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Il viaggio di A - Libro quarto - A in Italia
Il viaggio di A - Libro quarto - A in Italia
Il viaggio di A - Libro quarto - A in Italia
E-book299 pagine4 ore

Il viaggio di A - Libro quarto - A in Italia

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Info su questo ebook

Nel libro quarto intitolato in Italia A della serie narrativa IL VIAGGIO DI A, la protagonista raggiunge Venezia, dove conosce Kastalia, un giovane donna bulgara che intende vendicare un grave torto subito. Insieme proseguono le indagini sull’organizzazione dei Daimònes, mentre un fantasma sparge il terrore durante la notte in tutta la città.

Dopo aver scoperto che l’uomo soprannominato "Doge" guida un traffico illecito di schiavi, insieme all’aiuto della Compagnia di San Marco e dei gondolieri assaltano la villa del Doge situata sull’isola di San Giorgio Maggiore.

Nella villa scoprono una pergamena con un testo dal significato difficile da interpretare che sarà decifrato con l’aiuto del veneziano Davide e del bibliotecario fiorentino Niccolò.

Una serie di eventi e di colpi di scena conducono poi la protagonista attraverso i territori di Firenze, Lucca e Livorno per giungere fino a Roma dove si svolge una difficile sfida al Colosseo.

A Capua, la protagonista entra a far parte di un esercito di volontari per poi raggiungere la Puglia, dove si svolgeranno alcune battaglie contro i Daimònes nei pressi della fortezza di Federico II e il castello di Trani.

Nel finale del libro, A riesce a ottenere notizie davvero importanti che potrebbero cambiare la sorte del suo viaggio e aiutarla a realizzare il suo sogno di ritrovare la madre.
LinguaItaliano
Data di uscita14 ago 2020
ISBN9788831690140
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    Anteprima del libro

    Il viaggio di A - Libro quarto - A in Italia - Adriano Scarmozzino

    Adriano Scarmozzino

    Il viaggio di

    A

    Libro quarto

    A in Italia

    Capitolo 1

    Venezia

    Dopo aver lasciato le alte vette delle Alpi e salutato i compagni con cui aveva seguito l’itinerario montano, A attraversò solitaria una pianura soleggiata respirando un’aria leggera. In pochi giorni, superò il territorio di Bolzano e poi si diresse verso la città di Trento. Giunta nei pressi del duomo, si avvicinò a un giovane caldarrostaio per chiedere quale fosse la via migliore per continuare il cammino verso Venezia.

    «Se segui il corso del fiume Brenta, ti porterà fino alla laguna veneziana» consigliò il giovane fornendogli altre informazioni.

    A ascoltò con attenzione tutte le indicazioni sul tragitto e poi si rimise subito in marcia. Grazie all’aiuto di alcuni barcaioli che la trasportarono lungo le acque del Brenta, riuscì a raggiungere la cittadina di Chioggia, situata a poca distanza da Venezia, dove però fu obbligata a fermarsi per causa di un forte temporale.

    A bussò di casa in casa sotto la pioggia battente, finché non le fu aperto da una ragazza che abitava vicino ad un canale. La giovane padrona di casa notò i suoi abiti di montagna e subito chiese: «Da dove stai arrivando?»

    «Ho attraversato le Alpi...» replicò A.

    «Vieni dalla Germania o dall’Austria? La tua carnagione, i tuoi capelli e gli occhi non ricordano gli abitanti di quei luoghi..» domandò ancora la giovane chioggiotta che non riusciva a intuirne la provenienza. «Il tuo modo di parlare somiglia a quello di un uomo spagnolo che ha comprato della farina dal mio fidanzato».

    «Non provengo dalla Spagna, ma dalle terre d’America» disse A.

    «Il mio nome è Fabiola e il mio fidanzato Luigi vive con me. Se vuoi, puoi stare qualche tempo qui da noi, fino a quando non troverai una sistemazione migliore».

    A accettò volentieri, però intendeva contraccambiare in qualche modo.

    «Potrei lavorare per voi. Hai detto che vendete della farina, io so cuocere il pane e dolci assai gustosi».

    «Il mio fidanzato Luigi porta tutti i giorni i sacchi di grano e farina ai negozi di Venezia e delle isole della laguna. Dovresti piuttosto dargli una mano a trasportare le merci dal deposito che abbiamo qui vicino casa per portarle ai clienti. Io non posso aiutarlo perché i miei genitori non stanno bene e devo pensare ad accudirli. Tu mi sembri una ragazza forte, pensi sia un lavoro adatto a te?»

