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I Draghi del bagliore lunare
I Draghi del bagliore lunare
I Draghi del bagliore lunare
E-book1.141 pagine15 ore

I Draghi del bagliore lunare

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Info su questo ebook

Luoghi remoti, città maestose poco distanti da passaggi invalicabili e terribili.
Antiche divinità si contendono un mondo plasmato dalla loro fantasia o dai loro capricci.
Diverse creature mortali, alcune affascinanti ed eleganti, altre ruvide e potenti abitano questi luoghi servendo diverse divinità.
Il fato dei mortali segue la volontà degli dei, talvolta creando meraviglie, talvolta urti tra eserciti di ombra e di luce.
Alleanze, amori e tradimenti, hanno cementato odio e confini che paiono indissolubili.
La volontà dei singoli però può mutare il corso degli eventi.
Diversi eroi incroceranno le loro strade in un mondo in cui equilibri sembrano vacillare.
Una potenza ancestrale, oscura e ammaliante, costringerà tutti, re e servi, ad una scelta impossibile: abbandonare secolari contese o approfittare della nuova situazione per sopraffare i nemici.
LinguaItaliano
Data di uscita11 ago 2020
ISBN9788835876878
I Draghi del bagliore lunare

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    Anteprima del libro

    I Draghi del bagliore lunare - Mirko Belfi

    CAPITOLO 1 - Attraverso il Wolden

    CAPITOLO 1 - Attraverso il Wolden

    Tra fango e terra.

    Melvin si svegliò, come i giorni precedenti, in quella condizione.

    Avrebbe potuto pretendere di più dai suoi ventisette anni, avrebbe potuto vivere in un luogo lussuoso con lo stomaco pieno e tanti soldi ma, per un principio giovanile che non voleva tradire, si trovava in quella condizione.

    L’umida capanna di legno marcio puzzava ancora della cenere del fuoco della notte. I lavoratori intorno a lui vociavano, afferravano logori attrezzi da lavoro e masticavano pane raffermo.

    Una guardia dall’armatura ammaccata aprì la porta facendo entrare una gelida ventata di aria fresca.

    Melvin sollevò il mantello che lo copriva e se lo legò sul petto, mentre il freddo gli pungeva le ossa; poi indossò un giubbotto di pelle beige.

    Di fianco a lui delle persone sollevavano i corpi congelati di chi, da quella mattina, non si sarebbe mai più svegliato e li trasportavano fuori.

    Gli si avvicinò un uomo corpulento mostrandogli una pala; era la sua, poi gliene ne tirò addosso un’altra logora con la quale spalare era molto più faticoso.

    Melvin sorrise e permise all’uomo di allontanarsi. Si alzò stirandosi la schiena e un dolore gli salì lungo la colonna vertebrale ricordandogli la fatica e le frustate.

    Udito il suono di un corno, tutti si affrettarono a uscire dalla capanna. Il cantiere era il solito via vai di soldati che impartivano ordini e insulti; ovunque, operai stremati, raccoglievano con delle pale il fango dalle sponde del fiume e lo riversavano su delle carriole che poi svuotavano dentro dei carretti. Alcuni di essi lavoravano con i piedi immersi nell’acqua con temperature intorno allo zero.

    Un soldato fermò il gruppo appena uscito dalla capanna.

    Fermi. Ho bisogno di sei di voi alla foce.

    Detto questo, ne selezionò alcuni tra cui Melvin.

    Le guardie strattonarono gli uomini e li fecero entrare all’interno di una gabbia di ferro posta su un carro.

    Il cocchiere urlò e frustò i cavalli che trottarono schizzando fango a ogni passo.

    Il carro passò accanto all’uomo che aveva rubato la pala a Melvin il quale lo salutò inviandogli un bacio mentre questo cominciava a spalare.

    Melvin

    ***

    Giunsero al cantiere della foce che era già buio. Il fiume discendeva dai versanti del vulcano Dragherion che pareva oscurare anche le tenebre. Il terreno era duro come roccia e nero come la notte. Qua e là vi erano torce accese a illuminare le vie di transito. Le persone stavano facendo ritorno alle loro capanne reggendo un catino di rete metallica.

    Qui ci si spacca la schiena. – disse a bassa voce un uomo sul carro. Questo è stato il primo cantiere, costruito secoli fa. Rimpiangeremo il fango, passeremo le giornate piegati a cercare quel maledetto oro. – disse un altro.

    Il conducente fermò il carro e scese.

    Non allontanatevi troppo. – disse ai prigionieri ridendo e si allontanò massaggiandosi le chiappe.

    Tornò poco dopo con delle guardie che aprirono la gabbia e vi fecero entrare un ragazzino di dodici anni, poi la richiusero e infilarono tra le sbarre due catini contenenti del brodo misto a pane e verdure:

    Mettetevi comodi. Dormirete qui stanotte e domani lavorerete.

    Melvin e gli altri si lanciarono verso il cibo come lupi raccogliendolo con le mani.

    Il ragazzino invece sedette, poggiò i gomiti sulle cosce e lasciò penzolare la testa.

    Melvin rimase incuriosito a osservare i suoi lunghi capelli castani incredibilmente voluminosi; anche se sporchi di fango, avevano un ché di bello mentre brillavano al chiarore di una fiaccola.

    Il resto del gruppo dopo mangiato si addormentò subito. Melvin decise quindi di avvicinarsi un po’ al ragazzo.

    Ehi. – gli disse sottovoce.

    Ragazzino...

    Non ebbe risposta.

    Ehi – il ragazzo rimaneva immobile, così Melvin, che non voleva rischiare di svegliare gli altri, si mise comodo per quanto poteva.

    Attimi dopo il ragazzo si stirò sbadigliando e guardandosi intorno.

    Che posto squallido. – mormorò. Non mi hanno ancora dato da mangiare e si sono tenuti la mia spada. Mi sono stufato.

    Si alzò e si mise a smanettare con la serratura della gabbia.

    Melvin gli appoggiò una mano sulla spalla e notò che era gelida.

    Che fai?

    Il ragazzino la spostò infastidito.

    Vado a chiedere spiegazioni al comandante.

    Cosa dici? Non riuscirai ad aprire la serratura, vieni via prima che ti vedano.

    Neanche terminò di parlare che la gabbia si aprì.

    Melvin, incredulo, lo vide uscire e camminare per il campo come se nulla fosse. Esitò, poi fece per seguirlo e notò che la serratura era come congelata. Saltò giù dal carro e raggiunto il ragazzo lo spinse dietro un muretto.

    Cosa combini?! Hai idea di dove ti trovi? – disse cercando di non urlare.

    Certo, sono a nord. Gli uomini in quella capanna hanno la mia spada e ora vado a riprendermela.

    Aspetta, aspetta, lascia stare la spada. Ce ne sono tante come quella, è già abbastanza che tu sia riuscito a evadere. Se proprio vuoi, ti aiuterò a fuggire; ma ti avverto, qui intorno è pieno di guardie pronte a ucciderti.

    Cosa stai dicendo? L’uomo con cui ho parlato mi ha detto che non voleva affrontarmi e che sarebbe stato cortese che mi togliessi la spada e così ho fatto. Solo che sono ore che non lo vedo, per cui me la riprendo e me ne vado. Tu fai come vuoi.

    Così si diresse verso la tenda del comandante del campo.

    Le tre guardie, visto inconsuetamente il giovane farglisi incontro, si misero a ridere:

    Dove vai? Ti sei perso?

    Guardate, un topolino sporco!

    Lui non diede loro retta, aumentò il passo e, oltrepassandoli, s’intrufolò nella tenda.

    All’interno non scorse nessuno; al centro vi era situato un grande tavolo e intorno solo armi, libri, vestiti e mappe.

    Sul fondo vide una tenda più piccola, ma non ci fece caso. Iniziò a rovistare tra le spade mentre le tre guardie entrarono armi alla mano.

    Esci subito da qui. – disse sottovoce una guardia avvicinandosi adagio per non svegliare il comandante, non se la sarebbero passata bene se si fosse accorto che qualcuno gli era sfuggito ed era entrato proprio nella sua tenda.

    Egli li ignorò e i tre lo afferrarono per le braccia.

    Alle loro spalle giunse Melvin che, contemporaneamente, infilò due pugnali nella gola di due guardie.

    Il terzo si voltò affondando la lama e Melvin si buttò all’indietro per non essere infilzato.

    Eccola! – sentì affermare la guardia, quindi si voltò.

    Il ragazzino reggeva una spada a lama corta dai riflessi verde acqua. La guardia provò a colpirlo, ma questi evitò il colpo e affondò la lama che attraversò la spessa armatura, trafiggendo l’uomo.

