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L'anima ciliegia
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L'anima ciliegia
E-book182 pagine2 ore

L'anima ciliegia

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Info su questo ebook

Nelle parole di una delle più grandi scrittrici italiane, la storia di una donna che attraversa il XX secolo.
Paganina nasce negli anni Trenta, da un padre così ateo che voleva chiamarla Ateina (ma poi non se l’era sentita). Paganina ha un carattere forte e indipendente, e una inclinazione per l'eroismo e gli eroi. Così quando incontra Guglielmo, che è stato partigiano con suo fratello Spartaco e ha fatto saltare da solo un camion di tedeschi, sa che è lui l’eroe che vuole al suo fianco. Le basta presentarsi, “Sono Paganina”, per dare inizio a un amore che attraverserà tutta la vita. Una vita che sarà percorsa da altre grandi passioni, su tutte quella della politica, che coinvolgerà tutta la famiglia, compresi i figli di Paganina e Guglielmo che poco dopo il loro matrimonio sono arrivati.
Bilanciando con maestria le grandi tappe della storia italiana con le vicende private di Paganina e della sua famiglia, Lia Levi racconta la storia di una donna comune e straordinaria e delle persone che lei, riamata, ha amato. Un romanzo indimenticabile scritto da una delle più importanti autrici italiane.
LinguaItaliano
Data di uscita26 set 2019
ISBN9788830505506
L'anima ciliegia
Autore

Lia Levi

LIA LEVI è nata a Pisa nel 1931. È una delle più importanti scrittrici italiane, tanto per adulti quanto per ragazzi. La sua produzione letteraria è vasta e ha vinto numerosi premi. Tra i suoi libri: Una bambina e basta (e/o, 1994, Premio Elsa Morante), Che cos’è l’antisemitismo? Per favore rispondete (Mondadori, 2001, Premio Grinzane Cavour), La portinaia Apollonia (Orecchio Acerbo, 2005, Premio Andersen), L’albergo della magnolia (e/o, 2011, Premio Moravia), Questa sera è già domani (e/o, 2018, Premio Strega Giovani) e, per HarperCollins, L’anima ciliegia e Una bambina e basta, raccontata agli altri bambini e basta.

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    Anteprima del libro

    L'anima ciliegia - Lia Levi

    Albero genealogico

    PARTE PRIMA

    CAPITOLO I

    Paganina aveva un’anima ciliegia.

    Le succedeva così. Non appena cominciava a desiderare qualcosa con tutta se stessa, subito le spuntava accanto un altro desiderio, solo in apparenza diverso, e invece legato strettamente al primo. Come due ciliegie, insomma, di quelle che nascono accoppiate e poi le bambine si mettono a cavallo delle orecchie.

    Non avrebbe potuto vivere senza un amore. Paganina lo aveva capito molto presto e non appena l’ebbe trovato se lo tenne stretto per anni e anni. Ma quasi subito si era fatta avanti la sua anima ciliegia.

    Più amava e più desiderava la solitudine. La desiderava in modo tale da restarne stordita, come di fronte al mistero di un paradosso mitico.

    E i figli. Una vita senza figli non sarebbe nemmeno riuscita a immaginarla. Però tempo dopo, quando erano tutti ormai arrivati da un pezzo, al momento d’infilare la chiave nella porta di casa, in Paganina saliva puntuale sempre lo stesso pensiero. Ora apro, entro e non ci trovo nessuno.

    Era un sogno che durava un attimo, come l’eco di un treno che sfreccia in lontananza.

    Dentro naturalmente c’erano tutti, comprese le due generazioni di gatte, Lucrezia la madre e Lecchi la figlia, e parevano contenti di essere insieme nella stessa casa.

    Quando Paganina diventò infelice perse la sua anima ciliegia.

    Era il padre che le aveva dato quel nome, Paganina.

