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Amori e pandemie
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E-book178 pagine2 ore

Amori e pandemie

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Un diario di un anno di pandemia tra racconti autobiografici e pièce teatrali. "Amori e Pandemie" alterna letteratura e drammaturgia descrivendo momenti attuali e ricordi delle passate epidemie. Un libro che inizia con il ricovero della coppia cinese allo Spallanzani di Roma per finire in un ipotetico 2022 dove le mascherine saranno un ricordo lontano, almeno si spera. Nel mezzo, tre testi teatrali per raccontare le storie di chi ha vissuto un periodo di restrizione e lutto in secoli diversi. In "questo maledetto anno bisestile, il 2020", la vita di una giornalista di Radio24 scorre anomala tra routine familiari e avvenimenti politici, e non solo. E, in un crescendo di emozioni, la notte di Capodanno, una misteriosa signora si presenta inaspettata in redazione promettendo uno scoop che resterà nella storia.
LinguaItaliano
Data di uscita25 feb 2021
ISBN9788863458466
Amori e pandemie

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    Anteprima del libro

    Amori e pandemie - Elisabetta Fiorito

    La pandemia vien di notte

    È notte. Sono sola in radio a fare il turno di chiusura, si finisce a mezzanotte e dieci minuti dopo l’ultimo giornale radio. Nell’edificio di piazza Indipendenza a Roma siamo in due, io al secondo piano e l’addetto alla sicurezza all’entrata del palazzo. L’unica macchina parcheggiata nel garage è la mia.

    C’è sempre un senso di estraneità quando si fanno i turni di apertura o di chiusura in radio. Un tempo, a quest’ora c’erano anche i colleghi del Sole 24 Ore, poi le tipografie hanno iniziato a chiudere prima, gli aggiornamenti si fanno sul sito e per il cartaceo è finito il romantico mondo del desk notturno dove si faceva l’alba per una ribattuta. In realtà di epico o romantico c’era poco, tranne qualche rappresentazione cinematografica in cui si fermavano le rotative per lo scoop che avrebbe fatto cadere governi e provocato valanghe. Ma «Prima pagina» e «L’ultima minaccia» con l’indimenticabile «È la stampa bellezza» non sono quasi mai accadute: fermare le rotative costava molto in America, figuriamoci in Italia. Nella realtà, il caporedattore del desk notturno è un uomo o una donna che lotta contro il sonno e cerca di avere una vita normale, malgrado gli orari sballati, o alle volte è un solitario che preferisce lavorare a ore impossibili perché non ha vita privata.

    Dall’altro capo del filo, in via Monte Rosa a Milano, sede centrale, c’è Gigi, il caporedattore, i redattori del turno di notte e il tecnico – colui che in questo balletto tra le due città, tipico di Radio24 – mi dirigerà nel Gr di mezzanotte: conduttore a Roma, regia a Milano. La tecnologia comporta anche questo, si può essere a 478 chilometri di distanza e mettere in piedi lo stesso giornale radio parlandosi tra la pubblicità e i servizi dei colleghi.

    È il 30 gennaio 2020, giovedì, in redazione fa un po’ freddo, accendo il fan coil. Non amo il turno di notte, ormai sono troppo vecchia, ma non mi piace nemmeno la terribile alba quando ti devi alzare alle 4.30 e stare al desk alle 5.30. Sono una contraddizione in termini, faccio la radio e odio i turni. Ho firmato in quest’edificio il mio primo contratto a tempo determinato dopo una lunga gavetta, era un’altra testata di un altro gruppo. Su questo stesso pianerottolo, al secondo piano, ho iniziato a fare albe e notti e, dopo anni altrove, sono tornata in questo stabile.

