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Un sole che sorge
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E-book257 pagine3 ore

Un sole che sorge

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Info su questo ebook

«Le radici profonde non gelano»: questo motto accompagna la vita del Casale da cinque generazioni, come l'Ulivo centenario che cresce in cortile.

Emma e Guglielmo, i figli di Raimondo e Camilla, crescono immersi nella campagna, assaporando la ciclicità delle stagioni, mentre pian piano la modernità si innesta sulle tradizioni.

Il futuro del Casale sembra già scritto: Guglielmo sarà l'erede della fortuna di famiglia, mentre a Emma, secondogenita e donna, non resta che trovare la propria strada. Ma quando una tragedia improvvisa si abbatte sulla famiglia, il vecchio ciclo si rompe. Emma dovrà imparare a far fronte alle difficoltà economiche del Casale, e alle proprie emozioni.
LinguaItaliano
Data di uscita14 ago 2020
ISBN9788831687737
Un sole che sorge

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    Anteprima del libro

    Un sole che sorge - Marina Angelini

    1978..

    Capitolo 1

    In ospedale

    Emma non riesce proprio a rassegnarsi. Guglielmo ha realmente deciso di non venire in Italia per salutare un’ultima volta suo padre ormai morente.

    Lui si è giustificato appellandosi alla sua causa di perfetto uomo d’affari, di perfetto padre di famiglia, di perfetto marito. Ma ormai Emma ha capito che questo buonismo è solo una buona facciata per il suo egoismo. Nasconde anche a sé stesso la sua verità più intima.

    Fin da quando era nato, sua mamma Camilla e suo papà Raimondo lo rivestivano di attenzioni, era il figlio tanto atteso, il figlio maschio, l’erede.

    Dopo la perdita della loro prima figlia alla tenera età di due anni, Camilla aveva un solo scopo nella vita: riversare ogni battito del suo cuore in quello del nuovo figlio, per lenire il dolore sempre così intensamente vivo e così maledettamente intenso.

    Alla nascita Guglielmo divenne il principe della casa, un pargolo coccolato e tanto amato da tutta la famiglia. Da piccolino era cicciottello, pieno di pieghe sul collo, rotolini sulle cosce, sulle braccine e abbellito da tanti riccioli biondi.

    Persino zia Gaetana, che non amava particolarmente i mocciosi, diventava la zia Nana sempre pronta a rotolarsi con lui sul pavimento e a inventarsi ogni sorta di gioco pur di vederlo felice.

    Sembrava veramente che la gioia avesse soppiantato il dolore in quella casa, perlomeno in apparenza.

    La nascita di Emma stravolse gli equilibri e ciò che prima per Camilla era importante divenne meno importante, ciò che era desiderabile divenne un po’ meno attraente e il principe della casa da primo si trovò essere l’ultimo.

    Guglielmo non perdonò mai l’essere soppiantato al posto d’onore. In tutto quello che faceva e diceva rimarcava continuamente il suo primato congenito. Pretendeva di possedere ogni cosa, dall’affetto, al tempo, alle persone. Raimondo lo accontentava sempre in tutto perché lui, a differenza di Camilla, ha sempre avuto un debole per il figlio maschio.

    «Ma possibile che non riesci a capire che a papà mancano solo poche ore di vita e che gli farebbe piacere vederti per l’ultima volta? Avanti muoviti, metti il sedere sul primo aereo e vieni in ospedale!»

    «Emma però non insistere, te l’ho già spiegato! Mi dispiace... ma in questo momento mi è proprio impossibile assentarmi dal lavoro per correre lì, e poi... sai benissimo il momento delicato che stiamo passando a causa del licenziamento di Stephanie e dei suoi ricorrenti attacchi di panico» il tono fermo e seccato di Guglielmo mette definitivamente fine al proseguo della conversazione.

    «Camillaaa...»

    Raimondo non ha più le forze, si sta spegnendo a poco a poco. È arrivato a pesare trentotto chili, centellina anche il respiro nella speranza di poter rivedere ancora una volta il suo amato figlio, prima che sia troppo tardi.

    «Papà, sono Emma, tua figlia. Eccomi, sono qui, non sforzarti.»

