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Eredità veneziana: Harmony Bianca
Eredità veneziana: Harmony Bianca
Eredità veneziana: Harmony Bianca
E-book169 pagine1 ora

Eredità veneziana: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Principi e dottori 2/2
Due dottori stimati e competenti.
Due principi alla ricerca del vero amore.

Il principe Enzo Affini rimane scioccato quando scopre che, due mesi dopo la loro incredibile notte di passione, l'infermiera Aubrey Henderson si è presentata a Venezia per lavorare nella sua clinica. Enzo sospetta che le motivazioni di Aubrey siano tutt'altro che professionali e che lei sia lì per mettergli un anello al dito, sapendo che soltanto grazie a un matrimonio e a un erede lui potrà entrare in possesso di tutti i suoi beni. Ma, se cosi fosse, la attende un'amara sorpresa.

Ad Aubrey non piacciono l'atteggiamento di Enzo e i suoi sospetti infamanti. Tuttavia, lavorando insieme, la stima reciproca cresce, come anche l'attrazione che li unisce dal primo istante...

LinguaItaliano
Data di uscita20 lug 2018
ISBN9788858984581
Eredità veneziana: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Eredità veneziana - Robin Gianna

    1

    Aubrey Henderson rialzò il viso, lasciandolo accarezzare dalla brezza della laguna, ancora stupita e felice di essere di nuovo a Venezia, la città italiana più incredibilmente splendida e affascinante del mondo.

    Davvero una bella fortuna, l'opportunità di un lavoro temporaneo proprio qui.

    Vi era stata di recente, solo per un paio di giorni, mentre era impegnata per lavoro a Roma, ma il ricordo di quelle poche ore passate a Venezia era ancora vivido e netto nella sua mente, completo di ogni dettaglio.

    E non comprendeva soltanto le meravigliose immagini della città sulla laguna, con le sue chiese, i ponti e le case signorili, ma qualcosa di altrettanto meraviglioso, anche se incauto e sconsiderato: il breve incontro appassionato con Enzo Affini. Quell'unica notte con lui le era rimasta impressa a fuoco nella mente – e nel corpo – al punto che solo a ripensarvi il cuore le mancava un battito, e nello stesso tempo si sentiva ardere di rabbia.

    Forse si erano salutati in modo un po' superficiale, vago, ma era sottinteso che sarebbero rimasti in contatto, no? Una promessa appena sussurrata, quella mattina all'alba, mentre lei si affrettava a ripartire per Roma.

    Aubrey si aspettava almeno una telefonata da Enzo, anche perché gli aveva detto che desiderava tornare presto a Venezia, per un nuovo incarico.

    Invece niente.

    L'idea di incontrare Enzo per caso, di rivederlo di persona, la innervosiva, eccitandola; continuava a chiedersi se l'avrebbe mai cercata, e per quanto volesse respingerla, quella domanda senza risposta le ronzava incessante nella testa.

    Insomma, le bastava pensare comunque a Enzo, per rivedere all'istante la sua immagine – totalmente sexy – in tutto lo splendore del suo corpo mozzafiato.

    Cerchiamo di non cadere nel ridicolo, pensò Aubrey, riscuotendosi. Era meglio concentrarsi sul motivo del suo arrivo a Venezia, che non aveva niente a che vedere con un affascinante principe italiano, sicuramente abituato a cogliere al volo avventure di poche ore.

    E va bene. Perché preoccuparsi se incontrarlo o no? Francamente, non le importava molto rivederlo, se lui non l'aveva più cercata.

    Poco tempo prima, Aubrey aveva incontrato Enzo a Venezia, dove era accorsa per stare un po' con Shay, la sua amica più cara, che di recente aveva sposato Dante, il fratello di Enzo.

    Adesso, vi era tornata per lavorare in una clinica privata, godersi le bellezze della città, e prendere contatto con un'organizzazione dedita alla cura e al restauro di opere d'arte, per la quale aveva sottoscritto una generosa donazione, in memoria della propria madre.

