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La sposa di Scozia: Harmony History
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E-book253 pagine4 ore

La sposa di Scozia: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra-Scozia, 1818
Lady Penelope Hasting sta facendo colazione quando il padre le comunica che è stata data in sposa a un nobile scozzese. I loro debiti sono troppo ingenti, e non c'è nulla che si possa fare. Lasciare la sua casa è terribile, e lo diventa ancora di più non appena lei incontra il suo sposo, il Laird Lachlan Bain, un vero barbaro dallo sguardo oscuro che le scatena nel cuore promesse proibite. E presto dovrà consumare il matrimonio... consapevole di essere solo uno strumento nelle mani del marito, desideroso di vendetta. Ma anche Penelope possiede uno spirito indomito che sembra sorgere a nuova vita fra le immensità delle Highlands e che la fa bruciare di passione quando Lachlan le si avvicina, deciso a renderla sua moglie sotto ogni punto di vista.
LinguaItaliano
Data di uscita21 set 2020
ISBN9788830519138
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    Anteprima del libro

    La sposa di Scozia - Millie Adams

    successivo.

    1

    Inghilterra, 1818

    Quando scoprì di essere stata venduta a uno sconosciuto, Lady Penelope Hastings stava mangiando del pane tostato imburrato, seduta al tavolo della colazione.

    «Temo non ci sia nulla da fare.» Fu l'unica spiegazione che il padre, Lord Avondale, le fornì.

    L'esperienza le aveva insegnato che, quando lui sottolineava la mancanza di alternative, la situazione non era rosea. Quando morì sua madre, non ci fu nulla da fare. Quando licenziò la sua governante preferita – l'unica persona al mondo con cui Penny avesse avvertito un legame – non ci fu nulla da fare. Quando, ancora giovane e piena di sogni, gli portò un uccellino ferito, nella speranza di poterlo salvare, lui la guardò a malapena.

    Non c'era nulla da fare.

    In quel momento, Penny si sentiva ferita come il volatile.

    «Non sono certa di comprendere bene le implicazioni di questa situazione» affermò, appoggiando nel piatto ciò che stava mangiando. A un tratto non aveva più appetito.

    «Non sposerai più il Duca di Kendal. C'è... Credevo che quell'uomo fosse morto, non avrei mai immaginato di trovarmelo di nuovo davanti.»

    «È la prima volta che ne sento parlare» ribatté lei, assumendo un'espressione indifferente, mentre incrociava le mani in grembo. Discutere con il padre sarebbe stato inutile: nella migliore delle ipotesi, le sue proteste non sarebbero state ascoltate, nella peggiore, avrebbero scatenato la sua ira, e non aveva intenzione di affrontare nessuna delle due alternative. La scelta migliore era quella di mostrarsi calma. Le sue emozioni, infatti, lo innervosivano, tanto che, dopo il funerale della madre, l'aveva rinchiusa per giorni. Ecco perché Penny aveva imparato a nasconderle, in modo che nessuno potesse vederle e usarle contro di lei, anche se le sentiva ancora echeggiare nel petto, come un pianto in una stanza vuota. In seguito aveva imparato a trattare con lui, inducendolo a darle risposte logiche e obbligandolo a ripetere le sue affermazioni più volte, strategia che aveva imparato grazie a una lettura sulle negoziazioni in campo militare. Una delle virtù paterne era, infatti, l'ottima libreria, che lui aveva arricchito per vanità e che lei aveva spesso sfruttato a proprio vantaggio.

    Crescendo sola, in una casa in cui il padre raramente dimorava e in cui il personale andava e veniva come spiriti nella notte, i libri erano stati la sua unica compagnia. Da tempo, ormai, sospettava che il veloce ricambio di dipendenti fosse dovuto alla mancanza di pagamento, poiché era consapevole che la sua famiglia apparteneva al ceto sociale della nobiltà, senza però possedere il denaro necessario a condurre un'esistenza adeguata. La loro residenza ne era la metafora perfetta: imponente e grandiosa all'esterno, decadente all'interno. Perfino le finiture d'oro ossidato che ne adornavano il soffitto e le cornici delle porte sembravano una parodia della loro situazione: tutta apparenza, senza sostanza.