    Emma chiude immediatamente la telefonata con Guglielmo e rientra nella stanza di suo padre. Si avvicina premurosa al letto e gli riprende subito la mano per ristabilire quel contatto così rassicurante per lui.

    Ultimamente è l’unico modo con cui comunicano.

    Raimondo non riesce più a trovare la parola giusta per poter sostenere un discorso e ormai da mesi ha preferito isolarsi dentro il suo mondo, abbandonando tutte le parole ormai inutili e superflue nel suo stato.

    Per Emma il silenzio non è un ostacolo, riesce comunque a entrare in contatto con lui. Il linguaggio per lei si è semplicemente trasformato, passando dal suono delle parole a gesti eloquenti, soprattutto contatti fisici. Una carezza, un abbraccio o un semplice sguardo sono sufficienti a Raimondo per tranquillizzarsi e colmare il vuoto presente nel suo mondo.

    «E... Gu... Guglielmo?» sussurra con un filo di voce flebile Raimondo, temendo di ricevere una risposta negativa.

    «Papà, Guglielmo ha prenotato il biglietto dell’aereo per venire il più presto da te, qui in ospedale, ma oggi come sai c’è lo sciopero dei piloti e non riesce proprio a partire. È molto dispiaciuto. Arriverà appena possibile. Intanto mi ha raccomandato di darti un grandissimo bacio.»

    Avrebbe invece voluto urlargli in faccia tutta la sua rabbia, avrebbe voluto finalmente fargli capire che quel figlio che lui ha sempre nobilitato, in realtà è un grande egoista e che non ha alcuna intenzione di venire a trovarlo.

    Per Emma si prepara un’altra lunghissima notte insonne. Nel bagno della stanza ospedaliera di Raimondo si sciacqua ripetutamente il viso con l’acqua fredda per provare a togliersi di dosso un po’ della stanchezza e dell’amarezza assimilata negli ultimi giorni.

    Ecco, sono usciti ancora più capelli bianchi. Vent’anni fa al primo capello bianco trovato, ci ridevo su con Viola, pensando a uno scherzo della natura. Ora non riesco più a contarli. I tanti dolori... li hanno triplicati.

    Gli ultimi mesi di aggravamento della malattia e le tante vicissitudini passate negli ultimi anni parlano attraverso il suo aspetto. Sentendo bussare alla porta della stanza, Emma interrompe l’analisi minuziosa dello scorrere del tempo davanti allo specchio, sistema l’asciugamano ed esce prontamente dal bagno. Con un sorriso si ricorda il detto di zia Gaetana: Corna e capelli bianchi non aspettano gli anni .

    «Emma, ti ho portato qualcosa da mangiare. Cerca di riposarti un pochino, sono giorni che sei incollata a questo letto. Guardati, i tuoi occhi sono stanchissimi. Non ti devi preoccupare, ci siamo anche noi che pensiamo a lui. Siamo qui per questo.»

    Senza aspettare risposta, Filippo appoggia il vassoio della cena, preparato con amorevole cura dalla cuoca, sopra l’unico tavolino presente nella stanza, sotto la finestra. Le ha fatto cucinare un piatto caldo accompagnandolo con il pane di zia Celeste che, dal giorno in cui suo fratello Raimondo è stato ricoverato, non lo ha fatto mai mancare alla cucina dell’ospedale.

    L’ospite con cui Raimondo condivide il medesimo destino, è stato opportunatamente sistemato in un’altra stanza al piano superiore.

    Con l’aggravarsi delle condizioni, Filippo si è prodigato per riservare a Raimondo uno spazio di intimità, affinché nei suoi ultimi giorni sia custodita tutta la sua dignità, garantendogli al contempo rispetto e discrezione. La stanza è a completa disposizione di Raimondo e della sua famiglia. Casa San Gabriele è un’eccellenza per questo genere di patologie. All’interno è presente ogni tipo di comodità volta a rendere più confortevole la permanenza degli ospiti: televisore, aria condizionata, bagno attrezzato con ogni tipo di accessorio adeguato alle diverse disabilità, poltrona comoda per i parenti, luci e temperatura regolabili.

