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Camminando verso l'Oceano: Tra mistero e realtà, una storia che nasce da un'avventura on the road e mentale
Camminando verso l'Oceano: Tra mistero e realtà, una storia che nasce da un'avventura on the road e mentale
Camminando verso l'Oceano: Tra mistero e realtà, una storia che nasce da un'avventura on the road e mentale
E-book235 pagine3 ore

Camminando verso l'Oceano: Tra mistero e realtà, una storia che nasce da un'avventura on the road e mentale

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Info su questo ebook

Questo romanzo, dove l'elemento visionario-metafisico si intreccia abilmente con il quotidiano, ha come filo conduttore la scomparsa di un protagonista - verità o illusione? - e nasce, al limite dell'incredibile, da un’avventura on the road e mentale: un cammino che Domenico e Gabriella, spiriti liberi e curiosi, zaino in spalla e tanta voglia di natura, hanno fatto lungo un percorso di trekking di circa 900 Km. Destinazione: il Cammino stesso e poi l’Oceano di Finisterre, passando per Santiago di Compostela. Con il sole cocente, il vento che sferza e la pioggia fitta, i due, che hanno deciso di vivere la propria vita fino in fondo senza farsi fermare da nulla, avanzano calpestando erba e pietre, terreni aridi e fangosi, strade asfaltate che attraversano paesi e città. Vivono le situazioni più disparate e incontrano persone di ogni genere, maturando insieme, in un continuo confronto, passo dopo passo. Visioni, fantasie: ricordi di altre vite?
LinguaItaliano
EditoreDsmb
Data di uscita7 ott 2020
ISBN9791220205191
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    Camminando verso l'Oceano - Domenico Scialla

    Camminando verso l’Oceano

    Questo romanzo, dove l'elemento visionario-metafisico si intreccia abilmente con il quotidiano, ha come filo conduttore la scomparsa di un protagonista - verità o illusione? - e nasce, al limite dell'incredibile, da un’avventura on the road e mentale: un cammino che Domenico e Gabriella, spiriti liberi e curiosi, zaino in spalla e tanta voglia di natura, hanno fatto lungo un percorso di trekking di circa 900 Km. Destinazione: il Cammino stesso e poi l’Oceano di Finisterre, passando per Santiago di Compostela. Con il sole cocente, il vento che sferza e la pioggia fitta, i due, che hanno deciso di vivere la propria vita fino in fondo senza farsi fermare da nulla, avanzano calpestando erba e pietre, terreni aridi e fangosi, strade asfaltate che attraversano paesi e città. Vivono le situazioni più disparate e incontrano persone di ogni genere, maturando insieme, in un continuo confronto, passo dopo passo. Visioni, fantasie: ricordi di altre vite?

    © Domenico Scialla 2010 – 2013

    Edizione 2022

    ISBN 9791220205191

    Disponibile anche in audiolibro, narrato da Massimo D’Onofrio

    www.camminandoversoloceano.it

    camminandoversoloceano.blogspot.it

    Con immenso affetto a Gabriella,

    grande amica e compagna di viaggi

    Ai miei editor: Simone, vocalist dei 7 Training Days

    e Manuela, autrice di Atmosfera, olfatto, memoria olfattiva

    Molti dei fatti qui raccontati sono ‘realmente’ accaduti;

    altri, invece, sono frutto della mia fantasia

    "Vai e segui il tuo ritmo,

    senza mai distaccartene.

    È questa la cosa giusta,

    secondo il mio modesto parere!"

    1.

    «È stato il diavolo» sentenzia padre Xavier, voltandosi verso di me, dopo qualche istante trascorso in silenzio con lo sguardo fisso alla finestra. «Ci prova sempre a rovinare le cose belle, proprio come il vostro Cammino verso l’Oceano Atlantico, Richardo.»

    Mi ricordo di quell’albero dalla forma demoniaca incontrato fra Saint Jean Pied de Port e il rifugio di Orisson: anche se per poco, mi aveva turbato.

    Padre Xavier siede accanto a me, prende le mie mani nelle sue, e continua: «È invidioso. Invidioso di quell’entusiasmo, di quella fede che, anche se oserei definire laica, ho letto negli occhi tuoi e di Stefania quando siete arrivati qui a Roncesvalles tempo fa. Ricordo bene, era il vostro secondo giorno di Cammino. Ah! Stefania, Stefania, quella povera e sfortunata fanciulla, chissà dov’è ora; fino a qualche giorno fa eravate insieme e adesso…». Si rialza e ritorna alla finestra. «Ora più che mai, per superare questi terribili momenti, proprio della tua fede hai bisogno figliolo.» Sospira mantenendo verso di me uno sguardo umile e pieno d’amore. «Abbracciala intensamente e tienila stretta a te, non puoi fare altro che questo; spero con tutta la mia anima che la pace e la serenità rifioriscano in te.»