    Un tempo, la carta da parati del salotto era stata di un blu brillante, mentre ora si presentava a macchie blu chiaro; quella che una volta aveva dato l'impressione di essere seta di damasco, adesso sembrava più vernice consunta. Ma non era molto importante, dato che Penny era l'unica a entrare nella stanza, dopo la morte della madre, avvenuta quando lei aveva cinque anni.

    La precarietà della loro situazione finanziaria non aveva bisogno di conferma diretta da parte del padre, dato che Penny non era una sciocca. Passava ore a leggere e a osservare, a parlare con chi le capitava accanto: domestici, chaperon, addirittura il falconiere che viveva nella tenuta. Avrebbe conversato con chiunque. Detestava il silenzio, era convinta che costituisse un terreno fertile per far riaffiorare ricordi e sensazioni terribili, senza permetterle di ottenere niente di utile. Continuare a fare domande era il modo più semplice per trovare punti in comune con persone che, al contrario del padre, non la esortavano a stare tranquilla ogni volta che emetteva un suono. Motivo per cui Penny non smetteva di porre quesiti. Chiedeva come gestire la casa, voleva conoscere i dettagli del ton londinese. Ricordava tutto e, anche se non bastava a confortarla, l'aiutava a crearsi un'idea dettagliata del mondo e della situazione in cui vivevano.

    «Non ho bisogno di consultarti, né di conoscere la tua opinione, Penelope» dichiarò il padre. «Sposerai lo scozzese.»

    Era incredula. Si sentiva il viso accaldato, come se l'avesse appoggiato al fornello utilizzato per tostare il pane, e le mani ghiacciate, come se soffrisse di una grave malattia. Eppure, quelle sensazioni erano meglio della disperazione e della rabbia che percepiva sotto la superficie. Non riusciva a capire se la terrorizzasse di più veder crollare le proprie speranze, oppure la difficoltà nel controllare le reazioni. Se avesse parlato a sproposito, l'avrebbe fatto adirare, e non avrebbe appreso niente riguardo alla sua nuova situazione. Quando veniva sfidato, infatti, suo padre assumeva un atteggiamento arrogante, intimidatorio e rabbioso, ed era impossibile carpirgli informazioni.

    «Avete già parlato con il Duca di Kendal?» domandò quindi, scegliendo con attenzione sia le parole sia il tono di voce, quando invece avrebbe voluto gridare, piangere e gettarsi a terra, come un bambino a cui veniva negato un dolce. Purtroppo, però, il lusso di essere una bambina, libera di esprimere le proprie emozioni, era morto insieme a sua madre.

    Il lutto andava indossato ed evidenziato con il colore dei vestiti, non era concesso lasciarsene sopraffare. Penny aveva imparato a nascondere i sentimenti. Possedeva un portagioie in legno con un lucchetto d'oro, ereditato dalla mamma, di cui faceva tesoro da quando era piccola. Al suo interno non conservava più gioielli, venduti per pagare i debiti, ma pietre, piume e piccoli ninnoli raccolti dal terreno. Tesori che il padre non poteva vendere, che avevano un valore solo per lei.

    Il giorno in cui sua madre era morta, sulle prime Penny non aveva capito cosa significasse. Uno dei ragazzi che lavoravano nelle stalle le aveva spiegato che avrebbero messo il suo corpo in una bara di legno, sotto terra, e lei aveva iniziato a gemere, un suono cupo e pieno di dolore, che si originava dal profondo del suo essere. Suo padre si era arrabbiato molto e le aveva ingiunto di smettere, incurante dei domestici che assistevano alla scena. L'aveva trascinata in casa e cominciato a gridare, al centro della sala principale, ma, dato che lei non era in grado di trattenere le lacrime, l'aveva esiliata nella sua stanza, ruggendo al personale che ne sarebbe uscita solo quando avesse smesso di piangere.

    Così era rimasta rinchiusa per quasi tre giorni, e le era sembrato di trovarsi dentro la stessa cassa di legno che avrebbe accolto le spoglie della madre. Sepolta sotto una coltre di disperazione. Aveva preso il portagioie dal tavolo da toletta per portarlo con sé, a letto, tenendolo stretto al petto. Quando iniziava a percepire un'emozione troppo grande da essere trattenuta, immaginava di rinchiuderla al suo interno, insieme a pietre, piume e altri oggetti a lei cari, che non gli avrebbe mai lasciato toccare. Non aveva più pianto, da allora. Per anni.