    Tutti i letti sono comprensivi di materasso antidecubito e sono azionabili elettronicamente, regolabili in altezza, inclinabili sulla schiena, sulle cosce, sulle gambe, aventi anche la possibilità di sollevarsi e piegarsi a poltrona permettendo una posizione seduta per un’alzata facilitata.

    L’ampia finestra della stanza offre una meravigliosa vista sulle dolci colline toscane coltivate a vigneti e sugli estesi campi colorati di lavanda.

    «Emma, dopo aver mangiato con calma, ti dico ancora una volta che puoi riposarti qui sul secondo letto. Ho fatto cambiare le lenzuola, non sentirti in imbarazzo» insiste educatamente accarezzandole la schiena.

    «Non c’è bisogno di fare l’eroina, devi riprendere le forze. Raimondo ha ancora bisogno di te.»

    Vista la grande confidenza che ha con lei, si permette di avvicinare una sedia e sedersi accanto a lei per parlarle con tono più rassicurante.

    «Sai benissimo che in questa struttura protetta ci prendiamo cura non solo degli ospiti ma anche dei familiari che li assistono, è il nostro codice etico.»

    Filippo è il suo infermiere preferito, sempre sorridente, affabile, cortese. I capelli lunghi raccolti, annodati sul retro in un accuratissimo codino, molto corti ai lati e con lunghe basette sottili ben curate, gli conferiscono un look da avventuriero che poco si addice alla sua spiccata serietà professionale. È un appassionato di ballo e accompagna tutte le sue mansioni infermieristiche con eleganti passi di danza e graziosi inchini. Il solo vederlo allarga il cuore.

    La sua è veramente una missione. Emma adora osservarlo mentre si prende cura dei pazienti, quando somministra loro la terapia, quando li pettina o accorcia loro la barba, quando con dolcezza mette a tacere le urla dei più nervosi e quando con grande esperienza, risolleva chi è sconsolato magari invitandolo a un allegro giro di valzer lungo tutto il corridoio del secondo piano.

    Ogni sera durante il consueto giro per la somministrazione della terapia, si preoccupa di rimboccare ad ognuno le coperte, regalando loro un sorriso e un dolce pensiero per la notte, prima di spegnere la luce dando appuntamento alla mattina successiva. Guglielmo avrebbe imparato molto da persone come Filippo. Ma non è mai venuto.

    Dentro l’oblio

    «Bella vieni qui, che carina, che bellina, come ti chiami?»

    «Signora Rosa buongiorno, sono Emma la figlia di Raimondo.»

    «Vieni avvicinati, dammi un bacetto. Che carina che sei.

    Chi sei, come ti chiami? Che bellina.»

    «Rosa, sono Emma la figlia di Raimondo. Il signore della stanza accanto alla sua, la stanza con le pareti tutte azzurre.»

    Emma alterna i momenti di assistenza al padre, con momenti in cui cerca di alleggerire la tensione passeggiando nello spazio ricreativo adiacente alla stanza di Raimondo. È un semplice salottino con ampie vetrate che consentono alla luce e al calore del sole di penetrare all’interno del complesso. I degenti dell’ospedale, durante il giorno, sono soliti riunirsi lì per godere della compagnia reciproca, quando non passeggiano nell’esteso parco esterno che circonda tutta la struttura.

    Emma ha imparato da subito come meglio rapportarsi con loro, grazie alle indicazioni esperte di Filippo.

    Ognuno ha la sua particolarità che per quanto difficile, va accolta e mai ostacolata. In questo modo si evita un’escalation di nervosismo difficile poi da placare e da gestire.

    Filippo è sempre prodigo di consigli, segno evidente della passione che mette in tutto il suo lavoro. «Mi hai portato le carte? Luciana non c’è? Ma perché non viene Luciana? Dove sta Luciana? Dove sta luciana? Dove sta luciana?!?»

    Rosa cambia umore repentinamente, passa dalla dolcezza alla cattiveria, dal pianto al riso nel giro di pochi minuti «Bellina come sei carina, dammi un bacetto, vieni qui vicino a me, dammi un bacetto bellina. Che carina che sei.»

    Ma il tono cambia di nuovo e le sale la rabbia: «Luciana Dove sei? luciana, Disgraziata Dove sei? Disgraziata! Dove sei? Disgraziata me!»