    Dalla porta uscì il comandante svegliatosi per il trambusto.

    Vide i soldati a terra in una pozza di sangue, e la donna che era con lui svenne.

    Melvin per immobilizzarlo gli si sedette sopra, appoggiandogli alla gola la lama di un coltello.

    Fai poco rumore comandante, o la tappezzeria godrà di un'altra passata di rosso. Come ti chiami?

    Sono Caio. Hai idea di chi state affrontando? Sai da dove vengo?

    Melvin notò i lineamenti sottili e la carnagione chiara: sicuramente si trattava di un uomo del Wolden. Si maledisse per aver seguito quel ragazzo.

    Bene Caio, ora ci aiuterai a uscire da qui.

    Lo imbavagliò e gli legò le mani dietro la schiena con delle corde, stringendo fino a fargli male.

    Caio, alzandosi, riconobbe il ragazzino che gli avevano portato in tenda nel pomeriggio; pensava fosse uno dei tanti orfani dispersi e l’aveva, senza crucciarsi troppo, messo ai lavori.

    Ora lo stava fissando e gli disse:

    Sei un bugiardo, non mi avresti mai ridato la spada. – disse rimettendola nel fodero che aveva sulla schiena.

    Ragazzino, qual è il tuo nome? – domandò Melvin.

    Mi chiamo Edwin. Grazie dell’aiuto, anche se non ne avevo bisogno. Tu chi sei?

    Il mio nome è Melvin. – rispose l’uomo pentendosi di aver detto il suo nome. Senti, sei stato molto fortunato, forse un dio ti è amico, ma ora dobbiamo agire con prudenza; è pieno di guardie là fuori e tra poco noteranno la mancanza dei sorveglianti. Apri un foro sul retro della tenda e aspetta che la via si liberi; c’è un bosco qui a nord e, se lo raggiungiamo, forse abbiamo qualche possibilità.

    Edwin strisciò nella cabina del comandante, legò e imbavagliò la donna nuda soffermandosi a guardare i suoi enormi seni, poi tagliò il tessuto.

    Intorno non vi erano tende in un raggio di cinque metri e tutto pareva tranquillo.

    Le ronde erano ben visibili poiché si muovevano con delle fiaccole e al momento erano lontane.

    Via libera! – disse Edwin.

    Bene, inizia ad andare. Alla terza tenda fermati e aspettaci. Siamo nel bel mezzo dell’accampamento Imperiale, gli schiavi sono a sud e lì è il grosso delle ronde; per cui, una volta passate queste tende possiamo distanziarli se non ci facciamo vedere.

    Edwin annuì e corse in avanti.

    Melvin ferì Caio alla caviglia destra per impedirgli di tentare fughe, poi lo trascinò con sé. Raggiunse la terza tenda. Edwin, però, non lo stava aspettando, ma correva verso due guardie.

    Fermi, avrei bisogno della vostra fiaccola per favore. – disse Edwin scostandosi le voluminose ciocche da davanti agli occhi.

    Le guardie si voltarono, una di esse sollevò la spada e la calò con violenza.

    Edwin sollevò la mano sinistra e il bracciale d’armatura che lo proteggeva assorbì il colpo; poi infilzò la guardia che l’aveva aggredito e iniziò a duellare con l’altra che intanto chiamava i rinforzi.

    Melvin, terrorizzato, imprecava contro quello stupido ragazzino e, trascinandosi dietro il comandante, andò ad aiutarlo.

    Lo raggiunse mentre questo, dopo aver trafitto una gamba della guardia le prendeva la torcia, raccoglieva dei legnetti e ne sfregava due accendendo così un piccolo fuoco.

    Che diavolo fai?! – domandò Melvin mentre sgozzava la guardia. Tra poco ci saranno addosso, dobbiamo andarcene! – disse indeciso se correr via o no. Nonostante tutto si faceva scrupoli ad abbandonare il ragazzo.

    Edwin sollevò la spada e la infilzò nel terreno tra le fiamme.

    Intanto le guardie li avevano individuati e circondati, numerose lance erano puntate contro di loro.

    Si fece avanti un uomo che indossava un’armatura nera.

    Sono il vicecomandante Dolph. Liberate il comandante Caio e arrendetevi, non avete la minima possibilità di fuggire. Se obbedite, vi tortureremo un po’ di meno.

    Melvin puntò il coltello contro la gola di Caio.

    State indietro o lo infilzo!

    Edwin sfilò la spada dal terreno e la sollevò al cielo urlando:

    Ce l’ho fatta!

    Tu sei completamente pazzo, maledetto ragazzino. – disse Melvin.

    Senti gli arcieri che stanno arrivando? Tra poco ci ammazzeranno, preparati a combattere: preferisco vedere in faccia chi mi ucciderà che aspettarlo in una prigione.

    Tagliò la gola del comandante e si gettò contro le guardie, ma un urlo terribile e feroce fece arrestare tutti; l’eco si propagò per la valle e la terra tremò.

    Percepirono una vampata di calore e scorsero delle fiamme alzarsi a ovest dell’accampamento illuminando la notte.

    Un’ombra passò sopra tutti oscurando la luna e le stelle.

    È un drago! – urlò una guardia buttandosi a terra.

    Urla, grida e fiamme si alzarono per tutto l’accampamento, dalle tende dei soldati alle capanne degli schiavi.

    Arcieri, ai vostri posti. Guardie, alle armi! – urlò Dolph.

    Tutt’intorno vi era un tale fermento che nessuno più pensava a Edwin e Melvin. Quest’ultimo guardava intimorito il ragazzo che gli ricambiava lo sguardo sorridendo.

    Non voglio sapere niente! – sbottò Melvin. Approfittiamone per fuggire e niente scherzi stavolta!

    Poterono così lasciare liberamente il campo, mentre nel cielo dietro di loro si alzavano urla e fiamme.

    Edwin

    2

    Edwin e Melvin corsero verso nord ovest per tutta la notte finché raggiunsero la foresta. In essa la vita era stata strappata e il terreno era un tappeto di foglie morte; tra gli alberi spogli e grigi regnava il silenzio.

    L’alba diede loro un po’ di calore e di energie nuove, che sfruttarono per correre ancora ma, a mezzogiorno, dovettero fermarsi. Gli stracci ai piedi di Melvin si erano consumati e gli si erano create brutte piaghe.

    L’uomo sedette su delle rocce dolorante cercando di riprendere fiato, poi disse:

    Mi dispiace ragazzo, devo fermarmi. Se continuo, domani non sarò in grado nemmeno di camminare.

    Edwin sedette su un masso sbuffando:

    Non preoccuparti, sono stremato. Mi sarei già fermato da un pezzo. Tieni. Le ho pese nella tenda.

    Tirò fuori da una tasca due mele e ne lanciò una a Melvin che la addentò; si era dimenticato di essere affamato.

    Che strana foresta. – osservò Edwin. È tutto così freddo, non il clima, ma lo spirito.

    È per via della vicinanza al vulcano che inaridisce tutto. Mi stupisce che crescano degli alberi. Penso che qui sotto scorra dell’acqua proveniente dal fiume.

    Allora tra poco scavo, sono assetato. – rispose distrattamente il ragazzino.

    Credo che alla fine io ti debba ringraziare. So che non durerà, ma per ora sono felice di essere libero. – disse Melvin legandosi alcune delle lunghissime ciocche di capelli sopra la testa con un laccio.

    Io non ho fatto nulla, volevo solo indietro la mia spada.

    A proposito. Posso vederla?

    Edwin gli allungò l’arma senza battere ciglio.

    Melvin ne controllò il peso e osservò ammirato la lama.

    Dove l’hai trovata? Non è una spada comune. Sembra forgiata dagli elfi.

    Dici? Me la diede mio nonno tempo fa. Era da tanto che ti trovavi in quel luogo? – domandò Edwin riprendendo l’arma.

    Se intendi alla foce, ero appena arrivato, ma già da quattro mesi ero stato catturato e messo ai lavori.

    Così tanto? E perché non te ne sei andato prima?

    Melvin sorrise, Edwin gli pareva veramente genuino, oppure era lui ad apprezzare tanta spensieratezza dopo lunghe sofferenze.

    Semplice. Le guardie che ci hanno inseguito non ce lo permettevano.

    Ma voi eravate in tanti.

    Sì, ma disarmati, stremati da giornate di lavoro, dalla fame e dal freddo... O dal caldo. Credimi, molte volte ho desiderato la morte.

    E perché quelle persone vi trattavano così?

    Eseguivano degli ordini.

    Del comandante che hai ucciso?