    Il padre si chiamava Pietro e più che laico era proprio furiosamente ateo. Dio e i suoi condomini terreni, così lui vedeva le chiese, erano il bersaglio d’elezione su cui andava volentieri a scagliarsi la sua cosmica ira.

    Eroico e ribelle, ecco quello che più sarebbe piaciuto essere a Pietro, ma la vita per fargli dispetto a un certo punto si mise a tirarlo sempre più dall’altra parte.

    Paganina era la sua prima figlia femmina e, come si sarebbe scoperto abbastanza presto, di gran lunga la sua preferita.

    Era in lei perciò che Pietro doveva porre il sigillo all’ardente passione che lo poneva in continua lite con cielo e dintorni.

    Ateina sarebbe stato il nome giusto, ma perfino Pietro non se la sentì di arrivare a tanto. E poi sua moglie non glielo avrebbe mai permesso.

    Ripiegò allora sul più modesto e grazioso Paganina, dimenticandosi che il paganesimo era in fondo una religione, e anche molto affollata in quanto a divinità.

    Il fratello nato prima di lei era stato chiamato Spartaco, come l’eroico gladiatore ribelle. E su questo non c’erano state obiezioni.

    Dopo Spartaco era arrivato Giustino, e a distanza di meno di un anno da Paganina ecco Federico; poi un’altra femmina, Sole, e in ultimo Massimiliano.

    Come si vede, per un po’ Pietro aveva tenuto duro con i nomi forti, convinto com’era che essere atei significasse di per sé essere anche giustizialisti e rivoluzionari. Però a un certo punto gli si erano dovute confondere le idee, e così gradatamente aveva mollato fino a raggiungere una quasi normalità.

    Gli anni lo avevano cambiato. Le sue furiose tirate da mangiadio e mangiapreti erano divenute sempre più rare, stanche e ripetitive. Sembrava un attore alla centesima replica dello stesso lavoro.

    Sua moglie Anita, forte del suo mite carattere, negli anni aveva continuato dietro le quinte a dire «sì, sì», ma intanto preparava le sue truppe, eccome. Non aveva fretta, perché era sempre stata certa che un giorno avrebbe vinto.

    Quando a un certo punto Federico, il quartogenito, si era ammalato così gravemente da ritrovarsi in pericolo di vita, Anita aveva pianto e supplicato finché Pietro, smarrito e debole come un bambino di fronte a un nemico agguerrito, aveva acconsentito a far battezzare il ­figlio.

    Federico era guarito, ma quando poi nacque Sole era ­già sottinteso che la bambina avrebbe ricevuto il bat­tesimo.

    La conclusione fu che insieme a lei vennero portati alla fonte battesimale, in fila, contriti e con il capo chino come fossero colpevoli d’un tremendo reato, tutti i fratelli nati negli anni della furiosità giovanile di Pietro.

    Insomma, il padre si era calmato. Merito sì di sua moglie Anita, ma anche di qualche accadimento esterno.

    Era infatti piombato un improvviso colpo di fortuna sui commerci di Pietro. La strada dove aveva aperto un giorno il suo negozio di ferramenta e utensili vari si era fatta importante per la costruzione di nuovi palazzi con tanto di banca, ma anche e soprattutto perché era stato spostato proprio là a due passi il capolinea di una compagnia di corriere che collegavano la città ai paesi della campagna vicina.

    Il signor Pietro aveva quindi visto prosperare come non mai i suoi affari e si era di colpo fatto pingue. Anche dentro sembrava essersi appesantito e appariva più lento a scattare e ad accendersi. Ormai era spesso silenzioso e soddisfatto.

    Della roboante agitazione del passato a Pietro era rimasto solo qualche debole e raro trillo. Ma giusto ogni tanto, e sempre meno, sempre meno…

    Ormai Pietro sbraitava unicamente contro il Fascismo che in quei trionfanti anni Trenta faceva da sfondo grifagno alla loro vita (e non solo alla loro), ma i suoi strepiti erano limitati alla casa, ai figli e alla moglie, che correva ogni volta spaventata a chiudere la finestra.

