In social stat virus
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Varia - saggio (82 pagine) - Storia di una pandemia in real time: da #iorestoacasa alle conferenze stampa di Giuseppe Conte in diretta Facebook, fino a #ScanziLive. Un'analisi su come il lockdown di marzo 2020 ha cambiato per sempre il nostro modo di comunicare sui social.
Cosa abbiamo condiviso su Facebook, twittato, postato su Instagram durante il lockdown con l'hashtag #iorestoacasa?
Quali fake news abbiamo letto, in preda all'infodemia da Covid-19?
Quanto hanno inciso le conferenze live di Giuseppe Conte sul ruolo dei media tradizionali?
In social stat Virus cerca di rispondere a queste e altre domande, ripercorrendo il periodo italiano più drammatico, da marzo fino a giugno 2020.
In social stat Virus dimostra come il lockdown abbia rivoluzionato il mondo dei social e della comunicazione, scandendolo in tre fasi: anarchia narrativa, narrazione istituzionale e narrazione collettiva.
Infine, con la “shit storm” su Silvia Romano e l'omicidio in diretta di George Floyd, risponderemo alla domanda più discussa: il virus ci ha davvero reso migliori?
Marco Marangio nasce in provincia di Brindisi il 10 maggio 1985. Durante i suoi studi universitari coltiva la passione per la scrittura, dapprima come giornalista collaborando con diverse testate locali del Salento, in seguito come autore della sua prima silloge di poesie, Percorsi.
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere Moderne presso l’Università del Salento, si trasferisce a Siena dove approfondisce gli studi specializzandosi in Strategie e tecniche della comunicazione con una tesi sul linguaggio politico e mediatico utilizzato da Matteo Renzi per il referendum costituzionale del 2016. In seguito, collabora con il Dipartimento di Scienze Sociali Politiche e Cognitive dell'Università degli Studi di Siena ad uno studio di ricerca politica e sociologica sulle ultime elezioni politiche italiane (4 marzo 2018).
Frutto di questo studio e della sua tesi specialistica sarà il saggio Matteo Renzi: la parola sono io di Effigi Editore presentato alla Fiera Internazionale del Libro di Roma: Più libri più liberi.
Tornato in Puglia, collabora come esperto di comunicazione con diverse Web Agency del territorio.
L'emergenza pandemica da Covid-19 lo porta a osservare l'evoluzione comunicativa social e digital cui tuttora assistiamo.
Attualmente è docente universitario di Linguistica Italiana a Foggia, dove risiede.
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Anteprima del libro
In social stat virus - Marco Marangio
risiede.
Ad Anna, che crede in me
e ha creduto in questo libro
Introduzione
Storia di una pandemia in real time
La crisi più difficile dal secondo Dopo Guerra. Così è stata definita la drammatica emergenza pandemica, purtroppo tuttora in atto. Il nemico invisibile Covid-19
ha minato fortemente gli equilibri sociali, sanitari ed economici del Mondo. Accomunata dal denominatore linguistico unico Coronavirus
, questa crisi è entrata nella narrazione dell’opinione pubblica grazie anche ai nuovi mezzi di comunicazione. I social hanno svolto un ruolo rivoluzionario, conferendo al virus una massima copertura mediatica. Pertanto, ci si chiede:
Come è cambiata la comunicazione, durante l'emergenza pandemica?
Per rispondere a questa domanda, dovremmo ritornare alle prime notizie circa la diffusione del famigerato COVID-19. In quei giorni, avevamo delle informazioni che ci dessero una chiara idea della sua natura e della sua potenzialità di contagio?
I vecchi e nuovi media, narravano il Coronavirus in modo chiaro, oggettivo ed esaustivo?
La risposta ad entrambe le domande è unica: no.
No, perché non era chiaro cosa fosse realmente il COVID-19. Anzitutto non lo era per la comunità scientifica. Impossibile, in questo contesto, non ricordare l'ormai noto botta e risposta
avuto su Twitter fra i virologi Burioni e Gismondo di cui parleremo in seguito.
Il primo momento registrato durante l'entrata in scena del Coronavirus, in quanto tema mediatico, è pertanto da ritenersi caotico ed inintelligibile.
Inutile dire quanto tutto ciò, ha portato i cittadini ad affrontare il primo periodo in maniera sconcertata e nebulosa.
In questo contesto, si è difatti verificata una circolazione eccessiva di (mala)informazione o ciò che più comunemente viene definita come infodemia.
Fortunatamente, passati i primi giorni fra perplessità e disinformazione, le Istituzioni hanno tentato (riuscendoci) di incanalare questo flusso malforme di informazione in modo corretto ed istituzionale per l'appunto. Si pensi, ad esempio, al tipo di coordinamento che il Governo ha instaurato nei confronti dei media: i bollettini quotidiani della Protezione Civile, le conferenze del premier Giuseppe Conte, gli interventi di esperti e scienziati riconosciuti all'interno dei talk show, hanno creato una narrazione di tipo istituzionale
.
L'ultima fase è, in definitiva, ciò che ha colpito maggiormente rivoluzionando in un certo senso, il modo di intendere lo storytelling dei social.
Difatti, non è passato molto tempo dall'inizio della quarantena che si è verificata una massiva mobilitazione da parte non solo dei cittadini, ma anche e soprattutto del mondo della cultura nelle sue forme più disparate.
