La Fuga
Di Eva Morletto
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Anteprima del libro
La Fuga - Eva Morletto
Una vita su un binario interrotto
Stefano: 24 gennaio 2008, Parigi
Qualcuno dovrà spiegarmi come fanno...
. Stefano osserva un gigantesco manifesto pubblicitario che un operaio in tuta blu sta incollando sulle pareti della fermata Concorde sulla linea 1 della metro. La foto di due ballerine in bilico su una corda lo incuriosisce: si tratta di uno spettacolo programmato alla Villette. Ma oggi, Stefano non è in vena di spettacoli. La pioggia parigina lo ha messo di cattivo umore.
Ha da poco salutato Victor sul marciapiede della stazione di Chatêlet. Il suo cliente argentino è stato inghiottito da un taxi diretto all’aeroporto, dove fra tre ore un aereo dell'Iberia lo riporterà a Buenos Aires e al suo splendido appartamento design di Palermo Hollywood, il quartiere porteño in cui vengono girate una gran parte di quelle telenovele sudamericane che commuovono migliaia di casalinghe sparse in qualunque distretto da Città del Messico a Ushuaia.
Sarà la pioggia battente, sarà la pozzanghera in cui è andato a tuffarsi agli ottanta all'ora lo pneumatico di un bolide guidato da un uomo coi capelli bianchi e il ghigno arrogante, inzaccherandogli il doppiopetto Armani appena tirato fuori dal cellophane, o sarà questo Jardin des Tuileries che a gennaio si rivela una sfilza di alberi spogli, puntati verso il cielo come aghi a formare un gigantesco tappeto da fachiro indiano, insomma sarà tutto questo messo insieme, ma la sensazione è quella di non essere riuscito a strappare a Victor un contratto alle migliori condizioni, un contratto come si deve.
Victor, dannato Victor, con le sue battute, il suo accento spagnolo, il suo fare un po' svagato, quella maniera distratta di parlare e di far girovagare gli occhi ovunque mentre discute di denaro, lo avevano disorientato, messo in soggezione e paralizzato la sua naturale propensione a fare affari. Quando Stefano parla di business, il discorso si concentra su quello. Vietato divagare. Victor è sudamericano e la concentrazione non sa dove stia di casa. O forse è semplicemente più astuto di lui e tutto quel gran chiacchierare serviva opportunamente a mettere Stefano in crisi.
Le piscine Rigoni stanno cominciando ad essere conosciute in tutto il mondo come eccellenza del made in Italy. Il brevetto del composto di resina con cui sono realizzate è intera esclusiva dei Rigoni, eppure Victor non sembrava eccessivamente convinto della loro qualità, ha analizzato il contratto di acquisto con una certa riluttanza, al che Stefano non ha osato sparare il prezzo pieno. Victor aveva cambiato argomento ogni cinque secondi. Erano lì per discutere il prezzo delle piscine e lui stava a commentare il menu del Dôme du Marais, il ristorante meta del loro incontro d'affari. Stefano elencava i composti della resina e Victor rispondeva elencando i tipi di foie gras à la carte. E poi quelle decine di domande. La famiglia, i figli…
Giochi ancora a tennis? Eri un asso da ragazzino!
E ancora: Ma che ti portò tuo padre dall'Argentina, quell'anno? Che cosa ti regalò?
No, Victor, ti sbagli. Mio padre non mi ha mai portato regali, né dall'Argentina, né da nessun altro viaggio d'affari, ora ti dispiace se leggiamo il contratto?
Come no? Hai visto la cameriera? È incredibile, le francesi riescono ad essere affascinanti senza alcun trucco e senza parrucchiere. Hanno quell'aria come se fossero appena uscite dal letto, un po' assonnate, un po’ spettinate, sono tremendamente sexy, non trovi?
Per favore, Victor…
Erano andati avanti così per un'ora. Poi Stefano aveva ricevuto sullo smartphone un dispaccio d'agenzia stampa, diventato oggetto di discussione per la mezz'ora seguente. Proprio quel pomeriggio e proprio a Parigi, un giovane trader aveva fatto perdere cinque miliardi di euro alla propria banca, con operazioni finanziarie ad alto rischio finite male. Entrambi controllarono online il loro pacchetto azionario e le fluttuazioni che stavano arrivando come tsunami. Il cameriere passò la spazzola per le briciole fra i fogli del contratto mentre entrambi tenevano gli occhi bassi sui loro gadget high tech che annunciavano un'imminente catastrofe. Nessuno ringraziò l'uomo in livrea, il rumore dei suoi passi fu la sola voce che lo seguì, amplificato dalla bella cupola dorata del locale settecentesco. Victor guardò più volte l’orologio, ricordando che di lì a poco avrebbe dovuto andare in aeroporto. Il contratto non era ancora firmato e Stefano si gingillava col telefono in mano, evidentemente a disagio.