    «Qualsiasi lavoro per me va bene, non riuscirei mai a stare qui con le mani in mano senza far nulla» affermò A.

    «Allora siamo d’accordo» disse Fabiola. «Questa sera il mio fidanzato rientrerà a casa e gliene parleremo insieme, così domani potrai cominciare»

    Qualche minuto dopo, A salì insieme a Fabiola al piano superiore della casa, dove si trovavano i suoi genitori. Il padre Piero era immobile a letto, a causa di una paralisi alle gambe, mentre l’anziana madre Doriana, con i capelli bianchi sopra le spalle curve, stava seduta accanto al marito con l’aria rassegnata.

    Quando la figlia Fabiola parlò loro dell’arrivo di A, la signora Doriana alzò la testa per scrutare la ragazza con occhi diffidenti, mentre il marito non se ne curò per nulla e chiese alla figlia di portargli da bere.

    «Non mi passerà mai questo mal di schiena che non mi fa neppure dormire» dichiarò con un lamento l’uomo disteso nel letto aspettando il suo bicchier d’acqua.

    Fabiola accompagnò A in un’altra stanza e disse: «Non ti dispiacere se i miei genitori non ti hanno rivolto neppure una parola, ma loro vivono la loro condizione come una condanna senza fine. Non vedono null’altro al mondo tranne la pena che li affligge. Almeno mia madre avrebbe comunque potuto vivere una vita normale, invece si è completamente arresa alla sorte e rimane tutto il giorno impassibile e apatica, indifferente a tutto ciò che accade fuori da quella stanza».

    Poi aprì un armadio e, dopo aver tirato fuori alcune scarpe e dei vestiti, li mostrò all’ospite dicendo: «Prendi quello che preferisci, così puoi cambiare i tuoi abiti tutti fradici».

    A scelse alcune magliette, un paio di pantaloni e degli stivaletti e spiegò: «Se devo salire sulle barche, mi troverò meglio indossando abiti e scarpe comode».

    Per l’ora di cena, Fabiola preparò prima da mangiare per i suoi genitori e poi cucinò anche dei fegatelli di vitello e dell’insalata per il suo fidanzato che arrivò un’ora dopo.

    «La pioggia mi ha tormentato per tutto il giorno, ma per fortuna sono riuscito a consegnare e vendere tutta la merce senza sciuparla» disse Luigi rientrando in casa.

    Il giovane era di poco più basso della sua fidanzata, ma aveva le spalle larghe e le braccia muscolose.

    Fabiola gli diede un panno per asciugarsi e disse: «È arrivata una straniera che sta cercando ospitalità. A causa della pioggia non sapeva dove andare, io le ho detto che potrebbe stare con noi per qualche tempo».

    A si fece avanti per stringergli la mano e il giovane le chiese: «Cosa ci sei venuta a fare qui a Chioggia?»

    «Cerco solo un riparo dove dormire, sono disposta a lavorare per sdebitarmi» replicò A.

    «Magari potrebbe darti una mano con le consegne» disse Fabiola mentre il fidanzato si avvicinò al tavolo per versarsi un bicchiere di vino.

    «Mi ci vorrebbe davvero un aiuto per caricare e far navigare quella peàta¹ su e giù per la laguna» confessò il giovane. E rivolgendosi ad A, domandò: «Tu riesci a remare?»

    Fabiola lanciò al fidanzato uno sguardo di rimprovero e affermò: «Non bisogna neanche chiederlo. Se non lo sa ancora fare, imparerà...».

    «Sono sicura che non avrò difficoltà. Se in qualche modo sono riuscita ad attraversare l’oceano Atlantico, con un po’ di pazienza credo che potrò anche andare da una parte all’altra della laguna» dichiarò A con voce tranquilla.

    Il giovane aveva udito parlare, nei racconti di alcuni amici marinai veneziani, di oceani lontani dove la terra non si può mirare ovunque si volti lo sguardo, perché in quei luoghi è davvero sconfinata la distesa di onde marine. Uno degli amici aveva pure sostenuto che neppure il sole riesce a sfiorare contemporaneamente con i suoi raggi le due opposte rive di un oceano.

    Per questo Luigi, che in vita sua non si era mai spinto oltre la laguna, guardò la ragazza con rispetto e confermò le sue parole: «Hai ragione, sei stata in mezzo all’oceano e non ti sarà difficile navigare nella laguna che a confronto è un bicchier d’acqua».

