Gente di pianura
Di Ivan Tudisco
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Anteprima del libro
Gente di pianura - Ivan Tudisco
Ivan Tudisco
Gente di Pianura
Prima Edizione Ebook 2020 © R come Romance
ISBN: 9788893471954
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
www.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Paolo Ferrari 51/c
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
La trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
A chi non ha smesso di aprire il suo cuore nei miei momenti difficili.
Ivan Tudisco
GENTE DI PIANURA
Romanzo
INDICE
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
Nove
Dieci
Undici
Dodici
Tredici
Quattordici
Quindici
L’autore
Catalogo
Uno
Dalla piccola finestra che affacciava sul cortile del parco, si udivano profondi gemiti di piacere. Erano inginocchiati ai piedi di quella finestrina, tre ragazzi sui quattordici o quindici anni; felici e accalorati, come quei gemiti che diventavano sempre più piccanti. La casa in questione, era un tipico basso napoletano, un appartamentino situato sotto il livello stradale, in dialetto: vascio
.
Il vascio si trovava in un vecchio parco, nelle adiacenze del centro storico di Napoli; composto da tre palazzi di otto piani ciascuno, il complesso vantava professionisti di ogni genere: famiglie di operai, studenti e un paio di studi legati a compagnie di assicurazioni.
Di fronte alla finestrina, all’angolo del cortile, si trovava una gretta guardiola, dove al suo interno, un uomo sulla sessantina, con pochi capelli bianchi e viso glabro, svolgeva la mansione di portiere.
L’uomo leggeva e scriveva di continuo, e quando qualcuno passava da lui per chiedergli qualcosa, egli rispondeva o consegnava quello che doveva, sempre tenendo lo sguardo fisso, su ciò che stava leggendo o scrivendo.
La finestrina da cui provenivano quelle voci, era situata a dieci centimetri circa dal suolo, e i ragazzi per avere un punto audio migliore, dovettero piegarsi così tanto, che le loro fronti quasi toccavano il suolo. Un paio di loro si palpavano le parti basse, mentre commentavano con misurato entusiasmo, quegli epiteti piccanti che una voce maschile indirizzava alla sua partner: l’inquilina del vascio.
A un tratto, le sagome cupe dei due amanti, che i ragazzi vedevano attraverso la finestrina, smisero di fare su e giù; e si fece silenzio nella casa. Immobili come statue, i ragazzi compresero che la loro presenza era stata percepita.
«Eh jatevenne ja! Ma che piezze ‘e strunze! Prima o poi vi denuncio!» Urlò la donna, e benchè la voce provenisse dalla casa, si udì alta e penetrante.
Quando la donna urlò: «vi denuncio», con tutta la forza che aveva in corpo in quel momento, i ragazzi si dileguarono in meno di dieci secondi.
«Questi pezzi di… uhhh devono sempre farmi incazzare! Scusa amore ma adesso non è il caso, ti farò uno sconto, è meglio rimandare».
Gemma, una ragazza di venticinque anni, abbandonò la posizione erotica che aveva assunto fino a qualche minuto prima, e abbandonato anche il letto, indossò una vestaglia bianca ricamata da petali di rosa.
L’uomo, un ossuto signore sulla quarantina, con la barba a chiazze, evidentemente miope, molto miope, rimase inginocchiato sul letto come se stesse ancora perseverando nel suo atto carnale, ma con la bocca aperta da uno stupore incredulo e meschino.
«Ma come rimandare! Io non posso rimandare, proprio adesso dobbiamo rimandare? No viene ccà ja, nun fa accussì e che caspita!» Disse nel suo tono secco e deluso.
«Non ti arrabbiare adesso, anzi facciamo che non mi paghi ok? Non insistere però, su vai adesso, chilli guagliune m’hanno fatto venì nu male ‘e capa! Non ce la faccio, proprio non ce la faccio, rivestiti e vattene a casa, ci vediamo la prossima volta» rispose Gemma, sistemandosi il trucco.
«Sì per te è facile, guarda qui! Come faccio a uscire adesso?» Riprese l’uomo, indicandole il suo sesso.
«Il bagno è lì tesoro, sfogati e poi prendi la via di casa, tua moglie ti starà aspettando!»
L’uomo con la sua espressione stupita, e stavolta con un paio di occhiali dalle lenti molto spesse, completò il suo atto sessuale da solo, mentre Gemma seguitava a sistemarsi il trucco davanti a uno specchietto.
La camera da letto era piccola e completamente invasa da un odore stantio: conteneva un letto matrimoniale molto basso e di scarsa qualità, una cassettiera, un piccolo armadio, entrambi di terza scelta, e un piccolo comò sul lato destro del letto, su cui si trovava un lume da camera e uno specchietto.
Le pareti erano tappezzate di macchie d’umidità di ogni forma e misura; Gemma tentava di tanto in tanto di spazzar via con uno spray per ambienti al gusto lavanda, quell’odore di stantio che si ostinava ad aleggiare nella camera, come negli altri ambienti del vascio d’altronde.