    Sentiamo dei passi nella stanza accanto e padre Xavier, aprendo una piccola porta di legno, vi fa capolino e chiama Ahim, che ci raggiunge dopo qualche secondo. A me e al ragazzo arabo chiede di fare insieme a lui qualche minuto di raccoglimento, e poi s’inginocchia ai piedi della Madonna. Ode il canto dei pastori che vanno verso la grotta nella magica notte e inizia a pregare: «Vergine Santa assisti le nostre vite…». Pian piano il tono della sua voce si abbassa fino a tramutarsi in silenzio. Ahim, invece, ode il richiamo del Muezzin e s’inginocchia verso La Mecca, con la faccia a terra e le braccia in avanti; declama in arabo alcuni versi del Corano, tra i quali discerno soltanto la parola Allah e, pian piano, anche la sua voce si affievolisce. Io assumo la posizione yoga del loto respirando a fondo e, pronunciando l’Om, mi sento presto avvolto da una sensazione di benessere; mi vedo fluttuare nell’Universo tra mille colori e un’arpa intona una melodia celestiale, nella quale riconosco l’Adagio di Albinoni. Percepisco, così, l’abbraccio della Vita e recito alcuni versi da me scritti qualche anno fa: «E ora che le ombre nell’anima si diradano, si fa spazio in me una Luce serena e io vivo». E anch’io rimango in silenzio.

    Un cielo punteggiato di stelle si è da poco sostituito a quello soleggiato di una splendida giornata di metà ottobre, quando mi congedo da padre Xavier. Devo ammettere che il nostro incontro mi ha fatto stare meglio e mi ha donato un po’ di pace. Faccio un giro, poi siedo su una panchina nella piazzetta adiacente all’Ostello del pellegrino, dove dormirò questa notte, per poi ripartire per Roma domattina.

    Ricordo il pomeriggio in cui io e Stefania, per me St, arrivammo qui e, in particolare, quello spagnolo di Siviglia, conosciuto al rifugio di Orisson il giorno precedente, insieme a un gruppo di francesi, un olandese con la moglie e una ragazza belga, l’unica di cui ricordi il nome: Marin. Proprio in questa piazzetta, lo spagnolo ci chiamò ad alta voce «Italiani!» e sorrise dicendo di essere già arrivato da un pezzo; poi ci mostrò i suoi piedi rovinati dalle vesciche. Chiacchierammo dei primi due giorni di Cammino e ci invitò a partecipare alla funzione del pellegrino, indicandoci il posto dove si sarebbe svolta di lì a poco. Ne avevamo già sentito parlare, è rinomata fra i camminatori, ma solo lui seppe infonderci curiosità e desiderio tali da indurci a prendervi parte.

    Fisso per un attimo il cielo, poi sospiro e prendo dallo zaino il mio telefonino in cui ho le foto e gli appunti del Cammino verso l’Oceano con St. Inizio a consultarli e ne rivivo ogni momento.

    2.