    Da sempre affascinata da Venezia, e dalla incredibile storia di quella città, la madre di Aubrey non aveva mai trovato il coraggio di affrontare il lungo viaggio in aereo, almeno per vedere di persona l'affresco veneziano già adottato insieme alla figlia, per salvarlo dall'usura del tempo.

    Poco prima della sua scomparsa, Aubrey aveva infatti versato la somma richiesta per restaurarlo. Un gesto nobile, ma anche un po' triste: quasi l'intera eredità destinata a lei aveva varcato l'oceano, espandendo il nome di sua madre, già noto quale appassionata alla conservazione di opere d'arte, dal New England fino a Venezia, nel Vecchio Continente.

    Quel pensiero rendeva Aubrey sempre molto orgogliosa. Sorrise tra sé, di nuovo serena, la mente sgombra, senza più traccia di Enzo Affini.

    Argomento chiuso. Non c'era più motivo alcuno di pensare a lui.

    Con rinnovata energia, Aubrey avanzò lungo stretti vicoli lastricati in pietra, davanti a case dipinte in accesi colori diversi, attraversò dei piccoli, deliziosi ponti pedonali, raggiungendo infine una piazza, diretta alla clinica la cui insegna era ben visibile, e nella quale avrebbe lavorato per i prossimi quattro mesi.

    Spinse la porta a vetri; si udì il tintinnio di un campanello. Nell'atrio, una donna di mezza età, dall'aspetto cordiale, sedeva dietro una semplice scrivania. Audrey sapeva che a Venezia molti parlavano inglese, ma le sembrava apprezzabile tentare di esprimersi con qualche semplice frase in italiano, appresa da poco.

    «Buongiorno, mio nome Aubrey Henderson... ehm, sono qui... per lavorare» disse, cercando di ricordare qualcosa di più. Fatica inutile, pensò, vedendo l'espressione perplessa e divertita della donna. Senza dubbio, nel tentativo aveva completamente sbagliato la pronuncia di una lingua a lei abbastanza sconosciuta. «Sono l'infermiera dell'Associazione Sanitaria Mondiale» riuscì comunque ad aggiungere. «Destinata da oggi a questa clinica.»

    La donna alla scrivania sorrise. «Benvenuta, la stavamo aspettando, e parliamo in inglese, d'accordo?»

    «Sarà meglio» approvò Aubrey, ricambiando il sorriso. «Studio l'italiano, non sono molto brava, adesso, ma spero che alla fine dell'incarico lo parlerò benissimo!»

    «Per imparare una lingua occorre tempo, ma i pazienti l'aiuteranno molto, in questo» replicò l'altra. «Mi chiamo Nora» aggiunse. «Di qualunque cosa abbia bisogno, non esiti a chiedere. E adesso venga con me» disse poi, alzandosi, e accennando a una porta dietro le sue spalle. «Le mostro il suo armadietto. Non siamo in molti, qui, forse già lo saprà... solo un dottore e un'infermiera, ogni giorno, il che talvolta non rende le cose molto semplici. Il dottore, che dirige la clinica, oggi dovrebbe accompagnarla per mostrarle la struttura, ma adesso è occupato, quindi, se lo vede, si presenti da sola, le dispiace? Io devo accogliere le persone che arrivano.»

    «Naturalmente. Ammetto di non sapere molto su questa clinica» confessò Aubrey, seguendo Nora lungo un corridoio illuminato. «Ho letto dell'inaugurazione, e ho preso al volo l'occasione di lavorare a Venezia, per qualche tempo.»

    E per saperne di più su un certo principe, incredibilmente sexy, anche se adesso l'interesse per lui era notevolmente diminuito, al punto che ci pensava di rado.