    No no, lui era solo lì a fare rappresentanza, anche lui eseguiva ordini. Il vero mandante dei lavori è l’Imperatore Jacob Dubdinold, che ormai comanda su tutto il continente Elland. Egli è Re del Regno del Wolden che si trova più a nord, nella zona est del continente. Il Wolden comanda su tutti i Regni, compreso quello di Autres, ovvero quello in cui ci troviamo, ormai da secoli sotto il controllo della famiglia Dubdinold.

    Wow, quante cose sai! Ci sono state molte battaglie? – esclamò Edwin che sembrava eccitato.

    Ahimè, avrei preferito non sapere...

    Mmh... Io vorrei sapere perché c’è bisogno di così tanta gente intorno a un fiume. Volevo solo bere e mi sono ritrovato in quella baraonda.

    T’insegnerò una cosa, il perché è sempre uno: i soldi. Il letto di quel fiume è ricco d’oro, o almeno lo era; ormai è stato raccolto il raccoglibile.

    Oro? E cosa se ne fanno? Se è quasi finito, allora li lasceranno liberi?

    Melvin sorrise.

    "Vedi, a est dell’Autres vi è la catena vulcanica più grande di tutta l’Elland, chiamata Doard. Sull’irraggiungibile vetta del vulcano Dragherion nasce il fiume Erfeil che attraversa tutto l’Autres e si tuffa nell’oceano a est del continente.

    Ogni cinquant’anni l’acqua del fiume si trasforma in oro fuso, cala dalla cima del Dragherion e attraversa la valle.

    Da sempre uomini e maghi hanno provato a raccoglierlo, ma la sua temperatura è così elevata che fonde qualunque cosa. Così, dopo tre giorni, quando nel fiume torna a scorrere acqua, s’inizia a raccogliere quel poco di oro che si sedimenta sul letto."

    Davvero? Che cosa meravigliosa! È una magia. – disse Edwin incredulo.

    "O una maledizione. Vedi, sul Doard vivono molti draghi e oltre le sue vette si racconta di una terra abitata da creature mitiche ancora più antiche e potenti. Alcuni ritengono siano divinità, ma nessuno sa veramente cosa ci sia. – proseguì Melvin alzandosi. Ora affrettiamoci, abbiamo ucciso un comandante del Wolden dentro l’Autres e, sempre che il drago non abbia eliminato tutti, ci staranno cercando. Ti consiglio di proseguire; io mi troverò un nascondiglio."

    Perché? Io seguivo te, ma non mi fanno paura. Sei ferito e non puoi difenderti da solo.

    Melvin sbuffò.

    Come vuoi. Seguimi allora, ma non sfidarli, altrimenti ci farebbero a pezzi.

    I due camminarono in direzione nord–ovest. Edwin seguiva Melvin che zoppicava e a un certo punto si chinò per esaminare il terreno.

    Spostò delle foglie secche. Poi separò i fili d’erba, rivelando un solco che serpeggiava tra i tronchi. Edwin pensò che stesse vedendo qualcosa che non gli piaceva perché aveva la fronte aggrottata.

    Che succede?

    Sono le tracce di un orso. È passato di qui due giorni fa, la sua andatura era incerta, forse è ferito. Proviamo a seguirle, vanno verso ovest.

    Edwin lo seguì perplesso perché lui non vedeva niente.

    Camminarono per più di un’ora lungo la pista lasciata dall’animale.

    Il terreno saliva leggermente e li condusse ai piedi delle piccole montagne Steariane, ultimo confine ovest del Regno di Autres; al di sopra di queste si ergevano le sacre montagne del Doard, delle quali da quella posizione si notavano solo le nere nubi che le sovrastavano.

    Scalarono il versante sul quale gli alberi divenivano radi e lasciavano spazio a dell’erba.

    Melvin si fermò scrutando l’area, poi indicò due pini circondati da cespugli.

    Le tracce finiscono lì dietro. Andiamo a vedere.

    Così fecero e, come Melvin aveva supposto, trovarono l’orso steso a terra: ansimava debolmente e aveva gli occhi coperti di mosche.

    Melvin gli si avvicinò appoggiandogli una mano alla gola; l’animale provò d’istinto a muoversi, ma era troppo debole.

    Che cos’ha? È ferito? – chiese Edwin.

    No, sta bene, parrebbe... – Melvin gli aprì le orbite e ne scrutò gli occhi neri cosparsi di piccole macchie gialle.

    Ho già visto questi segni; qualche mago o druido si deve essere impossessato della mente di quest’animale per i suoi scopi e poi l’ha abbandonato. Lo sforzo dev’essere stato superiore alle sue forze.

    Intendi riferirti alla tecnica dello charme?

    Sì. – rispose Melvin meravigliato dalla conoscenza in materia del ragazzo. Comunque in questo caso è stata utilizzata irresponsabilmente ed è inutile che quest’animale soffra ancora. Perdonami amico mio. – disse infilando un pugnale nella gola dell’animale che immediatamente smise di tremare e si accasciò.

    Edwin lo accarezzò e Melvin sorrise al ragazzo.

    Allontanati per favore. Ormai è morto, ma la sua carne per noi sarà vitale.

    Aprì il ventre dell’animale, tagliò dei pezzi di fegato e ne pose uno a Edwin.

    Mangia; è una parte ancora calda, ti ridarà energie. Scommetto che qui sopra troveremo una caverna dove nasconderci.

    Finito di mangiare, Melvin tagliò altri pezzi e li avvolse dentro la pelle dell’animale.

    Sali sulle mie spalle, dobbiamo allontanarci e raggiungere la caverna senza lasciare tracce, io so come fare.

    Melvin percorse la salita e non ci volle molto prima che dietro a una fitta vegetazione riconoscesse un piccolo varco.

    Dovremo entrare gattoni, ma forse dentro vi sono spazi più ampi. Seguimi.

    La grotta era vuota e abbastanza larga da stare sdraiati e al caldo.

    Dimmi, hai accennato al fatto che provieni da sud; da dove di preciso? L’Autres del sud è un posto freddo e inospitale. Anche l’Impero non ha grosso interesse governarlo. – domandò Melvin.

    "Lo so. Infatti, da quando ho lasciato i ghiacci non ho incontrato quasi nessuno. Però ho visto molte cittadine, ma sembravano disabitate, nessuno apriva le porte. Rimanevo fuori dalle palizzate senza che nessuno mi rispondesse. Ho viaggiato per un periodo con un mago di nome Parbenide, era molto simpatico, ma faceva troppe domande, una notte l’ho lasciato indietro. Poi alcuni uomini mi hanno seguito a lungo cavalcando dei grossi lupi, ma non si sono mai presentati e non me ne sono curato. Comunque io non vengo da lì, ma dalle Terre Candide."

    Melvin si alzò di scatto e picchiò la testa contro uno spigolo del soffitto.

    "Ahia! Le Terre Candide?" – esclamò incredulo.

    Sì, le conosci? È dove sono cresciuto.

    Le conosco di fama. Quel luogo è protetto dal dio del gelo Hidnar, possessore della fiamma fredda, ma egli non permette agli uomini di vivere nelle sue terre. Da quel che si racconta, sono abitate solo da mostri, orsi bianchi e poche altre creature.

    Sarà... Non so quanti animali ci siano al mondo, ma a casa mia avevamo una volpe, due lupi, molte lepri e intorno c’erano tanti orsi e trichechi. Dici che son pochi?

    Senti ragazzino se mi prendi in giro...

    Nient’affatto, perché dovrei?

    Va bene. – tagliò corto Melvin. Dunque, con chi vivevi? Non dirmi che eri da solo. Vi è un villaggio?

    Eravamo io e mio nonno.

    Tuo nonno? È tuo nonno era nato lì?

    Non saprei, perché t’interessa? So che da giovane ha viaggiato per tutto il mondo, ma non so dove sia nato.

    Niente, curiosità... Quindi immagino che tuo nonno sia morto e che tu sia venuto al nord in cerca di aiuto.

    No. – rispose Edwin intristendosi. Non so se sia morto... Non lo vedo da quattro mesi.

    Cos’è successo?

    "Mi ero allontanato per andare a caccia insieme ai miei lupi. Verso mezzogiorno vidi del fumo salire da casa nostra, i lupi corsero indietro e io li seguii, ma non so perché in quel momento svenni. Quando mi svegliai, tutti gli animali erano morti e la casa era stata distrutta. I ghiacci intorno erano anneriti, come bruciati.

    Sparse nella zona vi erano armature nere e cadaveri di uomini strani con molti peli sulla pelle.

    Seguii quelle scie nere che mi condussero verso terre innevate, ma senza ghiacci, poi non le vidi più. Mantenni la rotta fino a che non raggiunsi il fiume."

    Uomini pelosi? Interessante... Vivevate con molti animali e conosci la tecnica dello charme. Tuo nonno era forse un druido?

