confermò Louise.

    E Candide: «Adesso lo sento anch’io, ma non si vede...»

    Non fece in tempo a finir di parlare che dalla nebbia sbucò una carrozza trainata da quattro destrieri che tagliò l’incrocio come un coltello lanciato nella nebbia.

    Una ragazza dagli occhi impauriti, alla vista quei giovani passanti, urlò dal finestrino: «Aiuto! Mi stanno rapendo...».

    In quel breve istante, A notò una mano con un guanto bianco che afferrava al volto la giovane rapita per impedirle di parlare.

    Louise invece aveva intravisto chi conduceva la carrozza e disse: «Il cocchiere aveva lo stesso mantello dei Daimònes e al viso portava la maschera...».

    A non perse tempo e si affrettò a inseguire la carrozza, mentre Louise estrasse dal baule le spade, e seduta sul pianale si cambiò frettolosamente le scarpe per indossare gli stivali, con Tatì accanto a lei che abbaiava nervosamente.

    Data la scarsa visibilità, A teneva gli occhi a terra e cercava di seguire i sottili solchi lasciati dalle ruote nel terreno. Ma la carrozza procedeva più velocemente anche grazie ai suoi quattro cavalli e distanziò il carretto delle ragazze che traballava ad ogni buca che incontrava.

    Poco dopo, raggiunto un ponte di legno sul fiume, A si rivolse a Louise: «Conduci tu il carro oltre il ponte, così posso mettere anch’io i miei stivali».

    Louise balzò in avanti e stava per lanciarsi nuovamente all’inseguimento, ma Candide disse: «Aspettate, torniamo indietro...»

    «Ma come? Dobbiamo andare in soccorso di quella povera ragazza...» obiettò A.

    Candide scrollò la testa e disse: «Non è compito mio occuparmi di queste cose, non è certo colpa mia se così vanno le cose del mondo. E poi non porto con me spade affilate come le vostre, io ho solo la mia chitarra e vado per la mia strada....»

    A lo guardava con il viso stravolto e non riusciva a credere a quanto avevano appena ascoltato le sue orecchie.

    A quel punto intervenne Louise: «Lasciamolo stare, pensiamo ad andare avanti...». Senza esitare, diede un deciso colpo di redini e fece ripartire le ruote del carretto che attraversarono le assi del ponte cigolando fragorosamente.

    A osservò il cavallo bianco di Candide allontanarsi e vide lentamente sfumarsi l’incerta figura del giovane nella foschia.

    Louise poté seguire le tracce della carrozza solamente fino ai piedi di una collina che sembrava sepolta sotto una coltre di fitta nebbia.

    «Come facciamo adesso?» chiese A.

    Louise non si perse d’animo e, dopo aver preso tra le mani la sua cagnolina, gli parlò ad alta voce: «Devi trovare quella carrozza, hai capito? Trova la carrozza!»

    La piccola Tatì saltò dal carretto e, intrufolatasi in mezzo alle brume nebbiose, si mise a correre piena d’energia verso la salita erbosa.

    Sulla cima della collina, un’alta figura dal nero mantello trascinava fuori la ragazza rapita tirandola per i capelli, mentre dall’interno un secondo Daimònes la spingeva per i piedi.

    «Lasciatemi stare...» urlava la ragazza che si dimenava impaurita.

    Mentre A e Louise si dirigevano verso quella voce, Tatì era già balzata addosso al polpaccio del rapitore addentandolo con i suoi affilati canini.

    Il Daimònes reagì istintivamente e dimenò la gamba finché la cagnolina non mollò la presa e poi le diede un calcio per allontanarla da sé. La prigioniera cercò di approfittarne per liberarsi, ma l’altro rapitore gli afferrò una caviglia e la tenne stretta.

    «Vigliacco!» urlò Louise lanciandosi contro il Daimònes che si trovava all’esterno della carrozza. L’uomo, che continuava a sentire il dolore del morso ricevuto, indietreggiò per sguainare a sua volta la spada.

    E mentre le lame dei due sfidanti s’incrociavano tintinnando, A con il suo fioretto provò a infilzare al braccio l’altro rapitore che per evitare il colpo fu costretto a lasciare la presa.

    «Mettiti dietro di me!» gridò alla giovane che non perse tempo a cercare riparo dietro le spalle di A.

    Il rapitore uscì irato dalla carrozza deciso ad affrontare A che però non ebbe alcun timore a sfidarlo, con facilità parò i primi colpi e subito passò all’attacco con una serie di affondi decisi.

    A notò subito che l’avversario aveva una maschera più piccola di quelle che aveva visto fino a quel momento: invece che coprire tutto il viso, circondava i soli occhi facendolo somigliare ad un felino dagli occhi molto astuti.

    In entrambi i duelli, A e Louise erano molto agguerrite e misero in seria difficoltà i loro sfidanti. Louise con una stoccata ferì al braccio il più alto dei Daimònes, mentre A con un doppio assalto fece perdere l’equilibrio all’avversario che cadde a terra perdendo la spada.

    Con la punta del suo fioretto sfilò allora la mascherina al manigoldo, ma tanto fu il suo stupore quando vide che il suo avversario era…una donna!

    Il cocchiere della carrozza, accorgendosi che la situazione volgeva al peggio, lanciò un fischio e fece ripartire i cavalli urlando: «Andiamocene via, presto!».

    La donna smascherata, che aveva occhi scuri, gli zigomi sporgenti e i capelli neri tagliati molto corti, si lanciò sui sedili della carrozza e altrettanto provò a fare l’altro dei Daimònes, però Louise fu più rapida e non esitò a infilargli la lama nel fianco ferendolo gravemente.

    «Questo è per René!» esclamò digrignando i denti Louise, vedendolo poi cadere davanti ai suoi piedi.