    I locali dell'edificio apparivano moderni e scrupolosamente puliti. Passando nel corridoio, Aubrey gettò qualche occhiata dentro le stanze: lettini bianchi e azzurri per le visite, forse un po' rigidi, forniture identiche a quelle in uso negli Stati Uniti. Tutto in ordine.

    Nora aprì un'anta di un grande armadio a muro. «Qui può riporre la sua roba, e vi troverà l'uniforme. Si metta a suo agio, il dottore la raggiungerà presto. A più tardi.» Salutò Aubrey, allontanandosi.

    Forse doveva cambiarsi subito, pensò Aubrey. Non ne era sicura, e non l'aveva chiesto a Nora, prima. Ma perché no, se doveva iniziare subito a lavorare per questa clinica? Inutile tornare all'ingresso, per chiedere. Meglio mostrarsi pronta a iniziare, in teoria, anche se il primo giorno, in genere, era destinato alle presentazioni.

    Si cambiò nel bagno. L'uniforme, immacolata, dallo stile un po' superato, appariva diversa da quelle indossate dalle colleghe americane, e stonava, in un ambiente così ultramoderno.

    Audrey chiuse abiti e borsa nell'armadietto, si guardò intorno, indecisa, ma tentata di curiosare nei cassetti e nelle altre ante dell'armadio. Vi rinunciò, sapendo che era più corretto aspettare che qualcuno la invitasse a farlo.

    I minuti passavano, aumentando la sua incertezza. Inutile pensare che se fosse stato necessario l'avrebbero chiamata, prima o poi. Annoiata, Aubrey, di spalle alla porta, aprì l'anta di uno dei piccoli armadi bianchi, posti al di sopra di un lungo bancone dello stesso colore.

    «Buongiorno. Lei deve essere la nuova infermiera arrivata dagli Stati Uniti» disse una voce profonda alle sue spalle.

    Colta di sorpresa, Aubrey sobbalzò, imbarazzata, e richiuse l'anta, quasi sbattendola, girandosi con il migliore dei suoi sorrisi.

    E rimase di sasso, il respiro spezzato, vedendo la persona che era entrata in silenzio.

    Enzo Affini. L'uomo che era riapparso con insistenza nei suoi pensieri, dal momento del ritorno a Venezia. L'uomo le cui mani e le cui labbra avevano esplorato ogni millimetro del suo corpo, due mesi prima, per una notte intera.

    E che non si era curato di farle almeno una telefonata, dopo una tale intimità.

    Al vederselo davanti all'improvviso, Aubrey barcollò, quasi perdendo l'equilibrio. Gli occhi scuri di Enzo la fissarono in silenzio per alcuni attimi, e lei notò a malapena la presenza di un altro uomo, anziano, entrato nella stanza con lui. Senza la minima emozione, Enzo si mosse, protese una mano, prese qualcosa dall'armadietto più vicino, la porse poi all'uomo, aggiungendovi delle istruzioni.

    Aubrey non comprese neanche una parola; immobile, guardò Enzo e il paziente percorrere il corridoio, uscire insieme oltre la porta.

    Rimasta sola, Aubrey si appoggiò al bancone, senza respiro, un solo pensiero nella mente: riuscire a scivolare fuori dalla porta secondaria, prima che Enzo rientrasse. Ma come riuscirvi? E poi, perché fuggire, se era a Venezia per lavorare, e non era colpa sua, se il caso l'aveva spedita proprio in questa clinica, no?

    Aubrey cercò di calmarsi; rialzò le spalle, fissò la porta, imponendosi un'espressione tranquilla e sicura di sé. Che non servì a molto. Inutile sperare di non emozionarsi, di apparire normale, di nascondere le ginocchia tremanti sotto lo sguardo impassibile di Enzo.

    Non era più lo stesso; niente a che vedere con quell'uomo salutato all'alba, dopo una notte di passione, sguardo caldo, labbra sensuali morbide e sorridenti. No. Adesso apparivano serrate, la fronte corrugata, l'espressione severa.