    Adesso stava facendo la stessa cosa, immaginando di relegare altrove paure, rabbia e tristezza. Tutti sentimenti che non l'avrebbero aiutata.

    «No» rispose lui. «Non ancora, ma non c'è nulla...»

    «Pensavo solo» lo interruppe Penny, cercando di mascherare la disperazione che rischiava di incrinarle la voce, «che lui saprebbe come comportarsi, e potrebbe aiutarci, tenendo conto del fatto che il nostro fidanzamento è noto a tutti. Ho già anche acquistato il corredo per le nozze.»

    Ovviamente pagato dal futuro sposo, dato che suo padre non avrebbe mai potuto sostenerne il costo. Inoltre, c'era la sua famiglia da tenere in considerazione, tra cui la sorella e la madre, vere amiche, con cui sarebbe dovuta andare a vivere. Il suo fidanzamento con il Duca di Kendal era stato il più grande trionfo paterno, l'unico momento in cui il conte aveva rivalutato i vantaggi di avere una figlia. Penny non era in grado di immaginare niente di così grave da indurlo a tirarsi indietro per darla in sposa a un soldato scozzese.

    Amava il duca e tutto ciò che rappresentava: le maniere aggraziate, i lineamenti splendidi, la residenza impeccabilmente curata. L'unica cosa buona che avesse mai fatto il padre per lei era stata metterla nella posizione di garantire quell'unione.

    Inizialmente, Penny era rimasta molto sorpresa; dopotutto non aveva neppure debuttato in società. Sapeva di poter ringraziare la fortunosa vicinanza geografica: la tenuta di campagna del duca distava solo un'ora a cavallo e, durante una camminata, lei aveva incontrato sua sorella, smarrita e coperta di fango. L'aveva aiutata, portandola a casa con sé. Quando Kendal in persona era comparso a recuperarla, Penny era rimasta sconvolta. Sua madre le aveva poi inviato i suoi ringraziamenti e un invito per il tè, ed era stato l'inizio di qualcosa che lei non avrebbe mai avuto il coraggio di desiderare. Un sogno tanto ardito che avrebbe azzardato solo immedesimandosi in qualcun altro.

    Non avrebbe mai scoperto le vere ragioni che avevano indotto il duca a decidere di sposarla, al posto di una delle giovani che adornavano le sale da ballo londinesi in occasione della Stagione, ma aveva fatto alcune ipotesi. Sapeva di essere bella – aveva ereditato i tratti dalla madre, insieme a un portagioie vuoto – ma le era chiaro che non era tanto quello il motivo che aveva indotto il duca a sceglierla, quanto l'occasione di evitare il confronto con le madri che sorvegliavano il mercato matrimoniale e di assicurarsi una moglie rispettabile, la cui reputazione non fosse macchiata da scandali.

    Sapeva che l'unione aveva appagato l'ambizione del padre, ma non le interessava. In assenza di un matrimonio vantaggioso, non le sarebbe rimasto niente, in futuro. Era una questione di sopravvivenza.

    Si era immaginata di dover sposare un uomo anziano, sdentato e senza capelli, in cambio di denaro. Essere stata promessa a un duca, per poi venir costretta a diventare la moglie di un soldato, era un duro colpo per il suo cuore, le sue speranze e il suo orgoglio. Non se lo sarebbe mai aspettato.

    Suo padre aveva trovato il modo di dimostrarsi peggiore di qualsiasi previsione: le aveva concesso un sogno, per poi ridurlo in cenere. Era stata certa che ormai non fosse più in grado di ferirla. Di deluderla. Si era sbagliata.

    «Mi ha informato che si procurerà una licenza speciale per il matrimonio, dopodiché tornerete in Scozia insieme.»