    Insieme verso l’Oceano

    Pieni di curiosità e vogliosi di natura, io e St, arriviamo a Saint Jean Pied de Port, col bus da Bayonne, in coincidenza con il tgv da Paris Montparnasse. In molti si radunano qui per iniziare, a piedi o in bicicletta, il Cammino verso l’Oceano Atlantico. Il percorso è abbastanza semplice, quasi alla portata di tutti. Questo Cammino, patrimonio dell’UNESCO, sebbene sia nato nell’antichità come pellegrinaggio religioso, da tempo viene intrapreso dai più per semplice curiosità, per sport, per amore della natura, per motivi culturali e, chissà, anche per ragioni conosciute solo dall’inconscio. Tante persone decidono di percorrerlo tutto o in parte, in un’unica o in più volte e qualcuno lo ripete nel tempo. C’è chi lo fa da solo – un’esperienza forte dal punto di vista meditativo – ma l’ideale sarebbe camminare in due, massimo in tre. Ci si può sempre unire ad altri quando si ha voglia e distaccarsene in qualunque momento, senza sentirsi legati ad alcuno. Il bus si ferma in un parcheggio poco distante da una porta medievale. Entriamo nel paese insieme agli altri passeggeri, come se facessimo parte di uno stesso gruppo e poi, man mano, ci dividiamo tra le stradine. St legge, davanti alle case e alle osterie, i prezzi delle camere e dei menu per la cena, scritti quasi sempre con gessetti colorati su delle lavagnette. Solitamente si alloggia in camere di case private o di albergue, sono le soluzioni più economiche. Gli albergue sono degli ostelli, ce ne sono di privati e municipali, questi ultimi di norma hanno solo camerate. In centri di media grandezza e nelle città come Pamplona, capoluogo della Navarra, Burgos, León e nel capoluogo della Galizia, Santiago, si trovano anche hostal e pensión, ossia alberghi modesti, e hotel anche di lusso. Bussiamo a una di queste case e ci apre un tipo di mezz’età che, sorridendo e invitandoci a seguirlo, ci dice in francese: «Benvenuti. Vi stavo aspettando e la vostra camera è già pronta». Rimaniamo sorpresi, probabilmente si comporta così con tutti, ma il suo modo di fare ci piace. La casa si estende su tre piccoli piani, ai quali si accede con una scala di legno a chiocciola che parte dall’ingresso: al primo piano c’è l’appartamento padronale, al secondo ci sono le camere per gli ospiti e al terzo un soggiorno e una sala per la colazione. Il proprietario appunta i nostri nomi in un quadernetto dicendo: «Per arrivare a Roncesvalles avete due alternative: la via del fondovalle e la via di montagna. Il primo percorso è meno faticoso, ma anche più monotono; l’altro è più impegnativo, soprattutto i primi otto chilometri fino al rifugio di Orisson, ma è il più bello. Si sale fino a 1400 metri circa e si possono ammirare panorami mozzafiato, in certi tratti potreste trovare ancora un po’ di neve».

    «Penso proprio che opteremo per la via di montagna, che ne dici Rich?»

    «Ok St, bisogna cogliere tutto il bello che c’è.»

    «Saggia decisione. Potreste arrivare in due giorni, fermandovi al rifugio; anche se fosse al completo, un posto per dormire ve lo trovano sempre, semmai dormireste insieme ad altre trenta persone, per terra» sorride «ma anche questo è il Cammino, fantastico e avventuroso. La mattina seguente potreste poi percorrere gli altri diciassette chilometri fino a Roncesvalles.»

    3.

    A colazione due ragazze orientali ci preparano delle fette biscottate con marmellata e versano del latte caldo per noi; noi tagliamo della frutta fresca per loro. Riusciamo a comunicare solo con gesti e grandi sorrisi.

    Prima di andare via, inciampo e rischio di cadere lungo la scala ma St, che è dietro di me, riesce fortunatamente a trattenermi per lo zaino. E dopo lo scampato pericolo, il proprietario mette il sello sulle nostre credenziali, per certificare l’inizio di questa splendida esperienza; prende poi da un sacchetto due grandi conchiglie, simbolo del Cammino, le lega ben strette ai nostri zaini e, ponendo una mano sulla mia spalla e l’altra su quella di St, ci augura: «¡Buen camino!». Da questo momento sentiremo questa esclamazione moltissime altre volte. Una forte emozione ci pervade l’anima e subito c’incamminiamo.

    Avendo deciso di andare piano, io e St restiamo spesso da soli: molti ci affiancano, scambiano quasi sempre con noi qualche parola, ci superano e in pochi minuti scompaiono all’orizzonte.

    Incontriamo due italiani, quello più giovane ha degli occhiali fucsia che di certo non passano inosservati.

    «È ancora buono?!» ci dice Congliocchiali in tono scherzoso, ripetendo una frase di St.

    St gli sorride.

    «Da dove venite?» ci chiede Senzaocchiali.

    «Io dalla Sicilia, lui dalla Campania» risponde St.

    «Noi dalla Toscana e sto portando questo monello verso la Salvezza» continua Congliocchiali, ridendo e fissando Senzaocchiali.

    «Speriamo bene, allora» intervengo io.

    «Ammesso che ci arriviamo a Santiago, vista la sua età» fa Congliocchiali, dando una pacca al suo compagno.

    «Ridi ridi tu! Un anno in palestra per prepararsi a questo Cammino di certo non l’ho fatto io» si difende Senzaocchiali.