    Che cosa significa druido? Non credo.

    I druidi sono persone capaci di controllare gli animali. Come si chiamava tuo nonno?

    Zahora.

    ... Zahora?! – ripeté Melvin restando a bocca aperta e risbattendo la testa contro il soffitto.

    Sì, lo conosci?

    Mai sentito... Ora è meglio dormire.

    3

    Il giorno seguente lo trascorsero nei pressi della grotta cercando di recuperare le forze.

    Melvin si cucì degli stivali e una giacca con la pelle dell’orso.

    Il mattino successivo i due uscirono a perlustrare l’area.

    Ci hanno trovato? – domandò Edwin.

    Sì. Con loro avevano sicuramente gente esperta, ma per nostra fortuna sono rimasti lontani dalla grotta. – Melvin si chinò e passò la mano sopra dei fili d’erba, raccolse dei legnetti e li affondò nel terreno. Erano in tre inizialmente, poi sono stati raggiunti da altre tre persone a cavallo. Pare siano tornati a sud a passo spedito.

    Bene, li abbiamo fregati. – disse Edwin ridacchiando.

    Per ora, chissà cosa li avrà distratti? In ogni caso per noi ormai è pericoloso rimanere qui, avremo taglie appese in ogni città. Dobbiamo andare a nord, oltre il Wolden. Non sarà facile, ma se ci riuscissimo, potremo rifarci una vita. Tu sei giovane e tra qualche anno potrai anche tornare e nessuno ti riconoscerà.

    Per me va bene; in fondo un posto per me vale l’altro, almeno finché non ritrovo mio nonno.

    Se sei pronto, partiamo. Entro due giorni voglio arrivare ai confini della foresta.

    Sì, andiamo.

    Percorsero i crinali delle montagne Steariane cercando di rimanere nascosti dagli alberi.

    Dopo un paio d’ore le vette delle montagne Steariane cominciarono ad abbassarsi e oltre s’intravidero le cime del Doard.

    "Osserva ragazzo. Faremo una piccola deviazione, ma ne varrà la pena. Ti farò vedere la catena Doard in tutto il suo tremendo splendore, ma attento, quelle montagne non sono come le altre, ti scavano dentro, ti segnano e ti cambiano per sempre con effetti imprevedibili."

    Uscirono dalla foresta e s’inerpicarono lungo un sentiero pietroso che li condusse faticosamente in vetta.

    Edwin vide sparire Melvin sopra di lui e si affrettò a raggiungerlo.

    Appoggiò le mani su due pietre e si tirò su raggiungendo un piccolo ripiano.

    Da lì guardò l’orizzonte e fu travolto dalla potenza del panorama.

    Melvin, che pareva anch’egli completamente assorbito dalla vista, disse:

    "Da questo punto si riesce a vedere oltre le montagne Steariane e si apre la vista alla catena vulcanica del Doard."

    A Edwin pareva che il mondo avesse preso fuoco; tutto era un muro di fiamme, fumi e rocce nere come le profondità della terra.

    Il cuore gli batteva all’impazzata. Non riusciva più a distogliere lo sguardo e la montagna pareva inghiottirlo.

    Tremava e sudava freddo.

    Sulle cime ruggivano tuoni e precipitavano fulmini.

    Edwin allungò una mano verso i monti e percepì il calore.

    Fece una smorfia di dolore, Melvin si voltò e notò che la mano del ragazzo fumava e tremava.

    Che ti succede? – domandò vedendolo provato.

    Udirono un boato.

    I nuvoloni neri si avvicinarono mossi prepotentemente dal vento. Si addensarono sopra di loro portando la notte. La terra tremò, l’aria si riempì di carica elettrica, poi vi fu una tremenda eruzione e a Edwin parve di vedere il volto di una donna urlante uscire dal cratere e diventare fumo.

    Melvin strattonò Edwin.

    Presto, andiamo via!

    Ridiscesero di corsa la scarpata e si appiattirono contro le rocce poco prima che una folata di polvere incandescente passasse sopra le loro teste.

    Una nube nera avvolse ogni cosa, l’aria si fece incandescente.

    L’eruzione li costrinse a rimanere fermi per ore sotto dei massi. Non riuscivano ad aprire gli occhi e respiravano a fatica.

    Quando ogni rumore cessò, Melvin abbandonò adagio il rifugio. I suoi piedi lasciavano impronte sullo spesso strato di polvere bianca che si era posato su tutta la foresta.

    Il cielo era ancora cupo.

    Cosa diavolo è successo? È tutto bianco. – si domandò Melvin spolverandosi il viso come poteva. Non ho mai visto niente di simile.

    Che bello sembra neve. – disse Edwin tossendo.

    Melvin lo osservò notando che la polvere non si era sistemata intorno a lui, poi disse:

    Non ci somiglia per niente... Almeno ha coperto le nostre tracce, approfittiamone per allontanarci. Spero abbia confuso anche il nostro inseguitore.

    Di chi parli?

    Qualcuno ci sta seguendo, forse la stessa persona che ha charmato l’orso; almeno lo suppongo dal fatto che usa dei corvi per spiarci.

    Ah sì? Non me ne sono accorto.

    Non ci pensare, forse ora avrà perso le nostre tracce.

    Così s’incamminarono di nuovo nella foresta.

    ***

    Dopo tre giorni di cammino, raggiunsero finalmente il nord della foresta, dove questa riprendeva vita e colore; ciò migliorò notevolmente il loro umore.

    Fecero una piccola deviazione verso est, in un luogo dove Melvin pensava scorresse acqua fresca.

    Infatti poco più avanti, da sotto il terreno, videro uscire un ruscelletto che serpeggiava fino a una vallata spoglia di alberi. Su un lato di questa vi era un mulino che la corrente del ruscello faceva ruotare prima di immergersi in un laghetto.

    Sulla sponda est della valle pascolavano liberamente delle pecore e un cane nero saltellava loro intorno abbaiando per mantenerle compatte.

    Sul lato nord vi erano un orto e un campo di grano.

    Finalmente incontreremo qualcuno. Facciamoci vedere, magari ci offrono un pasto come si deve. – disse Melvin.

    Quando furono vicini al mulino, il cane li notò e corse loro incontro abbaiando. Essi si fermarono indecisi sul da farsi, sperando che qualcuno lo richiamasse, Melvin non voleva fargli del male e si sentì sollevato quando, poco dopo, udì una voce da dentro il mulino.

    Muus! Cosa succede Muus? – urlò uscendo da casa un vecchio uomo di bassa statura dal fisico nerboruto.

    Ah! Hai trovato due viandanti, eh? Bravo Muus, ora torna al gregge, qui ci penso io.

    Il cane ringhiò contro i due poi si allontanò di corsa.

    Chi c’è? Con chi parli Gianesu? – disse un’anziana donna affacciandosi a una finestra del pian terreno strofinando uno straccio dentro un pentolino.

    Muus ha trovato due viandanti.

    E chi sono? – lo incalzò la donna mentre dalla casa uscivano i figli, due maschi e due femmine.

    Non lo so, ancora non abbiamo detto nulla... – rispose sbuffando l’uomo.

    Buon giorno signori, io sono Melvin e lui è Edwin. – li interruppe Melvin. Siamo diretti a nord e ci siamo fermati ad ammirare il vostro splendido mulino.

    E allora sbrigatevi, che stavamo per pranzare. Gianesu perché non li hai fatti entrare subito? – disse la donna rientrando in casa.

    L’uomo sospirò.

    Venite, qui comanda mia moglie, come avrete capito.

    Melvin fece l’occhiolino a Edwin e i due entrarono: la casa era realizzata in mattoni rossi, travi e arredo erano di legno e vi era tanto spazio. Sedettero intorno a un robusto tavolo poggiato sopra il pavimento irregolare.

    Gianesu presentò la moglie e i figli poi si sedette, raccolse le mani e pregò:

    Ringraziamo te, divino Orghen, che proteggi i nostri raccolti, e tutti i dei dell’Autres per il cibo che stiamo per mangiare.

    Grazie! – dissero tutti.

    Portarono in tavola dello stufato di carne con patate e tanta verdura, dunque mangiarono a sazietà accompagnando le pietanze con del vino rosso che solo Edwin non toccò.

    Finito il pasto, i figli andarono a riposare, stanchi della mattinata di lavoro. Gianesu condusse gli ospiti sulle sponde del laghetto e si sedettero immergendo i piedi nell’acqua.

    L’uomo tirò fuori due pipe ne offrì una a Melvin.

    Tu sei troppo giovane. – disse sorridendo a Edwin che, sdraiato, osservava alcune nuvolette vagare placide nel cielo. A sud il cielo era ancora oscurato dai fumi dell’eruzione.