Un conto era fare affari con quelli di Castelnuovo, con tutto l'indotto dei paesi vicini da cui i Rigoni compravano materiale e semilavorati per un tozzo di pane. Altra cosa era fare operazioni all'estero, negoziare con gente abituata a muoversi nel mercato internazionale come animali nel loro habitat più consono. Stefano si sentiva allora un pesce fuor d'acqua. Non era abituato a certe furbizie. Il suo master ottenuto a fatica in Inghilterra gli serviva a ben poco in queste occasioni e ne era ben cosciente. Sapeva anche che suo padre glielo avrebbe rinfacciato. Per questo, una volta congedatosi da Victor, sentì il bisogno di una boccata d'aria.
Dalla Concorde, ora si avvia con calma a piedi verso gli Champs Elysèes. Passa sotto la sontuosa sagoma dell'Hotel Crillon e attraversa i giardini davanti all'ambasciata americana, godendo del rumore della ghiaia sotto le scarpe nuove.
Paris outragè! Paris brisè! Paris martyrisè! mais Paris libèrè!
. Stefano legge sottovoce la scritta che campeggia sotto la statua del generale De Gaulle, vicino alle spettacolari volte vetrate del Grand Palais costruito per l'Esposizione universale del 1900.
Contrat outragè, contrat martyrisè, mais contrat signé!
Il pensiero gli fa apparire un sorriso agli angoli della bocca e decidere che non è cosa saggia rimanere immusoniti per le strade di Parigi.
Parandosi con uno dei lembi dell'impermeabile dalle sferzate gelide di vento, si tasta il petto cercando il pacchetto di Marlboro nella tasca interna. Si accende una sigaretta con un gesto rapido e uno sfrigolare secco delle piastrine dello zippo e continua la sua passeggiata nell' avenue la plus belle du monde
con un ritrovato ottimismo. Lo zippo gli sfugge dalle mani, finisce a terra e scivola per un metro o due davanti a sé, sul pavé lucido di pioggia. Ha un tuffo al cuore. Una turista quindicenne con le lentiggini e il naso arrossato dal freddo glielo restituisce dopo essersi sporcata le manine per tirarlo su da una pozzanghera. Lui ringrazia imbarazzato e ripone con cura il cimelio nella tasca interna dell'impermeabile. Ci tiene a quello zippo. È un regalo di Anna, ricevuto due anni fa, dopo un secolo che si erano persi di vista.
Non ti chiedo se hai smesso di fumare perchè so già la risposta. L'unica cosa positiva è che mi hai facilitato la scelta del tuo regalo. Buon compleanno!
Il minuscolo pacchetto arrivava dal Vietnam, dentro c'erano questo messaggio e uno zippo avvolto in quel nylon a bolle che Stefano e Anna, da ragazzini, si divertivano a schiacciare e far scoppiare di nascosto, nella fabbrica di suo padre. Lo zippo aveva delle iscrizioni fatte probabilmente con un coltello, era uno di quelli lasciati dai soldati americani in giro per le boscaglie, durante la guerra del Vietnam, e ora venduti nei mercatini di cianfrusaglie di Hanoi e Ho Chi Min City. C'erano su una donna nuda e un nome: Betsy
. Dall'ultima volta in cui aveva visto Anna, all'arrivo di quel pacchetto regalo erano passati circa vent'anni.
Aveva avuto notizie frammentarie della sua amica d'infanzia grazie a qualche parente rimasto a vivere in paese. Sapeva così che Anna era diventata medico per un'associazione umanitaria in Vietnam e che si occupava di bambini. Aveva anche saputo che si era sposata con un collega americano ed aveva dei figli. In paese, chi si sposa con uno straniero fa sempre rumore, anche se vive all'estero ormai da secoli ed è sparito dalla circolazione da tempo immemore.