    Scoppiamo tutti e quattro in una forte risata, poi i due simpaticoni proseguono salutandoci all’unisono.

    È un periodo davvero stressante per me, a causa dell’intervento chirurgico di colecisti al quale mi dovrò sottoporre a breve e soprattutto per il mobbing che sto subendo da tempo alla Lacondary s.r.l., l’azienda agricola per la quale lavoro; vogliono costringermi infatti alle dimissioni, poiché per loro sono un ramo secco – sto resistendo con le unghie e con i denti, non ho alternative per poter andar via; spero però di trovare al più presto una soluzione: un altro lavoro, una vincita alla lotteria o che i libri che ho scritto abbiano presto successo –. Quest’esperienza unica non potrà che farmi bene. St mi suggerisce di distaccarmi da tutto ciò che è la mia vita e vivere solo quello che riguarda questa situazione.

    Fa freddo e il tempo non è affatto buono quando arriviamo a Orisson. Ha appena smesso di piovigginare. Mentre consumiamo il nostro pranzo, prosciutto e fette biscottate con miele, valutiamo se continuare fino a Roncesvalles oppure fermarci e riprendere domattina. Una camminatrice sulla cinquantina, cortese e affascinante, ci ha avvisato che da qui saranno necessarie circa cinque ore di cammino e, a parte una fontanella e tanta splendida natura, non troveremo alcunché. Sono quasi le tre del pomeriggio e, considerati i nuvoloni e la nostra andatura, che ci farà impiegare almeno sei ore, decidiamo di ripartire domani con più tranquillità.

    La cena viene servita in una sala da pranzo in pietra con al centro un grande tavolo di legno scuro, circondato da altri dello stesso tipo per quattro persone. In fondo, in un grande camino spento, penzola un pentolone di rame; delle monete sono poste sulle sporgenze e nelle rientranze delle pareti, mentre il soffitto bianco è rigato da travi dello stesso legno dei tavoli. Mi sembra di essere tornato indietro nel tempo. La proprietaria ci dice che possiamo sedere a uno dei tavoli piccoli o, se vogliamo, a quello grande, insieme ad altri camminatori. L’idea di conoscere altre persone che fanno la nostra stessa esperienza ci affascina, così io e St prendiamo posto, uno di fronte all’altra, al grande tavolo. Alla mia sinistra c’è lo spagnolo di Siviglia, alla mia destra Marin, l’olandese con la moglie, e i francesi che occupano il resto del tavolo. Questi ultimi, operai in pensione e amici di vecchia data, animano la serata con canti popolari, alcuni dei quali li conosciamo anche in italiano. Vorrebbero che io e St cantassimo Bella ciao, ma non riescono a convincerci, nonostante ci piaccia questo canto popolare. Intendono fare un po’ di cammino ogni anno fino a completarlo. Lo spagnolo dedica il Cammino alla figlia e spera di arrivare a Santo Domingo de la Calzada in circa quindici giorni. Noi pensiamo di camminare per circa una settimana e di continuare, poi, in treno o in bus fino a Finisterre. Marin, come lo spagnolo, fa il Cammino da sola e spera di arrivare a Compostela in circa un mese. Tra me e lei sboccia subito un’intesa, e ci scambiamo le e-mail con la promessa di rivederci sia in Italia che in Belgio. Dell’olandese e di sua moglie, invece, non comprendiamo nulla, neppure il motivo per cui si trovino qui.

    Rientriamo presto nella nostra stanza: una lavanderia, con lavatrice, tavolo da stiro, panni da stirare, e due brande pieghevoli appoggiate al muro; è questo l’unico modo per dormire qui stanotte. St si addormenta in un batter d’occhio, mentre io inizio a pensare a Marin, a quanto sia bella nel corpo e nell’anima, poi prendo il telefonino e ascolto la sua voce che ho registrato a sua insaputa.

    Abito per massimo sei mesi l’anno, il tempo di lavorare un po’, con mia sorella, in una casa ereditata da una zia, poi vago per il mondo. Amo la gente, la natura e tutto ciò che mi circonda. Eh eh, sono una farfalla io. Svolgo attività occasionali, guadagno quanto basta per una vita modesta ma piena di emozioni. Pensi sia una sbandata, vero?

    No, non lo penso affatto, anzi ti apprezzo molto; anch’io sono quasi così! le risponde la mia voce.

    Ecco, sei a buon punto, ma è quel ‘quasi’ che non va bene, ah ah!