    Durante la cena, il giovane di Chioggia ascoltò le avventure vissute da A per mare e per terra, rimanendo assai sorpreso nell’apprendere le ragioni del suo lungo viaggio.

    «Il mondo è davvero un caotico labirinto, in cui spesso non si trova la via d’uscita» commentò alla fine Luigi.

    Fabiola volle invece cambiare argomento e chiese ad A quali dolci sapesse preparare, poi si mise d’accordo per cucinare insieme qualche deliziosa bontà uno dei giorni seguenti.

    Al levar del sole, Luigi andò a svegliare la giovane ospite e insieme raggiunsero il deposito affacciato sulla laguna dove caricarono i sacchi di grano e di farina sull’imbarcazione.

    La peàta era una barca dalla forma squadrata, dal fondo piatto e priva di chiglia, dotata sia a prua che a poppa di piattaforme di legno che permettevano ai rematori di mantenere una posizione in piedi durante la navigazione.

    «Adesso ti mostro come bisogna vogare» affermò Luigi. E dopo aver preso due lunghi remi li fece passare attraverso due ganci metallici e li affondò nell’acqua spiegando: «Questi ganci si chiamano forcole e il remo va portato in avanti muovendosi con tutto il busto del corpo, ma con i piedi ben saldi sulle assi di legno». Mentre parlava, Luigi aveva già iniziato a vogare e la barca si era mossa lentamente nel canale. «Con questa tecnica si può navigare anche da soli, ma è molto faticoso. Oggi che siamo in due dovrebbe essere più semplice»

    A afferrò il remo e cominciò a vogare dalla zona di poppa imitando i movimenti di Luigi. Subito si accorse che per spostare il remo in avanti non bastava la forza delle braccia e occorreva effettivamente la spinta di tutta la parte superiore del corpo.

    Il cielo stava sgombrando le nuvole più grigie e prometteva una mattinata di sole, ma l’aria era molto umida.

    Luigi tolse dalla tasca il suo cappello di mare e lo lanciò verso A dicendo: «Mettilo subito, altrimenti prenderai un raffreddore».

    Lungo il tragitto, Luigi illustrò i nomi delle altre imbarcazioni che stavano navigando sul canale: «Quella piccola barca a dritta si chiama topo e come puoi vedere ha una piccola vela che le permette si spostarsi rapidamente, invece quell’altro battello di grandi dimensioni è il più adatto per il trasporto di merci e si chiama burchio». Poi mostrò un mite sorrise e aggiunse: «Io mi accontento della mia peàta che comunque mi permette di trasportare più sacchi di quelli che solitamente riesco a vendere».

    Più tardi A notò un’imbarcazione assai elegante, con un vogatore ritto in piedi a poppa e due dame con l’ombrellino sedute, diretta verso l’isola della Giudecca a poca distanza da loro.

    «E quella barca tanto graziosa come si chiama?» chiese fissando le due signore che stavano chiacchierando tra loro.

    «È la gondola, che scivola elegante sopra le quiete acque della laguna! L’imbarcazione che serve per trasportare i veneziani per la città, adesso ne vedrai molte in cui si cullano non solo le nobili dame, ma anche tante donne del popolo» spiegò Luigi.

    Pochi minuti dopo, ormeggiarono la peàta ad una banchina sulla punta estrema dell’isola della Giudecca.

    «Tu aspetta qui, io vado a consegnare del grano e torno in meno di dieci minuti» affermò Luigi che si allontanò fischiettando con due sacchi sulle spalle.

    Al suo ritorno vogarono verso la riva opposta, raggiungendo la Fondamenta delle Farine², poco distante da piazza San Marco, dove già altri venditori stavano ormeggiando le barche, mentre i clienti attendevano a riva di poter comprare la loro merce.

    Luigi si fece aiutare da A per la consegna di una trentina di sacchi a un panettiere che era venuto a ritirarli con un carretto insieme al figlio di dieci anni.

    Subito dopo, Luigi contrattò con alcuni fornai la vendita degli altri sacchi di farina riuscendo a darne via più della metà.

    «La giornata sta andando per il verso giusto. Adesso vieni, andiamo a fare un giro...» disse Luigi soddisfatto delle vendite già effettuate. E un attimo prima di allontanarsi con A, chiese a un altro barcaiolo di sorvegliare la sua imbarcazione.