    Intanto la carrozza iniziò ad allontanarsi scendendo giù per la collina.

    «Che facciamo, riprendiamo l’inseguimento?» chiese A.

    Louise estrasse la spada insanguinata e continuando a fissare a terra quell’uomo morente, affermò: «Abbiamo liberato la ragazza e punito uno dei rapitori, non occorre seguirli».

    La ragazza che era rimasta alle spalle di A, si avvicinò e disse: «Grazie per avermi liberato...».

    «Abbiamo visto che ti trovavi in pericolo e abbiamo agito» replicò semplicemente A.

    «Voi due sapete usare le spade in maniera formidabile...» dichiarò la ragazza che indossava un paio di pantaloni sporchi e una maglietta viola. Era piccola di statura, con i capelli molto lunghi che le coprivano tutta la schiena.

    «Io mi chiamo Louise e questa è la mia amica A. Puoi dirci dove sei stata rapita?»

    «Mi chiamo Jeanne e sono stata catturata nella città d’Orléans» spiegò la ragazza mentre Tatì le girava intorno annusando le scarpe rotte da cui fuoriuscivano le dita dei piedi.

    «Allora puoi venire con noi. Dobbiamo raggiungere Blois che non è molto distante dalla tua città» affermò Louise.

    Jeanne stava per ringraziarle ancora, ma fu distratta da una voce maschile che urlava dai piedi della collina.

    «A …Louise… siete lassù?»

    Le ragazze videro un cavallo bianco che avanzava tra la nebbia che si andava finalmente diradando e Louise riconobbe facilmente che si trattava ancora di Candide.

    «Hai una bella faccia tosta a farti rivedere» sbraitò Louise molto infastidita.

    Candide saltò giù da cavallo e parlò con voce sincera: «Ho deciso ritornare ad aiutarvi, mi sentivo in colpa per avervi lasciato sole».

    «Anch’io sono rimasta delusa dal tuo comportamento...» affermò A guardandolo di traverso.

    «Mi dovete scusare, è successo tutto così all’improvviso. Ve l’ho detto, io non so come vanno queste cose, non riesco neanche a tenere in mano una spada. Mi è mancato il coraggio...» aggiunse Candide per giustificarsi.

    Mentre Louise continuava a guardarlo con disprezzo, A mostrò un’espressione più comprensiva.

    «Avete liberato la ragazza...» affermò Candide guardando prima Jeanne e poi l’uomo riverso a terra.

    «Sì, le tue amiche mi hanno salvato, ma sembra che proprio tu che hai un viso d’angelo non abbia le ali per soccorrere chi ha bisogno d’aiuto» disse con sarcasmo la giovinetta.

    Louise imitò con le mani il movimento di due ali tremanti e aggiunse: «Un angelo che ha paura anche del più leggero soffio di vento».

    Ad A prima scappò un sorriso, ma subito mutò espressione notando che Candide era diventato assai triste e il suo viso non nascondeva il grosso imbarazzo di quei momenti.

    E per uscire quella situazione, A suggerì: «Andiamo via, riprendiamo il cammino verso Blois».

    Però il malumore di Louise non si era placato e non appena raggiunse il carretto ai piedi della collina afferrò il cappello che le aveva donato Candide e lo buttò per terra dicendo: «Te lo puoi riprendere, non m’interessano le tue sciocche smancerie».

    Candide si affrettò a raccoglierlo: «No, ti prego! Certamente sono stato un codardo, però il regalo che ti ho fatto è sincero, t’imploro di accettarlo...».

    A guardò l’amica sperando che riprendesse in mano il cappello, ma Louise aveva girato le spalle a Candide e non intendeva più dargli retta.

    «Non litigate per così poco...» esclamò Jeanne che portò via il cappello dalle mani di Candide e dopo averlo messo in testa, salì sul carretto insieme ad A che le diede anche una coperta per riscaldarsi.

    «Puoi prendere anche le mie scarpe, tanto io tengo gli stivali...» affermò Louise facendo ripartire i cavalli.

    Jeanne non ci pensò due volte e dopo aver tolto le sue scarpe consunte, mise ai piedi quelle di Louise.

    «Sono un po’ grandi, ma sono proprio belle!» esclamò Jeanne contenta di aver trovato delle salvatrici tanto generose.

    Louise riprese la strada che conduceva verso nord. Candide rimase dietro il carro, ma questa volta preferì rimanere a una maggiore distanza per non urtare la suscettibilità di nessuno.

    Le ragazze continuarono a parlare della brutta avventura di Jeanne con i Daimònes.

    «Sono rimasta molto sorpresa dalla presenza di quella ragazza che mi ha sfidato con il suo fioretto. I Daimònes con cui abbiamo combattuto finora erano sempre stati uomini» osservò A.

    «Sembrava anche molto determinata a fare del male...» replicò Louise.

    «Io so che le chiamano Tramanti e sono crudeli come gli uomini che stanno al loro fianco» disse Jeanne.

    A rabbrividì al solo pensiero che potessero esserci donne capaci di avallare il comportamento dei Daimònes e infierire a loro volta nei confronti di altre donne.

    Louise spronò i cavalli a correre veloce per cercare di recuperare il tempo che avevano perduto.

    Quella sera mangiarono intorno ad un fuoco. Una volta seduti intorno alla legna accesa, Jeanne guardò bene in volto Candide e gli chiese: «Ma noi ci siamo forse già visti?»

    «Penso di no, anche se alcune volte sono venuto a suonare con la mia chitarra nelle piazze d’Orléans. In verità io sono un abitante di Tours e proprio lì sto tornando, dove vive anche mia sorella Désirée».

    «Tours?» ripeté Jeanne con aria interrogativa e con le palpebre degli occhi che si erano strette fin quasi a

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