Si pensi alle librerie ed alle case editrici che hanno coinvolti i loro utenti con letture collettive; si pensi ai cinema ed alle case cinematografiche che hanno da subito condiviso filmografie e contenuti online; si pensi ai musicisti che hanno condiviso dirette Instagram i loro brani più celebri intrattenendo milioni di follower.
Questa forma di storytelling appartiene all'ultima parte della nostra analisi e verrà definita come narrazione collettiva
, proprio per sottolineare le collaborazioni e le condivisioni verificate nel raccontare ed affrontare la solitudine della quarantena.
La presente analisi seguirà in modo diacronico i momenti più salienti dell'emergenza pandemica suddividendoli idealmente in tre Fasi, come tre sono state le Fasi che hanno scandito la lotta ed il contenimento del nemico invisibile Coronavirus.
La crisi più difficile dai tempi del secondo dopo Guerra, da un punto di vista comunicativo, può essere suddivisa nella prima Fase, caratterizzata da una anarchia narrativa
, da una seconda Fase dominata da una narrazione istituzionale
e da una terza Fase condivisa da una narrazione collettiva
.
Tutto il resto, lo abbiamo vissuto giorno per giorno. Fra una diretta Facebook e l'altra.
Buona lettura.
Fase 1: Anarchia narrativa
Introduzione
In principio fu Wuhan. Di quel che sarà poi definito come emergenza umanitaria
, la Cina è stata la prima potenza mondiale a farne conoscenza.
Il dramma, poi allargatosi e divenuto pandemia
, ha avuto inizia a fine dicembre. O meglio, solo a fine dicembre le autorità cinesi ne hanno annunciato l'esistenza. Dopo le prime indagini, avviate ad inizio gennaio 2020, l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha proclamato lo stato di emergenza sanitaria
solo nella terza settimana di gennaio.
Il resto in parte è già storia, in altra parte è un processo con il quale dovremo convivere per un tempo indefinito, almeno per il momento.
Le tinte di questa storia sono nere. Questa tonalità drammatica è calata ben prima di quel fatidico 11 marzo, giorno in cui l'OMS ha dichiarato lo stato pandemico
.
Difatti, partendo da febbraio 2020, il virus aveva già mietuto le sue prime vittime in tutto il mondo.
I numerosi decessi hanno prodotto, contestualmente e parallelamente, un effetto psicologico nel quale la paura ha giocato un ruolo fondamentale sia per la normale vita di tutti i cittadini che per la loro dieta mediatica
.
Il famigerato Coronavirus
è stato, ed è tale, non solo per motivazioni strettamente virologiche, ma anche mediatiche.
A memoria d'uomo, il Covid-19 è stato, ed è tuttora, il primo virus ad avere avuto una narrazione mediatica massiva e trasposta prevalentemente sui social.
Difatti, il veicolo informativo maggiore sono stati proprio i canali che vengono definiti new media
. Gli old media
, in questo specifico contesto, invece, hanno inevitabilmente prestato il fianco. Radio, televisioni, giornali hanno sì narrato il Coronavirus con costanza ma sono divenuti essi stessi spettatori di un fenomeno a tratti anomalo e sconosciuto.
Fenomeno, quest'ultimo, che è sfociato in quella che non ha tardato a manifestarsi come infodemia
.
L'infodemia, questa sconosciuta
Se dovessimo dare una definizione da dizionario
l'infodemia è la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili.¹
L’improvvisa diffusione di questo ignoto virus ha abbracciato anche l'ambito linguistico. Il fatto che il termine infodemia
sia un neologismo, ci dice molto. Benché non sia stato come prima volta in occasione
del Coronavirus, è proprio a causa del Covid-19 che il fenomeno infodemico ha avuto la sua massima diffusione.
La sua origine, infatti, risale al 2003 quando è stato utilizzato come prima volta dal giornalista David J. Rothkopf. Scrivendo sul Washington Post un articolo riguardante la SARS, Rothkopf sottolinea come la virulenza del microrganismo non aveva un effetto solo sulla salute dell'uomo, ma anche sull'informazione a riguardo della malattia. Informazione che era eccessiva ed estremamente inaffidabile. Da qui, l'infodemia.
Pertanto, ci chiediamo: cosa è cambiato fra il 2003 ed il 2020? Per quale motivo, il neologismo non si è diffuso in modo massivo
?
La risposta è racchiusa nei social network.
Nel 2003 l'utilizzo di internet era ormai diffuso. Basti pensare che ben 70 milioni di famiglie americane erano in possesso di uno o più computer, con accesso a internet.²
La rivoluzione social, però, arriverà solo un anno dopo nel 2004 con il lancio
di Facebook di Zuckenberg.
L'evoluzione del fenomeno massivo
dell'infodemia fra la SARS ed il Covid-19 che abbiamo conosciuto nel 2020 risiede in questa sostanziale differenza.
Dal 2004 ad oggi, il social per eccellenza ha radicalmente modificato il modo di vivere quel medium che è la Rete.
Ha amplificato il modo di pensare, di scrivere, di vivere il virtuale degli internauti.
Ciò va inevitabilmente di pari passo anche con l'utilizzo capillare dei device portatili, smartphone in primis.
Un esempio? Nel 2020, non è raro che un individuo anziano abbia fra le mani un cellulare attraverso il quale controllare messaggi e news in tempo reale.
I dati, tra l'altro, parlano chiaramente. Stando all'ultimo Mobility report
di Ericsson, nel mondo quasi 6 miliardi di persone sono in possesso di un dispositivo per