    Rosa non smette di urlare pronunciando ora parole incomprensibili, con una forza sproporzionata alla sua corporatura minuta e alla sua età avanzata. Di scatto si alza in piedi lasciando cadere senza curarsene, la coperta rossa che le riscalda le gambe e si avvicina caparbiamente alla vetrata che si affaccia sul cortile dell’istituto.

    Scruta fuori, fissando immobile un punto indefinito in lontananza, gridando e sbattendo i pugni addosso al vetro resistente.

    Sono cinque anni che alloggia lì.

    La figlia Luciana non viene mai a trovarla, lei ha un lavoro molto importante, dalle sue decisioni dipende la stabilità di tante famiglie. È un’imprenditrice e difficilmente trova il tempo da passare con sua madre.

    Filippo richiamato dal clamore di Rosa accorre prontamente da lei poggiando delicatamente la mano sulle sue spalle.

    «Rosa, che fai in piedi vicino alla finestra? Hai preparato il tè per Luciana che viene? Ti va di preparalo insieme a me?

    Vieni, dammi le mani che ti accompagno sottobraccio, sarò il tuo cavaliere, andiamo in cucina a prepararlo insieme.» Rosa si calma all’istante per cercare di afferrare e comprendere le domande studiate di Filippo mirate a distrarla su ciò che l’aveva fatta arrabbiare.

    «Prendiamo anche i biscotti, quelli con la marmellata che ti piacciono tanto oppure preferisci quelli al miele che ha preparato questa mattina la cuoca? Hai sentito il buon odore di cannella che veniva dalla cucina?» Filippo sembra proprio un angelo pensa Emma mentre lo paragona a Guglielmo Non so come, ma è sempre presente nel momento del bisogno e sa sempre quale sia la cosa migliore da fare e le parole giuste da dire e lo guarda ammirata mentre lo vede allontanarsi sottobraccio alla signora Rosa.

    Mentre si avvia verso la cucina con Rosa, fa una sosta davanti alla stanza di Tonia, l’ultima in fondo al lungo corridoio, per riportarle il suo bambolotto preferito appena lavato col sapone al profumo di lavanda. Tonia gioisce nel prendersene cura, lo veste e lo sveste di continuo, occupando in questo modo le lunghe ore della giornata in un modo per lei consono. Da giovane era un’appassionata maestra elementare di matematica dal corpo muscoloso e sportivo. Dopo il pranzo, durante la pausa di riposo, posiziona tutti i bambolotti che ha nella sua stanza, sistemandoli seduti sulle sedie in fila ordinata, come fosse una classe di scuola e parla loro per ore, ripetendo a memoria una vecchia lezione di aritmetica e interrogandoli poi sulle tabelline.

    «Cococococococococco vieni? Cocococoocococco vieni? Cocococo...»

    Giovanna invece è una bella signora settantenne, sempre molto curata, con i capelli costantemente in ordine, vestita in modo semplice rivela un’eleganza derivante dal suo carattere umile fatto di modi educati e composti. Le sue mani callose rivelano tutta la sua lunga storia da allevatrice.

    Ha la stanza dalla parte opposta di quella di Raimondo. Al suo interno ci sono molti animali giocattolo che, quando premuti sul ventre, emettono il verso.

    Si capisce da come si relaziona con gli altri che è stata una donna forte e instancabile, fulcro essenziale sia della vita coniugale che di quella lavorativa. Sposata giovanissima con un uomo di gran lunga più grande, si è ritrovata improvvisamente un giorno, dopo la morte di lui, a non riconoscere più la strada di casa e da lì è iniziato tutto il suo calvario.

    Non c’è stato medico, non c’è stata cura che ha potuto arrestare questo processo degenerativo. Ora ripete di continuo quei suoni e quel richiamo agli animali che per anni sono stati la sua ragione di vita. Le uniche cose che la tengono ancora legata al proprio passato.

    Con la morte del marito e a seguito della sua malattia, sette anni fa si è dovuta trasferire dai suoi unici parenti al nord e la masseria, ormai abbandonata, è andata in disuso, tornata ad essere quello che era all’origine, solo terra e ruderi.