    Sono a Radio24 dal giorno della sua fondazione, feci il colloquio ed ebbi l’opportunità di lasciare i turni e di andare a Montecitorio. Il 4 ottobre 1999 ero l’unica a trasmettere da Roma, non avevamo ancora gli studi nella capitale e facevo le dirette al telefono dalla Camera. Anche questo, nell’era della tecnologia, ha un sapore romantico. Dopo un mese, è arrivato Vincenzo, una persona gentile, dal carattere mite e riservato, gran lavoratore. Adesso è il capo della redazione romana, anche lui ha trascorso con me una decina d’anni a Montecitorio, stasera non c’è perché ha fatto l’alba, quella terribile. Gli altri romani hanno lavorato durante il giorno, il nostro studio è secondario rispetto a Milano.

    Sono appena tornata da Londra. Io e mio marito siamo stati abbastanza bene, ma tutto sommato avremmo preferito un viaggio al caldo, magari alle Maldive o alle Granadine. Quest’anno c’era venuta voglia di un Natale in città, ci piace viaggiare d’inverno mentre d’estate goderci il mare nella casa al Circeo. Magari a fine febbraio o inizio marzo, un viaggetto ai tropici non ce lo leva nessuno, prima che inizi la stagione circense. Un tempo sciavo, ma a mio marito non piace, è nato a Tripoli, nel deserto e la neve non fa per lui e allora adesso faccio la settimana di spiaggia bianca che comunque non è male.

    Nel frattempo, l’impaginazione dei Gr va avanti, quelli della sera e la scrittura del primo della mattina. Dall’altro capo del filo, Gigi si preoccupa: mi raccomando, lo sport. Già le partite, il calcio: non sono il mio forte. Forse è anche per questo che non amo il turno di notte. Alle 23, c’è sempre da dare la notizia di qualche gol di un giocatore dal cognome impronunciabile. «Ma perché che c’è oggi? È giovedì». «Betta, non ricominciare, ne abbiamo discusso molte volte, il pallone è importante, stasera c’è la Coppa del Re». «E che è un gelato?». «Spiritosa, è la coppa spagnola». «Mi rifiuto».

    Il calcio, il nemico dell’umanità, anzi degli italiani. Ufficialmente sono tifosa della Roma, ma non so nemmeno a che posto siamo in classifica. È uno sport che mi annoia mortalmente a parte lo sfottò. Per cui ogni domenica chiedo a Vincenzo che ha fatto la Roma e la Lazie così quando arrivo a Montecitorio posso prendere in giro Alberto, il mio vicino di banco in sala Frattarelli di colore biancoceleste. Una cosa io e Anna, le due donne presenti, abbiamo ben in mente: in mensa con i colleghi uomini di lunedì non si può andare, non si fa altro che parlare di pallone, non c’è crisi che tenga, cascasse pure il governo, guai a dire: ma secondo te che succede adesso con Italia Viva… ti rimandano al novantesimo, all’arbitro, e Alberto ribatte subito: «zitta tu zero tituli». Per cui la Coppa del Re al limite me la mangio sotto l’ombrellone quest’estate, e mi auguro sia meno calorica di quella del nonno.

    Sono le 22.04, Roberta Giordano sta finendo di condurre Effetto Notte quando l’Ansa batte una breaking news, quelle con le crocette che ne sottolineano l’importanza: una notizia che cambierà il corso degli eventi.

    ZCZC6184/SXB

    B CRO S43 S0B S04 QBXB

    ++ Coronavirus: a Roma bus scortato in ospedale ++

    Avevano stesso tour operator del cittadino cinese soccorso ieri

    (ANSA) - ROMA, 30 GEN - Un pullman con a bordo turisti cinesi

    si sta dirigendo, scortato dalla polizia, all’ospedale

    Spallanzani di Roma per i controlli sul coronavirus. Secondo

    quanto si è appreso, i turisti avrebbero lo stesso tour operator

    del cittadino cinese soccorso ieri in un albergo del centro

    della città. (ANSA).

    YF1-TZ

    30-GEN-20 22:04 NNNN

    Telefono. «Hai visto?». «Sì, dalla in apertura». «Eh, certo, Gigi». Ma non facciamo in tempo a commentare che subito dopo arriva un’altra breaking news.