    Fai i complimenti a tua moglie, il cibo era ottimo. – disse Melvin.

    Sì, ci vizia. Allora, che affari vi portano a nord?

    Mio nipote vuole diventare un soldato del Wolden, entrerà in accademia e tenterà di superare gli esami, sperando di essere scelto. Ma sono sicuro che ce la farà.

    Fa bene, se la passano alla grande quelli. Non siamo molto lontani dal Wolden e capita vengano dei soldati a riscuotere i tributi.

    Spero vi trattino bene.

    Sì, tutto sommato non ci creano grossi problemi. Ormai non hanno guerre cui pensare, basta dar loro del cibo, vino o soldi e se ne vanno soddisfatti. Bella vita fanno... Anche se ho sentito che nel resto dell’Autres la situazione è molto più difficile: ogni scusa è buona per prendere nuovi schiavi. Voi venite da lì, giusto?

    Sì, è come dite voi. In effetti qui siete ancora abbastanza isolati e sufficientemente lontani dal fiume, a nessuno conviene infastidirvi se gli date ciò che vuole.

    Ehi ragazzo, se diventi un soldato ricordati di noi: potrai venire a mangiare quando vuoi. – disse l’uomo dando una pacca a Edwin.

    Edwin distolse lo sguardo dalle nubi e distrattamente stava per smentirlo, ma Melvin lo interruppe:

    Eh sì, sarà un guerriero forte e onesto. Buono questo tabacco. – disse espirando. Dimmi, cosa si racconta da queste parti?

    Che si dice? Niente! Qui è sempre molto tranquillo, al villaggio a est ci sono molti casini perché, come sai, con quelle cavolo di tasse tutti diventano poveri e nervosi; però niente di preoccupante. Tra poco ci sarà la festa in onore del dio dei raccolti Orghen e quando tutti avranno mangiato e bevuto saranno di nuovo amici. Per fortuna i soldati stanno alla larga in questo periodo e non richiedono soldi; gli dei sono uguali per l’Autres e per il Wolden, e tutti li devono temere e onorare.

    Sì, finché conviene. – rispose Melvin e l’uomo rise rumorosamente.

    Speriamo che gli convenga ancora a lungo. Amici, mi ha fatto piacere chiacchierare con voi, però ora dovete andare, tra poco arriverà il governatore a comprare cibarie per la festa. È un tipo che fa molte domande.

    Nessun problema, il piacere è stato nostro. – disse alzandosi Melvin.

    Grazie per il cibo e per la pipa. Buona festa!

    Di niente, puoi tenerla se vuoi, ecco prendi anche un po’ di tabacco. Se ripassate fermatevi ancora senza far storie, buon viaggio.

    I due salutarono l’uomo e ripresero spensierati la marcia.

    ***

    Finalmente dopo quattro giorni raggiunsero il confine nord della foresta. Si resero conto di essere usciti del Regno di Autres e di essere entrati in quello di Whus, anch’esso sottomesso al Wolden e all’Imperatore Jacob Dubdinold.

    Melvin si sedette a scrutare l’ampia pianura che si estendeva davanti a loro.

    Che strano. – disse Edwin mentre i raggi del sole gli scaldavano il viso. Qui fa molto più caldo.

    Melvin non rispose, si chinò appoggiando un orecchio al terreno poi si rialzò.

    Torniamo indietro.

    I due tornarono tra gli alberi e ne scalarono uno per nascondersi tra le sue foglie.

    Oltre questa foresta si estende il Regno di Whus, anche se ormai tutti i regni fanno parte del Wolden ed è col suo nome che bisognerebbe chiamarli. È un posto pericoloso per due fuggitivi, quindi stai zitto. Arriva qualcuno. – disse indicando verso est.

    Tre uomini a cavallo attraversarono infatti la pianura, indossavano corazze leggere sopra delle vesti celesti; galopparono per un po’ poi tornarono indietro.

    Se ne vanno, bisbigliò Edwin.

    No. Uomini con quelle vesti appartengono all’esercito del Wolden, l’esercito Imperiale. Quelli erano perlustratori. È in arrivo un’armata.

    Infatti, i tre tornarono marciando alla testa di un esercito di soldati e cavalieri le cui armature brillavano sotto i raggi del sole.

    Tra le prime file, a cavallo, vi era un uomo dall’armatura argentea che a giudicare dall’elmo doveva trattarsi di un paladino. Discuteva con un monaco che cavalcava al suo fianco. In mezzo all’esercito grossi carri tendati trasportavano merci. Dietro di tutti vi era un uomo che indossava un’armatura a piastre e due copri–spalla d’oro.

    Quello chi è? – domandò Edwin.

    Quello è un soldato dalle capacità combattive eccezionali, sono denominati come guerrieri e contraddistinti dai copri–spalla d’oro. Spera di non incontrarne mai uno. Il livello di forza dei guerrieri se hanno anche l’elmo e l’armatura d’oro, può essere anche superiore.

    Davvero? Che spettacolo, non avevo mai visto tanta gente. – esclamò Edwin.

    Sì, saranno cinquemila uomini, sembrano diretti verso ovest. Come mai? Lì c’è solo il deserto e i Regni non sono bellicosi. – si chiese Melvin.

    Edwin si arrampicò più in alto per vedere meglio e si sporse su un ramo che s’inarcò sotto il suo peso.

    " Stupido." – pensò Melvin osservandolo da sotto, poi tornò a studiare l’esercito in movimento.

    Quando questo raggiunse il centro della pianura, Edwin udì un fastidioso ronzio vicino l’orecchio destro.

    Si scostò e vide un’ape che gli svolazzava intorno; cercò di scacciarla con una mano e questa si allontanò, ma subito dopo virò e tornò fermandosi sospesa sopra di lui. Quando egli alzò lo sguardo vide un grosso alveare e s’irrigidì.

    Oddio, se escono mi fanno fuori.

    Sfilò lentamente la spada e con il piatto della lama colpì con forza l’alveare. Questo si staccò dal ramo e volò sopra gli alberi andando a finire nel prato a pochi metri dalle ultime file dell’esercito in marcia.

    Ops. – disse Edwin prima di essere afferrato per il collo da Melvin che lo trascinò nel cuore della foresta.

    Dall’alveare uscì uno sciame di api infuriate che volando a spirale ritornò sull’albero dove non trovò più nulla e quindi si disperse.

    Alcune api invece, che erano rimaste a ronzare intorno all’alveare, si diressero incuriosite verso i soldati. Questi tentavano di rimanere impassibili quando, a uno di loro, due api s’infilarono nella corazza. Il poveretto si divincolò, poi probabilmente punto, cadde a terra. I suoi compagni gli passarono sopra noncuranti.

    Quando l’esercito si allontanò egli rimase da solo, senza sensi, sdraiato nella distesa verde.

    Guarda cos’hai combinato. – disse rabbiosamente Melvin che era tornato indietro.

    Dici che è ancora vivo? Non l’ho fatto apposta.

    È colpa tua, agisci sempre d’impulso. Andiamo a vedere.

    Corsero verso il soldato e Melvin gli sfilò l’elmo.

    L’uomo aveva gli occhi segnati dalle rughe e dal tempo e corti capelli bianchi; la guancia destra era gonfia e viola.

    È stato punto al viso e sul petto, forse è allergico, ma è ancora vivo. – disse Melvin estraendogli i pungiglioni.

    Non ho con me nessun’erba curativa, dovrà cavarsela da solo.

    Trasportarono il soldato nella foresta, lo appoggiarono a un tronco curvo e attesero, Edwin pareva dispiaciuto.

    Restagli accanto e non far danni, bagnagli spesso le labbra, io intanto vado in cerca di erbe e di cibo. Chissà dove era diretto quell’esercito? Non ci sono nemici per il Wolden che giustifichino una marcia così serrata. – disse Melvin allontanandosi.

    Il soldato passò la notte tra febbre e deliri.

    La mattina dopo Melvin si ripresentò con due conigli e delle bacche.

    Come sta?

    Non lo so. È ancora vivo, ma credo abbia la febbre alta. – rispose Edwin che gli si era seduto di fianco con le gambe incrociate.

    Melvin accese in fretta un fuoco, fece bollire dell’acqua e v’infilò una foglia azzurra.

    "Questa è Foglia di Cielo, elimina le tossine dal corpo; non è specifica per queste punture, ma aiuterà. Tu intanto cuoci quei conigli. Non ci voleva questa perdita di tempo."

    La giornata passò così; con Edwin che riposava scaldandosi al sole e Melvin che preparava infusi.

    Il sole era quasi calato e l’ombra degli alberi raggiunse la pianura, Melvin sedette sotto un albero e si accese la pipa.