    Hai ragione, Marin, hai ragione.

    Sei ‘quasi’ sulla strada giusta, non sembri messo tanto male. Dove vivo io mi ritengono una sbandata, una poco di buono. Ma io me ne frego. Sai quanto me ne frego?! Faccio quello che mi va e vado dritta per la mia strada.

    E fai bene, così bisogna fare, ma non tutti ne sono capaci.

    Purtroppo sono ancora molte le persone che si scandalizzano per il fatto che io vivo la mia vita in questo modo, pensando a tutto anziché a trovarmi un lavoro serio e a farmi una famiglia ma non m’interessa. Tanti non riescono a capire che sono felice e molto più di loro. Che palle quando ti dicono che tu fai così perché non vuoi prenderti le tue responsabilità e che vuoi fare delle cose che non si fanno più alla tua età, perché ogni cosa va fatta a suo tempo. Sono convinta che la maggior parte di chi parla così non se le prenda davvero le proprie responsabilità, vivendo al contrario di come vorrebbe, perché non ha il coraggio per affrontare il giudizio degli altri e dei rischi come il restare senza un centesimo o la paura di restare soli. Ma quand’è che si resta veramente soli, se non quando s’ignora la propria anima? Chi stabilisce e come si stabilisce quando ci si prende le proprie responsabilità e qual è il tempo giusto per fare determinate cose? Io penso che siano concetti relativi: solo ascoltando la voce della propria anima si fanno le cose giuste per noi stessi. Metti che una come me si prenda le responsabilità di un lavoro fisso e di una famiglia, ti immagini che fine farebbe, cosa si perderebbe? Che tristezza, davvero che tristezza!

    Io e St ci svegliamo qualche istante all’alba e, prima di riaddormentarci, notiamo che il cielo è scevro di nuvole e pieno di stelle, e fa abbastanza caldo.

    Dopo colazione, non sapendo se ci rivedremo ancora, salutiamo calorosamente lo spagnolo e l’olandese, e c’incamminiamo.

    La natura si esprime magicamente: le vallate, la vegetazione, il canto degli uccelli, qualche pezzo di neve ancora non sciolta, il ronzio degli insetti, il profumo portato da un dolce e fresco venticello di primavera. Di tanto in tanto qualche aquilotto ci sorvola, mentre osserviamo vermiciattoli che, legati fra loro, formano lunghi bastoncini simili a liquirizia. A ciò si aggiungono i canti di alcuni camminatori; man mano che si avvicinano a noi si fanno sempre più definiti fino a sfumare all’orizzonte; sono canti di gioia e di ogni genere, da Albachiara a My way, da La vie en rose a Time, in arabo, francese, inglese, spagnolo e in altre lingue a noi incomprensibili. In questo paradiso, però, di tanto in tanto avverto anche delle paure, immaginando dei grossi uccelli scendere in picchiata verso di noi e dei serpenti velenosi strisciare ai nostri piedi. Ne parlo con St che minimizza prendendomi in giro: «Sono delle fisime, Rich. E quale essere umano di sesso maschile non ne ha almeno un paio?».

    In lontananza scorgiamo, ferme sotto un albero, tre ragazze vestite di bianco che, con grande passione, cantilenano in inglese: «Andiamo, andiamo, per le strade dell’esistenza camminiamo, verso il Puchiluchio, per giungere a te!».

    Non tutti rispettano chi cammina per questi sentieri, quali che siano le motivazioni: alcuni religiosi cantano ad altissima voce, in modo sguaiato, con un atteggiamento che parrebbe dire qui ci devo essere solo io e quelli come me, le tue motivazioni non contano, le mie invece mi portano lontano. Forse in paradiso, chissà. Commentiamo in inglese questi disdicevoli comportamenti con un maratoneta francese e un gruppo di escursionisti svizzeri; conveniamo che l’unica soluzione, per evitare che questa atmosfera di pace e fratellanza venga turbata, sia quella di tenerli lontano quanto basta: io e St ci fermiamo e li lasciamo proseguire, gli altri riprendono con passo veloce in modo da lasciarli indietro. Tra gli escursionisti c’è anche un non vedente: ci siamo resi conto della sua condizione solo quando ha preso dallo zaino dei fogli scritti in braille e ha iniziato a leggere con le dita. Ci ha colpito la sua autonomia, soprattutto quando proseguiva, mano nella mano, con la fidanzata:

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