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Odio nella terra, tarli nella testa
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Odio nella terra, tarli nella testa
E-book143 pagine1 ora

Odio nella terra, tarli nella testa

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Info su questo ebook

Horror - romanzo (103 pagine) - Non c’è salvezza dentro la Casamatta…

Sono menti spezzate, anime inquiete. Sono i Tarli. Otto ragazzi con problemi mentali abbandonati nella Casamatta, un ospedale psichiatrico, mentre all’esterno infuria un’apocalisse zombie portata da un essere chiamato il Puzzo dei Morti.
Il mondo intorno ai Tarli viene inghiottito dai cadaveri rianimati, ma l’avversario più temibile e pericoloso si trova proprio dentro la Casamatta…

Andrea Garagiola è nato a Busto Arsizio nel 1983. Vive e lavora a Magenta, in provincia di Milano. È un grafico, web designer e sceneggiatore.
Ha scritto per le testate Nathan Never e Agenzia Alfa della Sergio Bonelli Editore, Edizioni Inkiostro e la Scuola del Fumetto di Milano. Inoltre ha pubblicato racconti sia di narrativa che a fumetti su diverse antologie per BookMaker Comics, Cagliostro E-press, Delos Digital, Associazione Hyperion, Letteratura Horror e Ferrara Edizioni.
LinguaItaliano
Data di uscita6 mar 2018
ISBN9788825405156
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    Anteprima del libro

    Odio nella terra, tarli nella testa - Andrea Garagiola

    Edizioni.

    Uno.

    Tutti hanno una storia

    Gabbo se ne stava seduto sul muro di cinta della Casamatta, il manicomio che lo ospitava insieme a quelli che, nel bene o nel male, erano i suoi amici. Gli unici che aveva, gli unici rimasti.

    Il muretto separava la struttura dal canale artificiale che le scorreva a fianco e che ora era in secca. Una volta c’era anche un’alta recinzione, ma era stata divelta, così che gli ospiti della Casamatta potessero starsene a cavalcioni sul muretto, a osservare il letto del canale senza più acqua e una città in lontananza che era diventata troppo silenziosa e immobile.

    Gabbo diceva sempre che tutti hanno una storia. Lui preferiva le storie di coloro che venivano chiamati Dritti, cioè quelli che non erano finiti in manicomio come loro. Come i Tarli.

    Sì, Gabbo era uno dei Tarli e ne andava fiero. Non si poneva mai troppe domande, ma si dava sempre mille risposte. E una di queste era che il tarlo che viveva nelle loro teste li rendeva speciali. Gli altri spesso non credevano a ciò che usciva dalla bocca di Gabbo, ma col tempo iniziarono anche loro a pensare che essere Tarli non fosse così male. Che fosse speciale.

    E non avevano poi tutti i torti.

    – Guarda quello, Mela! – Gabbo lanciò un urlo stridulo verso la ragazza più giovane, più pallida e più silenziosa di tutto il manicomio. E mentre urlava indicava eccitato un Dritto obeso e con un abito firmato. – Guarda quanto è grasso quello.

    Mela rimase zitta, come sempre. Era da molto tempo ormai che aveva smesso di parlare, da prima che nella Casamatta rimanessero solo in otto. Da prima che diventasse tutto silenzioso e incomprensibile. Mela aveva smesso di parlare quando, a pochi giorni dal suo ventiseiesimo compleanno, la sua anima le era stata spezzata.

    Gabbo tutti i giorni le raccontava le sue storie e lei ascoltava, probabilmente le faceva anche piacere. Non è che esprimesse chissà quali emozioni con quelle guance bianche e quegli occhietti piccoli piccoli. Ogni volta lui faceva delle pause quando si aspettava una risposta della ragazza e spesso sembrava che lei gli rispondesse anche, solo che succedeva solo nella mente di Gabbo. E a lui andava bene così.