    Soprappensiero, Penny allontanò la sedia dal tavolo, ma rimase seduta per alcuni istanti, prima di alzarsi lentamente, sopraffatta dalla sensazione che la stanza oscillasse. Non stava solo per perdere il futuro marito, ma anche la possibilità di realizzare i suoi piani per il futuro. Il salotto di Bybee House era uno scrigno rosa brillante, con dettagli color oro, nel quale aveva immaginato di sedere a cucire, leggere e accarezzare un gatto. Sì, aveva anche pianificato di adottarne uno e di tenerlo con sé in casa. Per non parlare, poi, della madre del duca, a cui era molto affezionata, e di sua sorella minore, ormai una cara amica. Entrambe le avevano fatto sperare di non essere più sola. Era da molto che nessuno la faceva sentire così... almeno dai tempi di Lachlan, un domestico che aveva lavorato per loro e che si era sempre comportato in modo gentile, con lei. Era stata la sua prima, vera amicizia. L'aveva anche aiutata a salvare un uccellino, una volta. Le aveva permesso di seguirlo ovunque, rispondendo a un fiume infinito di domande, che avrebbe irritato chiunque. All'improvviso, però, era scomparso. Che fosse morto? Penny aveva pianto, in silenzio, perché aveva imparato a non mostrare mai dolore. E in quel momento non si sentiva meno infelice, mentre vedeva il futuro in cui aveva sperato sbriciolarsi davanti ai suoi occhi. Non aveva idea di come porvi rimedio.

    Lachlan Bain era un uomo paziente. Gli anni passati lo avevano cambiato, indurendolo. Le battaglie lo avevano segnato, distruggendo quanto di buono c'era in lui, e avevano smussato le spigolosità della gioventù. Ciò che rimaneva era simile ad acciaio, freddo e affilato.

    Per anni aveva covato rabbia, come un fuoco indomito che lo aveva guidato in battaglia, trascinandolo oltre ogni limite. Il tempo trascorso aveva offuscato le ragioni di tanto furore, seppellendone le origini nel fango dei campi di battaglia, e la sua ira si era riversata su tutto ciò che lo circondava. Aveva compreso come imbrigliarla, plasmarla e utilizzarla per falciare gli avversari. Aveva lasciato sbiadire il ricordo del nemico che l'aveva originata, per riprenderne coscienza nel momento stesso in cui aveva appreso la notizia della morte del padre. In sei mesi si era organizzato affinché gli affari proseguissero senza di lui. Periodo che aveva utilizzato anche per approntare la sua vendetta.

    La rabbia feroce che aveva celato in sé per tutti quegli anni gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Non se ne era mai andata: il fuoco era stato arginato, ma adesso ardeva.

    Prima di tornare in Scozia, per ristorare la gloria del suo clan, avrebbe riscosso ciò che gli era dovuto. Aveva carpito dai membri dell'alta società londinese, ben felici di sedersi al suo stesso tavolo nelle sale da gioco, che il Conte di Avondale era riuscito a combinare il fidanzamento della figlia con un duca, un'unione di cui era orgoglioso, ben al di sopra delle possibilità di un nobile impoverito e con la sua reputazione.

    Lachlan sapeva che quell'uomo non possedeva niente di valore, a eccezione della figlia, che ricordava bene: graziosa come una bambola, con un'aria estremamente fragile, i capelli biondi, così chiari da sembrare bianchi, e grandi occhi blu. Gli aveva ispirato compassione e, per quanto fosse stato difficile lavorare per il conte, poteva facilmente immaginare che crescere in un mausoleo spacciato per residenza di campagna fosse stato peggio. Aveva provato pietà per lei e, se fosse stato un altro tipo di persona, si sarebbe sentito in colpa per la sua intenzione di sfruttarla, ma era un uomo forgiato dalle battaglie. Possedeva il coraggio che era mancato al padre, e non si sarebbe rilassato, riempiendosi le tasche senza condividere niente con il suo popolo.

    Era andato in battaglia per combattere e morire, tuttavia, nel decennio passato a guerreggiare, il ragazzino disprezzato dagli inglesi era diventato un fratello in armi. Le necessità legate ai conflitti e le sue abilità gli avevano permesso di avanzare di grado, fino a conquistare il ruolo di capitano, al comando di un gruppo di uomini, per la maggior parte scozzesi come lui, al cui fianco si era battuto duramente contro gli oppressori, guadagnandosi una deferenza che nessuno di loro aveva mai nemmeno voluto.

