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La compagnia degli esuli
La compagnia degli esuli
La compagnia degli esuli
E-book217 pagine2 ore

La compagnia degli esuli

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Info su questo ebook

Molto tempo fa la Tessitrice di destini, una fata sedotta dalla magia nera, scatenò una guerra contro tutti gli esseri viventi, con l’intento di soggiogarli a lei e al dio delle Ombre. Solo un potente stregone nomade, alleatosi con i maghi imperiali, riuscì a fermarla e a imprigionarla ai piedi dei Monti Perduti dietro una barriera che si autoalimentava assorbendo l’energia stessa della Tessitrice.
Per potersi liberare la Tessitrice aveva bisogno dell’aiuto di un demone, immune alla magia della barriera, la cui forza era racchiusa in due spade. Riuscì a farsi consegnare la prima da un suo fedelissimo, quando ancora la sua magia non era stata completamente debellata. La seconda si trova nelle mani di un orfano senza fissa dimora, un giovane attratto dall’avventura: il suo nome è Caidan.
Richiamato presso la spada dall’entità che vi alberga, Caidan se ne è impossessato rimanendo ben presto vittima della volontà del demone che brama ricongiungersi alla Tessitrice.
Per l’impero è prioritario che ella non si riunisca alle spade demoniache, se così fosse potrebbe di nuovo pianificare la conquista del mondo intero per soggiogarlo al suo volere. Caidan deve dunque essere fermato a ogni costo.
L’ordine dei maghi imperiali è stato disciolto, la guerra che si protrae da decenni, tra i vari regni, ha decimato l’esercito e i civili sono in grande difficoltà. L’imperatore decide pertanto, in segreto, di incaricare Rubino, ex mago imperiale, di formare una compagnia per fronteggiare la minaccia incombente. Ne fanno parte, un ladro, un’arciera mercenaria, un disertore, un assassino e altri improbabili eroi, ma la tenuta del gruppo è instabile.
Secondo capitolo di una straordinaria saga fantasy.
LinguaItaliano
Data di uscita1 mag 2020
ISBN9788832926804
La compagnia degli esuli

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    Anteprima del libro

    La compagnia degli esuli - Gianluca Comunale

    loro.

    Prologo

    L’assassino comparve da dietro una delle numerose colonne presenti nell’ampio salone. I lunghi pugnali in mano. A destra quello con la lama stretta e lunga, a sinistra quello largo che, con un abile movimento delle dita e del polso, adagiava lungo l’avambraccio a creare una sorta di scudo col quale ripararsi dagli attacchi. Entrambi forgiati con una lega magica dal colore rosso scuro. Era pronto a colpire.

    Aveva fatto scorrere il pesante chiavistello negli appositi alloggi, chiudendo i battenti in modo tale da non far entrare nessuno.

    Rimanendo nella zona d’ombra si diresse verso il fondo della stanza, l’unica illuminata. Osservò l’uomo seduto a un tavolo pregiato. Tamburellava con le lunghe dita sulla superficie lucida. Gli anelli d’oro, incastonati di pietre preziose, mandavano bagliori di luce al ritmo del loro movimento.

    Improvvisamente si fermarono.

    Sei arrivato.

    Non era una domanda. Sapeva della sua presenza.

    Inutile rimanere nascosti. Il sicario uscì alla luce. I due si fissarono.

    Vedo molta rabbia nei tuoi occhi. Hai perso la freddezza?

    Non ottenne risposta e nemmeno se l’aspettava. Sapeva di essere ancora vivo solo perché l’assassino aveva deciso così e per nessun altro motivo.

    Si portò in avanti, appoggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita.

    Sei sicuro di volerlo fare?

    Rumori di passi veloci si levarono nel silenzio che seguì la domanda, attenuati dalla pesante porta. Arrivavano rinforzi.

    L’uomo si raddrizzò, appoggiando la schiena all’alto schienale lavorato in rilievo, che scricchiolò sotto il suo peso. Un sorriso storto si formò sulle sue labbra.

    Bussarono pesantemente.

    Signore? Signore?

    Un violento colpo fece capire loro che i soldati stavano per fare irruzione.

    La testa bionda del nobile si piegò da un lato, in attesa di una risposta.

    Sai che sei già morto, vero? Furono le prime, minacciose parole del sicario.

    Dici? Non esserne così certo.

    Un altro colpo riverberò sulle pareti.

    L’uomo voltò la testa verso un angolo della stanza. L’assassino seguì la direzione del suo sguardo e notò una donna in piedi in una nicchia. Era scarsamente illuminata, ma poteva vedere chiaramente il bagliore della pietra azzurra che pendeva da un diadema al centro della fronte.