Durante la loro infanzia a Castelnuovo, Stefano e Anna erano amici per la pelle, componevano un gruppo affiatato, sempre loro, sempre insieme: Stefano, Anna, Lara, Micha e Luca. Dell'altra ragazza del gruppo, Lara, Stefano non sa più nulla, se non per un commento della sua segretaria, sibilato qualche giorno prima della partenza, mentre la stampante sfornava i biglietti per Parigi prenotati su internet.
A Parigi c'è quella sua amica delle medie. Lara Decarli, mi hanno detto che fa la giornalista lì, non so per chi.
La sua segretaria ce la metteva tutta per rientrare nello stereotipo delle segretarie, informate di ogni fatto altrui, meglio se imbarazzante. Stefano rimase un attimo pensieroso quando la sua impiegata gli annunciò quella notizia, ma il tempo premeva e non poteva usarlo nel cercare un'amica partita chissà dove, tanti anni fa. Si limitò ad annuire con la testa e a sollecitare la prenotazione di una camera doppia ad uso singola, al Plaza Athénée. Così, almeno, negli ultimi due anni aveva saputo che fine avevano fatto Anna e Lara. Di Luca Guarneri più nessuna traccia e per quanto riguarda Micha, Stefano rammenta fin troppo bene che fine fece. E non ha voglia di ricordarlo.
Decide di fare un bis cancerogeno e estrae una seconda sigaretta dal taschino dell'impermeabile. La gente fa la coda davanti ad uno dei cinema sugli Champs Elysées. Sembrano tutti felici. Due belle ragazze ridono complici, un vecchio signore sorride mentre parla al telefono con qualcuno. Stefano prova un'emozione indecifrabile, come se stesse per cominciare una festa. Cristina non è là per ricordargli di non bere e di non fumare. E, sebbene lo ammetta a fatica, l'assenza della sua amorevole moglie gli fa tirare un sospiro di sollievo. Un piccolo soffio di libertà gli sferza la faccia sbarbata di fresco per il suo incontro d' affari. Quando erano più giovani, Cristina adorava che si facesse crescere la barba, giusto un po', per dargli un'aria vissuta. Adesso era lei a comprargli i rasoi al supermercato e a infilarli nel bicchiere sul lavandino prima di ogni appuntamento di lavoro. Aveva deciso di prendersi cura di lui, aveva imbastito alla perfezione il suo ruolo di mamma e moglie. Lui la adorava, ma gli mancava un po’ quel cuore in festa di fronte alle incognite del domani, la loro casa da studenti in perenne disordine, quella frequenza in cui si sintonizzavano volentieri entrambi, disturbata solo dai fruscii delle lenzuola, e quell'assenza di progetti che non aveva nulla di vuoto, ma era bella come un cielo sgombro di nuvole.
Poi i progetti sono arrivati.
È arrivato un bastimento carico di responsabilità, date, scadenze, appuntamenti dal commercialista, dal notaio, dal ginecologo, dal banchiere, dall'ostetrica, dall'agenzia di leasing, dall'amministratore dell'asilo nido, perchè è così che si tira su una famiglia. A suon di appuntamenti e di scadenze.
Il telefonino squilla. Spera che sia sua moglie, Cristina, vorrebbe solo dire che le vuole bene e che certi momenti gli mancano da morire.
Ma no, è suo padre.
Vuole sapere com'è andato l'appuntamento col cliente argentino. I toni ritornano seri, Stefano riprende a camminare verso l'hotel e dimentica quella fila per il cinema, per quel film che non vedrà e che non potrà raccontare, un po' come una certa vita che aveva immaginato e che non potrà più avere.
Un reportage in Asia
Lara: 12 ottobre 2008, Mandalay - Birmania
Ha le gambe come due stecchi di ghiacciolo. Come quelli che loro due, lei e Anna, compravano all'alimentari di Sant'Anselmo, la frazione di Castelnuovo dall'altra parte del torrente. Alla menta per lei e al limone per la sua migliore amica. Se c'era solo l'anice se ne andavano a mani vuote perchè disgustava entrambe.
E quel tizio ha le gambe come due stecchi di ghiacciolo e una maglietta logora color anice. Blu stinto. Ci dà dentro, con la mazza, su quel cuneo di legno. Si fa fatica a vedere cosa ci sia sotto a quel cuneo. L'uomo piega la schiena, si vedono le costole e un’enorme cicatrice sulla pelle bruna, forse un'ernia operata male. Si vedono i muscoli nervosi e le braccia secche che fanno tutt'uno con la mazza e paiono le sue radici. Pum! Il legno del cuneo è sempre più sfilacciato, ma ancora non è chiaro cosa nasconda. Poi un luccichio, là, sulla destra. Una foglia d'oro. Un sottilissimo strato d'oro, ridotto ai minimi termini. Serve per essere appiccicato dai fedeli sulle statue di Buddha. Nei templi in Birmania si vedono moltissimi devoti ricoprire il volto e le mani del Buddha con le foglie d’oro. Alle volte il vento le fa volare via. Ricadono ai piedi della statua che osserva placida quelle farfalle impazzite sfiorate da mille re Mida.
