Olgan Main
Di Elena Maneo
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Anteprima del libro
Olgan Main - Elena Maneo
Supertecnologica
Capitolo 1
Nel covo dei pirati
Olgan Main si girava e rigirava in un morbido letto bianco con le lenzuola fresche e linde. Ma prima o poi sapeva che doveva lasciare quella beatitudine che il tempo gli concedeva. E parlando del tempo, per lui, era una grossa parola, importante e misteriosa. Il tempo era la cosa che trovava più affascinante. E lui viaggiava nel tempo, in cerca di alcuni oggetti per sistemarli nel luogo di origine.
Non aveva dei progetti per il futuro ancora, però. Al momento amava il viaggio nel tempo e trovare manufatti, oppure oggetti, anche se di poco valore. Correva dietro a questo fiume fantastico, alle volte lento, alle volte veloce e preciso.
Olgan era un ragazzo di diciotto anni dai capelli corti e castani, con due occhi intensi e azzurri, slanciato e alto per la sua età. Magro come un chiodo e gli piaceva indossare maglie e pantaloni sportivi, quasi sempre di cotone, anche d’inverno. In alcuni momenti indossava una giacca lucida e scura, e si tingeva i capelli di biondo. Ascoltava musica celtica e giocava al mago facendo scomparire oggetti trovati in epoche ben lontane, di villaggi ignoti e oscurati da paesi molto più noti e frequentati. Olgan, insomma, era veramente un ragazzo con una volontà di acciaio. Un carattere forte, perspicace e naturalmente amava sfidare il tempo. Studiava molto, soprattutto tecnologia e arte. Era riuscito a creare uno zaino invisibile, un congegno a forma di orologio con cui viaggiava nel tempo e una bussola che lo trasportava da una stanza all’altra, da un luogo a un altro. Aveva una missione da compiere: ricollocare oggetti nelle relative epoche.
Ed era giunto il momento di recarsi al Teschio d’Argento
, nel covo dei pirati, un’isola ricca di antichi velieri fantasma, navi di famosi pirati e contrabbandieri, ma alzare il sedere dal letto sembrava una grande impresa. Semplicemente affrontare uomini con un occhio solo armati di sciabola non gli andava per nulla. L’avventura però lo chiamava e il manufatto egiziano anche. Era quello che il suo oggetto trasportatore gli raccomandava. Sì, perché il trasportatore sapeva parlare. Oltre che essere un passaggio temporale era anche un cervellone, migliore del suo computer.
Il teletrasporto parlante era a conoscenza di molte cose, e consigliava sempre a Olgan la strada migliore da percorrere per evitare pericoli, agguati e via discorrendo. Aveva compiuto viaggi assurdi con il teletrasporto. Bastava premere un bottoncino bianco o semplicemente dare l’ordine a voce, e l’energia trasportava velocemente anche oggetti non solo persone, da un luogo a un altro.
«Signore, è ora di partire. Lo so, è imbarazzante per me doverglielo ricordare, e non sono certo uno stupido.»
La voce metallica del suo inseparabile teletrasporto fece scuotere il corpo del ragazzo da capo a piedi.
«Hai ragione, Lespo, ma ho una gran voglia di dormire» replicò Olgan al suo fidato compagno di viaggio.
«Signore, le ricordo che il nomignolo a me non piace.»
«Quale? Lespo? Ma è così carino!» rise il ragazzo.
«Sì, signore» fece la voce metallica. Era così strana, cauta, eppure fredda e sicura.
La casa di Olgan era una grande miniera rara, ma anche un mini museo.
Cristalli e pietre preziose erano dappertutto, sopra il divano, nell’armadio in camera da letto, tra vestiti e libri. Pezzi di antiquariato erano in cucina, in biblioteca, su terrazzini, sul davanzale delle finestre e poltrone. In salotto faceva bella mostra un grande acquario con pesci di acqua dolce, sopra a un tavolo rettangolare color panna. Una pianta in un angolo era raggiante e verdissima. Sopra un tavolo rotondo in legno, color noce, c’erano due candelieri d’argento, una tazzina vuota e un cesto di mele. Nello studio c’era una scrivania con sopra un computer e tanti cristalli rari, trasparenti, bianchi, gialli e blu, verdi e viola. C’era una poltrona molto elegante e raffinata dietro la scrivania, e una finestra da cui si godeva la vista della riviera delle palme. Le piastrelle del pavimento erano color mogano, mentre il soffitto bianco e basso. Le pareti azzurre e bianche, più adatte forse per la stanza da bagno, ma comunque carine.
«Ok, allora ti chiamerò Traspy, ti va bene questo nome?» fece il ragazzo, indossando i suoi vestiti migliori.
«Sì, signore, come vuole. Le ricordo che è ora di partire» fece l’oggetto sopra il comodino di legno mentre una sveglia suonava un motivo natalizio.
Qualche ora più tardi, Olgan prese il suo zaino invisibile, e andò a fare colazione in un chiosco, a due isolati da casa sua. L’aria profumava di salsedine, il sole era già alto, il cielo dolcemente azzurro.
Si ficcò le mani in tasca e diede un lungo respiro. Poi decise che era arrivato il momento di partire. Prese Traspy e lo manipolò per qualche secondo, poi sentì delle scariche elettriche pervadere il suo corpo. Fu invaso da una piccola pioggia di luci. Affrontò una miriade di parole, scritte in grassetto, e poi ancora luci. Infine piombò davanti a una locanda. Un cartello di legno recava la scritta Onk Bom
, ed era affissato in alto, sopra a una lanterna. L’enorme porta in legno, graffiata e malridotta. Si guardò in giro. Era il posto più sporco che avesse mai visto. Non era abituato a tanta sporcizia, d’altro canto, ci viveva gente poco raccomandabile. C’erano ubriachi che uscivano da piccoli edifici che sembravano baracche. Uomini che sputavano saliva e urlavano insulti a donne senza pudore. C’era un pontile di legno, dove a sinistra sfilavano case e taverne di uno strano color rosa, e poi c’era qualche cartello, barili di rum, scatole e scatolette. Lanterne appese ovunque, ragnatele sugli angoli delle porte delle abitazioni, e tutto sembrava un set cinematografico. A destra c’erano delle navi che esibivano vessilli pirata, un teschio bianco con buchi neri a dare maggiore orrore allo stemma