    Raggiunta piazza san Marco, A rimase affascinata e camminò per qualche minuto in silenzio guardando in ogni direzione: «Questo è un luogo davvero sorprendente: i palazzi, le cupole magnifiche e l’alto campanile sembrano essere emersi dalle acque per slanciarsi, insieme ai sontuosi portali, alle armoniose arcate e alle acute cuspidi, verso le sommità del cielo».

    Luigi si voltò verso di lei dicendo: «Hai ragione, Venezia non conosce la terraferma è una città sospesa tra il mare e il cielo. È ciò che la rende fragile, ma allo stesso tempo unica...».

    Luigi però non perse tempo e tirò dritto fino a raggiungere un piccolo forno vicino la chiesa di San Gallo. Una volta entrato, posò sul banco un sacco di farina che aveva portato con sé ed esclamò: «Dammi il solito, Luca...».

    Il fornaio era girato di spalle e stava per inserire delle pagnotte dentro la bocca del forno con una pala. Udendo quella voce, si girò sorridente e disse: «Sei sempre puntuale Luigi!». Dopo aver preso da un cesto due forme di pane, le mise sul bancone e notando che c’era anche A insieme al giovane commentò: «Vedo che hai preso qualcuno a lavorare con te, allora vuol dire che gli affari ti vanno bene».

    Il giovane però scrollò la testa e replicò: «La quantità di farina e grano che riesco a vendere è sempre la stessa, ma starà con me e Fabiola per qualche tempo. È venuta da lontano e ancora non conosce Venezia».

    «Allora la prima cosa che devi fare è cominciare ad assaggiare una delle mie focacce calde» disse l’uomo. A ringrazio e iniziò subito a mangiarla.

    «Da domani verrà lei a portarti la merce» spiegò Luigi.

    «Per me va bene, ma solo se la ragazza mi dice se sta gradendo la focaccia..» affermò il fornaio scuotendosi la farina dal grembiule.

    «È davvero gustosa...» dichiarò A con la bocca piena.

    Luigi strinse la mano all’amico Luca e ritornò con A alla barca.

    «Adesso entreremo nel Canal Grande e raggiungeremo il mercato di Rialto» disse Luigi riprendendo in mano i remi. A osservò per tutto il tragitto gli eleganti palazzi dalle facciate rivestite di marmo e quelli decorati con variopinti affreschi e pregiate sculture.

    «Se prima di arrivare qui a Venezia mi avessero detto che esiste una città come questa, non ci avrei creduto. E anche se i miei occhi avessero voluto prestar fede alle parole udite, di certo la mia fantasia non avrebbe potuto disegnare un luogo altrettanto sognante e fiabesco» esclamò A ammirata da tanto splendore.

    «Sono contento che la pensi così. Se i tuoi occhi gioiscono nel guardarla, ogni giorno a Venezia potrà trascorrere più serenamente, perché ti assicuro che vivere qui è molto faticoso. Innumerevoli sono le persone che lavorano assai duramente a beneficio di pochi che vivono come principi, senza dover muovere neanche una ciocca dei propri capelli» disse Luigi.

    Per entrambi fu stancante vogare verso il mercato perché molte imbarcazioni si muovevano in ogni direzione. Erano pericolose alcune gondole che trasportavano le persone da una riva all’altra ostacolando la via proprio alle barche che risalivano il canale. Nel vedere il ponte di Rialto, gli occhi di A trovarono riposo nelle sue forme così ben proporzionate. Subito dopo averlo attraversato, Luigi si protese verso una palina per l’attracco della peàta, dove cominciavano gli spazi con i banchi del mercato.

    A si diede da fare per scaricare tutta la merce rimanente, con Luigi che faceva avanti e indietro per portarla a un banco vicino a quello di una verduraia. Là trascorsero tutta la giornata e la ragazza non si annoiò un solo minuto, perché tante erano le persone che affollavano il mercato.

    Mentre odori di frutta e ortaggi, di erbe e spezie, si confondevano nell’aria, A stava osservando la signora Betta, la verduraia che si trovava di fianco e teneva sulle spalle un ampio scialle scuro,rimanendo alzata in piedi davanti al suo banco per essere più vicina ai clienti.

    «Prendete i ravanelli, ottimi per l’insalata insieme alle carote. Aggiungete anche i miei peperoni gialli e vedrete che bontà…» strillava la donna corpulenta che aveva i capelli lunghi e neri raccolti sulla testa con delle semplici mollette.