Quante meraviglie sono originate nell’orrore. Troppe.
Uomini come quello dalle gambe a stecco danno colpi di mazza tutto il giorno su un pezzo di legno. Sotto questo, l'oro diventa più sottile di una garza, perfetto per finire sui souvenir destinati ai turisti a caccia di frammenti d’esotismo.
Più lontano, in questa via trafficata di Mandalay, c’è il quartiere degli scultori di Buddha.
Mentre il capolavoro si libera dalla sua prigione minerale, gli operai bambini sprofondano nella prigione di polvere di marmo che avvelena i polmoni.
Lara ne osserva uno in particolare. Un’operaia. Una ragazzina, poco più che adolescente, i capelli neri e lisci, gli occhi di velluto scuro, la fronte corrucciata, le mani forti e un'attenzione caparbia sul suo lavoro. La vede approfittare di una pausa per far scivolare gli occhi neri su uno specchietto e verificare che il tannaka, quella pasta dorata e argillosa con cui le donne birmane amano decorarsi il viso, sia ancora a posto. Per qualche secondo, quel gesto di civetteria le regala un’aria felice.
L’operaia bambina ha lo stesso sorriso di Anna…
Con Anna, da bambine avevano condiviso quasi tutto, su quel traghetto precario che porta dall’infanzia all’adolescenza, dai sogni bambini ai tormenti di un’età ingrata. Con lei, grazie a lei o a causa sua, tutta una serie di prime volte si erano inanellate nella sua esistenza. Dalla prima volta in cui era andata a scuola a piedi, senza essere accompagnata da sua madre, al primo bacio, alla prima sigaretta, alla prima delusione.
In quel breve arco di anni, le due amiche avevano imparato come le cose a quell’età passino dall'essere proibite, al diventare ordinarie e finiscano con l’apparire ridicole, o patetiche, o semplicemente noiose.
Tutto è prima mistero, poi euforia della scoperta, poi un'assuefazione che sconfina presto nella noia.
Anna era la sua compagna di scuola fin dalla prima elementare. Erano amiche due mesi sì e uno no. Nei due mesi sì, non era solo un'amica qualunque, era la sua migliore amica. Glielo scriveva sul diario, poi le regalava dei minuscoli portafortuna: la carta del chewing gum a paillettes, il tappo della coca cola bevuta insieme, delle polaroid sfocate di lei bambina. Anna andava matta per questo tipo di cimeli. Gliene regalava a dozzine. Tranne nei mesi no. Quelli in cui decideva che avrebbe dovuto toglierle il saluto, senza una ragione plausibile. La guardava ostile da dietro gli occhiali tondi, uno sguardo da insetto, che penetrava il sipario sottile della sua frangia dorata, le labbra ridotte a un segmento senza espressione. Andava avanti così per tre o quattro settimane. Finchè ne aveva abbastanza e ricominciava a cianciare.
Lunatica, sì. È sempre stata lunatica.
Lara è sicura che non sia cambiata, la incontrerà fra poco, a Hanoi. Proprio così. Mancano pochi giorni a quell’incontro, dopo anni di lontananza. La redazione parigina di Aujourd'hui Magazine ha spedito Lara in Asia per alcuni mesi, per una serie di reportage. Birmania, India, Nepal, Vietnam e Thailandia.
Ad Hanoi Lara dovrà realizzare un’inchiesta sul boom economico che ha proiettato la nuova tigre asiatica vietnamita nel firmamento dei Paesi emergenti.
Ora nella capitale ci sono grattacieli, lì a censurare l'orizzonte, dove prima c'erano case basse, balconi di legno, drappeggi di fili elettrici aggrovigliati a piante tropicali, gabbie di uccellini alle finestre e raggrinzite venditrici di ortaggi, col cappello a cono e il sorriso simile alla tastiera di un pianoforte.
Lara odia i grattacieli, li trova arroganti. Quegli edifici al tramonto sono rettangoli neri, osceni come i