    Ma quello – Paganina anche se bambina se n’era accorta – era una specie di gioco. Suo padre dopo la prima battuta faceva una bella pausa, per dar modo alla mamma di serrare quei benedetti vetri, e solo allora si gettava in impetuose improvvisazioni ripescando toni e coloriture di un tempo lontano.

    Forse ogni persona al mondo è convinta di essere in un certo modo, poi si accorge che non è così, che non ce l’ha fatta, e l’animo le si incupisce. Pensa, vagamente e senza crederci fino in fondo, di non esserci riuscita non perché le siano mancate le forze, ma perché c’è qualcosa di sbagliato e ostile nella realtà che la circonda.

    Di scoprirsi non uguale a quello che si era immaginato nei primi baldanzosi anni della sua vita, Pietro ci soffriva a lunghi tratti. Allora chiamava Paganina. La voleva accanto a sé.

    «Paganina» le diceva, «tu sei l’unica che ha preso da me. Tu sei una ribelle, tu la vita te la costruirai come la vuoi, senza ascoltare nessuno.» E Paganina gli rispondeva: «Sì papà», perché gli voleva bene tanto quanto suo padre ne voleva a lei.

    Davvero era una ribelle? Forse quel nome lì in un certo senso la obbligava a esserlo, ma per il resto… Lei chiedeva delle cose e i genitori l’accontentavano. Tutto qui. Forse pensavano che questo continuo esigere fosse la manifestazione di una volontà forte, protesa verso orizzonti ben determinati. In realtà invece Paganina non aveva idea di cosa desiderasse veramente.

    Aveva chiesto d’imparare l’arte della pittura, poi la danza classica e infine la recitazione, e Pietro le aveva sempre detto di sì.

    Così, mentre studiava, un po’ danzava, un po’ dipingeva e un po’ perdeva tempo a immaginare che avrebbe fatto grandi cose perché questo era il sogno di suo padre. Del resto era lei l’unico straccetto di bandiera che era rimasto a Pietro e che doveva, con buona volontà e allegria, far sventolare al suo posto.

    La madre Anita la osservava, qualche volta scuoteva la testa, ma poi non apriva mai bocca. L’aveva vista crescere, quella figlia, solo un poco bizzarra, ma ribelle quasi niente. In fondo in Paganina tutto si stemperava in una specie di tenera, distratta dolcezza, che consentiva ad Anita di rimanere tranquilla.

    E Paganina infatti cambiò rapidamente. A quindici anni ebbe di colpo chiaro cosa avrebbe voluto dalla vita. Voleva amare fortemente qualcuno e questo qualcuno avrebbe dovuto essere un eroe. Il resto non era importante.

    Non chiedendo una cosa impossibile, o forse proprio per il contrario, Paganina fu accontentata.

    LA FOTOGRAFIA

    Paganina a 12 anni con indosso un tutù, in posa per un passo di danza. Il tutù è bianco con dei nastri, la poltrona sullo sfondo sembra scura, ma è quella rossa di suo padre Pietro. La luce è del sole che entra a pulviscolo dalla finestra a sinistra. Foto scattata da Spartaco.

    La didascalia dice: Paganina pensa che forse passerà la sua vita ballando. Le piacerebbe fare solo cose leggere ed evanescenti, ma sa che suo padre si aspetta grandi imprese da lei.

    CAPITOLO II

    L’eroe esisteva e glielo portò a casa un giorno suo fratello Spartaco. Ma fu alla fine di una lunga storia.

    La storia incominciò una sera in cui Pietro prese a urlare i suoi soliti improperi contro il Fascismo e Anita non chiuse la finestra.

    Anzi, la spalancò ancora di più. Del resto era quasi la fine di luglio e faceva un gran caldo.

    Il Fascismo era caduto e ormai lo sapevano tutti e tutti ora gridavano e gli imprecavano contro come Pietro. Forse, chissà, anche altri in passato avevano tenuto chiuse le finestre.