    Un colpo più violento, accompagnato da sbuffi di fatica e dolore, fece cadere dei chiodi dal chiavistello, che tintinnarono sul pavimento in marmo lucido.

    L’uomo estrasse un ciondolo uguale a quello della donna da sotto la camicia e se lo fece adagiare sul petto con teatralità. Il sorriso si allargò.

    Il sicario fissò la pietra. Poi portò l’attenzione alla donna, che non trattenne una lacrima.

    Tornerò, le disse.

    Si voltò verso l’uomo e gli puntò contro il pugnale.

    Tornerò, ripeté in tono più duro e minaccioso.

    Ci fu uno schianto quando, finalmente, i soldati riuscirono a sfondare la porta sciamando all’interno.

    Eccolo!

    Prendetelo, presto!

    I due uomini si fissarono ancora qualche secondo, mentre le guardie si precipitavano nella loro direzione, il rumore dei loro passi rimbalzava lungo le pareti.

    Il sicario non sembrava preoccupato del loro arrivo. Poi abbassò l’arma e si allontanò con una corsa silenziosa verso un angolo del salone, girando dietro a una grossa colonna.

    Una guardia vi si precipitò immediatamente, svoltò e rimase sbigottita.

    È sparito…

    1

    Arual

    L’anziano mago si faceva strada tra la folla chiassosa. Era sconcertato dall’attrazione che quel macabro mercato suscitava nelle persone. Non vi erano solo compratori, ma anche e, forse più, curiosi venuti lì a vedere la mercanzia . Questo faceva della piazza di Raven la zona del mercato più affollata.

    Sapeva di dover fare in fretta, ma non era facile aprirsi un varco in quella marea di gente.

    Il lungo bastone nodoso picchiava sul selciato mentre avanzava. Vi si appoggiava pesantemente. Non era solo un ornamento magico, ma anche uno strumento pratico. La sua gamba lo reggeva a malapena, ormai, costringendolo a zoppicare. Si guardava intorno, in cerca della sua meta. Fortunatamente i palchi erano alti, così da poter vedere le persone sopra di essi. Ma bisognava comunque avvicinarsi abbastanza, per distinguere meglio le fisionomie. Passò vicino a un’impalcatura dove l’asta era nel vivo delle trattative.

    Sessanta! Te ne do sessanta per quello giovane!

    Solo sessanta? Suvvia, potete far di meglio. Guardate il colore della pelle. Denti perfetti e bianchi e poi i muscoli. Avete notato che muscoli?

    Ottanta! urlò un altro.

    Già meglio. Nessuno offre di più?

    Il mago distolse lo sguardo con disgusto, amareggiato dal fatto che stava per esibirsi nello stesso giochino. Avanzò facendosi largo. Si avvicinò a un palco appoggiato al muro di una palazzina. Sopra erano schierate sei o sette persone, tra maschi e femmine di età diverse. Ma ciò che gli interessava stava in disparte. Era seduta su una cassa, ai margini del tavolato, legata mani e piedi. Evidentemente era già destinata. Si avvicinò. Un uomo alto e magro gestiva le offerte della folla. In quel momento non ce n’erano. Le persone erano intente a osservare la merce. Il mercante aspettava paziente. Il mago si appoggiò al bastone e frugò sotto il mantello. L’occhio allenato del commerciante lo notò subito. Più che altro notò il rubino grosso come un pugno in cima al bastone, chiuso tra tre rami che lo ghermivano come fossero dita.

    Aprì la bocca, ma il mago non lo fece parlare.

    Duecento per la ragazza, disse, indicando con un gesto del capo la donna seduta sulla cassa.

    Il venditore rise.

    Mi spiace, ma non è in vendita.

    Rifiuta l’offerta? si finse incredulo il vecchio.

    Sì. Me ne hanno offerti trecento d’argento per quella, quindi non se ne fa nulla. Ma ho altro da farle vedere.

    Il mago, per tutta risposta, gettò la borsa di pelle sulle assi, che produsse un tintinnio metallico mentre si apriva, mostrando il contenuto. Il mercante deglutì alla vista di ciò che vi era dentro.

    "Duecento d’ oro."

    Il commerciante deglutì ancora.

    Io…

    Era indeciso. Evidentemente la ragazza non era solo in vendita, ma era una richiesta precisa. Una commissione per qualcuno. La cosa si faceva più complicata del previsto.

    I presenti erano tutti voltati verso di loro per assistere alla compravendita.