    «Aubrey, comprendi quanto sia sorpreso di vederti. Come sapevi che lavoravo qui?» l'apostrofò, senza preamboli. Perfino la voce era fredda, distante, come si rivolgesse a una persona così ottusa da non capire subito che la propria presenza non era affatto gradita.

    Ma come, non ricordi niente di me, di noi...

    Aubrey respinse la stretta al cuore, per un moto di rabbia, causato dall'ombra di sospetto nello sguardo di Enzo. Non crederà che lo abbia raggiunto con il proposito di pretendere qualcosa!

    «Non lo sapevo. Non sapevo neanche che tu fossi un dottore, un particolare che hai opportunamente dimenticato di citare.»

    «Però sapevi che Dante è un dottore.»

    «Non voleva dire che lo fossi anche tu, no? Da come parlavi dei restauri delle antiche case di Venezia, ho pensato che fossi un architetto, o qualcosa del genere. Tu invece sapevi che ero un'infermiera, collega di Shay.»

    In realtà, allora non le importava nulla di cosa si occupasse Enzo, mentre era attratta da lui, eccitata all'idea di concedersi un piacevole momento, prima di tornare a Roma. E adesso era evidente che Enzo intendeva dimenticarla. Altrimenti l'avrebbe cercata. A quel punto Aubrey non sapeva se era più arrabbiata con lui per questo o con se stessa per aver desiderato una sua telefonata.

    «Ho immaginato che lavorassi all'ospedale con Shay.»

    «Errore. Del resto, anch'io mi sono sbagliata su di te» replicò lei, spavalda, sostenendo lo sguardo di Enzo, che la fissava neanche fosse un topo di fogna entrato per caso nella sua clinica.

    Enzo respirò a lungo; il camice bianco aperto davanti, cacciò le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti, a sottolineare, come la camicia, la perfezione del suo forte, stupendo fisico. Quel corpo che Aubrey aveva avuto l'occasione di ammirare in ogni particolare.

    Bello, ma stupido, pensò lei.

    «Aubrey, la nostra sera insieme, poco tempo fa, è stata... molto gradevole, direi. Ma questo è un problema.»

    Gradevole? La più importante esperienza sessuale della sua vita era solo questo per lui?

    «E perché?» chiese lei, l'aria di sfida, con un risentimento che superava l'imbarazzo. «Tu sei un tipo a cui piacciono le donne, è ovvio. Anche a me è piaciuta la nostra notte insieme. Ma fa parte del passato. Adesso passiamo a una forma di relazione professionale, il che non sarà affatto un problema, per me.»

    Bugiarda. E sapeva di mentire. Perché il problema c'era, eccome. Se Enzo, in quel momento, avesse tentato di baciarla, lo avrebbe colpito con un pugno sul naso. Senza esitare.

    «Senti» cominciò lui, gesticolando. «Credo sarebbe meglio cercare un'altra soluzione.»

    Cosa? Il panico improvviso superò la rabbia di Aubrey. Se Enzo dirigeva la clinica, come aveva detto Nora, significava che poteva licenziarla su due piedi. Il vicino ospedale, dove lavorava Shay, non aveva posti disponibili, Aubrey lo sapeva. E se non ve n'erano altri, in tutta Venezia, cosa avrebbe fatto?

    «Enzo, non c'è ragione che ci impedisca di superare questo problema, io credo che...»

    «Dottor Affini!» Nora arrivò di corsa, seguita da un bambino di circa sette anni, i pantaloni strappati, macchiati di sangue; gocce rosse cadevano sul pavimento a ogni passo vacillante. «Lui è Benedetto Rossi, dottore. È caduto dalla bici, ha tentato di chiamare il padre e la nonna, senza riuscirvi. Io sto provando a telefonare.»

    «Bene» disse Enzo, di colpo calmissimo. «Allora, Benedetto, prendi ancora le curve troppo

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