    Al crepuscolo, A e Luigi ripresero la via di casa, ma nel passare attraverso il Canale della Giudecca, si fermarono alla Fondamenta delle Zattere. Luigi raggiunse un deposito dove spese una parte dei suoi guadagni per comprare del sale e poi tornò subito all’imbarcazione.

    «Finalmente si torna a casa!» esclamò Luigi.

    Entrambi ripresero a remare con intensità e mentre la peàta lasciava la sua scia sulla laguna, il crepuscolo colorava l’acqua di riflessi violacei.

    «Uno dei prossimi giorni vorrei prendere qualche ora libera per riprendere le ricerche di mia madre. Tu sai qualcosa riguardo ai Daimònes e ai loro traffici illeciti?» domandò A.

    «Non so nulla di queste cose, io penso a fare il mio lavoro e non voglio grane con nessuno» ribatté Luigi con molta chiarezza, senza neppure voltarsi. «Comunque, non sarò certo io ad impedirti di andare a cercare chi ti pare...».

    A rimase sorpresa della brusca risposta di Luigi e preferì non aggiungere altro.

    Al rientro, Fabiola fece loro trovare un piatto di linguine con il nero di seppia. A guardò con curiosità quella salsa che sembrava dell’inchiostro versato sulla pasta e si fece spiegare meglio la ricetta, poi rimase in silenzio tutta la sera un po’ amareggiata per il tono con cui Luigi si era rivolto nei suoi confronti.

    Quando fu da sola con il fidanzato nella camera da letto, Fabiola chiese: «Come mai questa sera eravate entrambi corrucciati? Che cos’è successo, qualcosa non è andato bene con il lavoro?».

    «No, la ragazza si è impegnata molto e ha imparato subito a vogare nel modo giusto. Siamo anche riusciti a vendere tutta la merce. Ho solo un po’ di timore, non so chi siano i Daimònes di cui lei parla e non voglio che i suoi problemi diventino anche i nostri. Forse dovremmo dirle di andarsene...»

    «Aspettiamo almeno qualche settimana, diamole un po’ di tempo per ambientarsi» propose Fabiola.

    «Dieci giorni al massimo...» stabilì risoluto Luigi.

    Nel cielo grigie nuvole si avvicinarono l’una all’altra spinte dal vento e offuscarono il bianco viso della luna che non mostrò la sua luce per tutta la notte.

    Al mattino, A e Luigi cambiarono percorso e raggiunsero l’isola di Torcello dove consegnarono metà carico dei loro sacchi di farina nei pressi di un convento. Nel pomeriggio proseguirono verso le isole di Murano e Burano, dove vendettero anche il grano e i sacchi di sale che trasportavano sulla peàta.

    Quella sera arrivarono un po’ prima a casa e A ne approfittò per fare un bagno caldo. Più tardi, all’inizio la cena, si rivolse ai due fidanzati per domandare del loro futuro: «Quando pensate di sposarvi?».

    Il primo a rispondere fu Luigi: «Per quanto mi riguarda, noi due siamo già sposati, Fabiola è la compagna migliore che un uomo possa desiderare».

    Fabiola era contenta per le parole del fidanzato, ma ritenendo che quella risposta potesse sembrare poco gentile nei confronti di A, intervenne a sua volta: «Magari più avanti organizzeremo il nostro matrimonio. Non perché ci tenga alla cerimonia e a un bel vestito, siamo gente umile e senza pretese, però un giorno vorrei sposarmi con Luigi perché altrimenti i nostri figli rimarranno senza nome».

    «Allora quando sarai in dolce attesa di una bella figlia femmina, magari ci sposeremo» disse Luigi volgendo lo sguardo verso la sua Fabiola.

    «Preferisci avere una figlia femmina?» domandò A.

    «Certo, sono cresciuto con due fratelli maschi e non facevamo altro che litigare, molto meglio una bambina sorridente e affezionata ai genitori» affermò il giovane.

    A si girò istintivamente verso Fabiola per conoscere anche la sua opinione: «Io sono figlia unica. Qualunque creatura vorrà nascere, io sarò una mamma felice! A me basta che il cielo me la mandi forte e in salute».

    Al termine del dialogo, rimasero in silenzio e mangiarono del pesce arrostito e ripassato in padella con olio, aglio e aceto balsamico. Il profumo era molto invitante e lo gustarono lentamente, assaporandone ogni boccone.

    Nei giorni che seguirono, A lavorò sodo effettuando tutte le consegne insieme a Luigi che la lasciò più libera di muoversi anche con la speranza che potesse trovare la propria strada.

