ITALIA
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Anteprima del libro
ITALIA - Alessandro Cona
Ringraziamenti
ITALIA
1
Un brivido che partì all’altezza della cervicale e si diffuse fino alla pianta dei piedi percorse il corpo formoso e gravido di Italia, mentre il vociare indistinto della moltitudine rendeva vivo e colmo di aspettative il gate dell’aeroporto internazionale dell’Avana.
Si respirava un'atmosfera colma di emozioni, speranze, illusioni, ascelle sudate, bagni sporchi e abbracci di congedo nella serpentina umana che si era formata spontaneamente, quando una voce metallica proveniente da un vecchio altoparlante, che suonava come una radiolina disturbata da intermittenze, aveva annunciato l'imminente volo in partenza per Roma.
Italia torna a casa, pensò la donna, che con il nome che le avevano scelto, lei cubana di nascita, pareva avesse il destino segnato dall’altro lato dell’Oceano Atlantico.
Fissò lo schermo della compagnia aerea davanti a sé e, leggendo il nome della città capitolina, fu colta da un’ondata di nostalgia e ripensò a quando, otto mesi prima, durante una nottata folle in una vecchia discoteca simile ad una grotta sotterranea, aveva conosciuto un uomo italiano.
La sua mente tornò rapidamente al presente nel momento in cui l'hostess di una compagnia sudamericana la fece sobbalzare, urlando il nome lunghissimo di un viaggiatore che veniva invitato ad avvicinarsi al gate. La sua attenzione si soffermò distrattamente sulla persona che la precedeva, una donna non più giovanissima dai ciuffi di capelli rossastri che sembrava le crescessero in testa come erbacce.
Italia conviveva da sempre con l’insicurezza cronica, con le sue attitudini a volte autodistruttive che facevano a pugni con l’entusiasmo frivolo tipico dei suoi connazionali. Aveva spesso la sensazione che più si avvicinava a qualcosa di eccezionale, iniziando a sentire chiaro e netto l'odore della felicità, e più una strana inclinazione all’autodistruzione veniva a galla, cercando di distruggere quello che stava costruendo. Questo non le aveva impedito però di prendere una decisione drastica e fuggire dal suo paese per dare un futuro diverso al bambino che portava in grembo.
Stirò verso l’alto le braccia per sgranchirsi le ossa, mentre continuava a controllare nervosamente che tutte le cose più importanti fossero al loro posto: il portafogli nella tasca sinistra interna del giubbino di jeans azzurro; passaporto e carta d’imbarco in quella di destra; i contanti in dollari gelosamente conservati in un angolino della borsa a tracollo color caffè dalla quale non si separava mai.
Era la prima volta che la ragazza originaria di Holguin si accingeva a viaggiare in aereo e non aveva mai visto che cosa ci fosse dall’altro lato del mare che quella sera, complice il forte vento di tramontana, pareva braccasse Cuba per costringerla ulteriormente all’isolamento dal resto del mondo.
Lei non ne voleva sapere di aspettare oltremodo: doveva far fede al proprio nome di battesimo e partorire nella sua terra promessa. Al termine mancavano quasi tre settimane, abbastanza per poter viaggiare e per far nascere il piccolo in Italia. Aveva così dato fondo a tutti i suoi risparmi, accumulati con mesi di attività da jinerera per potersi permettere la traversata e chiudere definitivamente con il passato.
2
Mentre si alternavano messaggi metallici dai gracchianti altoparlanti delle partenze internazionali, Italia ripensò all’uomo conosciuto in quella nottata che aveva segnato un prima e un dopo nella sua vita.
La discoteca di Santiago nella quale si conobbero era introdotta da una scala di pietra che scendeva a chiocciola e pareva poter arrivare fino alle viscere della terra. In realtà terminava in una grande pista da ballo circolare rialzata di qualche centimetro dal pavimento e già colma di provetti ballerini. Era la prima volta per lei alla Cueva , una sorta di girone infernale in cui vecchi turisti aspettavano le offerte di giovani cubane come lasciapassare per un paradiso fittizio. Italia aveva sceso quei gradini strizzata in un abituccio rosso con una profonda scollatura che ne evidenziava le gambe affusolate e la falcata da modella di passerella. Ancheggiava tanto sui tacchi che aveva l’impressione di far venire il mal di mare a chi la guardava ammirato dalla sua bellezza afroamericana.
Il reggaeton veniva fuori dagli amplificatori a un volume da stordire ed ebbe la netta sensazione di trovarsi in un luogo abusivo in cui tutto era permesso.
Girò intorno alla pista da ballo e sentì su dì sé tutti gli sguardi dei presenti, mentre si diresse verso il bar per vedere chi tra gli avventori le avrebbe offerto un cocktail.
Lui se ne stava lì, assorto nell’assistere al carnevale umano fatto di balli sfrenati, nebbia artificiale ed eccitazione a basso prezzo. Era appoggiato di schiena al bancone e stava assaporando un cuba libre che gli scendeva nella gola dolciastro, quando si accorse che una ragazza riccia dalla pelle mulatta lo stava fissando.
«Italia» gli disse porgendo la mano.
Sembrava una bambola, pensò quello.
«Si nota così tanto che sono italiano?» le rispose afferrandole tre dita per farle il