    – Quel ciccione ha quarantadue anni e fa il contabile in un’azienda di intimo femminile. È l’unico maschio di tutta l’azienda. Ci puoi credere? – Gabbo fece una pausa per udire la risposta di Mela che fece eco nel suo cervello. – Già, proprio così. E ha una vita di merda, tutte le donne che lavorano con lui lo maltrattano e lui si chiude in bagno a piangere e a mangiare barrette di Cioccocroccante. Proprio come quelle che ci sono nel distributore della sala visite della nostra Casamatta… Ti piace il Cioccocroccante? – Nuova pausa, nuova risposta silenziosa. – Non sai cosa ti perdi, è il mio preferito. Ovviamente ha una vita così di merda che nessuna delle sue colleghe se lo fila, anche se lui vorrebbe farsele tutte. Anche la più cessa che lavora nell’ufficio accanto non lo apprezza quel minimo da farlo sentire un essere umano. E lui allora cosa fa? Semplice, un giorno scende in produzione e ruba delle mutandine di pizzo nere, va a casa, se le infila e si rimira davanti allo specchio come una modella. Si piace. Ci prende gusto. E inizia a toccarsi qui…

    Gabbo fece scorrere una mano sul cavallo dei propri pantaloni di spugna e sorrise a Mela. La ragazza abbassò lo sguardo e ridusse ancora di più i suoi minuscoli occhi. Se non fosse stata così bianca, si sarebbe visto addirittura un alone di rossore sulle guance.

    – Gli piace così tanto toccarsi allo specchio che inizia a pensare che quella mano che lo fa tanto divertire non sia la sua, ma quella di una donna. La donna grassa e troia con le mutandine di pizzo nere che c’è riflessa allo specchio. Sono mesi, o forse anni, che continua così. Ogni volta che può torna in produzione e fa scorta di intimo di tutti i colori: mutande, reggiseni, collant. E ogni sera torna a casa e si fa masturbare dal suo patetico riflesso. Un giorno è davanti allo specchio, con il suo pistolino flaccido tra le mani e un bel paio di mutandine sexy rosse addosso, e realizza di essere un fallito. Questa consapevolezza lo travolge proprio e gli viene voglia di Cioccocroccante. Ne mangia dodici barrette, torna davanti allo specchio e si sente ancora più un fallito. Si infila il suo completo più elegante, sì, proprio quello che indossa ora, ed esce di casa… Per andare dove? Non lo sa nemmeno lui. Ed eccolo lì, che vaga nel letto del canale con le lacrime che gli pesano sotto gli occhi. Allora, che ne dici? Andiamo a tirar giù i calzoni a quel ciccione e sbirciamo le sue mutandine sexy?

    Nessuna risposta. Nemmeno nella mente di Gabbo.

    Gabbo rimase qualche istante ad attendere una risposta che non sarebbe arrivata, poi si allontanò. Lasciò Mela da sola seduta sul muretto, impegnata a osservare il Dritto che camminava avanti e indietro. Era assorta nei suoi pensieri. Forse si stava chiedendo se quell’uomo stesse realmente nascondendo delle mutandine sexy sotto quell’elegante abito. O, più semplicemente, la sua mente continuava a galoppare verso quel giorno di merda, quando la sua anima era stata spezzata e lei aveva perso ogni scintilla di vita.

    – Mela! – la voce di Etienne sorprese la ragazza e la fece voltare di scatto.

    Gabbo passò di fianco a Etienne e lo salutò con un cenno del capo. Il ragazzo rispose altrettanto, ma il suo sguardo era concentrato su Mela.

    – Mela, ascolta… – Etienne si avvicinò alla ragazza.

    Mela scese di scatto dal muretto, pronta a fuggire da un momento all’altro, se solo lui avesse fatto un altro passo verso di lei.

    Era da troppo tempo che Etienne voleva parlare con Mela, ma lei non gliene aveva mai dato occasione. Era dalla notte in cui lui le aveva frantumato l’anima.