    A provò a domandare ad alcune persone se avessero notizie di navi arrivate a Venezia che trasportavano schiavi e se sapessero qualcosa riguardo ai Daimònes. La maggior parte delle persone però la guardava con diffidenza e spesso non rispondeva neppure a quelle richieste che ad alcuni apparivano perfino stravaganti.

    «Di cosa parli ragazza? Hai forse fatto qualche brutto sogno questa notte?» ribatté spocchioso un elegante signore che indossava una giacca marrone con dei pantaloni di fustagno scuri.

    A non si scoraggiò e provò anche a chiedere ad altri cittadini del marchese Rodolfo Gavani, che considerava il capo dei Daimònes, ma nessuno sembrava aver mai udito quel nome. E per alcuni giorni, nonostante l’impegno profuso, non riuscì a sapere niente di utile per le sue ricerche.

    Ad ogni ritorno a casa, Fabiola accoglieva Luigi ed A con una ricetta sempre diversa: una volta preparò un risotto con i piselli e la pancetta, un’altra presentò loro un fumante piatto di spaghetti con dei cubetti di formaggio e delle listarelle di radicchio, un’ottima verdura dal colore violaceo. Solitamente alternava piatti di carne con portate di pesce, il cibo però era sempre abbondante.

    Una di quelle sere, A mangiò con appetito chiedendo informazioni sugli ingredienti e sulle modalità di preparazione e cottura dei cibi. Fabiola rispose ad ogni sua domanda, ma notò un velo di tristezza negli occhi della giovane ospite.

    A era in effetti malinconica e il suo umore era fiacco, dovuto anche alla stanchezza di aver vogato tanto durante la giornata. Poco dopo, quando si ritirò nella sua camera per andare a letto, fu colta da un vago senso d’angoscia. A rimase affacciata alla finestra e fissando l’immagine della luna frammentata sulla superficie della laguna si sfogò dicendo: «Io vedo riflesso nell’acqua il mio stesso cuore ridotto in frantumi. Sono senza madre, lontana dalla famiglia, tutto è disperso dentro e fuori di me. Pian piano sto cercando di rimettere a posto ogni singolo pezzo, per consentire alla mente di ragionare più lucidamente e allo spirito di essere più sereno. Ingenuamente pensavo che una città tanto incantevole potesse subito accontentarmi facendomi scoprire, in maniera immediata e leggera, ciò che più desidero conoscere. Invece mi sto presto rendendo conto di quanto Venezia sia sfuggente e ambigua; ogni volta che immergo il remo nelle sue placide acque, scopro che sul fondo di tanto splendore esiste una laguna limacciosa, dove tutto ristagna e ciascuno rischia di sprofondare con le proprie paure, per non riemergere mai più».


    1 Peàta: tipica imbarcazione della laguna di Venezia adoperata per il trasporto di merci.

    2 Fondamenta: Nella città di Venezia, la fondamenta è lo spazio di marciapiede che in alcuni tratti costeggia i canali separando le abitazioni dalle acque della laguna.

    Capitolo 2

    Kastalia

    La permanenza di A nella città di Venezia sarebbe certamente proseguita in maniera monotona e infruttuosa, se non fosse accaduto presto qualcosa.

    Al suo risveglio, si presentò puntuale all’imbarcazione di Luigi. Quel giorno, però, aveva intenzione di trascorrere il tempo dedicandosi esclusivamente alle ricerche. E non appena poggiò i piedi sulla peàta, si rivolse a Luigi dicendo: «Oggi arriverò con te fino a San Marco, ma poi andrò per conto mio, ti raggiungerò qualche ora più tardi al mercato di Rialto».

    Il giovane iniziò a vogare senza neppure replicare.

    «A San Marco proseguo da sola...» disse ancora A.

    «Va bene, ho capito!» fu la replica di Luigi che già aveva deciso di assecondare la sua volontà.

    Quando mise piede sulla Fondamenta delle Farine, A si allontanò con passo veloce, mentre Luigi si limitò a sollevare le spalle riportando subito la mente alle consegne da effettuare.

    A si diresse verso ogni calle e campo dei sestieri di San Marco e di Castello¹, fermando persone di ogni età per rivolgere le sue domande. Si soffermò anche con un gruppo di bambini seduti lungo il parapetto di un canale: «Avete mai visto degli uomini con dei lunghi mantelli scuri e delle maschere?»

    «Certo!» rispose un bambino che teneva una barchetta di legno in mano. «A carnevale, qui a Venezia ci trovi tutte le maschere che

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