    Come mai fa così caldo? – domandò Edwin.

    "Qui a nord il clima è sempre molto piacevole per quasi tutto l’anno, anche ora che siamo agli inizi della primavera; per te che vieni dalle Terre Candide specialmente."

    E tu da dove vieni?

    Dall’Autres. – rispose genericamente Melvin.

    Senti, hai detto che ci stanno cercando per aver ucciso uno dei loro comandanti. Dici che anche lui quando si risveglierà ci attaccherà?

    Questo soldato era in marcia da giorni, non credo sappia nulla di noi, non siamo poi così famosi.

    Infatti non ne sapevo nulla, finché non me l’avete detto voi.

    Il soldato si era svegliato e li guardava con due gelidi occhi verdi.

    Edwin, ti uccido. – disse Melvin sfilando i pugnali. Soldato, che intenzioni hai? Sappi che ci devi la vita e il tuo esercito è lontano.

    Lo so, intanto vi ringrazio. Non m’importa nulla del comandante che avete ucciso, siete dell’Autres vero? Probabilmente se lo meritava. Finché non mi ordineranno di cercarvi, non m’interesserò di voi.

    Veramente ti ho lanciato io addosso l’alveare. – disse Edwin.

    Il soldato sorrise.

    In questo caso, mi hai forse salvato la vita.

    Edwin, taci! Voglio sapere chi sei, e perché il tuo esercito si muoveva così in fretta verso il confine ovest? I Regni sono quasi tutti sotto il vostro dominio ormai e, oltre a quelli, c’è solo il deserto.

    Mi chiamo Vardul e sono un semplice soldato. Quello che dici è vero, mi pare che tu conosca bene il territorio, straniero.

    Ebbene? Dove eravate diretti?

    Siamo stati inviati verso i limiti del deserto. Da qualche mese i Regni che confinano con esso, ovvero Catnio, Filsa e Zando, hanno inviato messaggeri che parlano di attacchi da parte di creature senza pelle e senza muscoli. Pare giungano dal deserto uccidendo senza pietà chiunque incontrino.

    Uomini d’ossa... Ecco perché ho visto un paladino e un monaco con voi. Sospettate stregoneria?

    Forse... So solo che dovevamo affrettarci. I racconti sostengono che le lame di queste creature siano maledette e le che loro vittime diventino come loro; si deve evitare un’epidemia.

    Quindi se il vostro esercito fallisse, il Wolden sarebbe invaso da almeno cinquemila soldati scheletro.

    "Non succederà. Il paladino che hai visto è Lussel D’Anvard, vincitore dell’ultimo Torneo dell’Onore e massimo conoscitore delle magie di purificazione. Con lui vi è un monaco; non lo conosco bene, ma in lui Dughlad, il mago dell’Imperatore in persona, ha infuso una benedizione. Finché egli sarà in vita impedirà ai soldati di subire una maledizione."

    Ho capito, la cosa comunque non ci riguarda. Ora dobbiamo decidere che cosa farne di te.

    Come? Io voglio vedere gli uomini d’ossa! – disse Edwin.

    Sei pazzo? Siamo ricercati e tu vuoi andare tra i Regni nemici con un esercito pronto alla morte in cerca di creature maledette?

    E va bene... – sussurrò Edwin sconsolato.

    Dove siete diretti? – domandò Vardul. Ormai il mio esercito mi considera morto e se tornassi a casa sarei impiccato per tradimento. Se volete posso guidarvi, conosco bene la zona.

    Fantastico, noi andiamo a nord. – disse Edwin e Melvin gli tirò uno sberlotto.

    Non mi fido di un soldato del Wolden, ci tradirai per farti perdonare. – disse Melvin severo.

    Vi devo la vita... State andando a nord? Per che strada?

    "Viaggeremo per la pianura, evitando i villaggi e tutto ciò che incontreremo. Poi prenderemo l’unica via che ci dà una speranza, in altre parole, passeremo a ovest del Bosco Desolato, per la Via dei Traditi."

    Via dei traditi? Sei uno dei pochi a conoscerla con quel nome, non sei un semplice viandante... Vi consiglio di evitare quella strada. Io la conosco perché ci sono già passato diverse volte. I soldati conoscono molte storie…

    In ogni caso, non ci sono altre vie che non siano sorvegliate o che non implichino il passaggio in qualche città. – concluse Melvin.

    Vardul fece una smorfia di dolore poi disse:

    "Infatti dovete attraversare Bosco Desolato, non girargli attorno."

    Melvin scoppiò a ridere.

    Sei pazzo, ci vuoi fare entrare in quella trappola? Nessuno può entrare senza invito, neanche l’Imperatore Jacob Dubdinold nella sua sete di potere, osa invadere quel luogo.

    "Hai ragione, ma in realtà nessuno sa cosa ci sia veramente. Mentre la ‘via dei traditi’ è molto cambiata in questi anni: essa è il crocevia che conduce a ovest e soprattutto ai Regni a nord costeggiando il lato ovest del Bosco Desolato.

    Sembra incredibile, ma forse uno stregone o un dio ha fatto crollare il tempio di Twarhen, il dio della Guerra, eretto più di tremila anni fa al termine delle Guerre Demoniache. La zona è circondata da operai, soldati, monaci e paladini che si affrettano a ricostruirlo. Pregano giorno e notte affinché il dio non s’infuri con loro. Ovviamente non fanno avvicinare nessuno, i sudditi non devono sapere del crollo del tempio e quelli che hanno visto sono stati comprati o uccisi."

    "Non m’importa, tenterò di passare per quella via. Partiremo domattina. Non t’impedirò di seguirci, ma non mi fido di te. Inoltre, trovo incredibile che qualcuno abbia osato offendere il dio Twarhen e voglio verificare di persona. Ci vogliono una forza sovrumana o una magia potente per far crollare il tempio di un dio, se non è opera di un Demon stesso." – disse Melvin chiudendo la questione.

    Ognuno si recò con i propri pensieri presso i giacigli.

    Vardul si risvegliò verso tarda mattina.

    Melvin, che era appena tornato dalla caccia, sollevandogli la coperta con un calcio disse:

    Muoviti soldato. Ti abbiamo aspettato anche troppo, ora che vedo che sei cosciente posso anche lasciarti qui.

    Arrivo... – disse l’uomo al quale erano tornate in parte le forze.

    I due uscirono dalla foresta.

    La pianura era illuminata dal sole e un fresco vento pettinava l’erba.

    Edwin stava correndo dietro una giovane lepre cercando di afferrarla mentre intorno, farfalle e uccellini svolazzavano liberi.

    "Andiamo Edwin, ci vorranno almeno otto giorni per raggiungere Bosco Desolato." – disse Melvin incamminandosi.

    Passarono sopra le orme dell’esercito in marcia.

    State attenti a dove mettete i piedi, è pieno di cacca qui. – disse Melvin.

    È vero, che schifo, chi è stato? – domandò Edwin.

    Chiedilo al nostro amico e ai suoi valorosi compagni. – rispose Melvin.

    Edwin guardò un imbarazzato Vardul e scoppiò a ridere con Melvin.

    Che stupidi... – disse il soldato. Quando si marcia per anni non si bada più a queste cose.

    Dai, meno male che quando sei caduto non ci sei finito sopra. – disse Melvin e Edwin si piegò dal ridere; alla fine, rassegnato, sorrise anche Vardul.

    Superato l’ostacolo, proseguirono per una settimana evitando ogni centro abitato o villaggio e fortunatamente non incontrarono nessuno.

    Quando ormai era buio, il terreno sul quale marciavano si modificò diventando collinoso e verde. Sembrava levigato tranne per qualche albero e cespuglio sparso qua e là.

    Vicino a uno di essi sostarono per dormire.

    Il giorno seguente, all’alba, erano già in marcia finché, verso mezzogiorno, costeggiarono un crepaccio dal fondo del quale provenivano dei rumori.

    Si sporsero cautamente a osservare.

    Scorsero una decina di orchi dalle armature nere con bordi rossi che cercavano qualcosa; sul loro petto vi era disegnato in rosso un globo infuocato.

    E quelli cosa sono? Orchi? Avete orchi nel Wolden? – domandò Melvin.

    Assolutamente no, che io sappia non se ne vedono da millenni tanto che molti li ritengono creature leggendarie. Si dice ce ne sia qualcuno sottoterra; forse questi sono fuoriusciti da qualche antro. – rispose Vardul.

    Forse allora non sono orchi. È molto strano, ascoltiamo... – disse Melvin.

    Tra di questi ce ne era uno più piccolo che, da come si atteggiava, sembrava il capo.

    Lanciò spazientito una pietra bestemmiando:

    Che schifo! Non ne posso più di stare sotto questo maledetto sole. Come sperano che troviamo una cosa così piccola in un intero continente?

