Arriveranno le farfalle
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Anteprima del libro
Arriveranno le farfalle - Manuela Chiarottino
Andrea.
Risveglio
La stanza era ormai completamente invasa dalla luce, Anna si stiracchiò ancora una volta cercando un qualsiasi motivo per rimanere a letto e non andare al negozio, dove Bea la stava aspettando. Voleva solo dimenticarsi per un po’, voleva solo affondare in quel mare di lenzuola e perdersi nel vuoto della mente, crogiolarsi appena nei ricordi e poi pian piano perdersi nel rimpianto e sprofondarcisi fino in fondo. Solo che non c’è un fondo, non c’è un punto di arresto a un dolore che t'imprigiona l’anima e la mente. I pensieri vanno sempre lì, a quel momento trattenuto tra le ciglia umide di lacrime: la scena di loro due insieme, nudi, abbracciati. Lo stomaco è stretto in una morsa gelida, nelle vene scorre un sangue infuocato di gelosia, il cuore è uno strazio di domande senza senso.
No, basta! Fanculo Luca, fanculo gli uomini e fanculo l’amore!
Con uno scatto saltò fuori dal letto e corse in bagno, davanti al riflesso di una se stessa che non riconosceva più. Soffiò al ciuffo di capelli rossi che cadeva scomposto sulla fronte, si buttò addosso l’acqua gelida e afferrò crema, fondotinta, ombretto e mascara, chiedendo allo specchio una forza nuova. Era ora di tornare a vivere i suoi trent’anni!
L'abitazione in cui viveva era una signorile casa d'epoca in stile liberty, trascurata ormai dagli anni, dove si trovavano quattro alloggi, di cui uno era quello che lei aveva occupato cinque anni prima. Si ricordava ancora l’entusiasmo con cui l’aveva arredato, cercando di curare ogni minuzioso dettaglio.
Purtroppo si ricordava anche di come Luca criticasse costantemente ogni cosa: troppe tende, troppi colori, troppi svolazzi, troppi fiori. Lei di solito nicchiava, era un uomo che da tempo viveva da solo e non poteva apprezzare certe parvenze di femminilità, quando sarebbero stati sposati sarebbe cambiato. Già, quando sarebbero stati sposati. Accarezzò con la mano il muro di fronte a lei, sulla carta da parati le delicate rose sembravano sorriderle. Luca non amava quei colori e spesso aveva proposto di strappare quelle decorazioni per un più austero colore unico. Anna strizzò l’occhio alle sue amiche e sussurrò siete salve
.
Con le due coinquiline del palazzo, Anna aveva creato una armoniosa amicizia, nonostante fossero molte diverse una dall’altra.
La signora Agnese era sugli ottant’anni, morbida come spuma di panna e con ancora nel volto il ricordo di una bellezza passata. Vestiva sempre con abiti stampati a fiori, viveva con un gatto di nome Napoleone.
L’aveva trovato per caso un mattino, nel giardino della palazzina, sperduto e infreddolito. Probabilmente nella notte qualcuno l’aveva scaraventato dentro, con lo scopo vigliacco di liberarsi di quel fagottino peloso, ma Agnese aveva detto che se il caso l’aveva portato lì era perché sapeva che lì qualcuno l’avrebbe protetto e, preso tra le sue braccia, fu subito reciproco amore.
Ogni giorno andava a controllare la cassetta della posta, per verificare se fosse mai arrivata la lettera di Arthur. Non una lettera, ma la
lettera. Perché Arthur era partito a cercar fortuna, tanti ma tanti anni prima, quando ancora le rughe non conoscevano le sue gote, promettendole che le avrebbe scritto in modo che lei potesse raggiungerlo.
La sua vita si svolgeva delimitata da quei confini, una fortezza di nuvole costruita negli anni, che riusciva a donarle il conforto dell’abitudine.
Era una donna solare e Anna spesso si soffermava a pensare a come si fosse in fondo sacrificata per un amore perduto nel tempo, eppure Agnese pareva davvero serena e mai l’aveva vista con occhi velati di rimpianti.
Non che non avesse avuto altri amori, ma nessuno aveva vinto su quello non realmente vissuto e da lei idealizzato, destinato a essere un’utopia irrealizzabile e per questo imbattibile da più ordinari sentimenti quotidiani.
L’altra abitante del palazzo era Jessica. Con lei aveva faticato non poco per instaurare un rapporto amichevole, eppure quella ragazza era davvero dolce e buona d’animo, se solo si superava il primo impatto esteriore, che, si sa, il più delle volte è solo una coperta di Linus di cui le persone non sanno fare a meno. Si poteva definire una punk, se si voleva relegare a una sola parola la descrizione del suo aspetto. Gli occhi azzurri spiccavano come pezzi di cielo rubati, affiorando da quel trucco nero e pesante, i capelli corvini rasati solo da una parte, con un lungo ciuffo azzurro che ricadeva da un lato, un piercing al labbro e uno al sopracciglio, l’abbigliamento sempre rigorosamente total black, adornato da borchie e spille di sicurezza.
Ad Anna non importava nulla di tutto questo, l’unica cosa che le dispiaceva era il sapere che era più che altro una barriera con la quale nascondeva un’infinita tristezza, un dolore antico dovuto a una famiglia spezzata e una profonda solitudine.
Il suo corpo era ampiamente ricoperto di tatuaggi, ma d’altra parte Jessica aveva fatto di quella passione un lavoro e il suo laboratorio artistico
, come lei lo definiva, era apprezzato dai giovani della zona e non solo.
Jessica diceva che tatuarsi significava regalare qualcosa a se stessi, qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto portarti via. Poteva essere la sublimazione di un ricordo, un monito, un portafortuna, ma mai, mai solo uno sfogo estetico. Almeno questo è quello che professava Jessica.
Aveva provato varie volte a convincere Anna a provare quell’esperienza e disegnare sulla propria pelle un sentimento che così non sarebbe più potuto scappare, perché si sa, le emozioni a volte volano via, anche se pensi di averle imprigionate nel tuo cuore.
C’era stato un giorno in cui Anna ne era stata quasi tentata, ma come aveva provato a dirlo a Luca, questi si era messo prima a ridere e poi l’aveva mortificata chiamandola ragazzina immatura. E così, come sempre, lei aveva desistito.
Non si ricordava neanche più se le sue decisioni erano mai state veramente sue o se tutto era sempre passato attraverso il filtro di quello che lei considerava il suo compagno, il suo vero amore. Già, ma può davvero qualcuno che ti ama giudicarti?
Chiuse la porta di casa, doveva correre al negozio che da qualche giorno aveva affidato completamente alla sua socia e dopo averla rassicurata che era tornata in sé, ributtarsi nel lavoro. Riprendere i contatti col mondo esterno, sorridere ai clienti, non c’era ginnastica migliore per ritornare a vivere.
Dal corridoio stava provenendo un gran fracasso, Anna si voltò chiedendosi cosa fosse e vide quello che sarebbe stato il suo nuovo vicino, proprio nell’appartamento di fianco al suo.
Era chino su degli scatoloni, l’unica cosa che riusciva a vedere era una massa di riccioli biondi da ingelosire anche un angelo e un sedere da paura. Alzò gli occhi e