    Quei suoni meccanici prodotti dagli animali giocattolo ora fanno eco solo a ricordi lontanissimi, perdutamente in circolo nel vuoto della sua memoria e mai più ritrovati.

    Capitolo 2

    L’amicizia

    «Viola a che ora dobbiamo essere all’aeroporto? Devo prima passare in questura, mi sono accorta che il mio passaporto è un pochino scaduto.»

    «Emma, che vuol dire un pochino scaduto? Mi avevi assicurato che questa volta avresti controllato scrupolosamente ogni cosa. Possibile che non ti smentisci mai? E io che credevo che il traguardo del quarto di secolo ti avrebbe migliorata e invece...»

    Emma e Viola sono amiche per la pelle. Si conoscono fin da quando erano piccole. Il loro primo incontro risale alla scuola elementare, da quando la maestra Maria ha invitato Viola a sedersi allo stesso banco di Emma.

    Da allora non si sono più staccate. Hanno continuato a stare insieme, allo stesso banco, fino alla maturità classica, condividendo ogni esperienza, ogni gioia e turbamento che l’età riservava loro. Le prime cotte amorose, le vittorie e le sconfitte, le paure e i progetti erano vissute congiuntamente come se fossero due sorelle. Non c’era niente che Emma non sapesse di Viola così come Viola sapeva tutto di Emma.

    Al vederle sono una l’opposta dell’altra. Una alta, capelli lunghi e scuri e carnagione olivastra, l’altra più bassa, capelli corti e chiari e carnagione decisamente più bianca. Anche il carattere rispecchia la loro antitesi. Emma fin da piccola ha sempre sognato e fantasticato a occhi aperti sul suo futuro, Viola invece ha dimostrato fin da bambina una forte concretezza e determinazione per la realizzazione dei suoi progetti. Ma proprio per queste diversità si sono piaciute dall’inizio perché si completano a vicenda. Quando Emma diventa troppo inconcludente, Viola la riporta alla realtà, mentre quando Viola si perde dentro la serietà della praticità, Emma è solita alleggerirla con i suoi voli pindarici o, come dice lei, con i suoi tuffi pintafantasiosi .

    Viola negli anni si impegna ostinatamente a perseguire le sue aspirazioni e alla fine, riesce a imporsi come fotoreporter. Emma invece sceglie la strada già battuta della sicurezza e della stabilità delle sue radici, ripercorrendo le orme paterne nel Casale di famiglia.

    Nella visione ideale di Emma, il Casale ha sempre simboleggiato il valore reale e concreto della famiglia, dell’amore, della certezza. Il guscio protettivo dove rifugiarsi dopo ogni ferita. Purtroppo però, deve ricredersi puntualmente perché l’unica ad aspettarla per consolarla dopo ogni delusione è solamente Camilla e così la sua visione ideale va ogni volta in frantumi. Dopo gli anni burrascosi della scuola in cui Emma cercava continuamente le attenzioni paterne, focalizzate unicamente su Guglielmo, continua il suo difficile percorso di affermazione, elemosinando un posto al Casale e nel cuore del padre. Ma a nulla sono valsi i tanti tentativi, come quella volta che è sparita per due giorni senza lasciare traccia.

    In realtà dopo un diverbio con suo padre, si è rifugiata qualche giorno a casa di Viola, lasciando intendere fosse una fuga. Tutti però in famiglia ne erano al corrente e quindi il suo allontanamento non ha suscitato alcuna seria preoccupazione. Negli anni seguenti la fine della scuola si è occupata dapprima della contabilità del Casale, ma Guglielmo rimarcava continuamente i suoi errori dovuti alla poca concentrazione, in seguito ha messo in campo la sua creatività, prospettando alla famiglia nuovi investimenti e modelli alternativi di produzione, ma anche qui Guglielmo proponeva contestualmente soluzioni diverse sminuendo i suoi progetti, secondo lui difficilmente realizzabili.

    Successivamente ha anche provato a sporcarsi le mani diventando lei stessa agricoltore e allevatore, mescolandosi tra i lavoratori di suo padre. Ma anche lì Guglielmo riusciva a smorzare tutto l’entusiasmo con cui Emma si confrontava. Nel corso

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