    Ben detto Ghyarnak, ci spediscono di qua e di là come pacchi e non sappiamo neanche bene cosa cercare. – disse un orco.

    Comunque. – aggiunse Ghyarnak. Entro sera dobbiamo girarci tutta questa zona, prendiamocela con calma. Mi sento debolissimo, non siamo fatti per stare alla luce del sole. Spero finisca presto il nostro turno giornaliero.

    Cosa facciamo? – domandò Vardul. Sembra siano al comando di qualcuno. Conviene seguirli.

    Ascoltiamo. Potrebbero comunicarci informazioni preziose. Meglio non farsi notare per non attirare eventuali guardie nei dintorni. – rispose Melvin quando Edwin si alzò in piedi urlando:

    Riconosco quelle armature, maledetti!

    Si lanciò lungo il pendio con la spada sguainata domandando:

    Dov’è mio nonno?

    Ghyarnak parò un fendente e con uno sgambetto ribaltò il ragazzo, il quale cadde ai piedi delle creature che lo osservavano stupite.

    Uno di loro disse:

    Ce lo siamo mangiato tuo nonno, a noi orchi piacciono gli umani. – e tutti risero e sguainarono le spade.

    Ci voleva un po’ di divertimento. – disse uno avvicinandosi, ma fu colpito in fronte da un pugnale lanciato dall’alto.

    Arriviamo! – dissero Vardul e Melvin raggiungendolo.

    I tre ingaggiarono battaglia con gli orchi; questi pur indeboliti dal sole si dimostrarono forti e abili guerrieri, ma furono sconfitti; solo Vardul riportò un lieve taglio a un braccio.

    Tutto bene? – gli domandò Melvin mentre estraeva un pugnale dalla gola di un orco.

    Sì, è solo un graffio. – lo rassicurò Vardul.

    Melvin si avvicinò poi a Ghyarnak che agonizzava al suolo.

    Orrenda creatura, cosa stavi cercando in un luogo come questo?

    L’orco sputò sangue nero.

    Qualcosa di malvagio, qualcosa che vi farà desiderare la morte... Siamo tornati… – disse sogghignando prima di morire.

    Melvin prese un arco con faretra agli orchi, accertandosi che le frecce non fossero avvelenate, intanto Vardul, che passeggiava avanti e indietro disse:

    Uomini d’ossa, orchi... Per gli dei. Che cosa sta succedendo nell’Elland?

    Non saprei, ma non ci riguarda. Ci sono nemici gli uomini del Wolden così come questi mostri. Non ci interessa scontrarci contro di loro, andiamocene.

    Io devo avvisare il Re del Whus. Se ci sono orchi in queste terre deve esserne informato. I maghi sapranno prendere precauzioni.

    Avvisare il Re? Hai detto tu stesso che verresti ucciso se solo mettessi piede in città. Lascia perdere, non sei un paladino, non hai voti che ti legano a un dio esigente. – disse Melvin. Edwin, perché sei corso contro gli orchi urlando il nome di tuo nonno? Cosa ti hanno ricordato le loro armature?

    "Sono le stesse che trovai nelle Terre Candide il giorno in cui mio nonno sparì. Questi sicuramente sapevano qualcosa al riguardo, non dovevamo ucciderli."

    "Allora la prossima volta non agire da stupido, procedendo con più calma, avremmo potuto anche catturarne uno vivo o seguirli. Ti sei lanciato in uno scontro aperto…

    A ogni modo, sembra che siano in cerca di qualcosa e che lo cerchino disordinatamente per tutto l’Elland. Questo significa che qualsiasi piano abbiano in mente è ben lontano dal realizzarsi, non mi pare che le loro idee siano chiare al momento. Abbiamo parlato troppo, non possiamo indugiare, dobbiamo sparire prima che arrivi qualcuno."

    Proseguirono e sostarono solo a notte inoltrata dormendo su un letto di spighe di grano, poi il mattino seguente ripresero la marcia.

    L’erba alta e sottile rallentava i loro movimenti, ma fungeva da riparo. Sembrava andasse tutto bene, quando Vardul si fermò.

    Melvin che era già andato avanti si voltò dicendo:

    Non rimanere indietro. Qualcosa non va?

    Vardul, perso nei suoi pensieri, osservava delle colline in lontananza dalle quali spuntava la cima di una torre.

    Quella è la Torre costruita in onore del paladino dell’Imperatore Erdoal Dansted. Vuol dire che su quelle colline sorge Cardeef, il villaggio che gli diede i natali. – Vardul era estasiato.

    È una mela quella cosa in cima alla torre? – chiese Edwin incuriosito.

    Sì, esatto. È una ricostruzione della celebre Mela d’Oro. – rispose Vardul. Magnifica vero?

    Insomma... È una mela... È davvero d’oro?

    Non pensare di poter andare là. – disse severo Melvin. Non ora che conosci le nostre intenzioni.

    No, ma un giorno visiterò quel luogo. – rispose l’uomo con fermezza.

    Voi del Wolden e i vostri ridicoli eroi…

    Non ti permetto di parlare così di Dansted, uomo di Autres. Egli è indubbiamente un grand’uomo e sono pronto a sfidare chi infanga il suo onore.

    Melvin sbuffò senza prendere in considerazione la sfida poi Edwin domandò.

    Mi dite chi è questo Dansted?

    Vardul parve felice di poter rispondere.

    "Mi sembra incredibile che tu non lo conosca, i giovani dovrebbero avere tutti come esempio un uomo come lui. Egli è il più grande paladino che si ricordi ed è ancora in vita. Non a caso l’Imperatore Jacob Dubdinold stesso l’ha nominato suo protettore personale.

    Ti stai chiedendo perché è stata costruita una mela come simbolo?

    Vedi, oltre le montagne del Doard, dimora dei draghi, si narra viva una razza superiore chiamata Dresda."

    Sì. Melvin mi ha mostrato quelle montagne spaventose.

    "Bene, allora sai di cosa parlo. I Dresda che le abitano pare si nutrano d’oro, è per questo i draghi ne accumulano grandi quantità, spesso rubandolo ai nani agli uomini o agli elfi. Infatti, in quel luogo, i frutti sono tutti di quel materiale e ognuno di essi vale una fortuna.

    Sotto una montagna, nascosto tra nere rocce vi è un passaggio, la cosiddetta Via dell’Oro appunto; una galleria che conduce nel mondo dei Dresda.

    Devi sapere che ogni venticinque anni nel Wolden i migliori paladini si sfidano a un torneo di lotta chiamato Il Grande Wolden.

    Il vincitore, oltre a ricevere fama e fortuna, parte per la Via dell’Oro tentando di cogliere un frutto d’oro da donare in omaggio all’Imperatore. Ma la missione è ardua perché vi sono enormi draghi e tante creature terribili che il paladino deve affrontare.

    Nell’ultimo millennio solo Erdoal Dansted è riuscito nell’impresa. La mela d’oro da ventitré anni è posta sopra il trono dell’Imperatore e simboleggia la grandezza del nostro popolo su tutte le razze."

    Fantastico. Allora questo Dansted deve essere proprio forte. Ora vorrei vedere anch’io il suo villaggio. – disse meravigliato Edwin. E gli altri paladini che hanno tentato?

    Tutti morti, a dimostrazione della stupidità delle loro usanze. – li interruppe Melvin.

    Tu sei mai andato a visitare il paese del paladino? – domandò Edwin a Melvin.

    Sì, una volta. È pieno di gente inetta che si bea delle fortune di un altro; non vi perdete nulla.

    Ho detto di mostrare rispetto! – urlò Vardul scagliandosi addosso al ranger e buttandolo a terra.

    Melvin appena toccato il suolo rotolò sulla schiena divincolandosi e alzandosi. Vardur lo colpì con un pugno, poi con un secondo che fu evitato. Melvin reagì con una gomitata che buttò a terra il soldato poi impugnò l’arco e caricò una freccia.

    Se non vi spiace ora proseguirei, non mi sento al sicuro qui. – disse il ranger.

    Vardul sospirò.

    Melvin si allontanò e impose una marcia serrata per giorni interi che allentò soltanto quando scorse all’orizzonte le cime degli alberi del Bosco Desolato.

    Bene, deviamo verso ovest e teniamoci distanti dal bosco. Evitate persino di guardarlo se riuscite: oscuri poteri potrebbero impadronirsi della vostra mente. – disse Melvin.

    Seguirono così il sole mentre questi spariva sotto l’orizzonte e, quando fu buio, misero piede su un sentiero di pietre ben lavorate.

    Melvin si chinò su di esse accarezzandone la superficie ruvida.