    B CRO S0A S04 S0A S0A S0A S0A S43 QBXB

    ++ Coronavirus: sigillata stanza hotel turisti cinesi ++

    Probabili misure prevenzione su persone e veicoli in contatto

    (ANSA) - ROMA, 30 GEN - È stata sigillata la stanza

    dell’albergo del centro di Roma dove negli ultimi giorni aveva

    soggiornato la coppia di cinesi ora ricoverata all’ospedale

    Spallanzani per sospetto coronavirus. Ulteriori misure di

    prevenzione potrebbero essere applicate nei confronti di veicoli

    e persone con cui era entrata in contatto la coppia.

    Durante le prime operazioni di soccorso, gli agenti della

    polizia avevano anche stilato un rapporto che è stato poi

    inviato al Ministero della Salute. (ANSA).

    ATN

    30-GEN-20 22:08 NNNN

    Si susseguono altre agenzie e anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte interviene da Palazzo Chigi insieme al ministro della Salute Roberto Speranza. In realtà, i coniugi sono stati ricoverati il giorno prima. Una cosa è chiara, il coronavirus è arrivato in Italia, anzi a Roma, la coppia cinese originaria di Wuhan si è sentita male in un albergo vicino a via Cavour e portata allo Spallanzani. «Ecco – dico subito a Gigi – ti pare che adesso da questa parte della città me li portano proprio vicino a casa mia? Ma che fanno mi inseguono?». «Sei sempre la solita esagerata». «Farò lo stesso tragitto della coppia di Wuhan». «Tranquilla, non te lo prendi così».

    Torno a casa, mio marito è ancora sveglio, «Novità?». «Coppia cinese positiva al coronavirus ricoverata allo Spallanzani». «Davvero?». «Sì, ma hanno già sanificato l’albergo, tracciato l’itinerario, tutto sotto controllo. Magari se guariscono, poi allo Spallanzani arrivano anche fondi internazionali». «Non so, ma io la vedo nera». «Tu la vedi sempre nera». È fatto così, pessimista di natura. «Non è che l’Italia diventa come la Cina e chiudono tutto?». «Ma cosa dici, è impossibile, finirà come la Sars, alla fine hanno arginato l’epidemia in pochi giorni». «Non so perché stavolta sento che sarà diverso». «Sono stanca, dormiamo».

    Fosse facile, in genere mi rigiro nel letto fino alle due, non ho mai capito perché in studio hai sonno e appena arrivi a casa è passato e l’adrenalina corre. Stasera, poi, ci voleva anche il coronavirus a entrare nel dormiveglia.

    La mattina dopo mi alzo e, con l’ottimismo della volontà – altra invenzione assurda dell’era new age – mi convinco che tutto si rimetterà a posto. All’inizio è sempre così, non ci si vuole mai rendere conto del pericolo che si corre. Epidemie e dittature seguono più o meno lo stesso percorso: la negazione del male. Giovanni Giolitti pensava di arginare il fascismo facendolo entrare in parlamento e invece aprì la strada alla dittatura. Quando Pol Pot e i Khmer Rossi fecero evacuare Phnom Penh con la scusa che sarebbe stata bombardata dagli americani, i cittadini credettero che sarebbero tornati entro tre giorni. Per non parlare dell’ascesa di Hitler e della Shoah. Figuriamoci se adesso, nel 2020, ci facciamo spaventare da un virus.

    I giorni seguenti passano veloci, immersi nell’illusione che tutto resterà come prima. L’epidemia è una roba cinese, si genera nei mercati di animali vivi, da noi è tutto controllato, figuriamoci: l’Ue detta pure le misure che devono rispettare zucchine e patate, la coppia cinese è stata una disavventura. Intanto iniziano i divieti, si chiudono i voli per e dalla Cina, ma gli italiani aggirano subito lo stop facendo scalo in Europa. Se c’è mai un popolo abituato a eludere le leggi, questi siamo noi. Non sappiamo ancora che è l’ultimo mese di normalità, di un mondo che fra un attimo non esisterà più. Ultima chiamata per andare a fare un viaggio, per prendere un’ovovia, per salire su un autobus senza temere per la propria vita.