Dopo una dozzina di minuti circa, l’uomo era pronto per lasciare la casa. Fornì un’altra prova del suo instancabile stupore nei confronti di Gemma, per averlo lasciato in bianco, ma lei presolo gentilmente per un braccio, lo accompagnò alla porta con tanto di bacio sulla fronte, e in pochi secondi l’uomo non c’era più. Oltre alla camera precedentemente descritta, l’appartamento era composto da un minuscolo e fetido bagno, e da un tugurio adibito a cucina con un modesto angolo cottura: un tavolo con due sedie, un vecchissimo frigorifero, e un paio di pensili appesi alle pareti. Gemma era una bellissima ragazza dai capelli nero corvino, lunghi fino alle spalle, occhi verdi e sottili, e labbra delicate.
Dopo mezz’ora circa, qualcuno bussò alla porta. Gemma era convinta che fosse ancora quell’uomo, tornato indietro nella speranza che lei avesse cambiato idea, e si avviò ad aprire, pronunciando degli epiteti poco delicati.
Uno stupore triste riempì il suo viso, quando vide sua madre varcare la soglia d’ingresso.
«Ciao, ho dimenticato le chiavi, quanto hai fatto oggi?» Esordì la donna, nel suo tono vivace, lasciandosi Gemma alle spalle.
«Venticinque» rispose Gemma sommessa, appoggiandosi alla parete del corridoio, come per trovare in essa un certo riparo.
«Venticinque? Gemma ti rendi conto? Chi era, un impotente?» Urlò sua madre, voltandosi di scatto.
«No, un ragazzo, non aveva nient’altro, era così carino e…»
«Carino?» La interruppe sua madre, «adesso ti permetti il lusso di impietosirti? Cosa ti ho detto un anno fa, quando abbiamo cominciato, ricordi?»
«Non esistono uomini belli, né brutti, né grassi, né magri, né ricchi, né poveri, ma solo uomini, e uomini disperati, altrimenti non verrebbero da noi,
e noi siamo la loro cura, e la cura si paga» rispose Gemma, come se stesse recitando una poesia imparata a memoria.
«E tu non l’hai fatto Gemma! Tu hai guardato quel ragazzo, hai guardato il suo cuore! Nel nostro mestiere sai cosa significa questo? Miseria.
E poi sai bene che Mario non fa sconti, noi dipendiamo da lui prima che dai clienti, è già rischioso fare questo lavoro, se non gli diamo quanto ci chiede, ci sbatterà fuori, e non potremmo lavorare in nessun altro posto della città, sai bene che lui ha questo potere, e poi… sai cosa ti potrebbe fare!»Terminò la donna, cercando di riprendere tutto il fiato che aveva adoperato, con rabbia e frustrazione.
Gemma arrossì, piegò giù la testa e pensò che non era il caso di confidare a sua madre che aveva mandato via un cliente senza farlo pagare, soltanto perché dei ragazzini l’avevano disturbata nel suo momento migliore.
«Perché non fai come me?» Riprese sua madre, «fai servizio a domicilio, guadagneresti di più, staie sempre chiusa ‘int’a sta cantina ammuffita!»
«Non lo so, io non… e se qualcuno mi riconoscerà?» Disse Gemma esitando.
«Figlia mia, credi che nessuno sappia quello che facciamo? Queste cose si vengono sempre a sapere prima o poi, ma questo non deve fermarci, ricordi perché abbiamo scelto questa strada? La fame Gemma, la fame.
Tuo padre era troppo stupido per badare alla sua famiglia, se non ci pensavamo noi… chissà, forse saremmo morte di fame. Io non mi vergogno, cioè non posso vergognarmi, perché se lo faccio smetto di campare, e anche tu non dovresti vergognarti. Fila sempre dritto a testa alta, e se qualcuno dei nostri amici o parenti verrà a sapere quello che facciamo, noi gli risponderemo a tono!» La donna terminò il discorso con qualche lacrima che prontamente asciugò; si rifugiò nel bagno sbattendo la porta, lasciando Gemma con la schiena appoggiata alla parete del corridoio.
Due
Alfonso fu svegliato da un sottile ma ripetuto squittio. I suoi occhi castani tentarono più volte di richiudersi, ma lo squittio seguitò con ancora più veemenza, e fu un caso di forza maggiore quello che lo indusse ad alzarsi per controllare da dove venisse il fastidioso rumore. Il sole era già entrato nella sua camera, illuminando a chiazze il pavimento e un lato del letto, per cui non fu facile iniziare un’accurata indagine, almeno fino a quando gli occhi non si fossero abituati alla luce.
Dopo alcuni minuti, Alfonso comprese con ironico stupore, cosa fosse quello squittio così fastidioso.
Sotto l’armadio della camera, nel