Incontro con invisibili creature
Di Dimka
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Info su questo ebook
Una mamma farebbe qualsiasi cosa per proteggere i propri figli, ancora di più quando la loro giovane vita è messa a dura prova da una malattia come la paralisi cerebrale. La speranza, l’amore, la fede sono illimitati, ma non bastano. E allora si cercano sempre nuove strade, si è disposti a tutto. Quando la protagonista si reca a Plovdiv, a un indirizzo che le ha segnalato una sua conoscente, in un silenzioso edificio, non immagina quello che sta per vivere: comunicherà con delle creature invisibili, in un’esperienza estrema che le sconvolgerà la vita e le ridarà fiducia nel futuro. Questo libro è la sua toccante, dettagliata testimonianza.
A tutti coloro che hanno la mente aperta, che sono disposti a credere che ci sia qualcos’altro oltre la dimensione materiale, questo libro proverà a fornire alcune spiegazioni e spalancherà le porte dell’ignoto.
Dimka è nata a Baykal in Bulgaria nel 1950. Vive da quindici anni in Italia, in Emilia Romagna. È filosofa e ingegnere meccanico, ha due figli ed è cristiana ortodossa. In Bulgaria ha pubblicato alcuni testi in prosa e poesie. In Italia ha partecipato a due antologie insieme ad altri poeti: M’illumino d’immenso e Tracce, oltre ad aver pubblicato La vita è meravigliosa e Con paralisi cerebrale la vita continua.
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Anteprima del libro
Incontro con invisibili creature - Dimka
© 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-1898-5
I edizione maggio 2020
Incontro con invisibili creature
A mia figlia Donka
Si deve vivere con la mente aperta
In questo libro racconto una storia incredibile. Sì, è successa a me. Mi ha portato tantissime domande e pochissime risposte.
Le parole che scrivo sono misurate e tante volte cambiate, per descrivere con più precisione possibile quello che ho visto e ho sentito. È un documento, la verità pura.
Buona lettura!
1
Incontro con alieni, invisibili creature o persone di un’altra dimensione
Sì, è successo a me, nel il 1990, in Bulgaria, nella città di Plovdiv, Capitale europea della cultura 2019, quartiere Trakia
. Io non vivevo là… ero arrivata per la fiera di primavera, in aprile.
Sono Dimka.
Nella mia famiglia abbiamo una brutta ospite: la malattia Paralisi cerebrale.
Rimarrà per sempre!
È malata mia figlia.
Noi genitori abbiamo fatto e facciamo tutto il possibile e faremmo anche l’impossibile per guarirla.
Dalla Paralisi cerebrale non si può guarire. Solo che la nostra speranza, il nostro amore, la nostra fede, sono illimitati.
Sono quarantatré anni che cerchiamo continuamente nuove strade, che preghiamo in qualche aiuto.
Forse perché non abbiamo fatto male al nessuno, forse perché sempre siamo pronti dare una mano gli altri, abbiamo tanti amici e conoscenti che ci vogliono bene e sono sempre pronti a darci una mano.
Credo che i malati di Paralisi cerebrale generino intorno a loro un’energia buona e pulita. Rimangono per sempre con anime di bambini, innocenti e puri come angeli.
Penso che questo sia il loro scopo qui sul pianeta Terra. Con la loro bontà e luminosità neutralizzano l’energia negativa che è presente nella vita degli altri.
Ecco il mio racconto.
È successo nell’anno 1990. In quel tempo mia figlia aveva quattordici anni. La volevo vedere sana e felice come le ragazzine della suoi età.
Era il periodo successivo alla caduta del Muro di Berlino. Si dicevano e si credevano meraviglie. Sognavamo miracoli e aspettavamo che accadessero. È stato un anno incredibile.
Vivevamo con speranza risvegliata e desideri di felicità.
La storia è cominciata cosi: una mia conoscente aveva una malattia rara: infezione delle ghiandole salivari. La faccia era gonfia. I medici facevano fatica a diagnosticare. Nessuna medicina aiutava. Trascorsi alcuni mesi, i dottori avevano deciso di fare un intervento chirurgico, dopo il quale sarebbero rimaste delle cicatrici sul viso. In più poteva succedere che in futuro avrebbe dovuto subire dei nuovi interventi.