    Mela non attese un passo falso di Etienne e si allontanò di corsa, stringendosi sulle spalle il maglioncino liso e bucherellato. Nascondendosi sotto di esso.

    Etienne attese che la ragazza fosse svanita dalla sua vista e poi si diresse verso il muretto.

    Osservò anche lui l’uomo che camminava avanti indietro e non ci vide un Dritto fallito che nascondeva dell’intimo femminile sotto i costosi vestiti. Vide qualcosa di spaventoso e un brivido gelato gli attraversò il petto.

    Due.

    Quanta tristezza per essere Natale

    Prima che tutto andasse a rotoli, era stato anche Natale. Quell’inverno era parecchio freddo e non era caduto nemmeno un fiocco di neve, ma nonostante questo il clima all’interno della Casamatta era festoso. Tutti gli ospiti amavano quel periodo dell’anno e fin dalle settimane che precedevano le festività si poteva sentire nell’aria un’elettrizzante eccitazione. Alcuni non vedevano l’ora dei regali. Altri, i più fortunati, erano ansiosi di tornare per qualche giorno dalle proprie famiglie.

    Il Natale li faceva sentire normali, anche se per poco.

    Ma quel Natale era diverso. I medici e gli infermieri non erano così felici come gli anni precedenti. Non c’erano più le carezze, le gentilezze e non c’erano i preparativi per la festa. C’era solo tensione, parole borbottate a denti stretti e facce tristi.

    Il personale passava tutto il giorno a guardare i notiziari e dalle loro facce le notizie non sembravano buone. I Tarli erano certi che non lo fossero. Venivano tenuti chiusi nelle loro stanze e non era permesso loro di guardare la TV. Stava succedendo qualcosa di davvero brutto.

    I medici sparirono un po’ ogni giorno, furono sempre meno. Poi anche gli infermieri. Poi anche i Tarli. Chi aveva ancora una famiglia che non li aveva rinchiusi lì dentro per liberarsi definitivamente di loro veniva fatto uscire con un qualche tipo di permesso speciale e tornava a casa. Giorno dopo giorno la Casamatta diventava sempre più vuota e silenziosa.

    A coloro che rimasero nessuno diede mai una spiegazione. L’ultimo ad andarsene fu il dottor Matti. Aprì tutte le stanze e, con gli occhi gonfi e la voce tremante, disse a ognuno di loro che Dio vi benedica. Poi sparì come tutti gli altri.

    I Tarli rimasero soli. Rimasero in otto.

    Tre.

    Cibo, escrementi e una tela

    L’odore di merda nella stanza di Pinocchio era insopportabile, ma alla fine ci avevano fatto tutti l’abitudine. L’igiene non era più una priorità nella Casamatta dopo che erano rimasti solo i Tarli.

    Pinocchio era il più Tarlo tra tutti i Tarli. Sul viso aveva dei lunghi capelli unti da cui spuntavano solo un paio di centimetri del suo naso perfettamente a punta. Forse era per il suo naso aguzzo che i genitori lo avevano battezzato Pinocchio o forse era solo per fargli un dispetto visto che si erano trovati un figlio Tarlo, quando invece loro desideravano un avvocato o un dottore.

    Ma a Pinocchio non interessava diventare un avvocato o un dottore, tutto quello che desiderava lo aveva. Sarà stato anche il più Tarlo tra i Tarli, ma almeno poteva starsene tutto il giorno nella sua stanza a dipingere.

    Aveva poche pretese. A lui bastavano una tela ricavata dalle lenzuola della lavanderia e qualcosa con cui imbrattarla per creare i suoi capolavori. Di solito si trattava di residui di cibo ed escrementi. Detta così, sarebbe potuta sembrare una schifezza, e l’odore che avevano le sue opere non aiutava a definirle altrimenti, ma Pinocchio aveva un’abilità e una sensibilità fuori dal comune. Riusciva a creare delle sfumature magiche usando feci di vari colori e consistenze, c’era quella dura e quella scura, quella liquida e quella

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