    Quella sera uscirono per strada – tranne Anita rimasta accanto al piccolo Massimiliano che dormiva nel suo letto – e si mischiarono con l’allegria.

    Insieme a Paganina c’era suo padre, c’era Giustino con Federico, e dietro correva Sole che era solo una ragazzina ma aveva molta voglia di vedere.

    Spartaco non c’era perché lo avevano chiamato al servizio militare e stava imparando il mestiere di soldato.

    Ogni statua di pietra, marmo o gesso che replicava in mille positure il simulacro di Benito Mussolini, e tutti gli altri simboli ingannatori, aquile o fasci o chissà cos’altro ancora, scrollati dalle loro basi, precipitavano con fracasso a terra e si sbriciolavano in centinaia di frammenti.

    A ogni tonfo la gente urlava più forte, come se fosse stata appena stappata una bottiglia di spumante.

    Per la prima volta Paganina non si sentì, come sempre le era capitato, una goccia solitaria, ma parte di un mare che si gonfiava e ribolliva di un’unica energia. Fu questo a darle un’emozione enorme, fino ad allora sconosciuta.

    La dittatura adesso non c’era più. E poi, un certo giorno, non ci fu più nemmeno la guerra.

    Ma dopo, come si sa, la guerra tornò, e questa volta con i tedeschi in casa come occupanti di un paese nemico.

    Tornò anche Spartaco, di soppiatto, vestito in borghese e con la barba di tre giorni.

    Nel tempo di una battuta, Spartaco aveva già raccolto la sua roba ed era corso alla stazione alla ricerca di un treno che lo portasse al Sud, lasciando un armadio con le ante aperte e un paio di scarpe di traverso in mezzo alla stanza. Voleva raggiungere al più presto l’esercito degli anglo-americani per combattere i tedeschi accanto a loro, a costo di farsi mezza Italia a piedi.

    Per mesi e mesi non avevano più sentito niente di lui e nessuno sapeva se Spartaco fosse vivo o se magari fosse rimasto laggiù, disteso su qualche prato dall’erba stenta e dura del Meridione.

    Soffrire per la sorte di Spartaco era stato il modo di tenere la famiglia unita, come una volta in certe case la recita del rosario.

    In quei mesi Paganina non aveva pensato ad altro che al fratello. Non aveva danzato né dipinto più.

    Anche Giustino, che aveva ormai diciassette anni, era scappato e per buona misura si era portato dietro Federico, che di anni ne aveva solo quindici e a essere sinceri non correva alcun pericolo. Ma chi poteva sapere quanto sarebbe durata la guerra?

    Comunque non era come per Spartaco. Lì dove stavano loro era tutto tranquillo e organizzato.

    Era stato il padre a farli salire su una corriera e ad accompagnarli nel cascinale di un pastore, suo amico e cliente, in una mezza montagna ai confini con l’Abruzzo.

    Da allora i due fratelli se ne stavano sulla cima del monte dal pastore a fare quasi niente e una volta o due Paganina con i genitori e gli altri era andata a trovarli per passare la giornata insieme. Il pastore gli vendeva ricotta e caciottelle e così, seduti a mangiare, sembravano gitanti e non gente rincorsa dalla guerra.

    Giustino e Federico parlavano e dicevano che volevano raggiungere i partigiani, ma si erano poco e malamente informati in giro e i partigiani non erano stati capaci di trovarli.

    Ma Spartaco?

    Paganina tante volte, con un brivido, se lo era immaginato non proprio morto ma volatizzato, sparito nel nulla. E se non avessero mai più avuto sue notizie? Se nessuno lo avesse più incontrato?

    A quell’idea Paganina si sentiva precipitare in un cunicolo buio e pensava che proprio così dovesse essere l’inferno. Non sapere, non capire, non essere.

    Un giorno però, quando erano ormai passati molti mesi, suonarono alla porta e Spartaco era lì. Ingrassato, abbronzato, con la

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