    Devo dedurre che rifiuta l’offerta? ripeté il mago.

    L’uomo fissava le monete quadrate nel borsello. Sembrava che comunicasse con loro.

    Va bene. A quanto pare lei è irremovibile. Allora me le riprendo.

    Allungò la mano e afferrò i cordoncini, tirandoli e chiudendo i lembi.

    Aspetti!

    Il mago interruppe il gesto, aspettando che parlasse. Sapeva che l’uomo non aveva mai visto tanto denaro di quel valore in vita sua.

    Mi dica buon uomo.

    La frase gli uscì a fatica. Detestava quell’essere.

    Il venditore si guardò intorno, leccandosi nervosamente le labbra. Evidentemente non vide nessuno che potesse preoccuparlo.

    Va bene, accetto.

    Andò velocemente verso la donna, la sollevò senza troppi complimenti, guadagnandosi un’occhiata velenosa da parte sua. Sguainò un coltello e le liberò i piedi. La spinse verso il mago.

    È tutta sua.

    Anche le armi, grazie.

    Il commerciante spalancò gli occhi e la ragazza sorrise malignamente.

    Le armi?

    Sì.

    In genere, quando si vendevano soldati o combattenti, le loro armi venivano vendute separatamente, per avere un ulteriore guadagno.

    È una schiava, non posso darle armi. È contro la legge.

    E chi ha detto che sarebbe diventata schiava? È libera.

    Il venditore iniziava a pentirsi della scelta fatta.

    Inaspettatamente, la donna fece passare le mani ai lati del coltello che l’uomo stringeva ancora in mano, tagliando la corda che le legava i polsi e liberandosi. Lo afferrò alla gola, stringendo fortemente. Colpì il braccio del mercante, facendo volare via il pugnale.

    Dove sono? chiese a denti stretti.

    Il colore del viso del venditore già cambiava per la mancanza di ossigeno.

    La stretta si serrò di più, facendolo boccheggiare. Alzò una mano e indicò un carro vicino al palco. La donna lo spinse via con violenza, mandandolo a terra. Si diresse a grandi passi verso il punto da lui indicato e scomparve dietro il telo, per uscirne qualche minuto dopo con una piccola faretra al fianco, dalla quale usciva un’unica asta di freccia, un arco a tracolla e legandosi un fodero sul fianco opposto ne estrasse un lungo coltello. La lama scintillò, facendo gemere i presenti e indietreggiare a carponi il venditore. Lei, invece, si avvicinò alle persone in attesa di essere vendute. Guardò il mercante di schiavi con aria di sfida e tagliò la spessa corda che passava negli anelli alle loro caviglie, liberandoli.

    No! Cosa fai lurida…

    La donna gli fu addosso in un baleno, la punta della lama appoggiata al collo arrossato per la morsa di prima.

    Penso che tu abbia guadagnato abbastanza per oggi, bastardo.

    Spinse il pugnale verso il basso, obbligandolo a schiacciarsi sulle assi di legno.

    O no?

    Il venditore deglutì. Il movimento della trachea bastò alla punta per incidere la pelle e farne uscire un rivolo di sangue.

    S-sì…

    Ma la donna indugiava. La tentazione era forte. La voglia di ammazzare quel verme era tanta.

    Intervenne il mago, che, fino a quel momento, aveva assistito in silenzio.

    Penso che possa bastare, Arual. Non macchiarti del suo sangue, non ne vale la pena. Penso che avrà già i suoi grattacapi con l’altro acquirente.

    A quelle parole il volto del mercante sbiancò. Arual sorrise soddisfatta.

    Hai ragione, vecchio.

    Si raddrizzò e rinfoderò il pugnale. Gli altri schiavi erano ancora lì, rapiti dagli accadimenti.

    Cosa aspettate? Via! urlò loro l’arciera.

    Si fiondarono giù dal palco, dileguandosi tra la folla stupita.

    Arual scese a sua volta.

    Non abbiamo molto tempo, disse l’anziano.

    Come conosci il mio nome?

    Non ora, dobbiamo andare, le disse, afferrandola per il braccio e tirandola tra la gente. Alle loro spalle udirono una voce profonda.

    Buongiorno, Alem. Dov’è la mia preda?

    Per la terza volta in pochi minuti un sorriso piegò le labbra di Arual.

    Arrivarono all’incrocio con la fontana. Il mago diresse lo sguardo a sinistra. Il ragazzo era appena passato. Poteva ancora avvertire la sua aura.

    Cosa c’è? domandò Arual.