    Mi chiedo cosa abbia fatto durante quel mese, penso e ripenso, ma non me lo ricordo, non mi vengono in mente gli ultimi giorni di libertà. Sarò andata in palestra, poi a Montecitorio, in redazione, magari avremo celebrato un bel compleanno di qualche collega con tanto di pizza e mortazza. O magari, avrò fatto una festa. Sì, ho fatto una festa, questo me lo ricordo. Il 5 febbraio è il mio compleanno e cade di venerdì, ho pensato bene che quest’anno volevo fare un bel ricevimento come ai vecchi tempi, tutti gli amici, almeno 50 persone. Immaginatevi la contentezza di mio marito al pensiero che 50 individui irrompessero in casa con tanto di tappeti, quadri e vasi da salvare.

    «Ma la facciamo sabato al tramonto, quando è finito Shabbat. E poi non riesco a capire perché se sono miei amici, sono dei vandali, mentre i tuoi sono dei lord». «No, è che tu vuoi fare venire tutti, non riesci a capire che non si può, che non c’entriamo, che mi distruggono casa». «Senti, è una vita che facciamo ’ste cene seduti con menù di latte, pesce con le patate, sformati, ecc… stavolta stravolgiamo e ci divertiamo in piedi!». E qui casca l’asino. «In che senso menù di latte? Mica vorrai mischiare carne e latte, eh?», mi fa lui. «No, ma nemmeno tutto strictly kosher». «Vale a dire?». «Beh potremmo fare anche i cannelloni con la ricotta del supermercato, i miei amici non sono ebrei, che ti importa». «Ma i miei sì». «Appunto per i tuoi amici, che sono anche i miei, prendiamo le lasagne cacio e pepe kasher». «E il vino?». «Per i miei amici goy prendiamo quello del supermercato, anche perché ’sto vino kasher italiano nun è sto granché». «C’è sempre quello israeliano». «Che costa un botto e che è buono come un normale vino siciliano». «Il dolce?». «Lo prendo kasher di latte». «In questa casa il maiale non entra e nemmeno i gamberi». «Ti ho detto che faccio il maiale?». «No». «Appunto». «E i gamberi?». «No, nemmeno quelli». Il bello è che nemmeno io mangio più maiale e gamberi, ma deve sempre controllare. A parte l’altro giorno in redazione… la pizza con la mortazza… già l’ho strategicamente dimenticata, «ma era quella kasher», dirò a mio marito.

    Alla fine, ce l’abbiamo fatta a stilare il menu vegetariano con pesce con la spina, l’immancabile baccalà, cibo kosher style e vino misto, su quello non ho ceduto. È stata una serata bellissima in cui abbiamo abbracciato e baciato gli ospiti all’entrata e all’uscita. Un piccolo nugolo di amici è anche rimasto fino a notte fonda per le chiacchiere post-party. Io ho messo piatti e bicchieri di plastica dentro sacchi enormi dell’immondizia, consapevole di aver contribuito fortemente all’inquinamento del pianeta con buona pace di Greta. Nei saluti ci siamo ripromessi altrettante feste e cene per i mesi a venire, prima che «ve ne scappiate al Circeo come al solito».

    A fine serata ho contato le bottiglie di vino, almeno una trentina, di cui 10 kasher tra prosecco e bianco. Devo dire che il piatto su cui tutti si sono avventati sono state le lasagne cacio e pepe strictly kosher, più che i cannelloni con spinaci e ricotta del supermercato con caglio vegetale. «È perché la cucina kasher è più buona», mi fa mio marito. «No, è che è molto golosa e di certo non magra come i cannelloni che ho cercato di fare dietetici» – un ossimoro, ma la vita non è mai coerente.

    La domenica trascorre in pigiama con pupazzetti e messaggi WhatsApp di ringraziamento. Non male come è iniziato questo

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