    Qui inizia la Via dei Traditi; per non essere notati marceremo solo di notte.

    Costeggiarono la strada tenendola sulla destra.

    Come mai la chiamano Via dei Traditi? – domandò Edwin.

    È un nome che nel regno del Wolden è proibito. – rispose Melvin. "Loro la chiamano Via della Gloria.

    Tutto risale ai tempi delle antiche Guerre Demoniache, quando gli uomini dell’Autres, del Wolden e tutte le creature viventi combatterono strenuamente contro i Demon che avevano invaso i due continenti. Al termine della guerra il Regno del Wolden era ormai in rovina e il Re dell’Autres, Rovv Adamor gli prestò aiuto economico, sebbene anche il suo Regno fosse stato indebolito.

    Un giorno, l’allora Re del Wolden, Hoge Dubdinold, richiese l’intervento dell’esercito dell’Autres per sventare un’invasione di orchi. Rovv acconsentì e si recò proprio qui col suo esercito, ma fu tradito e attaccato dall’esercito del Wolden, a capo del quale vi era nondimeno che il dio della Guerra, Twarhen, reincarnatosi nel corpo di un mortale.

    Rovv era un semidio, figlio del dio del mare Nétsos e di Altera, una mortale.

    Forte e valente in battaglia, Rovv lottò con onore contro Twarhen, ma il fattore sorpresa fu decisivo; il suo esercito fu sterminato ed egli fu trafitto dalla lancia di Twarhen, ma riuscì anche a uccidere il corpo in cui si era reincarnato il dio impedendogli così di dominare i Regni direttamente.

    Fu così che ebbe inizio il dominio del Wolden e della famiglia Dubdinold su tutto l’Elland.

    Da allora i discendenti della famiglia Adamor hanno perso onore e il Regno è sotto il controllo dei Dubdinold.

    Ai vinti fu concesso il governo di rappresentanza del loro Regno. I nobili, che credevano di essere uccisi, allettati dalla possibilità di vivere nella ricchezza, accettarono la sottomissione."

    Che vigliacchi, hanno sottomesso chi li aveva aiutati. È vero? – chiese Edwin a Vardul.

    "Da noi raccontano un'altra storia, ma ho sentito questa versione raccontata nelle taverne; poche volte, anche perché vi è la condanna a morte per chi ne parla. È noto però l’odio tra il dio della guerra e il dio del mare.

    Da secoli infatti Nétsos, ha eretto negli oceani un muro di acqua che separa i due continenti, l’Elland e il Prìmion. Impedendo così agli uomini del Wolden di invadere il Prìmion e frustrando la voglia di conquista del dio della guerra."

    Un grido rauco li interruppe, proveniva da ovest.

    Scrutarono l’oscurità udendo solo il brusio dei grilli.

    Proseguiamo in silenzio, basta parlare. – disse Melvin affrettando il passo.

    Verso mezzanotte incominciò a piovere a dirotto, poco dopo scorsero delle luci in lontananza e giunse alle loro orecchie un canto corale.

    Da dove viene questa melodia? – sussurrò Edwin.

    Siamo nelle vicinanze del tempio. I monaci pregano notte e giorno mentre gli operai ricostruiscono il tempio. I paladini purificano gli uomini e i materiali in modo che la loro impurezza non offenda il dio. Ora mi credete? – disse Vardul. Il crocevia è a mezza giornata di cammino e tutta la zona è un accampamento, non possiamo farcela.

    "È incredibile. Avevo trovato strana l’eruzione di pochi giorni fa sul Doard, ma non volevo farmi cogliere da inutili timori. Ora vedo le macerie del tempio del dio della Guerra. Cosa diavolo sta succedendo?" – disse Melvin quando un odore insolito lo fece voltare: un branco di lupi li aveva raggirati in silenzio e ora gli ringhiava contro.

    Melvin li fissò: i suoi occhi s’illuminarono di una luce verde smeraldo e le belve fuggirono guaendo.

    Correte verso ovest senza fare storie, senza voltarvi e trovate un rifugio dove attendermi. State lontani dal cantiere e non entrate nel bosco per nessuna ragione!

    Cosa vuoi fare? – domandò Vardul.

    C’è un druido che ci insegue da tempo. Finora non l’ho ritenuto pericoloso, ma non posso più permettergli di scorrazzare alle nostre spalle.

    Detto questo inseguì i lupi.

    Facciamo come dice. – disse Vardul a Edwin.

    Attraversarono la via restando a sud del cantiere e correndo per i prati.

    La pioggia gli offuscava la vista ed erano fradici; improvvisamente un fulmine colpì il terreno dinnanzi a loro, la scarica si propagò tra le pozze d’acqua.

    Quando si diradò, videro una possente figura che bloccava loro la strada.

    Vi ho trovati. – disse l’uomo; indossava una spessa corazza e brandiva nella mano destra un’enorme spada a due mani la cui lama poggiava sul terreno. L’uomo alzò la mano sinistra rivelando così dei segni rossi luminosi che serpeggiavano per tutta la zona.

    Aveva delimitato l’area con un incantesimo, siamo caduti in una trappola. – disse Vardul sguainando la spada.

    Ehi tu. Chi sei? Levati, non ti conosciamo. – disse Edwin.

    L’uomo rise dietro l’elmo argentato.

    Io sono Desrni Dalken, Paladino del Regno del Wolden, devoto alla dea Vuina. Voi chi siete? Un ragazzino puzzolente e un soldato disertore? Che strana accoppiata. E dov’è il terzo? L’incantesimo mi ha segnalato tre intrusi.

    Qui ci siamo solo noi, piacere Dalken, devoto al tal dei tali... Addio. – disse Edwin passandogli accanto, ma il paladino con un rapido gesto gli sbatté la spada davanti ai piedi e la forza d’urto lo buttò a terra.

    Non così in fretta, avete profanato un luogo sacro e dovete essere giudicati.

    Lascialo in pace! – urlò Vardul. Mi volete giudicare? Ero in marcia con i miei compagni quando sono stato abbandonato moribondo. Questo ragazzino mi ha salvato la vita, ma a voi non importa. La vostra giustizia sta nel rispettare i vostri giuramenti e accordi, calpestando ogni altra verità. Mi condannereste comunque, non è vero?

    Avevo notato la tua armatura, disertore. Se preferisci ammettere qui e ora la tua colpa, piuttosto che farti giudicare, posso eseguire la condanna immediatamente.

    Antipatico sbruffone. – disse Edwin, provando a colpire il paladino con la spada, ma questi deviò il colpo e gli diede un pugno ributtandolo tra le pozze.

    Dalken poi roteò la spada dirigendola verso Vardul che abbassandosi evitò di farsi mozzare la testa.

    Potevo perdonare il ragazzino, ma ora sono costretto a punire la vostra arroganza. – disse Dalken, mentre parava con facilità due fendenti, poi il paladino affondò con forza un colpo che spezzò la lama di Vardul che cadde in ginocchio reggendosi il polso dolente.

    Addio, che Vuina abbia pietà di voi…

    Il paladino alzò la lama, ma fu distratto da un ululato e poco dopo i lupi gli furono addosso seguiti da Melvin che reggeva due fiaccole.

    Perdonatemi, mi sono accorto tardi dell’incantesimo che circondava l’area. Per fortuna sono arrivato in tempo. – disse lanciando una fiaccola a Edwin.

    Edwin, evoca il drago come facesti al fiume.

    Il ragazzo raccolse le fiaccole, le alzò in cielo e chiese:

    Così? Va bene?

    Melvin lo guardò terrorizzato.

    Fai come l’altra volta: avevi infilato la tua lama nelle fiamme ed è giunto il drago.

    Ah, quella volta? No, ti sbagli, io non centravo nulla. – disse Edwin.

    Nel frattempo, il paladino aveva ucciso i lupi e il trambusto aveva allertato le guardie nell’accampamento che suonarono corni d’allarme.

    Melvin aiutò Vardul a rialzarsi.

    Il paladino si avvicinava, mentre il sangue di lupo sulla lama veniva dilavato via dalla pioggia.

    Maledizione, ho sbagliato tutto. Sta venendo per ucciderci – disse Melvin digrignando i denti.

    Melvin, il bosco. – disse Vardul strattonandolo.

    Il rumore dei nemici in avvicinamento si faceva sempre più forte.

    E sia! Edwin, seguici! – disse infine Melvin. Rifugiamoci nel bosco!

    Intanto delle guardie avevano raggiunto il luogo dello scontro.

    Sir Dalken, scusi il ritardo. Ora ci occuperemo noi di loro. – dissero queste inseguendo i fuggitivi.

    Dalken si tolse l’elmo; sotto vi era un uomo moro dai bei lineamenti e

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