    Nulla, fu la risposta del vecchio.

    Si voltò nella direzione opposta. Una donna con una giara avanzava per la strada con due bambine mezze bagnate al seguito. Continuavano a spintonarsi e sbeffeggiarsi.

    Andiamo.

    Come mai tanta fretta?

    Non ora.

    Arual iniziava a spazientirsi, ma decise di rimanere in silenzio. Si accodò al vecchio, in attesa di un momento migliore per ottenere spiegazioni.

    Posso sapere almeno il tuo nome?

    Rubino, rispose senza voltarsi.

    Guardava verso un gruppetto di persone che avanzava a passo svelto. Cinque erano guardie, l’altro un tipo dalla parlantina svelta che si rivolgeva a un soldato dall’aria esasperata.

    Volevo solo vendergli qualcosa, è il mio lavoro, in fondo vivo di quello, ma quando ho visto il suo volto, dovrebbe vederlo per capire, certo ora lo vedrà, è spaventoso…

    I sei sparirono tra la folla.

    Rubino allungò il passo. Non abbiamo molto tempo. Dovevano raggiungere il cancello prima che chiudesse. Di lì a poco sarebbe successo l’inferno. Non era facile, con le centinaia di persone che affollavano la strada.

    Arual si strinse nel mantello che il mago le aveva passato per coprire le armi. Dovevano superare il posto di guardia e, anche se chi usciva era meno controllato di chi entrava, era comunque meglio prendere precauzioni.

    Rubino si guardava intorno, frenetico.

    Chi cerchi? chiese Arual.

    Un amico.

    Non mi piace che mi rispondi sempre in modo vago. Mi innervosisce.

    Hai ragione e ti chiedo scusa. Come ho avuto modo di dirti prima, a tempo debito avrai le spiegazioni che cerchi.

    Il tempo passava e il fermento che si creò tra la folla fece capire a Rubino che non ne avevano più a disposizione.

    Giunti in prossimità del cancello, la sua attenzione fu attirata da un movimento lungo le mura. Un cavallo brucava l’erba ai margini della strada che costeggiava la recinzione. Si avvicinarono di qualche passo e videro a terra il corpo esanime di un giovane.

    Per gli dei… imprecò il mago e si diresse verso di lui col passo più veloce che la gamba malata gli consentiva, seguito dall’arciera incuriosita.

    Rubino si chinò sul corpo. Un pugnale da lancio era infilzato nella scapola, la casacca zuppa di sangue. Arual afferrò le redini del cavallo, accarezzandogli il collo per calmarlo.

    Povero ragazzo, in che guaio ti ho cacciato questa volta, sentì dire al mago.

    Chi è?

    L’amico che cercavo.

    2

    Il disertore

    Il fiato iniziava a mancargli. Erano ormai parecchi minuti che correva e, ancora, non era riuscito a seminare gli inseguitori. I soldati avevano smesso di intimargli di fermarsi e urlargli ogni tipo di insulto. Probabilmente anche loro iniziavano a risentire della lunga corsa.

    Eppure non mollano la presa.

    Avevano corso per strade e vicoli di quella città, la sua città, ma non era riuscito a lasciarli indietro.

    Si voltò velocemente per dare un’occhiata. Non riuscì a stabilirne il numero. Ci voleva un diversivo. Non avrebbe retto ancora a lungo.

    Giunto in una piccola piazza, vide un uomo alto e muscoloso legato mani e piedi a una tavola di legno. Sopra la sua testa c’era un cartello a indicare i crimini commessi, la punizione a lui riservata e il monito, verso chiunque si fosse macchiato dello stesso reato, di subire la stessa sorte.

    Forse ho trovato un alleato.

    Lo raggiunse e, velocemente, tagliò la corda che lo legava.

    Gli mise in mano un pugnale e si voltò verso i soldati che stavano arrivando.

    Mi chiamo Galant. Diamo una lezione a quei quattro giullari.

    Il sorriso beffardo delle guardie e il rumore di passi in corsa che si allontanavano, gli fece capire che le cose non erano andate proprio come si aspettava.

    Ti sei macchiato di un altro reato, Galant. Hai liberato un prigioniero, aiutandolo a fuggire e fornendogli addirittura un’arma, gli disse beffardo uno di loro.

    Ora aveva il tempo per contarli. Non erano quattro, ma undici.

    Gettò la spada in terra e allargò le braccia, arrendendosi.

    I soldati gli furono addosso, immobilizzandolo senza troppe cerimonie.

    La porta della cella cigolò e si chiuse con un clangore

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