Lei era una giovane donna e non voleva tagliarsi il viso. Cercava qualche metodo alternativo per il trattamento. Finché l’ha trovato.
Un giorno, prima di andare, ci siamo incontrate. Mi ha detto che il trattamento sarebbe durato due settimane.
Sapeva i miei problemi con figlia. Mi ha promesso che se il suo trattamento fosse andato bene, mi avrebbe aiutato a portare anche lei là.
Erano passate due settimane. La mia conoscente era tornata e aveva trovato tempo per venire da me.
Ha tirato fuori dalla tasca un fazzoletto. Dentro aveva messo qualcosa. Me lo ha mostrato.
Erano delle piccole pietruzze.
«Queste erano le particelle che intasavano i dotti salivari», raccontava lei.
Era contenta. Non era più gonfia. Era guarita.
La donna non mi ha raccontato dove è andata, in cosa è consistito il trattamento, niente. Solo mi ha detto che dopo la seconda sessione ha sentito qualcosa che le pungeva in bocca, all’interno della guancia. Con la sua lingua piano piano ha tirato fuori una per una queste pietruzze. Dopo qualche giorno era andato via anche il gonfiore. La seconda settimana si era sentita sana ed era tornata a casa.
Abbiamo fatto ancora due chiacchiere.
Prima di salutare mi ha detto che avrebbe fatto tutto il possibile affinché potessi andare con mia figlia.
Ho aspettato tanti mesi per sapere qualche novità per le mie domande.
- Che tipo di trattamenti usavano là?
- Dove era questo là?
- Quando mi avrebbero chiamata?
- Quante persone lavoravano là?
- Che trattamento usavano per la Paralisi cerebrale?
- Il loro trattamento faceva male o no?
- Quanto tempo sarebbe durato il trattamento?
- La ragazza doveva rimanere sola, o sarei potuta stare con lei?
- Dopo quanto tempo si potevano vedere i cambiamenti?
- Quanto costava il trattamento?
Queste domande me le facevo quasi tutti i giorni senza darmi nessuna risposta.
Ci incontravamo con la mia conoscente ogni tanto in negozio o in corriera. Ci salutavamo, ma lei non diceva niente.
Io non le domandavo per non disturbarla.
Un giorno – erano passati quattro mesi – è venuta di nuovo nella mia casa. Mi ha lasciato un biglietto dove era scritto un indirizzo normale:
Bulgaria
città Plovdiv
quartiere Trakia
palazzo…
ingresso…
appartamento…
primo piano rialzato
Ancora adesso, che sono passati ventiquattro anni, mi sembra che lo posso trovare in qualche cassetto.
Questo era l’indirizzo del posto dove lei era stata curata.
Io dovevo portare lì mia figlia.
Era contenta. Mi ha raccontato che era riuscita a darmi l’indirizzo perché ero una persona buona e brava ed ero in difficoltà.
Loro avevano deciso di aiutarmi.
Loro sapevano chi ero io.
Quando sarei andata là avrei dovuto dire:
- come mi chiamavo;
- il nome della città di provenienza;
- chi mi aveva dato il loro indirizzo;
- dovevo salutare tutti con il lei
.
Una donna solo conosciuta - no vicina amica, aveva detto buone parole per me e aveva garantito per me con il suo nome.
Ero felice!
L’ho abbracciata e baciata. Lei mi ha augurato buon successo con figlia e ci siamo salutate.
Allora il primo passo era fatto. Avevo un indirizzo.
Il secondo passo era contattare loro
.
Questa donna lavorava in un laboratorio di un ospedale o una clinica privata.
Pensavo quindi che avrei trovato un ospedale una clinica o clinica privata, che negli ultimi anni nascevano come funghi dopo la pioggia.
Era un problema che non capivo.
In bulgaro descrivere qualche cosa con le parole loro
, quel posto là
, saluta loro
e così via non è normale. Mi sembrava un po’ strano questo loro
.
In famiglia subito abbiamo cominciato a scambiarci i consigli.
Abbiamo pensato che di questi loro
non sapevamo nulla… Non avevamo