    In guerra erano stati tutti uguali, coperti di sangue e fango. La morte di un ragazzo non era più facile da sopportare se la sua nazionalità era inglese.

    Dopo aver salvato un giovane Pari del Regno, rimasto ferito in uno scontro, era diventato un eroe di guerra decorato e molto ricco. Il che gli rendeva più semplice realizzare la propria vendetta, oltre a permettergli di risanare i danni del padre. Aveva un piano, e non poteva permettersi sensi di colpa. Erano un lusso riservato solo a chi era abbiente e titolato.

    In realtà, dal suo punto di vista, non aveva molto di cui sentirsi responsabile. Il conte poteva ritenersi fortunato che non avesse deciso di staccargli la testa dal collo.

    Dopo essersi assicurato che il suo cavallo fosse al sicuro nelle stalle, si diresse verso la casa, che si ergeva cupa e imponente. Una residenza inglese era tutt'altro rispetto a un'impraticabile fortezza nelle Highlands, dove lui era conosciuto come il figlio di un capoclan. Per quanto, ai suoi occhi, fosse solo un disgraziato, suo padre aveva conservato il proprio potere e, nella terra natia, nessuna via gli era stata preclusa. In Inghilterra, invece, le cose erano ben diverse. Nonostante, negli anni, l'opinione degli inglesi nei confronti degli scozzesi si fosse ammorbidita, specie dopo aver visto le loro prestazioni in battaglia, era ancora palese che Lachlan non era un membro degli alti ranghi della loro società. Eroe di guerra o meno.

    Durante gli ultimi tre anni aveva dato vita a un impero delle spedizioni, guadagnandosi l'ingresso in tutti i circoli londinesi. Come molti altri mercanti, però... non sarebbe mai stato considerato alla pari con i nobili. Non che avesse intenzione di esserlo, beninteso. Si era divertito a frequentare le sale da gioco, scommettendo somme più alte di quanto gli aristocratici potessero permettersi, godendo nell'obbligarli a interagire – e a perdere – contro qualcuno che ritenevano inferiore. Era una forma di ribellione nei confronti del padre e della sua attrazione verso gli inglesi.

    Il tempo per i giochi era ormai finito, ed era giunto il momento di tornare a casa. Era conscio che la situazione, nella terra natia, sarebbe stata diversa da come la ricordava e che probabilmente, se i membri del suo clan lo credevano simile al padre, avrebbe trovato spade e forconi ad accoglierlo, ma non poteva biasimarli. Il padre aveva scialacquato tutto il denaro, sia il proprio sia quello del suo popolo, cercando di imitare lo stile di vita dei Pari inglesi, mentre coloro che aveva giurato di proteggere morivano di fame.

    C'era la possibilità che fosse ormai troppo tardi e che rimanesse ben poco da salvare, ma non c'era posto per la sconfitta, nel suo sangue. Non era contemplata nemmeno la misericordia, come stava per scoprire il Conte di Avondale. Sarebbe tornato a casa con un ricordino, rubando all'uomo che lo aveva quasi distrutto quanto di più prezioso possedeva. Non riusciva a pensare a una vendetta più dolce.

    Sua madre lo aveva mandato in Inghilterra, sfruttando le conoscenze del padre per fargli ottenere una posizione presso il conte, senza informare il marito né chiedergli il permesso. Avondale, però, li aveva truffati e non lo aveva pagato. Lachlan non poteva certo tornare a casa come un fallito, quindi era rimasto, aspettando che il conte facesse ammenda, mentre sua madre... aveva ceduto alla disperazione e si era tolta la vita. Anche se Lachlan riteneva suo padre il principale responsabile, il conte aveva giocato un ruolo fondamentale nella vicenda, motivo per cui avrebbe pagato.

    Arrivato alla porta, bussò. Avrebbe potuto farsi largo senza aspettare, ma voleva essere accompagnato all'interno, ammesso dai domestici. Ruolo che lui, ormai, non ricopriva più. Avrebbe potuto comprare sia il conte sia la sua tenuta, pagandoli il doppio del valore. Non si inchinava davanti a nessuno. Le loro posizioni si erano invertite, e voleva che Avondale ne sentisse il peso.

    Il maggiordomo

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